Serie TV > Glee
Ricorda la storia  |      
Autore: SereILU    01/03/2013    5 recensioni
[Thad/Sebastian | Crossover con Hunger Games | Arancione | ANGST | Seblaine!friendship]
*
Blaine gli prese le mani. “Devi andare da lui e parlargli. Prima della partenza, nel Palazzo di Giustizia.”
Sebastian scosse la testa. “E cosa dovrei dirgli? ‘Grazie per avermi salvato la vita, ma sei uno stronzo’?”
“Devi dirgli quello che senti, Seb. Non puoi mandarlo via nell’incertezza.”
“Incertezza?”
Blaine sbuffò, ma i suoi occhi tornarono a lucidarsi. “Davvero non capisci perché l’ha fatto?”
Sebastian aprì la bocca per ribattere, ma si bloccò quando la risposta che trovò gli tolse l’aria dai polmoni e gli fece correre il cuore sotto alla cassa toracica.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Blaine/Sebastian, Sebastian/Thad
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo: Waiting for the sky to fall
Personaggi: Sebastian Smythe/Thad Harwood, Blaine Anderson, Varie ed eventuali.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico, Triste
Rating:  Arancione
Avvertimenti: ANGST, Crossover
Nda: alla fine.

 

 

A Thalia.
You know why.

 

Waiting for the sky to fall

 

 


“Non capisco come fai a rimanere così calmo.”

Sebastian si voltò verso Thad con un sopracciglio inarcato. Erano seduti sul ciglio della piazza principale del distretto cinque, le schiene poggiate contro i mattoni freschi di un edificio abbandonato e in disuso; davanti a loro, Pacificatori e operai si adoperavano per costruire il grande palco che il giorno successivo avrebbe ospitato il rappresentante di Capitol City e i due Tributi estratti.

I loro sguardi si incontrarono: Sebastian osservò gli occhi scuri di Thad, sinceri e preoccupati, come sempre, per la Mietitura imminente. Avrebbe voluto dirgli che non aveva capito la domanda, che non aveva capito a cosa si riferiva, ma sarebbe stata una bugia.

“A cosa servirebbe lasciarsi prendere dal panico?” chiese, laconico.

Thad sospirò e si passò una mano tra i capelli neri. “Non lo so. Ma pensavo che, dopo quello che è successo l’anno scorso…”

Sebastian si irrigidì e strinse i denti; perché Thad doveva riportare a galla quella storia ogni singola volta? Lucas era stato estratto, era entrato nell’Arena e non era tornato a casa, fine. Il fatto che fosse suo fratello era irrilevante.

“Cosa pensavi?” sbottò allora. “Che visto che è toccato ad uno della mia famiglia dovrei avere più paura? È stata la casualità, Thad. Il fato. Il destino. Il caso. Vuoi altri sinonimi?”

Erano mesi che non si lasciava andare alle proprie emozioni fuori dalle pareti della sua stanza e dalle braccia di Thad. Sarebbe stato inutile; piangere e strapparsi i capelli non aveva mai riportato in vita nessuno, e gli Hunger Games non si sarebbero certo fermati per qualche lacrima in più.

Quasi non si rese conto che Thad l’aveva stretto in un abbraccio, il viso affondato nel suo collo e le labbra che gli sfioravano la pelle.

“Scusa…” sussurrò. “Non volevo farti arrabbiare. È solo che… Lucas mi manca, e so che manca anche a te, nonostante tu non voglia darlo a vedere.”

Sebastian sorrise e si immerse per un istante nel profumo di Thad. “Certo che mi manca…” rispose poi, il tono di voce basso e più tremante di quanto gli sarebbe piaciuto. “Mi manca ogni giorno.”

Dopo, restarono in silenzio ancora stretti l’uno all’altro. Gli operai impiegarono tutto il pomeriggio a montare il palco e gli schermi, sotto lo sguardo attento e i fucili dei Pacificatori della Capitale; quando terminarono, grugnendo e con passo reso malfermo dalla fatica, il sole stava ormai calando dietro agli edifici della città.

