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Autore: SimmyLu    19/09/2007    2 recensioni
Racconto breve con cui ho vinto un concorso di narrativa nel 2004.
Genere: Dark, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scelta e conclusione


Cadono le stelle questa sera.
Esplodono nel cielo sopra di me, nero e cupo come i miei occhi bui, mentre la mia ombra striscia sporca sul terreno umido dei giardini di queste case tinteggiate in colori pastello. Il corpo arranca sfiorando i muri, per poi correre via, veloce e fulmineo, districando percorsi fra mattoni bruni e cemento freddo. Nulla di umano questa sera e nulla di umanamente concepibile fra le aiuole curate di questi pittorici giardini addormentati. Tutte le luci sono spente e solo le aureole d’illusorio colore dei lampioni disincantano la strada principale dalle tenebre.
Smetterò di andare in giro così tardi.
Vestiti laceri e consunti ricoprono il mio utopico essere che con rapide falcate regolari raggiunge il centro della strada deserta, delimitata da due file di simpatiche casette; una pallida luminescenza proviene da qualcuna di esse, talmente vaga ed indistinta che non sono nemmeno tanto sicuro di vederla realmente.
Le mie membra si posano sull’asfalto granuloso e così seduto osservo curioso e superficiale ciò che effettivamente mi circonda; case, piccole e graziose aiuole, alberi, porte, finestre, anime addormentate ed ignare. Quale scegliere?
Il Caso deciderà il mio destino e quello del futuro di altri, mentre pallida e spoglia splende la luna.
Gattono come una bestia trascinandomi fino alla prima idilliaca aiuoletta dai tulipani chiusi alle ombre e alla vista; raccolgo uno dei sassi che le fanno da contorno in maniera così gentile ed infantile.
Com’è strana questa notte e come sono triste e finalmente stanco; tutto avrà termine e ricomincerà questa sera, sotto questa lattea luna.
Lancio il sasso; uno dei lampioni si spegne, rotto. Un cane abbaia in lontananza.
Bene, facciamolo ancora.
Correndo per recuperare il sasso mi guardo intorno quasi isterico per controllare se qualche luce si accende in una di queste case che paiono incantate.
Ma nessuno sente nulla questa sera. Stupidi, pazzi.
Il sasso è freddo e liscio, un po’ sporco di terra. Le mie mani semplici e gelide, con qualche graffio. Le abitazioni sempre addormentate. Frammenti di vetro sono sparsi sull’asfalto blu scuro mentre il lampione ronza lievemente. Sorrido malefico mentre scaglio nuovamente il sasso con forza contro un’altra innocente luce sterile.
Ancora lo stesso rumore del vetro che s’infrange e un’altra lampadina è scomparsa, assassinata.
Luce trafugata, fagocitata dal nero vacuo della notte. Un cane abbaia ancora.
Cadono le stelle questa sera, mentre mi diverto a nutrire le tenebre, a dar loro ancora più spazio che pare non bastare mai, che non ha mai saputo saziare me stesso.
Finalmente qualche individuo si desta e, alzandosi dal letto, cerca il responsabile di questo piccolo putiferio affacciandosi alla finestra, accendendo le luci della camera. Individuo immediatamente la prima abitazione in cui tutto questo accade e che, senza ombra di dubbio, sarà anche la prima che spegnerà nuovamente le luci, ma l’ultima ad addormentarsi ancora; mi ci avvicino cauto e silenzioso serpeggiando fra i muri e i prati verdi rasati da poco.
E’ una casetta a due piani color salmone, pallide e graziose tendine alle finestre, aiuole di fiori a bulbo, grassi e tondi come grosse cipolle.
Avvolto nell’ombra fisso la finestra da cui un uomo ancora abbastanza giovane si è affacciato cercando il colpevole di questa notte buia e tremendamente anomala.
«George, vieni a letto. Saranno i soliti teppistelli…» dice una voce femminile.
«Non vedo perché devono proprio…» risponde l’uomo chiudendo la finestra, non riesco a cogliere tutte le sue parole.
Appoggio stanco la schiena al muro di questa casa, osservo il cielo.
George, non più di trentacinque anni, sposato con Elizabeth, se non erro; matrimonio relativamente felice, un lavoro stabile, una casa serena e carina, e, quello che più mi interessa, un adorabile figlioletto: Nicolas, cinque, forse sei anni che dorme nella stanza a fianco a quella dei genitori. La sua bicicletta è abbandonata svogliatamente in giardino, appoggiata al tronco scuro del piccolo albero di ciliegio.
Attendo nell’ombra della casa stessa e con attenzione aspetto che le luci si spengano nuovamente; paziente e silenzioso, nascosto come una fiera durante la caccia.
E’ incredibile come ci si trasformi in questo strano mondo; si raggiunge l’apice in un baleno e con lentezza straordinaria si strascica nel tempo un inesorabile declino.
Buffo. Oh, sì. Tremendamente e orribilmente…buffo.
Così, a prima vista, nessuno direbbe che l’innocuo e grazioso pargolo che riposa beato nel suo letto pulito in questa casetta color salmone, sia potenzialmente più potente di tutti gli adulti del mondo.
Affascinante ed eccitante; il caro, piccolo ed indifeso Nicolas è tanto più pericoloso quanto una bomba ad orologeria in confronto ad un cerino.
Paradossale.
