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Autore: Yuki Delleran    03/03/2013    6 recensioni
"C’era una volta, tanto tempo fa, un territorio misterioso suddiviso in quattro regni: il Regno di Cuori, il Regno di Fiori, il Regno di Quadri e il Regno di Picche. Monarchi potenti governavano su queste regioni e la magia, loro prerogativa, era ancora una realtà viva e tangibile. Nonostante la reciproca prosperità, i quattro regni erano spesso in conflitto tra loro a causa delle ambizioni dei loro signori che miravano alla conquista di nuovi territori a discapito dei vicini. Le vicende qui narrate racconteranno la storia di uno di questi conflitti e delle conseguenze su uno dei regni."
[Cardverse AU]
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Royalty of Spades
Fandom: Axis Powers Hetalia / Cardverse AU
Rating: giallo
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Alfred Jones (America), Yao (Cina), Elizaveta (Ungheria), Francis Bonnefoy (Francia)
Pairings: America/Inghilterra
Riassunto: "C’era una volta, tanto tempo fa, un territorio misterioso suddiviso in quattro regni: il Regno di Cuori, il Regno di Fiori, il Regno di Quadri e il Regno di Picche. Monarchi potenti governavano su queste regioni e la magia, loro prerogativa, era ancora una realtà viva e tangibile. Nonostante la reciproca prosperità, i quattro regni erano spesso in conflitto tra loro a causa delle ambizioni dei loro signori che miravano alla conquista di nuovi territori a discapito dei vicini. Le vicende qui narrate racconteranno la storia di uno di questi conflitti e delle conseguenze su uno dei regni."
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Un doveroso grazie a Hina che ha messo insieme il mio caos informe di idee creando una trama che avesse un senso. Questa storia è sua quanto mia.
C'è una microcitazione del "Signore degli Anelli" nella frase finale.
Beta: MystOfTheStars
Word count: 3096 (fdp)



Capitolo 4


La prima sensazione che Alfred provò dopo aver ripreso conoscenza, fu quella di un peso che gli gravava sul petto, impedendogli di respirare regolarmente. La sua mente era ancora confusa e ricordava vagamente quanto accaduto… quando? Un giorno prima? Due? Aveva perso la nozione del tempo.
Sollevò una mano per strofinarsi gli occhi e scoprì di riuscire a muoversi agevolmente. Solo quando la sua vista si fu schiarita, si azzardò ad abbassare lo sguardo.
«Arthur? » esclamò stupito, prima che sulle sue labbra si dipingesse un sorriso sollevato.
Non pensava che sarebbe riuscito a rivederlo, non dopo quella ferita che credeva mortale. Automaticamente si tastò il petto e scoprì di non provare più alcun dolore: sotto le bende la pelle era liscia e totalmente priva di abrasioni. Alla sorpresa si sostituì però l’inquietudine quando realizzò che il giovane riverso sopra di lui non rispondeva.
«Arthur! Ehi, Arthie, rispondimi! »
Quell’improvvisa guarigione insinuò in lui un orrendo sospetto, che lo portò ad afferrare il ragazzo per le spalle e a scuoterlo.
«Arthie! Per carità, non hai fatto qualche sciocchezza, vero? Vero?! »
Finalmente, dopo quella che gli era sembrata un’eternità, Arthur aprì a fatica gli occhi e gli rivolse un debole sorriso.
«Stai bene… Sono contento…» mormorò.
Per tutta risposta, Alfred si alzò da letto, prese tra le braccia la sua Regina e l’adagiò sul giaciglio sempre tenendola stretta. Non ricordava che Arthur fosse così leggero, la sua pelle così fredda al tocco.
«Cos’hai fatto? » lo incalzò, anche se ormai era una domanda retorica.
La mano di Arthur si sollevò a fatica e gli sfiorò la guancia.
