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Autore: _justbreathe    04/03/2013    5 recensioni
Lui, calciatore arrogante e strapagato, lei, normalissima diciottenne che sta passando una brutta giornata, un brusco incontro e due amici che cercano di fare in modo che quei due non si scannino. Alla prima impressione sembrano odiarsi a morte, ma a volte amore ed odio vanno a braccetto.
Dal capitolo 8 (parte 2):
A volte mi fa arrabbiare talmente tanto che lo spingerei sui binari mentre il treno sta arrivando, ma poi realizzo che rischierei probabilmente la mia vita per cercare di salvarlo.
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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                                                                                                                                                     Capitolo 20.
 
 
 
“I quin mal devia fer,
i m’ho imagino -o ho intento- i t’asseguro que comprenc
que encara avui, sense remei, tot trontolli un segon
quan un amic, amb bona fe, pronuncia el vostre nom.
Però vull pensar que tot va bé i que no enyores aquells temps,
que fins i tot en recordar no saps per què però estàs content
i vas veient coses pel món que t’estan agradant tant
i agraeixes que entre els dos em féssiu créixer amagat.
Amagat en mentidetes, en dubtes emprenyadors,
en cada intuïció fugaç d’una vida millor,
amagat en “som molt joves per tenir res massa clar”,
amagat en “no sé què és, però, nena, no puc respirar”.
Ai, benvolgut, que estrany si un dia et van fer mal
el meu amor, la meva sort, les meves mans
o el meu dit resseguint-li la columna vertebral!”

 
 
 
 
Apro la porta della mia camera, cigola.
Eva è seduta sul letto che mi aspetta, ha i capelli arruffati e scommetto che sta giocando a Temple Run; appena mi sente entrare, alza lo sguardo di scatto e, impaziente, mi dice: “Ce l’hai?”.
Annuisco.
Beh, diciamo che quando la tua ragazza è incinta il rischio che si svegli alle due di notte e ti obblighi ad andare al McDrive a prendere un McChicken e un Milkshake alla fragola aumenta.
Ma l’ho fatto volentieri.
Anzi, l’ho fatto perché mi ha supplicato e non sono riuscito a resistere a quegli occhi imploranti.
Mi tolgo le scarpe e con un calcio le butto in un angolo, mi siedo sul letto e appoggio la borsa che contiene il tanto agognato cibo di Eva, la quale, con fare leggermente assatanato, prende il panino e lo addenta.
“Buono?” chiedo.
Annuisce soddisfatta: “Sublime direi.”.
Sospiro e le dico: “Prima non abbiamo parlato di una cosa.”.
Mi riferisco al fatto che, a cena, parlando, ho chiesto ad Eva se non fosse il caso di farsi visitare da un dottore, lei mi ha risposto che temeva qualche dottore senza principi morali che non avrebbe rispettato il segreto professionale medico-paziente e così le ho fatto presente che mia zia è un medico e che ha un ambulatorio.
Diciamo che poi ho praticamente trascinato Eva da mia zia contro la sua volontà. Tralascerei l’espressione di mia zia quando le abbiamo detto la notizia: un misto tra felice, sorpresa, preoccupata e rammaricata. Comunque ha giurato che in famiglia non avrebbe detto niente, così ha visitato Eva e, cosa più bella, ci ha fatto sentire il battito del cuore del bambino, del quale dice che potremmo sapere il sesso tra un paio di settimane. È stato strano, avevo i brividi; e comunque a me i brividi di solito venivano solo quando uno stadio di novantamila persone gridava all’unisono il mio nome.
“Di cosa?” chiede con fare innocente, sorseggiando il Milkshake.
Alzo un sopracciglio: “Lo sai.”.
Sospira: “No, Jordi. Io ai miei genitori non lo dico, almeno non ancora. Non sono pronta a dirlo alla mia famiglia, non puoi obbligarmi a farlo. Nemmeno sanno che siamo tornati insieme, pensano che io ti odi, pensano che io sia a dormire da Alicia.”.
Cerco di essere paziente: “Lo sai, vero, che quando deciderai di dirlo e loro sapranno che hai aspettato mesi prima di farlo, non la prenderanno bene?”.
Alza le spalle: “Miei genitori, mio problema.”.
“Sì, peccato che poi quello che tuo padre vorrà uccidere sarò io.” Dico, stizzito.
Eva ridacchia: “Ehi, calma.”.
Sospiro: “Siamo tornati insieme da poche ore e abbiamo già discusso due volte.”.
Sorride: “Sì, però abbiamo anche mangiato cibo cinese, abbiamo cantato a squarciagola in macchina mentre superavi con nonchalance il limite di velocità, abbiamo sentito un piccolo cuore battere.”.
Sorrido: “Sai che quando ti ho conosciuta non eri così?”.
Si sposta i capelli dietro le orecchie: “Si cambia. Sai, quando ti ho conosciuto mi sembravi un cretino narcisista che cercava solo una con cui fare sesso, invece ti sei rivelato tutt’altro.”.
Rido: “Non voglio rinfacciarti niente, però quella che mi è saltata addosso al primo appuntamento sei stata tu!”.
“Scemo!” esclama, tirandomi una cuscinata.
Ridiamo insieme, poi le chiedo: “Ti volevo chiedere anche un’altra cosa…”.
“Dimmi.” Dice spontanea, girandosi a pancia in giù e continuando a bere il Milkshake.
“David?” le domando.
“Sta uscendo con Elena, una dell’altra classe. Javi dice che lo fa per dimenticare me. Comunque Elena è biondina, con le lentiggini, il naso alla francese, lo zaino blu, è carina. Cioè, hai presente quelle ragazze che fanno andare tutto bene?” mi dice.
“In che senso?” chiedo, rammaricato.
“Quelle che sono sempre di buon umore, con cui non litighi mai, quelle che hanno sempre i capelli in ordine e i vestiti accuratamente abbinati agli accessori, quelle che non mangiano per mantenere la linea, quelle che…”.
La interrompo: “Quelle che a me non piacciono.”
Sorride: “Già, dimenticavo che a te piacciono le isteriche che ti insultano perché il negozio è pieno, quelle con i capelli che non stanno mai a posto, quelle con cui litighi sempre.”.
Non capisco come David abbia potuto lasciarla, come abbia potuto farla soffrire in quel modo, quando soffrirei io pur di non far soffrire lei. Non capisco come l’abbia potuta lasciare perché si sentiva soffocare, perché era confuso e si sentiva innamorato di un’altra, non capisco come abbia potuto innamorarsi di un’altra quando aveva Eva.
Le accarezzo lentamente la schiena: “Non hai nemmeno idea di quanto tu mi sia mancata.”.
Si sporge verso di me e mi lascia un leggero bacio sulle labbra: “Tu non hai idea di quanta paura abbia avuto. Paura che tu mi odiassi, paura che tu stessi male come non mai e mi odiavo perché avrei voluto abbracciarti e non potevo.”.
Ho un groppo in gola: “Sai, non sono ancora andato a trovare mio papà al cimitero.”.
“Quando sarai pronto, io verrò con te.” Mi dice.
Appoggia per terra il bicchiere vuoto e la carta del panino, dopodiché si mette tra le mie braccia, sembra così fragile. Così come mi sono sentito io senza di lei, quando crollavo e piangevo, da solo, di notte, per la perdita di mio papà, così come quando pensavo a quanto le persone che amiamo se ne possano andare all’improvviso, senza preavviso, senza che tu faccia in tempo a ringraziarle per quello che hanno fatto per te, quando mi rendevo conto di quanto la vita in un secondo ti può abbandonare, quando realizzavo che non avrei mai voluto avere rimorsi, rimpianti, non avrei mai voluto vivere senza di lei.
 