Ed è altrettanto paradossale che il suo destino sia stato segnato, senza ragione alcuna, dal fato; la velocità con cui i suoi genitori hanno teso la mano e fatto scattare l’interruttore. Davvero paradossale che un’azione così insignificante debba segnare il futuro di più di una vita. Questa strada è piena di abitazioni, sarebbe potuto accadere diversamente, qualcun altro avrebbe potuto svegliarsi per primo, ma ormai la storia è stata scritta, ha atteso un momento questi uomini e le loro azioni, come già in passato, e poi è corsa avanti a loro.
Quindi ora non c’è nessun altro, piccolo Nicolas; tu mi appartieni, tu sarai mio.
Le luci si spengono, bene.
Avanzo di soppiatto calpestando l’aiuola e travolgo un fiore; dopo averla superata mi fermo al centro del giardinetto fissando la finestra della camera del giovane che mi travolgerà.
Mi volto ad osservare l’aiuola: era proprio graziosa e l’ho calpestata. Ho schiacciato sotto il mio peso un fiore, un bellissimo iris lilla che ora giace spiaccicato nella terra.
Torno sui miei passi e lo raccolgo tremante. Abbandonato fra le mie mani come molti altri…
Cosa ho fatto? Ho ucciso una flebile vita senza motivo. Povero fiore! Cosa sto per fare a quel bambino là dentro? Che diritto ho io di compiere tutto questo? Ma non posso sottrarmi alle regole, no davvero.
Questa notte si deve creare un nuovo anello di una catena antica come il mondo e per me non c’è più tempo.
Portando il fiore dilaniato con me striscio e mi arrampico fino alla finestra della cameretta di Nicolas; fra le ombre e giocattoli riposa sereno un bimbo biondo dai lineamenti fini ed ancora infantili.
Finirà tutto questo, piccolo. Finirà e mi dispiace.
Rompo con violenza la finestra e i vetri frantumati producono un suono assai fastidioso riflettendo per un attimo i pallidi raggi lunari. Entro nella camera lento, con grazia; Nicolas s’è svegliato, la sua espressione è un poco spaventata, ma non dice nulla.
«Vieni con me, Nicolas.» sussurro e il bimbo mi guarda con curiosità; sta per chiedermi qualcosa ma le luci si accendono nella casa, passi frenetici si avvicinano.
«Vieni.» gli intimo calmo.
«Nicolas!» esclama la madre piombando nella stanza, faticando a trovare l’interruttore della luce.
Povera donna ingenua, il bambino è già fra le mie braccia quando si rende conto di che cosa stia effettivamente succedendo: sto portando via suo figlio, non lo rivedrà fino a quando…
«Lascialo! Lascialo subito! Non fargli del male…» dice tremante, incapace di avvicinarsi.
Osserva la mia figura ricoperta di scuri abiti logori, i miei occhi bui, le mie mani pallide e sottili, la mia ombra lunga e nera; non ha il coraggio di fare un passo di più verso di me.
«George!» invoca disperata e spaventata dalle tenebre che danzano intorno a me.
Non do tempo all’uomo di raggiungere la camera che sono già fuggito via, correndo fra le case e i giardini, reggendo nell’oscurità delle mie braccia il piccolo Nicolas che ancora non ha proferito parola.
Quando raggiungo una strana foresta di alberi tutti uguali e piantati in serie, al riparo di un immenso e desolato campo scuro, mi fermo posando il bambino a terra. Sospiro.
Finirà, finirà tutto. Mi dispiace davvero, piccolo Nicolas.
«Stai bene?» chiedo; sembra ancora molto assonnato quando annuisce con la testa.
Osservo un momento questo strano posto che pare stregato, le lunghe e distorte ombre degli alberi compaiono appena solo quando fuggono da un’auto solitaria che passa sulla strada di campagna che costeggia il campo.
«Fa freddo…è umido qui…» dice il bimbo stringendosi nel pigiama azzurro.
I suoi piedi sono scalzi e posati sul terreno fangoso, sporco e bagnato.
«Mi spiace. » dico, sono sincero.
Nicolas mi osserva stordito per un momento, forse tenta di riconoscere in me qualcosa di familiare, un particolare che spieghi perché un essere vestito dalle tenebre lo abbia praticamente rapito per poi chiedergli scusa.
«Chi sei?» domanda.
Non rispondo, non è così semplice da spiegare. Guardo l’iris lilla che tengo ancora in mano.
«Cosa vuoi da me?» chiede scandendo lentamente le parole, come se non lo volesse sapere sul serio.
«Tu sei qui per avere qualcosa da me.» gli sorrido stanco, da amico.
Mi guarda disorientato, però è sorprendente quanto poco sia spaventato. Non riesco a ricordare com’ero io alla sua stessa età, nello stesso momento.
«La mamma…»
«Non preoccuparti, capiranno quando sarà il loro turno di comprendere.»
Nicolas porta lo sguardo lontano, osserva questo campo brullo e spoglio che pare una steppa.
Solamente il gelo e l’umidità a farci compagnia.
«Io…perché?» chiede poi, tornando a fissarmi.
«Il Fato cade con le stelle questa sera. Capitano cose ad alcuni e cose ad altri.»
«Già.» conferma e mi scruta ancora «Ma non ho capito bene chi sei.»
«La vita è uomo, la morte anche, Nicolas. E per me non c’è più tempo.»
«Ma…»
«Nulla è eterno, tutto e tutti prima o poi raggiungono il limite, finiscono il loro viaggio, completano il loro cammino… ma altre vie si creano e nascono ogni giorno.» «E questo è il mio.» dice il bambino prendendo il fiore lilla fra le mie mani.

* * *

Non so bene che effetto abbia fatto agli altri durate questa mia esistenza, ma non ebbi alcun timore, nessuna paura, quando scivolai nell’oblio che mi aspettava quella notte, cadendo come le stelle, quando quel bambino biondo posò le sue manine sul mio viso, regalandomi quell’attimo estremo, donandomi la morte come io avevo fatto con mille altri fino ad allora.
   
 
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