«Il regno non può stare senza un Re. Io non potevo accettare di restare senza il mio Re. Va bene così. »
«No che non va bene! » protestò Alfred mentre sentiva le prime lacrime pungergli gli angoli degli occhi. «Hai usato un incantesimo del tempo? Dimmi cosa devo fare, riporterò le cose come prima! Non m’importa della ferita, me la caverò. Ma non posso accettare che tu…»
Arthur scosse la testa.
«Non è in tuo potere, non puoi fare niente… Questo è il destino della Regina. A te il mio amore, a me il tuo dolore, ricordi? »
Chiuse gli occhi con un sospiro tremulo e Alfred sentì il gelo dentro. Lo stava perdendo, lo sentiva scivolare tra le dita come sabbia e non poteva fare nulla per impedirlo. Era il Re di Picche, era investito di un potere immenso e non poteva fare nulla per salvare la persona che amava.
«Arthur…! » lo chiamò con voce spezzata.
Il giovane aprì gli occhi a fatica: il verde che Alfred aveva sempre adorato ora appariva appannato e spento.
«Al… promettimi che proteggerai il regno…»
«Ma che… Arthur! »
«Promettimelo! »
C’era una nota talmente accorata nella sua voce che Alfred non trovò più la forza di ribattere.
«Va bene, te lo prometto, ma tu…»
«Ora sono più tranquillo. Al… mi dispiace. Non avrei voluto lasciarti solo così presto. »
«Non dire stupidaggini! Tu non…» iniziò, ma Arthur gli posò un dito sulle labbra.
Lui era perfettamente consapevole della situazione, non aveva bisogno delle sue bugie pietose.
«Avrei voluto prepararti quella torta, sai? Ma probabilmente non ti sarebbe piaciuta… Non sono mai stato granché… in cucina…»
Un sorriso tirato distese le sue labbra e Alfred avrebbe voluto ridere, sapeva che avrebbe dovuto farlo, ma non ci riusciva, stava tremando.
«Non piangere, Al… io sono felice… di essere riuscito a salvare la persona che amo. Già… che buffo… non ero mai riuscito a dirtelo. Ti amo… ti amo, Al…»
E Alfred lo strinse e lo baciò e lo strinse ancora finché non lo sentì immobile e inerte tra le sue braccia.
In quel momento qualcosa dentro di lui si spezzò e un’onda di dolore, di disperazione e di rabbia lo travolse. La sentì salire dentro di sé, alimentata dalle lacrime versate e da quelle asciugate ancora prima di spuntare, dall’odio verso chi aveva provocato quella guerra che gli aveva portato via tutto, la sua infanzia, i suoi genitori, l’amore della sua vita, e dall’angoscia sempre più grande che non poteva accettare. Esplose in un lampo di luce bianca che inghiottì tutto, cancellando ogni strazio, ogni sofferenza, e annullando la sua stessa coscienza.

Riaprire gli occhi e sentirsi avvolgere dal malessere e dalla nausea fu per Alfred un tutt’uno. Si sentiva esausto, spossato e dolorante avendo solo una vaga idea del motivo. Quando il suo sguardo catturò un riflesso dorato nella penombra, subito balzò in piedi.
«Arthur! »
«Arthur è morto, come la maggior parte dei soldati. Per colpa tua. »
A quelle parole, pesanti come macigni, Alfred si sentì gelare. La figura di fronte a lui non era la sua amata Regina, ma Francis Bonnefoy, il Re di Quadri, e quello che gli stava dicendo era… totalmente assurdo.
«Co… sa…? » riuscì a balbettare.
«Sveglia, Alfred! Non ti rendi conto di quello che hai fatto?! » scattò Francis ignorando ogni possibile formalità ci fosse stata tra loro in passato. «È stata una strage! »
Alfred non poteva credere alle proprie orecchie: una strage? Come? Perché? E soprattutto: Arthur… morto? Non era possibile!