Thad rabbrividì appena quando una folata di aria fresca li investì, trascinando con sé polvere e silenzio. Sebastian strinse la presa su di lui e gli posò le labbra sulla tempia, lo sguardo fisso sulla piazza sempre più buia. Solo quando anche l’ultimo Pacificatore si fu allontanato, si lasciò andare ad un sospiro.

“Si sta facendo freddo,” mormorò, anche se non era neanche lontanamente vero. Il caldo di quella giornata, infatti, non era ancora sparito, e continuava ad aleggiare rendendo l’aria pesante e ancora più carica di attesa.

Thad annuì. “Già.”

Si alzarono in piedi, battendosi sui pantaloni per togliere la polvere. Lanciarono un’ultima occhiata alle impalcature e si presero per mano; Sebastian avvertì il pollice di Thad disegnare ghirigori sul dorso della sua, forse in un tentativo di tranquillizzarlo, e sorrise a quel semplice gesto.

Le strade erano deserte e silenziose. Tutte le finestre erano sbarrate, e Sebastian pensò all’anno precedente, quando aveva passato la vigilia della Mietitura davanti alla stufa insieme a tutta la sua famiglia. Insieme a Lucas.

Avevano parlato poco, quella sera, come ogni altra sera che Sebastian poteva ricordare. Ma Lucas c’era sempre stato, una figura silenziosa ma presente in ogni occasione importante. Con lui se n’era andata l’unica sorgente di luce della casa.

Lasciò che i piedi lo trasportassero per le vie buie, la mano di Thad stretta nella sua e il cuore indeciso se rallentare nella speranza di bloccare il tempo o se correre per la paura che potesse succedere di nuovo, che la persona a cui teneva di più al mondo potesse scivolargli tra le dita ancora una volta.

Aprì la porta di casa senza pensarci, improvvisamente concentrato nei pochi centimetri di pelle a contatto con quella di Thad e sulla sensazione di calore e sicurezza. Sicurezza che, lo sapeva, sarebbe durata poco, trascinata via dalla Mietitura, dal terrore che un nome uscisse da quell’innocente urna di vetro.

Trascinò Thad al piano di sopra, con il rischio di far cadere entrambi sui gradini di legno, ma non gli importava. Mancavano solo poche ore, all’alba, a un giorno uguale agli altri e allo stesso tempo diverso, un giorno che si ripeteva da più di cinquant’anni.

Quando la porta si chiuse alle loro spalle con un leggero tonfo, si voltò. Gli occhi castani di Thad erano lucidi e spaventati, e anche nell’oscurità della sua stanza Sebastian poteva ricordarne il colore con estrema precisione. Era un pensiero che lo gli faceva venire voglia di strapparsi il cuore per la paura soffrire.

“Sebastian.”

Fu un sussurro. La voce tremante di Thad gli arrivò leggera e piena di emozione. Improvvisamente sentì il mondo pesargli sulle spalle e la pelle iniziare a formicolare; aveva bisogno di lui. Ne aveva così bisogno che faceva male.

Non parlò, non gli disse niente. Si limitò ad avvicinarsi senza distogliere lo sguardo e a poggiare le proprie labbra sulle sue cercando di trasmettergli tutto quello che poteva: la paura, il desiderio di non pensare, il bisogno di sentirlo vicino, tanto vicino da sperare che i loro corpi si fondessero in uno solo.

Thad rispose al bacio con dolcezza, socchiudendo le labbra e sfiorando con la lingua quelle di Sebastian, che respirò pesantemente dal naso prima di lasciarsi andare ad un gemito roco.

“‘Bas…” Thad sussurrava il suo nome contro le sue labbra tra un bacio e l’altro. “Ti prego.”

Sebastian fece un passo indietro e lo guardò negli occhi, poi annuì e lo prese per mano, portandolo verso il letto e spingendocelo sopra con delicatezza. Si baciarono di nuovo, con i corpi ancora più vicini e le mani che si spostavano frenetiche sopra e sotto i vestiti.

