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Autore: Molly182    03/03/2013    1 recensioni
Edward alzò la testa e puntualmente i nostri occhi s’incontrarono e mi sorrise.
Erano le persone come lui che mi mettevano davvero a disagio. Erano sempre così sorridenti, sembrava che andasse tutto bene finché sei insieme con loro, ma poi ti ritrovi da sola e tutto è così triste, scuro, grigio. Non ci sono più sfumature ma soltanto un unico colore che ti divora all'interno e la sensazione di nostalgia verso quelle persone che riescono a cambiarti la giornata, che ti fanno sembrare la vita meno schifosa del solito.
E sapevo che ci sarei ricascata, mi sarei lasciata trasportare dalla sua positività se solo mi fossi lasciata avvicinare e avessi dato retta ad ogni sguardo che mi mandava mentre cantava.
Il fatto che fosse un bravo musicista rendeva ancora più difficile la cosa.
"Posso darti una mano?" , mi chiese Edward seguendomi per i tavoli.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premessa
Allora, inizio col dire che rileggendo alcune mie FF fatte qualche anno fa ho realizzato che facevano piuttosto schifo, ma sono migliorata col tempo (?) ora fanno solo schifo! :)
Comunque tra queste c'era una storia diversa dalle solite, avevo utilizzato come protagonista Tom DeLonge (Blink-182, Angels And Airwaves) e ho pensato: "Perché non farla su Ed, potrebbe uscire bene!" e quindi eccomi qui!
Spero che vi possa piacere.

 


