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Autore: JaneD_Alexandra    05/03/2013    4 recensioni
" La mattina ti svegli, non sai perché, ma c’è qualcosa che non va.
Magari un tuo gesto scaramantico va male e si insinua il seme del dubbio e qualunque cosa guardi quella sensazione di dubbio non fa altro che rafforzarsi. Quando succede questo, basta soltanto un punto, un punto decisivo per ridarti o toglierti la fiducia e determinare radicalmente l’esito di un match. "
Dicembre 2010. In una Dublino ricoperta di neve, fervono i preparativi per il Natale. Anya è una ragazza di diciannove anni, solare come tante. La sua vita procede come sempre e tutto va bene, quando, alla Vigilia, la sua vita subisce un punto di svolta.
Quando riapre gli occhi è nell'Irlanda del 1856.
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ecco l'ultimo capitolo^^ Non riesco proprio a credere che questa storia si sia conclusa. Il periodo che ho trascorso a scriverla è stato lunghetto e già sento che mi mancheranno Waterford, Dublino, Anya e il signor Langley. Forse sembrerò patetica ... è stata la mia prima storia e mi sono immedesimata davvero molto nei personaggi . Che il risultato sia stato buono o no, come dico sempre, spetta a voi dirlo!
Approfitterò di questo spazietto per precisare un paio di cosette in merito alle ambientazioni di questo capitolo: la stazione ferroviaria e quella dei pullman di Waterford city sono davvero vicine, nel senso che ho controllato la mappa della città prima di far muovere i personaggi; per quanto riguarda le campagne di Waterford, invece, ho lasciato libero sfogo alla fantasia ... ovviamente neppure la tenuta esiste nella realtà.
ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia, che l'hanno recensita, che l'hanno messa fra le preferite, tra le seguite o le ricordate. In particolar modo Lizzie_Jane, che non si è mai stancata di commentare, che ha sopportato le mie paranoie in merito alla mancanza di ispirazione e che mi ha dato degli utili suggerimenti quando servivano.
Ringrazio tutti tutti tutti di cuore.
Spero di tornare con una nuova storia, quanto prima.
Buona lettura,
Ik



An irish tale - Capitolo LIV (Seconda parte)



Dovette, tuttavia, passare parecchio tempo perché Anya ritornasse alla sua vita di sempre.
Ad Aprile dell’anno successivo le visite e gli incontri con Phil si erano fatti meno frequenti, per via del fatto che entrambi lavoravano. Anya aveva trovato impiego presso l’ambulatorio privato del dottor Homais, per il quale, tre mattine e due pomeriggi a settimana, faceva da segretaria.
Nel frattempo Phil aveva rinunciato ad ogni proposito romantico e aveva pensato bene di iscriversi all’università, in comune accordo con Anya, al corso di scienze naturali.
Essendo impegnati per gran parte del tempo, potevano vedersi solo nei fine settimana e di solito si incontravano al parco o combattevano il freddo con una buona cioccolata calda. In entrambi i casi Anya era accompagnata da Hunt, il cane che Philip le aveva portato, un meticcio di taglia media color miele.
Un pomeriggio di fine Aprile, dopo aver lungamente passeggiato al parco con Hunt, approfittando del freddo e della pioggia improvvisa, entrarono in una caffetteria. Essendo Sabato pomeriggio era quasi piena, ma riuscirono a trovare un tavolo appartato a cui sedere.
Il locale si chiamava “Coffee West”, aveva un aspetto caldo e confortevole ed era molto spazioso. Assi di legno ricoprivano le pareti per intero e i tavoli erano addossati ai muri e ai pochi, massicci, pilastri presenti. Ciò che piacque maggiormente ad Anya, e che parve divertire molto Philip, furono le mensole appese poco sopra ogni tavolo, sulle quali erano disposte con un ordine preciso, dei barattolini di zucchero, cacao amaro, caffè a chicchi, cannella e un piccolo vassoio pieno di caramelle al latte e al brandy.