In pochi minuti furono nudi. Thad allargò le gambe per permettere a Sebastian di sistemarsi meglio tra di esse, senza smettere per un attimo di accarezzarlo ovunque e sospirando quando le sue labbra cominciarono a scivolare umide sulla sua pelle, dal collo all’ombelico e poi di nuovo su, più e più volte, fino a farlo tremare di desiderio.

Sebastian avrebbe voluto che il tempo si fermasse, avrebbe voluto avere la possibilità di venerare quel corpo che nei mesi precedenti aveva imparato a conoscere come e meglio del proprio. Non avrebbe mai voluto dimenticare i suoni che uscivano dalle labbra di Thad, né la sensazione della sua pelle contro la propria.

Tuttavia, non poteva aspettare. Non aveva la forza di continuare a pensare. L’indomani sarebbe potuto essere l’inizio della fine, e non voleva lasciare che la sua mente vi indugiasse più di quanto aveva già fatto.

Preparò Thad in fretta, gemendo alla sensazione di calore che avvertiva attorno alle proprie dita e beandosi dei sospiri che gli scivolavano tra le labbra. Ma solo quando entrò dentro di lui, lentamente e senza fermarsi fino ad avvertire le natiche di Thad contro le cosce, Sebastian respirò di nuovo.

Cominciò a muoversi velocemente, ma non abbandonò neanche per un istante gli occhi di Thad: non si sarebbe mai perdonato la debolezza di perdersi senza portarlo con sé.

Improvvisamente, però, neanche quella vicinanza era abbastanza. Aveva bisogno di qualcosa di più.

Portò le braccia intorno al corpo sudato di Thad e lo tirò verso di sé, sedendosi sul letto e stringendolo contro il proprio petto. Lo osservò boccheggiare e gemere di piacere mentre le sue unghie gli graffiavano le spalle.

Sebastian si sentiva diviso a metà: da una parte c’era il calore che avvertiva addensarsi nel basso ventre, e che confondeva i pensieri; dall’altra il desiderio di continuare fino all’alba e poi al tramonto, senza doversi mai allontanare, senza tornare a vivere.

Avvertiva i muscoli di Thad flettersi e fremere sotto i polpastrelli e lo strinse ancora di più, finché i loro petti non furono talmente vicini da bruciare, da fargli chiedere dove iniziasse uno e dove finisse l’altro.

Il tempo sembrò quasi dilatarsi intorno a loro, mentre Sebastian dimenticava tutto e si costringeva a non perdersi; continuò a spingersi dentro Thad per quelle che gli parvero ore, mentre il sudore gli imperlava la fronte e la voce si abbassava per i troppi ansiti.

Sebastian…Bas…” Thad iniziò quasi a pregarlo, lo sguardo lucido e scuro, e Sebastian non se lo fece ripetere. Tremante per la fatica e il desiderio, fece scivolare una mano tra i loro corpi uniti.

Bastarono pochi secondi prima che Thad urlasse il proprio piacere e Sebastian lo sentisse umido sulle dita mentre lo accompagnava in quell’orgasmo che voleva non finisse più. Thad non chiuse gli occhi, continuò a guardarlo, mentre alcune lacrime gli scivolavano lungo le guance e le forze lo abbandonavano.

Dai…

Di nuovo, bastò un semplice sussurro. Sebastian boccheggiò per il calore improvviso, gemendo e ansimando tra le braccia di Thad che continuava a mormorare parole dolci contro il suo collo.

Poi, calò il silenzio. Stesi sulle lenzuola stropicciate, rimasero a guardarsi negli occhi finché il sonno non li reclamò. Sebastian avrebbe voluto parlare, al sicuro tra quelle braccia forti che, lo sapeva, non lo avrebbero lasciato, ma non ne ebbe la forza. Si limitò a stringere Thad contro il proprio petto e a sperare.

 

*

 

La giornata della Mietitura si presentò fresca e ventosa.

Sebastian prese il suo posto tra le file di ragazzi del distretto cinque e osservò i loro visi: alcuni erano evidentemente spaventati, altri sembravano in lotta con se stessi per non crollare, e i bambini di dodici anni tremavano come foglie. Lui non sapeva neanche come sentirsi: da una parte aveva paura che il proprio nome venisse estratto, dall’altra, tremava all’idea di un altro nome.