Chap 1
Un nuovo viaggio, un nuovo volo, una nuova città e una nuova casa.
Queste erano le mie uniche necessità.
Non sono mai stata una persona che restava a lungo in un posto. Tendevo a scappare quando era più comodo, prima che i problemi prendessero il sopravvento, prima che le delusioni mi cogliessero.  Tendevo sempre a fuggire dalle difficoltà ma questa volta qualcosa sembrava essere cambiato.
La mia mente aveva iniziato a pensare in un modo totalmente diverso, sconosciuto a me stessa, e mi spaventava. Non ero in grado di gestire questo cambiamento, anche se da una parte ero curiosa di cosa sarebbe potuto capitare.
A volte bisognava soltanto prendere coraggio e affrontare i rischi che s’incontravano lungo il proprio percorso.
Io volevo farlo!
Su quel volo diretto per Londra mi ero promessa che sarei diventata una persona migliore, non sarei scappata e avrei vissuto al meglio la mia vita, anche se questo avrebbe comportato a un radicale cambiamento.
Socializzare non era facile, o almeno non con le persone espansive, come quelle che sembrano avere l’argento vivo addosso, che continuano a parlare o che ti fanno mille domande. Sono sempre stata una ragazza un po’ riservata, non mi fidavo subito delle persone e quando questo accadeva, donavo solo un decino di me.
“Signori e signore benvenuti a Londra - Gatwick dove sono le ore 10.20 del mattino. Il nostro atterraggio è avvenuto con dieci minuti in anticipo, v’invitiamo a ricordarlo nel caso in cui la prossima volta dovessimo essere in ritardo. Le condizioni atmosferiche esterne presentano un cielo stranamente sereno, con temperatura di 21°. In attesa di ulteriori informazioni vi preghiamo di rimanere seduti con le cinture di sicurezza allacciate finché i portelloni non saranno aperti! Grazie di aver scelto di volare con noi e non con altre compagnie”, disse il comandante di volo con ilarità.
Percorsi il lungo corridoio che portava al ritiro bagagli e attesi che il nastro trasportatore iniziasse a funzionare. Se l’aereo era stato in anticipo, le valigie di sicuro non lo erano, infatti, impiegarono una vita prima che arrivassero.
Se dopo cinque minuti non le vedevo, tendevo a farmi i complessi su come avrei fatto a sopravvivere senza i miei effetti personali e iniziavo a chiedermi in quale Stato del mondo fosse finita.
Per fortuna poco dopo la vidi. Non poteva passare inosservata.  Si trattava di una valigia arancione, l’avrei vista anche a mille metri di distanza su una strana offuscata. Era un pugno nell’occhio, però me l’aveva regalata mia madre prima che iniziassi a viaggiare, voleva essere sicura che l’avrei sempre ritrovata e, in effetti, aveva ragione.
La valigia si stava avvicinando, pian piano, lungo il nastro. Ormai non dovevo temere che fosse stata smarrita in Alaska o in Madagascar.
Qualcosa però andò storto. Un ragazzo si era piazzato davanti a me e si era preso la mia valigia e se ne stava andando incurante.
“Ehi!”, gli dissi afferrando per un braccio il ragazzo incappucciato. “Hai la mia valigia”
“Scusa?”, chiese voltandosi a vedere quale pazza lo avesse inseguito, sembrava anche infastidito.
-Ottimo!-  Pensai. - Ci mancava solo di litigare con uno sconosciuto in un nuovo paese -“Hai la mia valigia”, ripetei.
“Non credo, questa è la mia!”, disse afferrando il cartellino su di essa. “Visto? C’è scritto il mio nome!”
“Non penso che tu sia una ragazza…”, gli feci notare che effettivamente c’era scritto il mio nome. “Vedi? C’è scritto Madeline Stuart, ti chiami così? Non credo?”
“Quindi non potrei avere un nome da donna?”
“No!”
“E perché no? Stai insinuando qualcosa?”
“Aspetta? Stai cercando di accusarmi di discriminazione? Sei tu quello che ha preso la mia valigia!”.
“Ok, forse non è così che deve andare”, disse passandosi una mano sulla testa facendo cadere il cappuccio della felpa. “Scusa, sono un po’ distratto, ho preso tre aerei in due giorni e sto dannatamente soffrendo il jet lag, pensavo di essere l’unico con una valigia arancione”.
“Su questo sono d’accordo!”
“Sono Christopher”, disse allungando la mano.
“Non faresti meglio a prendere il tuo bagaglio?”, gli feci notare mentre una valigia simile alla mia stava viaggiando sul nastro trasportatore.
“Aspetta!”
Il ragazzo corse dietro il bagaglio prendendola in tempo prima che facesse un secondo giro. Certo che non passava inosservata, sia per il colore sia per le dimensioni. Sembrava che il ragazzo fosse stato in giro per parecchio tempo.
“Stavamo dicendo…”, rispose poggiando a terra una sacca contenente una chitarra. “Ecco, scusami ancora per l’errore”
“Va bene”, dissi sorridendo.
Volevo essere una persona migliore e non mi sarei arrabbiata per uno stupido errore. Di sicuro non lo aveva fatto apposta e com’era possibile vedere eravamo gli unici due, probabilmente sulla Terra, ad avere una valigia di quel colore. “Cose che capitano”
“Tu però non sei inglese, vero?”, disse all’improvviso.
“Il mio accento è così pessimo?”
“Non tanto”, scherzò. Era strano come mi ero ritrovata a parlare con un ragazzo, che neanche conoscevo, nel bel mezzo dell’aeroporto. “Da dove vieni?”
“Italia”
“Non è distante”
“Esatto”
“E cosa ci fai qui? Sei da sola? Con amici?”
“Quante domande”
“Scusa, non lo faccio apposta…”
“Comunque sono qui da sola”
“Quindi sei qui in vacanza… da sola?”
“Diciamo che spero di restare”
“Magari un giorno mi racconterai”, mi rispose sorridendo. “Se vuoi, posso mostrarti la città”
“Non ce n’è bisogno, grazie”
“Mi piace fare da cicerone”
“Non vorrei essere scortese ma sono appena arrivata, devo ancora trovare un posto dove alloggiare e un lavoro e poi immagino che tu sia stanco, quindi…”.
“L’ho rifatto, scusa, di solito non parlo così tanto è solo che non posso farne a meno e forse devo anche smettere di chiedere scusa, mi sento un totale cretino”, continuò a dire passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
“Forse è meglio che vada”, dissi afferrando la maniglia del mio bagaglio. “Ci sono tante cose da fare e come dicono i The Clash: «London Calling»
“Citazione interessante”
“È una magnifica canzone”
London calling at the top of the dial after all this, won't you give me a smile?”
“Dovremmo continuare a citare la canzone?”, domandai ridendo.
“Come risposta potrei chiederti «Should i stare or should i go?»”
“In questo caso penso che dovresti andare”, dissi portandomi dietro all’orecchio una ciocca di capelli che mi era caduta sul viso.
“Va bene”, disse infine sollevando la sua chitarra e mettendosela in spalla. “Senti, ti lascio il mio numero in caso che tu abbia bisogno di qualcosa o che ne so, magari hai voglia di fare due chiacchiere e visto che sei appena arrivata e non conosci nessuno, sai che c’è qualcuno su cui contare”, dichiarò scrivendo con un pennarello nero dei numeri sul suo biglietto aereo.
“Potresti essere un maniaco, come faccio a fidarmi di te?”
“Penso che il fatto che tu stia ancora qui a parlare con me non te lo faccia pensare sul serio, e poi sono troppo carino e adorabile per essere un maniaco”
“E sei anche poco modesto”
“Ho il mio fascino, lo ammetto!”
“Vedo che non ti arrendi”
“Diciamo che se sarei stato un vero maniaco saresti già stata soddisfatta, aspetta… io sarei stato già soddisfatto, ma solo se fossi un maniaco”, iniziò a farfugliare. “Non dico che non sono attratto da te, cioè sei una bella ragazza, ma non penso che tu ti possa interessare a me e… beh forse è meglio che sto zitto”, ribadì portarsi la felpa sopra la bocca.
“Come maniaco saresti pessimo”, dissi ridendo.
“Spero di rivederti”
“Lascerò decidere al destino”
“Ci si vede Maddy”, mi salutò mentre si allontanava con la sua valigia arancione.
E fu così che rimasi da sola. Non mi dispiaceva per niente, questo perché quel ragazzo aveva suscitato in me una strana curiosità, ma non lo avrei chiamato, non se ne avessi avuto davvero bisogno.
Ancora non riuscivo a mettere da parte il mio orgoglio, anche se speravo che questo pian piano svanisse magicamente nel nulla in un enorme puff come quello che si vedono sempre nei cartoni.
La cosa buffa era che appena atterrata a Londra ero partita col presupposto di fare tante cose eppure ora mi sentivo un po’ disorientata.  Non sapevo da dove partire, cosa fare e dove andare.
Mi lasciai guidare dalle insegne e mi trovai alla stazione che mi avrebbe portato a Victoria e da lì sarebbe iniziata la mia nuova avventura.
   
 
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