«Lui è venuto fin qui perché tu eri ferito! » continuò Francis fuori di sé. «L’hai ucciso tu! Non te lo potrò mai perdonare! Così come hai ucciso tutti quei ragazzi, indiscriminatamente! Non è stata una battaglia, ma un massacro e tu sei solo un assassino! »
Alfred era totalmente senza parole, sotto shock per quell’improvvisa e violenta aggressione, mentre i ricordi degli ultimi istanti prima di perdere i sensi tornavano gradualmente alla sua memoria.
Arthur.
Arthur gli aveva salvato la vita sacrificando la propria.
Arthur che lo aveva accolto al suo fianco e gli aveva dimostrato in ogni momento di avere bisogno di lui, dando un senso alla sua esistenza, non c’era più. Eppure ricordava così chiaramente le sue braccia che lo stringevano, le sue labbra che lo baciavano, poteva sentirne ancora il sapore. Non era possibile…
Prima che potesse fermarle, piccole lacrime presero a scivolare lungo le sue guance. Alfred fece appena in tempo a sollevare una mano per asciugarle, che Francis gli fu addosso, afferrandolo per il colletto della camicia.
«È inutile piangere, adesso! » sbottò con rabbia. «Avresti dovuto proteggerlo dal suo destino e invece ne sei stato l’artefice! Come puoi definirti un sovrano?!»
«Vostra Maestà, vi prego! »
Alfred spostò appena lo sguardo dal volto contratto di Francis, per vedere Yao entrare in tutta fretta nella tenda e tentare di allontanare il Re di Quadri.
«Il Re ha bisogno di riposo e anche voi. Per favore. Potrete parlare più tardi. »
Con grande sforzo il Fante di Picche riuscì a convincere l’altro sovrano ad andarsene e stava uscendo a sua volta quando Alfred lo richiamò.
«Dov’è Arthur? »
Yao tornò sui suoi passi e rimase in piedi, a capo chino, di fronte al letto su cui Alfred era ancora seduto .
«Abbiamo allestito una tenda in attesa di tornare a palazzo. » spiegò. «Per il momento ho vietato l’ingresso agli estranei. Sua Altezza il Re di Quadri ha insistito per occuparsene personalmente. »
Alfred annuì, totalmente incapace di fare qualunque tipo di commento.
«Yao, per favore, raccontami cos’è successo… dopo. »
«Altezza…»
«Ti prego. Ho bisogno di sapere se quello che dice Francis è vero. Ho… ucciso Arthur e fatto una strage? »
Di fronte a quella richiesta il Fante capitolò e si sedette accanto al letto, accingendosi a raccontare quello che sapeva.
Non aveva assistito all’intera scena perché, per sua fortuna, in quel momento si trovava piuttosto distante, ad occuparsi degli approvvigionamenti. Quello che aveva visto era stato un improvviso lampo di luce, non paragonabile a niente di conosciuto, che aveva avvolto l’accampamento, il campo di battaglia e i terreni circostanti. Quando era accorso a controllare, timoroso che si trattasse di qualche magia del nemico, davanti ai suoi occhi si era aperto uno scenario raccapricciante: i corpi dei soldati sembravano essersi consumati, prosciugati di ogni fluido vitale, rinsecchiti, come invecchiati di colpo. Tutto ciò che lo circondava, la terra stessa, sembrava senza vita. Con orrore si era reso conto che si trattava di un incantesimo del tempo sfuggito al controllo e, memore delle intenzioni di Arthur, si era precipitato alla tenda reale. Lì aveva trovato il sovrano illeso ma privo di sensi e la Regina senza vita.
Quando Yao tacque, il volto di Alfred era rigato di lacrime.
«Arthur… lui… ma ha salvato la vita sacrificando la sua e io… ho ucciso tutti. » mormorò. «Ha ragione Francis, sono un mostro…»
«Altezza, non eravate in voi. » tentò di mediare Yao, nonostante la sua voce tremasse.