Poco lontano, tra i ragazzi di diciotto anni, vide Thad, l’espressione concentrata e la bocca stirata in una linea sottile. Era evidente che fosse nervoso, Sebastian poteva vederlo nella tensione della mascella e nel modo in cui continua a flettere le dita.

L’inviata di Capitol City, dai brillanti capelli rosso fuoco, fece il suo ingresso sul palco, chiedendo un silenzio che già aleggiava sulla piazza. Sebastian sorrise alle parole gentili di quella donna che non aveva mai patito la fame o la stanchezza, mentre lei blaterava di diritti, pace e gloria. Il video che comparve sugli schermi gli fece venire la nausea, come nei cinque anni precedenti.

Strinse i denti e, senza sapere perché, cominciò a tremare leggermente; la rabbia, la delusione, il terrore cieco che solo la morte poteva portare. Chiuse e riaprì i pugni, cercando un ritmo che potesse farlo tornare a respirare regolarmente: lo trovò dopo alcuni minuti che gli sembrarono infiniti.

Quando il video terminò, l’attenzione di tutti si spostò sulle due urne di vetro. Era incredibile come un piccolo pezzetto di carte potesse portare con sé tutte quelle emozioni. Il silenzio si fece ancora più pesante quando venne annunciato che l’estrazione sarebbe cominciata con le ragazze.

Sebastian azzardò un’occhiata nella loro direzione. Codini biondi, ramati e scuri brillavano leggermente sotto il sole di quella mattina, mentre i visi che li accompagnavano mostravano vari gradi di paura e disperazione.

A Sebastian si strinse il cuore quando l’inviata di Capitol City chiamò un nome e una ragazzina che non poteva avere più di tredici anni scoppiò a piangere lì sul posto. Quando i Pacificatori si avvicinarono e la trascinarono di peso sul palco, avrebbe voluto cacciarli via e stringere quella bambina tra le braccia, come tante volte aveva fatto con sua sorella nei mesi precedenti.

La richiesta di una volontaria che salvasse il tributo dal suo povero destino si perse nel silenzio.

Dopo la presentazione della ragazza, tutta l’attenzione si spostò sull’altra urna, luccicante e apparentemente innocente. Sebastian osservò con attenzione i foglietti spostarsi e mescolarsi sotto le unghie laccate di verde di quella donna che stava per condannare al macello un altro ragazzo. Chiuse gli occhi e subito l’immagine di Thad gli si apparve dietro alle palpebre chiuse; non sapeva cosa avrebbe fatto se…

“Sebastian Smythe.”

Il tempo si fermò e ricominciò a fluire lentamente. Sebastian riaprì gli occhi, ma si rifiutò di guardare da qualunque altra parte che non fosse davanti a sé. Poteva quasi sentire il pianto dei suoi genitori, devastati all’idea che un altro figlio finisse nell’arena.

A passo malfermo si avvicinò al palco, circondato da altri Pacificatori. Quando si voltò verso la folla mentre l’inviata della Capitale gli metteva una mano sulla spalla e si congratulava con lui, fece forza su se stesso per non cercarlo, per non spostare lo sguardo nella sua direzione. Si sentiva quasi apatico, in quel momento: era sollevato ed allo stesso tempo completamente distrutto; poteva avvertire la disperazione cominciare a chiudergli lo stomaco e ad annebbiargli la mente.

“C’è qualche volontario?”

Sebastian chiuse di nuovo gli occhi e un piccolo sorriso gli si dipinse sulle labbra all’assurdità di quella domanda.

“Io!”

Una voce. La sua voce. Una sillaba che fece crollare il cielo.

Riaprì gli occhi e si sentì morire. Thad era al centro della piazza, nel piccolo corridoio lasciato libero tra i ragazzi e ragazze, lo sguardo determinato l’unica luce rimasta sul viso pallido e tirato.