Ignorando l’umidità dei suoi capelli i gli orli dei jeans che, madidi, si incollavano alle caviglie, Anya si tolse il cappotto e prese in braccio Hunt, contrariata dall’occhiataccia di una cameriera.
- Sta’ un po’ zitto! – sussurrò dando un buffetto sul muso alla bestiola, che abbaiava accanitamente contro la mano di Philip che gli sventolava un fazzoletto davanti. – Phil, dai, pure tu …
Il ragazzo ebbe appena il tempo di ridere che la cameriera di prima si avvicinò per consegnargli i menù. Nell’allontanarsi sbuffò contrariata in direzione di Anya, che non riusciva a zittire il cane.
- Senta – la richiamò - non è che potrebbe mettere un po’ di latte in questa ciotolina? – disse estraendone una dalla borsa. Phil la guardò sbigottito – Non si calma, sennò …
- Farebbe prima a fargli fare due passi … magari deve fare qualcosa … - mormorò in risposta la donna.
Anya si trattenne dal dare spiegazioni; con un sorriso falso, dall’apparenza amabile, tese nuovamente la scodellina alla cameriera e schiarendosi la voce rinnovò la richiesta. – Le posso assicurare che il mio cane è ben educato e che se pasticcerà con il latte, mi adopererò personalmente per pulire. Grazie.
- Ti porti le ciotoline del cane in borsa, adesso? – borbottò Philip, quando la cameriera si fu allontanata. Anya mosse una spalla.
- Cosa offre la casa? – chiese, indicando il menù.
- Ogni tipo di caffè, cioccolata, tè, latte e … con due euro e cinquanta in più, ai maggiorenni, aggiunta di liquore a scelta … esattamente venticinque millilitri per tazza … che ladri!
Fortunatamente, Hunt smise di lamentarsi e si accucciò sulle gambe della padrona, che, pulite le mani con una salvietta, poté consultare il menù.
- Dunque, hai deciso? – chiese Philip dopo un po’. Anya abbassò il foglio e guardò l’amico con un sorriso appena accennato. Provò un’istantanea allegria nell’averlo vicino, dopo averlo desiderato per una settimana, e la sua espressione fece sì che il sorriso si ampliasse.
- Torta vaniglia e arancia, cioccolata con due aggiunte di rum e … - sollevò un sopracciglio, affondando le dita nel cesto delle caramelle – due caramelle al latte!
Philip chiuse il suo menù e si voltò in direzione della cameriera in avvicinamento con la ciotola di latte per Hunt. La donna prese le ordinazioni, ancor più infastidita dal cane, e mise sul tavolo un grazioso cesto di tovaglioli. Quando furono nuovamente soli, Philip fu particolarmente contento di vedere che Anya aveva ripreso a mangiare.
- Sei … sei più …
Con le mani mimò una maggiore rotondità del petto. Anya si guardò intorno con fare allarmato e arrossì violentemente rendendosi conto che i vicini di tavolo, una coppia di ragazzi, avevano sentito tutto.
- … florida …
- Phil!
Il giovane, pur tuttavia, non capì e continuò a mimare i chili in più dell’amica, con un’accezione scherzosa. Anya scartò rapidamente una delle caramelle e gliela spinse contro le labbra. – Tié, senti quant’è buona …
- No, sul serio …
Anya mise il cane a terra, accanto alla ciotola, e cercò di tamponare con un tovagliolo la chiazza di umidità che la sua pelliccia aveva lasciato sui jeans. Senza il timore che il cane lo mordesse, Philip si concesse la libertà si carezzare il braccio della ragazza.
- Hai fatto grandi progressi.
- Basta, Phil, non voglio parlarne.
Per un attimo strinse la presa sul suo braccio, ma all’arrivo delle pietanze ordinate fu costretto ad allontanarsi. Anya non lo guardava ancora. Capì dal suo sguardo (e si rimproverò aspramente per questo) che le sue allusioni, seppure espresse con un intento tutto ottimista, avevano fatto ricordare all’amica le ragioni della sofferenza appena passata. Fu sul punto di chiedere di parlarne, ma per non fomentare quelle emozioni desistette.
