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Autore: Pawa    03/03/2013    2 recensioni
Siamo qui, un centinaio di soldati in questa lurida, microscopica e malfamata trincea a combattere da circa tre settimane, giorno più giorno meno. Non saprei dire da quanto esattamente; contare i giorni che passano è l'ultimo dei miei pensieri da quando è iniziata la Grande Guerra...
Questa è la prima storia originale che scrivo e a dir la verità... è il mio tema. Ho cercato di immaginare cosa pensasse e provasse un soldato a combattere sul fronte italiano. Alla prof e ai miei compagni è molto piaciuto, tant'è che l'abbiamo pubbliacato sulla repubblica della scuola. Ora vorrei avere anche il vostro parere :) Faccio la terza media, quindi non sono un granchè come scrittrice... bè, a voi il giudizio.
Un fischio all'orecchio. Un urlo straziante e un tonfo sordo ai miei piedi. Mi ridesto dai miei pensieri e vedo Marco, il mio migliore amico preso dalle convulsioni. Il sangue zampilla macchiando ovunque. Poco importa di sporcarmi la divisa. Mi chino su di lui bloccando il sangue con una benda sfilata velocemente dalla tasca della manica. Gli afferro la mano per tranquillizzarlo. Incateno il mio sguardo col suo...
"Ci vediamo in Italia, amico..."
Genere: Drammatico, Guerra, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
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"Per chi l'ha combattuta, la guerra non finisce mai"

 

Siamo qui, un centinaio di soldati in questa lurida, microscopica e malfamata trincea a combattere da circa tre settimane, giorno più giorno meno. Non saprei dire da quanto esattamente; contare i giorni che passano è l'ultimo dei miei pensieri da quando è iniziata la Grande Guerra. Un minuto mi sembra un'ora, piena di paura e tensione.
Io mi chiedo: "Perchè tutto questo?"
Sento odore di morte nell'aria, i miei occhi vedono solo sangue, sangue di amici e fratelli dalle carni lacerate da proiettili o schegge di bombe. Sono doloranti, urlano in preda alla disperazione. Quel liquido scarlatto si mischia con questo schifo che ricopre il pavimento, se così si può chiamare, della trincea. Nel loro sguardo si legge la paura della guerra, la sofferenza e la morte. Si, perché in guerra ci sono i vincitori e i vinti e quest'ultimi sono destinati a soccombere.
Per cosa poi, non lo so con precisione.
So solo che è arrivata una lettera a casa, mentre io ero in giro con degli amici, gli stessi che adesso , accanto a me, piangono e cercano di riscaldarsi con quell'insignificante  fuocherello. La lettera era breve, ma piena di significato: C'era la guerra, la più grande che il mondo avesse mai visto e tutti gli uomini di ogni famiglia italiana, dovevano parteciparvi.

 

Ricordo ancora, tornato a casa, mia madre e mia sorella che si abbracciavano piangendo sul tappeto davanti al camino. Vidi, grazie alla flebile luce del focolare, la lettera sul tavolino. La lessi e venne da piangere anche a me, ma bloccai le lacrime sul nascere. Dovevo essere forte, almeno io.
Per la mamma, per mia sorella e per papà che ammalato non poteva muoversi e per cui, da tempo ormai, mandavo avanti io la famiglia.
Ora sono qui, vedo compagni morire e uccido a mia volta, macchiandomi del sangue dei miei nemici e di questo orribile peccato. Sento gli occhi pizzicare pensando alla mia famiglia che senza di me sarà andata in rovina e non possono più pagare le medicine per papà. Magari cercano di scaldarsi bruciando libri o altro di superfluo. Chi lo sa, quando c'è la guerra bisogna arrangiarsi come meglio si può. Ma ancora non piango, no, non posso: adesso sono forte, per i miei compagni.