No…” Il sussurro di Sebastian si perse tra gli strilli eccitati della donna che aveva cominciato a saltellare, accanto a lui. “No. No. No. No. No.”

“Un volontario!” Thad salì sul palco. “Come ti chiami, ragazzo?”

Thad…” Sebastian lo osservò deglutire. “Thad Harwood.”

“E, dimmi, Thad Harwood… perché ti sei offerto volontario?”

I loro sguardi si incrociarono per la prima volta da quella mattina, quando le loro strade si erano separate e Thad era tornato a casa per cambiarsi e prepararsi alla Mietitura. Sembrava essere passato solo un istante, eppure, quello che Sebastian lesse in quegli occhi castani era così diverso da ciò che vi aveva letto solo poche ore prima.

Terrore, ansia, incertezza, determinazione.

Così tanto amore da far male.

“C’è…” Thad riprese fiato e distolse lo sguardo. “C’è bisogno di una ragione, per voler salvare una vita?”

“Un eroe!” L’inviata batté le mani, eccitata.

Sebastian ritrovò la voce. “No, Thad…

“Bene!” La voce acuta della donna lo interrompe. “Sebastian, puoi tornare nella piazza.”

“No!” Il fatto che Thad sarebbe entrato nell’arena al posto suo lo colpì come una cannonata al petto. “No! Non vo-” Ma le mani dei Pacificatori lo trascinarono giù senza fatica nonostante i suoi tentativi di ribellarsi.

Quando lo lasciarono andare, Sebastian cercò di tornare sul palco, ma quelli gli bloccarono la strada, e fu solo quando gli puntarono contro i fucili, che cercò di cambiare tattica.

“Lasciatemi passare,” disse, le mani strette a pugno e la mascella serrata.

“No.”

“Fatemi passare!”

Sebastian…

Sebastian si voltò di scatto. Blaine era dietro di lui, con gli occhi lucidi e un’espressione addolorata sul viso.

“Andiamo, Seb…” continuò, avvicinandosi e mettendogli una mano sulla spalla.

“Ecco. Sparisci.” I pacificatori lo spinsero indietro con la bocca dei loro fucili. “Vai con lui e ringrazia di esserne uscito vivo.”

“Ma-”

“Smettila!” La voce di Blaine era tremante ma forte. “Così peggiori solo le cose.”

Sebastian sentiva di stare entrando in iperventilazione. Non poteva permettere che Thad  entrasse nell’arena al posto suo, non poteva permettere che morisse. Non per lui. Continuava a spostare lo sguardo tra Blaine e i Pacificatori, finché non guardò oltre e vide il volto di Thad, solcato dalle lacrime e indurito dalla mascella serrata.

“Andiamo.”

Blaine lo afferrò per un braccio e lo trascinò via, lontano dalla piazza, da Thad e dai Pacificatori. Si accorse a malapena dell’abbraccio dei suoi genitori e di sua sorella; era finito in una specie di trance, bloccato tra il sollievo di non dover morire e la disperazione di dover vedere qualcun altro al suo posto.

Dopo Lucas, non poteva perdere anche Thad.

Blaine lo allontanò dalla polvere e dalle impalcature, fermandosi solo quando arrivarono ad uno sprazzo di erba verde e ben tagliata che a Sebastian ricordava pomeriggi passati a ridere e a scherzare dimenticando per un po’ il dolore del distretto.

“Siediti.”

Lui obbedì e crollò a terra con le mani sul viso, mentre Blaine gli si inginocchiava accanto e lo abbracciava stretto. Fu in quel momento che Sebastian si spezzò: tutte le emozioni di quelle poche ore gli crollarono addosso e si ritrovò a singhiozzare sulla camicia dell’altro, che non lo lasciò andare e cominciò a sussurrargli rassicurazioni all’orecchio.

“Perché?” Sebastian si tirò su e si asciugò il naso con la manica. “Perché, Blaine?”

“Non lo so…

“Non dovrebbe esserci lui, su quel palco! Hanno chiamato me!”

Blaine gli prese le mani. “Devi andare da lui e parlargli. Prima della partenza, nel Palazzo di Giustizia.”

