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Autore: Keiko    02/03/2013    2 recensioni
“Ci sarà una tempesta stanotte, di quelle che la storia non potrà dimenticare.”
“Non esiste nulla che possa sconfiggerci. Ti fa paura un po' di pioggia, vecchio? Dovresti ritirarti, ormai, e lasciare spazio a chi ha davvero voglia di combattere.”
“Siete stupidi e sciocchi. I re hanno mandato a morire i loro figli e nipoti. A ondate di flotte cariche di sacrifici, siete giunti a Ilio in cerca di gloria e immortalità. La guerra non l'avete ancora vissuta, nemmeno vista o udita. Quando dovrete piangere il vostro stesso sangue, allora capirete che nella guerra non c'è davvero nulla che possa forgiare un uomo.”
[Nettolemo/Ulisse]
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Neottolemo ha la stessa spavalderia di suo padre, la stessa andatura fiera e il profilo perfetto che si staglia contro il sole inghiottito dal mare che li divide dalla Grecia.
“Ehi ragazzino, cerca di calmarti. Non c'è niente di così eccitante nella guerra.”
Anche Achille ha lo stesso modo di contrarre le sopracciglia e drizzare il capo sfidando il prossimo quando ritiene di essere contraddetto o, semplicemente, sfidato.
“Siamo nati per la guerra.”
Minacciato, puntualizzerebbe Ulisse, ed è per questo motivo che non cede il passo al marmocchio regale.
“E dire che tuo padre, le guerre degli altri, non voleva combatterle.”
“Abbiamo l'obbligo di farlo.”
“Agamennone vi ha istruiti bene, prendete ordini da un uomo che ha dimenticato il vero motivo per cui ci ha condotti qui dieci anni fa ormai.”
Assapora il tabacco che sta masticando e poi lo sputa per terra, tra la sabbia umida e il fango lasciato dall'alta marea. Ha smesso di credere che la guerra sia un fatto d'onore da anni, ormai, e nemmeno comprende come hanno fatto a resistere per quasi tutta una decade senza impazzire. Non ricorda che gli annali abbiano mai parlato di battaglie infinite, come quella, che ti logorano nel corpo e nello spirito e ti fanno dimenticare l'umanità. Allunga lo sguardo sul cielo, come se rivedesse in quello specchio immobile l'intera sua esistenza, bloccata oltre l'orizzonte, a Itaca. Quella non è vita, solo sopravvivenza. Neottolemo è un ragazzino eccitato, giunto a Ilio con una delle ultime flotte date in dono dalla Grecia ai combattenti. Quel popolo di staterelli egoisti e individualisti ha trovato un nemico comune e continua a lottare. Di Elena, ormai, non vi è altro che il ricordo. Le donne troiane hanno amato i condottieri greci, le donne greche hanno atteso invano il ritorno dei propri mariti. La guerra ti fa capire che non c'è lotta che possa contrastare il desiderio di una carezza, di un abbraccio che scivola oltre il nemico, oltre il velo della vestale e il mantello del condottiero. Come a causa di una maledizione, è sempre stata una donna a spaccare l'esercito in due. Achille da un lato, Agamennone dall'atro, e Briseide il pretesto per decidere chi fosse il capobranco quando il giovane aveva preso a scalciare per sfidare il vecchio. Ulisse scuote la testa riportando lo sguardo sul giovane. Ne studia il corpo tonico e la determinazione che gli si annida nello sguardo. L'aveva anche Achille, prima che la guerra gli portasse via Patroclo. L'avevano tutti i re e gli eroi, prima di imparare a conoscere il nemico e il suo popolo e mettersi in discussione. La morte che li aveva seguiti passo dopo passo, affiancandoli nelle battaglie, restava sospesa su di loro aderente al cielo e alle nubi anche in quel momento di calma apparente.
“Ci sarà una tempesta stanotte, di quelle che la storia non potrà dimenticare.”
“Non esiste nulla che possa sconfiggerci. Ti fa paura un po' di pioggia, vecchio? Dovresti ritirarti, ormai, e lasciare spazio a chi ha davvero voglia di combattere.”