 
 
Ciao (?)
Allora, prima di tutto, mi devo scusare per aver fatto passare secoli dal mio ultimo aggiornamento. Ma è stato un mese intenso. Mi è successo di tutto, e con ‘di tutto’ intendo tante cose, alcune meravigliose, che aspettavo da troppo tempo, e altre brutte, che non avrei mai voluto che succedessero, le quali sto ancora cercando di assimilare (?) diciamo che questo mese è stato un po’ come le montagne russe e spero che non mi odiate per non aver postato.
Poi, venendo al capitolo, le cose vanno bene, è quasi tutto rose e fiori, diciamo che loro sono molto molto meno sfigati di me, lol spero che vi sia piaciuto e vi dico anche che ho già scritto metà del prossimo e che non tarderà ad arrivare :)
Vi metto anche la traduzione del pezzo di canzone che ho scritto all’inizio, è una canzone di una band catalana (che probabilmente solo io conosco, lol) e il cantante l’ha scritta per l’ex fidanzato della sua ragazza; è una delle mie canzoni preferite :)
“E che male ha dovuto fare
Lo immagino -o ci provo- e ti assicuro che capisco che ancora
oggi, irrimediabilmente, per un attimo tutto trema quando un
amico, in buona fede, pronuncia il vostro nome.
Ma spero che ti vada tutto bene e che non ti manchino quei tempi,
che addirittura ricordandoli, non sai perché, tu sia contento.
Spero che tu stia vedendo cose in giro per il mondo, che ti stiano piacendo tanto,
e che stia ringraziando il cielo di avermi fatto rimanere nascosto per tutto questo tempo.
Nascosto in piccole bugie, in odiosi dubbi,
in ogni intuizione fugace di una possibile vita migliore,
nascosto in “siamo troppo giovani per avere tutto chiaro”,
o nascosto in “non so cos'è, piccola, ma mi sento soffocare”.
Oh, caro mio, che strano se un giorno ti dovessero far male il mio amore,
la mia fortuna o le mie mani. Oppure il mio dito che scorre sulla sua schiena.”
 
  
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