Sebastian scosse la testa. “E cosa dovrei dirgli? ‘Grazie per avermi salvato la vita, ma sei uno stronzo’?”

“Devi dirgli quello che senti, Seb. Non puoi mandarlo via nell’incertezza.”

“Incertezza?”

Blaine sbuffò, ma i suoi occhi tornarono a lucidarsi. “Davvero non capisci perché l’ha fatto?”

Sebastian aprì la bocca per ribattere, ma si bloccò quando la risposta che trovò gli tolse l’aria dai polmoni e gli fece correre il cuore sotto alla cassa toracica.

“Devo andare da lui.”

“Ti accompagno.”

 

*

 

L’interno del Palazzo di Giustizia era freddo e buio, e Sebastian rabbrividì, seduto su una sgangherata sedia di legno mentre aspettava che i genitori di Thad uscissero dalla stanza per poter andare a parlargli.

Avrebbe voluto dirgli tante cose: le parole gli si affollavano nel cervello e gli confondevano i pensieri, ma non sapeva quali scegliere. Qual era la cosa giusta da dire alla persona che gli aveva probabilmente salvato la vita, a costo della propria?

Non aveva ancora trovato la risposta giusta quando la porta di legno si aprì e la signora Harwood uscì con le guance umide di pianto, sorretta dal marito. Sebastian si alzò subito in piedi e fece per raggiungerli, ma lo sguardo che la donna gli lanciò lo gelò sul posto: avrebbe dovuto aspettarsi una reazione del genere, ma faceva male lo stesso.

Julie Harwood era sempre stata gentilissima con lui, evidentemente colpita dal rapporto che si era creato tra Sebastian e suo figlio, tuttavia, in quel momento gli sembrò che lei potesse incenerirlo solo guardandolo. Era arrabbiata, completamente distrutta dalla decisione che il suo unico figlio aveva preso; e la colpa di tutto quel dolore era lui.

Non disse una parola, ma aspettò che si furono allontanati prima di avvicinarsi alla porta e posare una mano sulla maniglia fredda prima che il Pacificatore che se ne stava appoggiato alla parete lì accanto gli fece cenno di entrare.

Prese fiato ed entrò nella stanza. Spese solo un secondo per coglierne i dettagli: un camino vuoto, enormi finestre impolverate e due sedie di legno identiche a quella che adornava il corridoio altrettanto spoglio. Poi si concentrò su Thad, che se ne stava in piedi con lo sguardo fisso sul pavimento polveroso e con le braccia lungo i fianchi.

Quando sollevò lo sguardo, Sebastian avrebbe voluto morire: negli occhi di Thad c’era un vortice di emozioni che lo congelò sul posto e gli fece desiderare di essere ancora un bambino, senza preoccupazioni se non quella di arrivare a fine giornata senza sbucciature. Invece, Thad non gli era mai sembrato così adulto: c’era una consapevolezza, in quel castano scuro, che gli bloccò il respiro in gola dalla paura.

E poi venne la rabbia. Una rabbia cieca, che gli fece formicolare la pelle e correre il cuore e, prima ancora di rendersene conto, Sebastian aveva fatto un passo avanti e gli aveva tirato un pugno, facendogli perdere l’equilibrio e cadere a terra.

Thad volò sul pavimento con un tonfo sordo e un gemito di dolore mentre Sebastian lo osservava dall’alto con il respiro corto e le lacrime che avevano cominciato a scorrergli sul viso.

“Sei uno stronzo!” urlò, portandosi le mani tra i capelli. “Sei uno stronzo, Thad! Non-”

“Cosa avrei dovuto fare?” La risposta acida di Thad lo colse quasi impreparato.

Tu…” Sebastian lo osservò rimettersi in piedi e portarsi una mano sul labbro spaccato. “Tu… Dovrei esserci io, qui dentro! Non tu!”

Improvvisamente, Thad sembrò quasi rimpicciolire, tutta la sicurezza sparita dai suoi occhi. “Non potevo permetterlo.”