“Siete stupidi e sciocchi. I re hanno mandato a morire i loro figli e nipoti. A ondate di flotte cariche di sacrifici, siete giunti a Ilio in cerca di gloria e immortalità. La guerra non l'avete ancora vissuta, nemmeno vista o udita. Quando dovrete piangere il vostro stesso sangue, allora capirete che nella guerra non c'è davvero nulla che possa forgiare un uomo.”
“Sei il disonore della Grecia.”
“Tuo padre ha smesso di esserne l'onore quando è stato ammazzato Patroclo. Il sentimentalismo non ti rende vile, solo più saggio.”
Neottolemo calca i piedi nudi sulla rena fredda, punta i piedi come se dovesse caricare e gettare Ulisse all'indietro, sugli scogli. Le torce hanno preso a illuminare le mura di Troia, accendendosi una dopo l'altra come lumi mortuari. Non rabbrividisce, né li teme: non sa che l'ultimo canto di guerra verrà intonato l'alba successiva.
“Chi sono?”
“Chi?”
“Quelle figure che si muovono sulle mura.”
Ulisse non ha bisogno di voltarsi per scorgere le porte Scee, forgiate dallo stesso Poseidone e del medesimo colore verdastro del mare, indistruttibili, per dargli una risposta. È  un rituale che vede ad ogni calar del sole, prima del sorgere della luna, in quell'ora di nulla in cui non è più giorno e non ancora notte.
“Sono le troiane. Vanno a piangere i loro uomini lassù.”
“Le donne greche non lo farebbero.”
“Non hanno la battaglia sotto gli occhi e dentro le proprie case. Smettila di arrogarti il diritto di giudicare un mondo che non conoscerai mai. Domani Troia cadrà, e tu sarai un eroe. Un eroe che non sa cosa significhi essere in guerra.”
Ulisse si solleva in piedi, austero e possente. È  un vecchio che ha vissuto ed è già morto, inseguendo il cavallo della diplomazia. Ora è pronto a domare un altro cavallo, e se il suo intuito non l'ha tradito potrà finalmente ritornare a Itaca. Non gli importa della codardia di cui qualcuno ha iniziato ad accusarlo. La guerra l'ha indurito, ma non ancora spezzato. La crudeltà di Achille ancora gli sfreccia sulla pelle. La morte di Patroclo non è altro che il simbolo della stupidità del popolo greco. Di ogni popolo che fa la guerra e ne mitizza i caduti. La morte di Ettore, per i troiani, non è stata altro che un obolo di sangue già annunciato. Ettore, quando ha visto sotto l'elmo il volto di Patroclo, ha gridato d'orrore, prendendo coscienza della propria fine.
Era solo un ragazzo.
Il grido di Ettore era la voce del pensiero di ognuno, greco e troiano.
L'arroganza e la superbia di Achille avevano ucciso Patroclo, non Ettore di Troia.
“Quella che vedi, vestita di porpora, è Cassandra. Dicono sia una pazza, qualcuno che sia una veggente. Aveva annunciato la morte di Ettore, e nessuno le ha creduto. Quella che è accanto a lei è la vedova che ha creato tuo padre, Andromaca, moglie di Ettore.”
“Sarà lei la mia sposa.”
“Sei arrogante come tuo padre.”
“Saprò sottometterla.”
Ulisse inarca un sopracciglio, scansando il ragazzino.
“All'alba fatti trovare pronto. Al tuo bottino di guerra penserai se saprai portare a casa la pelle, ragazzo. Hai mai chiesto a tuo padre cos'ha imparato dalla guerra?”
“Non è una domanda.”
“Credo abbia dovuto porre un armistizio tra l'Achille che era giunto a Troia e quello che vi ha vissuto per dieci anni, come ognuno di noi. Impari il prezzo della vita e quello della morte. Impari, soprattutto, il valore della devozione, dell'amore. Ti sei mai chiesto cosa ci ha trattenuti qui per dieci anni?”
“L'onore.”
“No, ragazzo, non l'onore. L'orgoglio. I primi di noi che sono giunti qui sono la minoranza. Altri, come te, hanno continuato la nostra battaglia. Se fossimo stati più saggi avremmo desistito. Quelle porte sono state forgiate da un dio, quale superbia ci ha fatto credere che potessimo distruggerle?”