Un fischio all'orecchio. Un urlo straziante e un tonfo sordo ai miei piedi. Mi ridesto dai miei pensieri e vedo Marco, il mio migliore amico preso dalle convulsioni. Il sangue zampilla macchiando ovunque. Poco importa di sporcarmi la divisa. Mi chino su di lui bloccando il sangue con una benda sfilata velocemente dalla tasca della manica. Gli afferro la mano per tranquillizzarlo. Incateno il mio sguardo col suo. I suoi occhi sono spenti. Da azzurri sembrano diventati grigi.
Gli sussurro: "Calmo, sta calmo. Ce la farai!" Lui sembra annuire appena.
I barellieri arrivano svelti, ma chini, per non restare esposti al fuoco. Lo caricano .
"Ci vediamo in Italia, amico..." La sua voce è tremante, flebile, ma speranzosa. Io gli sorrido di rimando. Marco viene portato via e io mi rigiro verso lo schieramento opposto.
Impugno il fucile e inizio a sparare. Un nemico è caduto colpito dalla mia pallottola. Ho ucciso, ancora.

Cerco di togliermi la pioggia che scivola sul mio viso e mi finisce negli occhi. L'unico risultato è che ora la mia faccia è sporca di sangue, il mio, quello di Marco, quello dei miei nemici, uomini e ragazzi come me.


Il sole, nascosto dai nuvoloni di pioggia, ha lasciato il posto alla luna e il temporale è cessato, così come il fuoco degli Austriaci.

Mentre mangio i miei fagioli, da questa lattina arrugginita, penso ancora alla mia faniglia. Chissà se stanno mangiando il solito minestrone della sera, che ho sempre odiato, ma ora sorseggerei volentieri o se mangiano da un barattolo come me. Non so cosa darei per sapere cosa stiano facendo in questo momento!
Poi penso a Marco. Quante ne avevamo combinate insieme io e lui? A pensarci, ripercorrendo con la mente le nostre bravate, mi scappa il primo vero sorriso felice da quando ho letto quella maledetta lettera. Poi gli angoli della mia bocca tornano al loro posto. L'immagine del mio amico, agonizzante, ferito alla gola che si ingozzava col suo stesso sangue zampillante, ormai mi tormentava.
Chiudo gli occhi. Una sola, calda e salata lacrima mi riga il viso. Ma solo quella è riuscita ad abbattere la mia maschera...

Sbarro gli occhi. Questo fischio non è di un proiettile. Con un urlo avverto tutti i miei compagni di ripararsi e spero di averli avvertiti in tempo... Poi, mi sembra che tutto il pianeta stia sprofondando nell'oblio. Tutto trema, in un modo pazzesco. Macigni cadono ovunque schiaccando tutto e tutti. Urla disumane e ancora quel liquido metallico che si sparge. Il mio corpo è come paralizzato: dal collo in giù, ad eccezione del braccio destro, non sento niente.
Gli austriaci hanno attaccato a tradimento... maledetti!
La bomba mi ha scaraventato su un masso e l'elmetto è sparato via spaccandosi. Boccheggio praticamente, ma almeno sono ancora vivo.

Giro piano il capo verso i miei compagni: Paolo, un amico da poco trovato, è vivo, ma piange disperato sul corpo senz'anima, dilaniato e insanguinato del fratello. Un altro soldato piange che sembra avere due cascate sotto gli occhi, si tiene la spalla imbrattata di rosso, il braccio finito chissà dove.
Le piante attorno a me vanno a fuoco e sento il macabro odore di carne bruciata. Mi rivolto sperando che sia solo un animale vittima dell'attacco.

 Ha ricominciato a piovere e tutto è ancora più orribile. Mi asciugo col braccio sano, si fa per dire, il volto dalla pioggia e chiudo gli occhi. Poi i rumori si fanno sempre più lievi e non sento più niente...

Di quel giorno non ricordo altro, ma adesso, ogni volta che la pioggia mi bagna il volto e io l'asciugo col dorso della mano, mi tornano in mente quegli orribili momenti passati a combattere sul fronte italiano per una causa che ancora ignoro. In fondo si sa: "Per chi l'ha combattuto la guerra non finisce mai!"


 

           Ed eccoci alla fine. Che ve ne pare? Il tema doveva essere di 400 parole, ma io ne ho fatte 500 in più XD   A parte questo, spero davvero di avere un vostro parere, ripeto, è il tema di una ragazzina che ha appena finito di studiare le due guerre mondiale e non ne sa moltissimo come qualcuno del liceo. Spero però di essere riuscita ad immedesimarmi in un giovane soldato costretto ad uccidere...

   
 
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