«Mi aveva chiesto di proteggere il regno e invece io…»
«La guerra è finita. » lo interruppe il Fante. «Re Ivan e buona parte delle truppe di Fiori sono periti nell’incidente, così come parte di quelle di Quadri. Nessuno ha più le forze e la volontà di portare avanti uno scontro. »
«Re Ivan è morto? » si azzardò a chiedere Alfred, incredulo.
Yao annuì con aria grave.
«È stato sorpreso lungo la strada per il nostro accampamento con una delegazione di suoi uomini. Non sappiamo per quale motivo stesse venendo qui. »
Alfred sospirò e chiuse gli occhi, sforzandosi di recuperare il controllo. In passato una notizia del genere sarebbe stata accolta con esultanza, o così aveva sempre creduto, ora invece non faceva che aumentare il suo senso di smarrimento e di vuoto.

I giorni successivi non furono altro che un susseguirsi confuso di incontri, colloqui, discorsi e accordi di cui spesso Alfred ascoltava meno della metà. La sua mente faticava a concentrarsi, a focalizzarsi su qualcosa di diverso dall’assenza di Arthur accanto a lui. Se non fosse stato per Yao, costantemente al suo fianco, probabilmente nessuno dei negoziati sarebbe andato in porto.
L’ultima a presentarsi al suo cospetto fu la Regina Elizaveta del Regno di Fiori, venuta a patteggiare la resa delle sue truppe. Non fu una trattativa particolarmente complessa in quanto, come rappresentante del Paese che aveva dato il via alle ostilità, la sovrana non espose nessuna condizione, limitandosi ad accettare quelle che le venivano poste. Al termine della disquisizione, sorprendendo tutti, Alfred chiese di avere un colloquio privato con lei, che venne puntualmente accettato. Una volta rimasti soli nella sua tenda, Alfred smise i panni del Re di Picche e si rivolse alla ragazza che aveva conosciuto durante la prigionia senza l’appellativo che imponeva l’etichetta.
«Come stai, Eliza? »
Il suo tono era basso e spento, ma la giovane gli rivolse ugualmente un sorriso.
«Starò bene. Tra me e Ivan non c’è mai stato amore. Lui non aveva occhi che per te. »
Quelle parole inaspettate scossero Alfred dalla sua apatia. Non era certo di averne inteso il senso.
Elizaveta si accomodò su una delle sedie, sospirando, ed estrasse dalle pieghe della gonna un foglio di carta malconcio.
«Ivan non è mai stato in grado di esprimere i suoi sentimenti verso ciò che gli importava davvero. Io non rientravo nei suoi interessi, quindi potevo trascorrere una vita tranquilla, mentre tu… Beh, tu hai attirato la sua attenzione fin da subito. Ti adorava, ti voleva solo per sé. »
Alfred strinse i pugni.
«Non dire sciocchezze! Lui mi ha…»
«Lo so! So quello che ti ha fatto e non lo giustifico, non lo farei mai. Ma stava venendo qui per offrirti una proposta di pace. »
Elizaveta gli porse il foglio e Alfred non poté credere ai propri occhi quando lo lesse: non era solo un’offerta di cessare le ostilità, ma una lettera personale in cui Re Ivan tentava di rivelargli il contorto e malato affetto che provava nei suoi confronti.
«Il nostro si chiama Regno di Fiori, ma da noi un vero fiore è cosa più unica che rara. Il clima inclemente e le condizioni del territorio hanno portato la popolazione allo stremo, lo sai anche tu. » disse Elizaveta. «Non giustifico le azioni del mio consorte, ma la rivolta era alle porte, i negoziati non sarebbero serviti a nulla, un’invasione era l’ultima possibilità che ci rimaneva. »
Alfred accartocciò il foglio tra le mani: provava dolore, senso di colpa e pietà, pietà per colui che aveva odiato per anni e a causa del quale aveva perso Arthur. Detestava quel sentimento.