Non appena Hunt finì il suo latte e Anya si adoperò per mettere la ciotolina a posto, pensò bene di prenderlo lui in braccio, lasciando all’amica la libertà di gustare la sua cioccolata.
- Phil, tu … - borbottò Anya, dopo una lunga pausa, tagliando un pezzo di torta con il cucchiaio - … tu ci credi nelle …
I vicini di tavolo allontanarono le sedie dal tavolo, producendo un gran rumore; poi si alzarono ed andarono via. Phil contrasse il viso con fastidio.
Per un bel pezzo Anya non fiatò. Poi, senza finire la torta, guardando per meno di un momento l’amico negli occhi, poggiando il mento sul palmo, mormorò - … nelle vite parallele? Ci credi?
Philip corrugò la fronte, carezzando il dorso del cane.
- Sai … a volte sento parlare di esperienze del genere, durante il coma … tu ci credi?
- Perché me lo chiedi?
Anya storse la mascella, prima di prendere un sorso di cioccolata.
- Beh … non posso rispondere di no … ma neppure di sì – sospirò. – In televisione spesso se ne sente parlare … ti riferisci a quelle strane esperienze di vita, no? Roba che ti lascia di sasso …
Un altro tavolo si svuotò e di nuovo il rumore delle sedie sul pavimento interruppe la loro conversazione.
- Intendo dire … - riprese Philip , grattandosi la fronte e scostando un ricciolo scuro – mi viene difficile crederci perché sono esperienze destabilizzanti …
Anya bevve un altro sorso di cioccolata; poi fece un respiro profondo. Sentendola (e vedendola), Phil levò su di lei il suo sguardo preoccupato, chinandolo subito su Hunt che si era agitato nel sonno. Fu meno di un attimo, ma l’immagine dell’amica che mangiava la sua torta con quell’espressione così assorta, non solo lo turbò, ma gli diede la risposta che cercava da tempo.
Inarcò le sopracciglia, sorpreso.
- Anya?
Questa volta lei evitò di guardarlo.
- Tu …
- Sì.
Philip tacque, drizzando lentamente la schiena.
- Sì, Phil.
- E che hai visto?
Anya lo guardò di traverso, raccogliendo con il cucchiaino i residui di cioccolata.


Era buio e il locale si era svuotato quasi del tutto.
Né i cappotti né cappelli e sciarpe bastarono a coprirli e proteggerli dal freddo e dalla pioggia. Si rassegnarono presto all’idea di bagnarsi nuovamente. Anya si mise in braccio Hunt e lo coprì con i lembi del cappotto.
Passeggiarono per un buon tratto, fino all’entrata del parco. Lì ebbero la fortuna di trovare riparo sotto un balcone e Philip, affondando il viso nel cappuccio del giubbotto, disse ad Anya di aspettarlo mentre andava a prendere la macchina. La ragazza accettò di buon grado, nonostante non le piacesse rimanere da sola. Saltellando nel tentativo di riscaldarsi e stringendo a sé il cagnolino che si muoveva per scendere, le tornò in mente il signor Langley e il cuore batté cupamente per la sua assenza. In quel momento, più che mai l’avrebbe voluto vicino.
Raccontare quegli avvenimenti a Philip aveva risvegliato gran parte delle emozioni sopite. Mentre si sporgeva dal marciapiede alla ricerca dell’amico, nella direzione dalla quale aveva detto che sarebbe venuto, si sentì gli occhi lucidi e si affrettò a respingere ogni triste pensiero con un gesto della mano.
La macchina di Philip comparve poco dopo. Immaginò che l’amico fosse ben contento di rivederla, mentre lei sistemava Hunt sul sedile posteriore e si allacciava la cintura di sicurezza.
- Come va? – sussurrò il ragazzo dopo alcuni minuti, fermandosi ad un semaforo. Anya fece spallucce, continuando a guardare la strada illuminata e i passanti infreddoliti.