Neottolemo finalmente si zittisce, stornando lo sguardo tra le torce che illuminano a giorno le mura di cinta della città. È notte di novilunio e solo le stelle e le fiamme dei fuochi sulla spiaggia illuminano la piana dinnanzi alle porte Scee, un macabro palcoscenico dove si sono susseguite le morti di tutti i più valorosi di entrambi gli eserciti.
“Il nostro è diventato un combattere scaramucce, darci troppo tempo per piangere i morti ma senza cedere per primi. Nutrire solo la speranza lo faccia l'altro, perché l'orgoglio, non ci ha ancora abbandonati. Aspettiamo da dieci anni che qualcuno gridi basta, che le porti si spalanchino o che la flotta riparta. Siamo come il mare alla nostra partenza da Atene. Fermo come la terra, solido e piatto come seta, privo di increspature. Siamo così anche noi. Da dieci anni siamo fermi qui, nel medesimo punto, a far ristagnare le nostre vite. Abbiamo solo sprecato tempo, ragazzo. Né Menelao rivuole più la sua sposa. Per cosa siamo qui? Per avere altre donne da amare e figli da piangere? Siamo rimasti solo per questo, credimi. Per il troppo orgoglio, e noi, quello, non ce lo staccheremo mai dalla pelle.”
“Domani saremo noi a vincere.”
“Se lo faremo sarà con l'astuzia, non con la forza. E questo dimostrerebbe quanto stupidi siamo stati sino a questo momento, e quanto stupido il braccio di tuo padre che menava colpi e fendenti senza arrestarsi nemmeno dinnanzi ai propri uomini.”
“Riporterò in Grecia come trofeo la vedeva di Ettore.”
“Sarà un trofeo che si trasformerà nella tua regina. Le troiane amano in modo differente dalle nostre donne. Sono cresciute nella guerra, conoscono il valore del silenzio. Piangono non viste, dimostrano il coraggio e la determinazione che i loro uomini non possiedono più. Hanno figli da difendere e combattono per avere un futuro ancora a Ilio. Cadranno, conosceranno la schiavitù, qualcuna altro amore. Andromaca ha richiesto la salma di Ettore presentandosi alla tenda di tuo padre, senza timore. Ecuba stessa si è presentata ad Agamennone reclamando i corpi dei suoi figli, uno ad uno. Questa è la vita in guerra, ragazzino, non il giocare agli eroi. Di chi è partito con te, solo pochi faranno ritorno, e tu pensi al tuo stupido trofeo?”
Neottolemo non risponde. Nelle parole di Ulisse non vi è codardia, solo amarezza. Quando è giunto a Troia ha ritrovato un padre irriconoscibile, un altro uomo rispetto a quello del ricordo con cui è cresciuto. Si è illuso suo padre fosse un eroe e ha dovuto ammettere che è un essere umano, come tutti. Tra le braccia di Briseide sembra trovare la pace che non ha mai conosciuto con sua madre. Per questo vuole umiliare una troiana, perché una di loro ha distrutto la sua famiglia. Con l'amarezza di Ulisse farà i conti lungo la strada del ritorno, sotto lo sguardo ferito e fiero di Andromaca, occhi della stessa tonalità di verde delle porte di Ilio. A quello stesso sguardo dovrà cedere, perché dove l'uomo non comprende, è il dio a mettere mano e offrire una lezione. Neottolemo conoscerà le troiane, le ferite di una guerra che ha distrutto un'intera civiltà, cicatrice dopo cicatrice le sfiorerà una ad una sulla pelle ambrata della donna, ricordi posti sulla pira funebre di una vita distrutta.
L'ultimo, sarà quello di un cumulo di macerie che ardono lungo la costa, illuminando a giorno la seconda notte di novilunio.



Note dell'autrice.
Ho scritto questa storia prima della rimessa in onda di Troy. Ammetto che ultimamente sto scandagliando la guerra in ogni sua ferma, e questo piccolo tributo è uscito di getto, spontaneamente. Ero in difficoltà sulla sezione in cui inserirlo poi, vista la similitudine con la struttura narrativa utilizzata da Baricco nella sua "Omero, l'Iliade", ho pensato di inserirla qui.
   
 
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