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Autore: Lady Antares Degona Lienan    20/09/2007    6 recensioni
- Ah, ma allora sei vivo. - detesto puntualizzare l'ovvio, quindi rimango immerso nel mio umiliante silenzio, circondato da un'aspettativa - ancora una volta - tradita.
Non c'è vittoria nell'ammettere la propria esistenza, non c'è piacere nel pensare a quante cose posso ancora provare. Gioia. Amore. Dolore. Al momento sono così frustrato da non poter pensare ad altro che alla mia sconfitta.
E di fatto, c'è già chi sottolinea cose banali per me.
[Buon Compleanno Rekishi]
Genere: Generale, Demenziale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ufficio Dolori

Era stata la prima cosa che avevano insegnato loro nel corso di sopravvivenza all'accademia. Quando sei in difficoltà, quando non sai più cosa fare, quando sei circondato e potenzialmente catturabile…

… allora renditi utile per un'ultima volta.

 

Nonostante l'istruttore avesse cercato, disperato, di trovare un termine adatto alla situazione, tutti gliel'avevano letto in faccia.

 

Quando sei solo.

Quando sei circondato.

Quando sei potenzialmente catturabile.

Allora renditi utile per un'ultima volta.

- Credo si chiami suicidio. -

 

 

 

 

 

Ufficio Dolori

 

 

 

 

 

 

La cosa facile dell'annegare è tornare a galla. Quella difficile, beh,continuare ad annegare.

È come se il cervello cominciasse a dirigere il tuo corpo contro la tua stessa volontà. Come se i tuoi pensieri non valessero niente, e gli istinti invece fossero tutto.

La cosa è ridicola. Ti dicono sempre che un ninja è tale solo se ha istinto, ma per me, sono tutte cazzate. L'istinto non mi è mai servito a niente.

Non è servito quando Ai è morta. O quando io sono caduto nell'imboscata. Mi dicevano che avevo istinto. Aveva deciso di prendersi una vacanza, forse, quando avevo bisogno di lui?

Cazzate, tutte cazzate.

Da quel giorno - quando Ai è caduta davanti ai miei occhi e piangeva e soffocava e moriva e diventava polvere, tutto insieme - io l'istinto ho iniziato ad odiarlo. Perché non lo puoi controllare. Perché pensi che ci sia, e poi non c'è. Perché è qualcosa d'irrazionale.

Da quel giorno - Ai era annegata nel suo sangue, Ai era soffocata tra i singhiozzi, Ai era morta - ho iniziato a soffocarlo. L'ho soppresso sotto centinaia di rigidi schemi, migliaia di regole di combattimento, milioni di pensieri razionali.

 

… fino a che mi sono ritrovato qui, a dover morire per mia mano in un fiume gelido. Ho pensato che sarebbe stato bello averla vinta su quel dannato istinto un'ultima, definitiva volta. Perché lo dicevano sempre, in accademia. Quando anneghi lotti contro la tua volontà di vivere. E ho pensato che sarebbe stato bello. Uccidermi lentamente. Sarebbe stato bello, sì.

Poi ho scoperto che non era servito a niente - centinaia di rigidi schemi, migliaia di regole di combattimento, milioni di pensieri razionali.

Tutto a puttane perché qualcosa dentro di te decide che non puoi crepare così.

 

Ho perso l'ultima battaglia della mia vita.

Il nemico farà di me una cavia.

Ho perso l'ultima battaglia.

Il nemico mi farà parlare, perché qualcosa dentro di me deciderà che io non voglio morire.

 

 

Ho perso.

 

 

 

 

 

**

 

 

 

 

- Ehi, coso!, respira! -

Sono vivo. Certo, ho perso. C'è qualcuno che mi scuote. Che mi colpisce al petto. - Ma porca… ehi, cazzo!, coso, fai funzionare quei polmoni! -

Il dolore aumenta con la consapevolezza del proprio respiro che cerca disperatamente di risalire all'aria aperta - anche lui - senza riuscirci. Bene. Muoio. Adesso. Ora.

- Ma. Perché. Non. Respiri? -

Poi perdo di nuovo. Il mio corpo rigetta la mia volontà in un rigurgito di bile, vomito e dio sa solo cos'altro, lasciandomi inebetito ed inconsapevole. E con un pessimo sapore in bocca.

- Ah, ma allora sei vivo. - detesto puntualizzare l'ovvio, quindi rimango immerso nel mio umiliante silenzio, circondato da un'aspettativa - ancora una volta - tradita. Non c'è vittoria nell'ammettere la propria esistenza, non c'è piacere nel pensare a quante cose posso ancora provare. Gioia. Amore. Dolore. Al momento sono così frustrato da non poter pensare ad altro che alla mia sconfitta. E di fatto, c'è già chi sottolinea cose banali per me.

- Ehi coso, pensi di poter aprire gli occhi e sillabare un "grazie", magari con tono sentito? Non ti sputerei di certo in un occhio per questo. -

Avrei tanto voglia di ficcare un dito nel suo, di occhio. Poi uncinare la falange, girare ed estrarre. E saprei di aver perso ancora di più.

Perché questo è quello che farei se volessi ascoltare il mio istinto. E io non lo faccio mai. Quindi apro gli occhi e sorrido. - Grazie. - è il mio migliore tono sentito. L'unico tono sentito che credo di possedere, per lo meno. - Non volevo spaventarti. -

- Beh. - lei nicchia gentilmente. - Non è che proprio tu mi abbia spaventato. Semplicemente, se stai male tu, sto male anche io. -

Non sembra difficile crederlo. Gli occhi sono scuri e liquidi, pregnanti. Viso bianco, terreo per lo spavento. Bocca corrucciata. Capelli da bimba. Lo sembra davvero, una bimba. Storco il naso. Detesto i sentimentalismi da talmente tanto tempo che, beh, potrei anche pensare di aver dimenticato il motivo di quell'odio. Ma lo ricordo benissimo. Purtroppo.