«Una guerra non è mai una possibilità! » sbottò alzando la voce. «Una guerra porta solo morte e distruzione! Porta sofferenza e lacrime e…»
La sua voce si spezzò, costringendolo ad interrompersi per recuperare il controllo.
«Non voglio sentire queste cose. Non ora. Farò tutto quello che posso per inviarvi aiuti, ma non parlarmi in questi termini. »
Elizaveta si alzò e s’inchinò al suo cospetto.
«Vi ringrazio per la vostra generosità, Altezza. » mormorò prima di voltarsi e accomiatarsi da lui.
Solo quando era già sulla porta, esitò un istante ed aggiunse: «Alfred… mi dispiace tanto per la tua Regina. »
Ma Alfred non trovò la forza di rispondere.

Le esequie della Regina di Picche si svolsero con una solenne cerimonia pubblica alla quale presero parte i rappresentanti di ogni regno, nessuno escluso. Tutti avevano ritenuto doveroso rendere omaggio alla persona la cui tragica scomparsa aveva indirettamente posto fine alle ostilità.
Alfred era distrutto: per lui era una sofferenza assistere alla processione di eleganti ed illustri sconosciuti che sfilavano davanti al feretro di cristallo in cui si trovava il corpo di Arthur. Avrebbe voluto cacciare via tutti, gridando che lui e solo lui aveva il diritto di stargli vicino, che loro non rappresentavano nulla per la sua Regina. Ma sapeva anche che al minimo passo falso chiunque avrebbe potuto accusarlo di esserne l’assassino, come già Francis aveva fatto: una colpa di cui era comunque consapevole e che nessun silenzio avrebbe potuto celare. Tutti si aspettavano che dicesse o facesse qualcosa di eclatante, qualcosa come rinunciare al trono o autocondannarsi ad un esilio forzato, poteva sentire i loro sguardi su di lui che non attendevano altro. Alfred invece rimase in dignitoso silenzio per tutto il protrarsi della cerimonia, lo sguardo fisso sul volto di Arthur. La sua espressione sembrava così serena, come se potesse vedere quello che sta accadendo attorno a lui e la cosa, in qualche modo, lo divertisse. Alfred invece doveva concentrare tutte le sue energie per non piangere: il pensiero che non avrebbe più sentito quelle mani che lo accarezzavano, quelle braccia che lo stringevano, quelle labbra che lo baciavano, lo stava lentamente annientando. Avrebbe dato qualunque cosa per vedere ancora i suoi occhi di smeraldo che fissavano lui e solo lui, per sentire un’ultima volta la sua risata, così rara e preziosa. Invece non poteva fare altro che accompagnarlo al suo luogo di riposo eterno.
L’ultima parte della cerimonia si svolse con la processione dalla cappella del palazzo ai sepolcri reali. Per tutto il tempo Alfred camminò rigido accanto al feretro, tra due schiere di armati recanti l’emblema del regno, insensibile all’aria fredda e al cielo scuro. Con quella minaccia di pioggia imminente sembrava che la terra stessa volesse piangere al scomparsa della Regina.
Quando la bara venne deposta nel suo ultimo luogo, il Re vi si inginocchiò dinnanzi, posando le labbra sul freddo cristallo che la ricopriva come se fossero state quelle del suo amato. Aveva un ultimo dono da consegnare e la luce azzurra che si sprigionò dalle sue mani lo rese noto a chiunque lo stesse osservando: un incantesimo del tempo che ne avrebbe bloccato lo scorrere in quel luogo, mantenendo inalterato il corpo della Regina.
«Sarai per sempre il mio Arthur…» mormorò con voce rotta contro la pietra gelida, prima di voltarsi e fronteggiare i rappresentanti, che attendevano solo una sua parola.
Poteva vedere le loro espressioni trepidanti nell’attesa, i loro sguardi bramosi nel silenzio ora carico di tensione.