“Cosa?”

“Che toccasse a te.”

“Perché, Thad?” Sebastian si accorse di tremare, la voce che, al contrario di quella di Thad, saliva ad ogni sillaba. La rabbia stava lentamente scemando, ma le mani gli tremavano ancora, e sentì l’improvviso bisogno di capire, di sapere se Blaine aveva ragione.

“Perché non volevo vederti entrare nell’arena.”

“Perché?”

Doveva sapere.

“Perché, Thad? Perché non mi hai lasciato anda-

“Perché ti amo!”

Sebastian boccheggiò. “Cos-”

“Ti amo, Sebastian. Ti amo, e non potevo permettere che tu entrassi in quella cazzo di arena! Va bene come risposta?”

Di nuovo, la risposta di Thad lo lasciò di stucco. Le parole stavano lentamente entrando nel suo cervello, e lui ne capiva il senso poco alla volta.

Thad lo amava. Lo amava, e aveva deciso di sacrificarsi per lui, nonostante sapesse di avere pochissime possibilità di uscire vivo dai Giochi e di tornare a casa.

Perché c’era una ragione, per salvare una vita.

Il silenzio che calò nella stanza dopo quella dichiarazione così giusta e così sbagliata durò pochi secondi, e l’unica cosa che svegliò Sebastian dalla trance in cui era caduto furono gli occhi di Thad, ancora fissi nei suoi. Erano umidi, spaventati, sembravano urlargli di dire qualcosa, qualsiasi cosa.

Ma Sebastian non parlò, si limitò a muovere un passo avanti e baciarlo. Il labbro di Thad sanguinava ancora, ma non gli importava; in quel momento sentiva solo Thad, solo la sua bocca, il suo petto solido contro il proprio, le sue mani tra i capelli e il suo respiro caldo sul viso.

Si erano scambiati decine, forse centinaia di baci, ma ciò che Sebastian avvertì in quell’istante superava di gran lunga tutto ciò che aveva provato in tutta la sua vita.

Le labbra di Thad scivolavano sulle sue con voracità, come se avesse voluto divorargli l’anima e non lasciarla più andare, incurante del destino che si era messo tra loro. Sebastian poteva sentire il sapore pungente del sangue, ma lo ignorò e baciò Thad con ancora più forza.

Non voleva che se ne andasse. Non voleva vivere un solo istante senza di lui.

“Ti amo.” Sebastian lo sussurrava con semplicità, tra i pochi centimetri che li dividevano ogni volta che dovevano separarsi per respirare.

Alla fine, Thad poggiò la fronte sulla sua e si leccò le labbra con un mezzo sorriso.

“Mi dispiace…

Sebastian lo strinse ancora di più. “Di cosa stai parlando?”

“Il nostro tempo insieme sta per finire e…

Sebastian lo zittì con un altro bacio. “Zitto.”

“Ma-”

“Zitto!”

Sebastian affondò il viso nel suo collo con un sospiro tremante. Proprio in quell’istante la porta si aprì e Sebastian avvertì le mani del Pacificatore afferrarlo per un braccio e tirare.

“Lasciami!” ringhiò.

“L’orario delle visite è terminato,” rispose quello, per niente intimorito. “Muoviti.”

“Via, ‘Bas.” Thad gli prese una mano e gli diede un leggero bacio sulle labbra. “Me la caverò…

Sebastian sentì di nuovo le lacrime punge e deglutì, prima di allontanarsi con passo malfermo.

“Promettimi che tonerai,” mormorò.

Thad fece un mezzo sorriso. “Sai che non posso farlo.

“Promettimelo, Thad!”

“Ti amo, Sebastian,” rispose lui. “Spero che basti.”

La porta si chiuse con un tonfo.

 

 

 

 

Note Finali:

Sì, lo so. Sono cattiva, e mi fa male anche solo pensarle, queste cose.
Ma dovevo scrivere questa storia secoli fa… quindi…
Grazie in anticipo a tutti coloro che perderanno due minuti del loro tempo per leggere, commentare e tutto il resto.

SereILU

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: SereILU