L'insieme di Ai era così diverso, cazzo, che mi salta alla mente per contrapposizione. Occhi blu, maliziosi. Capelli biondi. Corpo statuario. Un concentrato di erotismo inesploso. L'amavo, certo. Come si poteva non amarla? Era una necessità. Era un istinto.

E poi è morta. E io ho rinunciato a tutto. Grugnisco qualcosa.

- Come scusa? -

- … non è che tu debba soffrire per me. - lo dico controvoglia.

Lei sguaina un ghigno terribile. Che non avrei pensato possibile su di lei. Pareva così… così. Sono stato tradito dalle mie impressioni. Di nuovo. Dio, essere vivi è uno schifo totale. - L'idea che io sia responsabile per la tua salute non ti passa per il cervello, eh? -

Oh.

- Uhm. Carina. Dove siamo? -

- Qui? - lei inarca un sopracciglio, l'ombra di quel sorriso malvagio ancora sulla bocca. - Questo è l'Ufficio Dolori, non vedi? C'è scritto anche lì. -

Ed effettivamente una ridente targhetta in legno mi ricorda che questo è

"L'Ufficio Dolori e Preoccupazioni Estremi, 4° piano, Sezione Ovest. Reparto di Incredulità Mista a Cinismo"

Ridente targhetta un cazzo. Cos'è, uno scherzo di cattivo gusto?

Ancora frastornato e, diomio, incredulo, chiedo: - Cioè? -

La stronza malefica ride di nuovo, spalancando le braccia in un gesto accogliente che sembra indirizzarmi verso il suo piccolo corpo. - Questo è un posto tra il niente e il nulla, tra il tutto e l'essere. Un posto dove puoi essere triste e allegro ma non allegro e triste. In poche parole… -

- L'Ufficio Dolori. - l'interrompo io.

- Già. -

- Cos'è, una fottuta camera di passaggio prima dell'Inferno? Perché se è così, non è divertente proprio per nulla. Anzi, fa proprio cagare. Non sto ridendo, io. -

- Ti pare che io mi stia divertendo? -

- Cazzo, sì. Da quando mi hai visto non hai fatto altro che ridere. - davvero. Mi sento ancora più frustrato di prima, non credevo fosse possibile. Pensavo ci fosse un limite oltre cui spingersi sarebbe stato impossibile per tutti, persino per me. Sono così diviso tra la voglia di ridere e quella di piangere. Perché tutto questo?

Io vorrei solo morire. Adesso. Ora.

Dimostrare che ho il controllo di me stesso. Dimostrare che nonostante tutto, io sono qualcosa.

- Deridere. - dice lei.

- Come? -

- Ti stavo deridendo. Non per altro, ma il significato è proprio diverso. -

Oh.

Ancora una volta vorrei ucciderla. Stringere le mie mani su quel collo delicato e pallido. Lasciarvi segni indelebili. Ma non lo faccio. Assurdamente, mi ricorda Ai. Perché è così diversa da lei. E' come in una circonferenza. I due punti più lontani sono anche quelli più vicini.

Cristo, Ai. Ai.

È ridicolo come mi trattenga dal cedere ad un istinto proprio grazie ad un'impressione. Così patetico. Mi sento patetico. Lo sono. Lo sono.

Ai. Ai. Ai. Ancora, Ai.

C'è profumo di morte ovunque, qui.

- Questo posto è vicino a Konoha. Sono qui che vengono mandati quelli che sono sopravvissuti al suicidio. Una squadra ti ha salvato e gli altri ti hanno mandato qui. -

- Per fare che? -

- Per vedere se vuoi ancora vivere. -

 

No.

 

 

Lei lo legge nei miei occhi. Io nei suoi. Abbiamo capito entrambi. Infine, lei annuisce. Così, come se fosse una cosa di tutti i giorni. Ma forse per lei lo è davvero.

- Tu sei una ninja? -

- Certo che sì. -

- Certo che sì? -

Sorriso. Sorriso amaro. Ubriaco di quel posto. Assuefatto. Lei sapeva cosa le avrei chiesto. Evidentemente glielo chiedono tutti. - Nessun'altra persona potrebbe comprendere una scelta simile. Se vorrai morire, non te lo impedirò. -

- Sei strana. Hai un nome? -

- Sì. Ma non credo che te lo dirò. -

No, hai ragione. Fai sì che di te non rimanga traccia sulla mia pelle, lascia che tutto scivoli verso il basso. Non voglio ricordarti. È già difficile ricordare Ai. E il dolore impresso a fuoco dentro di me, di quando si cerca di dimenticare l'indimenticabile.

- Certo. -

 

 

Lei si allontana a piccoli balzelli, i capelli che le ondeggiano sulla schiena. Sparisce come tutto dovrebbe sparire, con grazia ed in silenzio.

Apprezzo questa sua capacità. Poi piano mi lascio assalire dai pensieri di morte che sono tutti intorno a me.

E ritorno alla mia ultima missione.

 

Mi rendo utile per un'ultima volta.

 

Non per gli altri.

 

Solo. Per. Me.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vi starete chiedendo: e dunque?

Dunque niente X°D

Questa fanfiction è totalmente inutile e inconclusiva, lo so. Però mi piaceva l'idea, e quindi l'ho scritta.

 

Per Rekishi, adorabile pargola. Ti voglio bene(L)

Ancora auguri di Buon Compleanno. Grazie per tutto quello che hai fatto. Per l'ironia, l'affetto e la comprensione.

 

RoSs

   
 
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