«Io, Alfred Jones, Re di Picche, » declamò avanzando di un passo, ma sempre con una mano posata sulla bara. «giuro solennemente, sul nobile sacrificio della mia Regina, di proteggere questo regno per tutti i restanti giorni che mi saranno concessi. Questo era il suo desiderio e come tale è anche il mio. »
Con quella dichiarazione, caduta nel silenzio e nello stupore generale, la cerimonia si concluse e Alfred realizzò che in realtà non gli importava nulla di cosa potesse pensare tutta quella gente. Avrebbe seguito la volontà di Arthur con o senza la loro approvazione.
Quando finalmente il sepolcro si fu svuotato e tutte le personalità in visita furono rientrate nei loro alloggi, Alfred rientrò nella tomba e si sedette accanto ad Arthur, chiudendo gli occhi. Aveva fatto una dichiarazione coraggiosa ma ancora non sapeva dove avrebbe trovato la forza di mantenere il suo proposito. Senza Arthur sembrava un fardello immensamente pesante e l’idea di portarlo da solo lo spaventava.
«Ti prego, aiutami. » mormorò posando una mano sul cristallo, mentre un’ultima lacrima solitaria scivolava sulla sua guancia.
«Lo farà di certo, brontolando come il suo solito per darsi un tono e sorridendo di nascosto. »
Alfred aprì gli occhi e fece per balzare in piedi, ma Francis si avvicinò facendogli cenno di rimanere dov’era.
Con un mezzo sorriso tirato, il Re di Quadri si sedette accanto a lui, senza mostrare nessun intento aggressivo come durante il loro ultimo incontro.
«Come stai? »
Alfred asciugò velocemente quella lacrima solitaria e si concesse una confessione, l’unica pronunciata ad alta voce quel giorno.
«Sento che non starò bene mai più. »
Francis annuì, posandogli una mano leggera sulla spalla.
«Non posso dirti che passerà, sarebbe una menzogna. Il dolore resterà sempre lì, in un angolo del tuo cuore, ma imparerai a conviverci, è inevitabile. »
Il silenzio calò tra loro, mentre Alfred si chiedeva se Francis parlasse così per esperienza. Se aveva già perso qualcuno, come poteva accettare che accadesse di nuovo? Di colpo il suo comportamento gli apparve sotto una nuova luce, non più così crudele come lo aveva ritenuto in un primo momento.
«Francis…» iniziò, ma venne bruscamente interrotto.
«Lo amavo, sai? »
Sì, Alfred lo sapeva, anche se fino a quel momento aveva pensato che fosse un sentimento fittizio e di convenienza.
«Ho sempre voluto proteggerlo, ma lui non me lo permetteva. Era un testardo, convinto di poter fare tutto da solo, ed è stato così fino alla fine. Sono certo che ha scelto di salvarti perché non poteva immaginare un mondo senza di te. Quella è la forma d’amore più alta. »
Alfred dovette uno sforzo per concentrarsi sulle parole e non scoppiare miseramente in lacrime.
«Mi dispiace per come ti ho trattato in un momento in cui anche tu eri sconvolto. Quella di continuare a governare da solo è stata una scelta molto coraggiosa, il Regno di Quadri ti sosterrà sempre. »
Alfred era senza parole: non avrebbe mai creduto possibile una simile inversione di rotta. Era come se fosse stato Arthur stesso a renderla realizzabile.
«E poi, se non ti aiutassi, lui non starebbe tranquillo. » disse Francis confermando il suo pensiero. «Tutto questo passerà alla storia, me lo sento. Nessuno potrà scordarlo. »
E così fu.
La storia divenne leggenda, la leggenda divenne mito e per secoli il popolo si tramandò la vicenda della Regina che si sacrificò per amore e del Re che, in sua memoria, giurò di mantenere la pace tra i regni che lei tanto aveva desiderato.

END.
   
 
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