- Pensavo … - riprese lui con un sospiro - … ne hai parlato con tua madre di … questa cosa?
Anya si voltò lentamente, il mento corrugato. – E a che pro?
Philip fece spallucce, cambiando marcia mentre sorpassavano il semaforo. – Magari potrebbe aiutarti … è … è sconcertante … ma non in senso negativo! Piuttosto … credo di capirti, adesso.
Anya non rispose. Volse nuovamente lo sguardo alla via e chiuse per un istante gli occhi, sforzandosi di non pensarci più.
- E non hai fatto ricerche?
- Su cosa?
- Su questa particolare località di Waterford. Chissà … magari quella tenuta esiste davvero.
Il dubbio non tardò a prender vita nella mente e nell’animo della giovane. Mosse il capo nel cenno d’assenso che Philip con ogni probabilità aspettava e si immerse nei pensieri.
Tacque a lungo. La stessa quantità di tempo la impiegò Philip per liberarsi dal traffico ed imboccare una strada meno affollata. Erano sulla via dove Anya abitava, quando le chiese se sentiva proprio il bisogno di rientrare, dato che era ancora presto e gli sarebbe piaciuto godere della sua presenza ancora per qualche ora. Anya si ridestò, in tal modo, dicendo che sì, aveva bisogno di farsi una doccia e cambiarsi, dato che Hunt le aveva lasciato addosso il suo odore, ma che accettava di buon grado il suo invito a passare insieme il resto della serata.
Si lasciarono dunque per un paio d’ore. Anya si sentì più che sollevata di affidare Hunt alle cure di Linda e si concesse il tanto agognato momento di relax. Riempì la vasca d’acqua calda, aggiunse qualche goccia di bagnoschiuma alle erbe e vi si immerse.
In seguito, quando Kate la chiamò per la cena e lei aprì gli occhi, accorgendosi con un brivido che l’acqua si era raffreddata, capì di essersi addormentata. Si asciugò di corsa, si vestì e sedette a tavola con un enorme turbante sui capelli.
Nel frattempo si erano già fatte le otto e in meno di mezz’ora doveva essere pronta perché Philip sarebbe passato a prenderla. Diede una fugace passata di phon ai capelli, indossò un pesante maglione con i jeans e, abbandonando il proposito di mettersi al computer per cercare informazioni sui nobili succedutisi nella contea di Waterford, indossò un cappotto pulito e scese di gran carriera, battendo del tempo Phil che si accingeva a suonare al citofono.
- Spacchi il secondo! – esclamò lui, imbacuccato in sciarpa, guanti e cappello, rimirandola interamente. – Ehi … però … ti sei trattata bene!
Anya sorrise. – Dove mi porti?
Philip la guidò alla macchina. – Alla Holy Cross Church c’è un concerto … suonano dei ragazzi che non possono permettersi le spese del conservatorio e che la chiesa aiuta economicamente … ne conosco alcuni, sono molto bravi.
Nel mentre erano già entrati in macchina e Phil aveva acceso i riscaldamenti, perché faceva più freddo del pomeriggio. Anya chiese se c’erano alternative, ma era evidente che, dietro la domanda, Philip nascondeva già la risposta; così accettò.
La Holy Cross Church non era molto distante; per il tempo che trascorsero in strada, il tragitto però parve più lungo. Il pomeriggio non aveva ancora smaltito il suo traffico e le vie principali erano quasi completamente intasate. Ciononostante arrivarono appena in tempo per veder cominciare lo spettacolo. Il prete stava chiudendo la porta. Trovarono posto nelle ultime file: essendo una chiesa dalle modeste dimensioni vedevano benissimo i suonatori, ma non altrettanto si poteva dire dell’acustica. Le note rimbalzavano nelle dure pareti e nell’alto soffitto e, echeggiando, davano parecchio fastidio. Philip propose di seguire il concerto in piedi, ma Anya si oppose.
Sull’altare, seduti compostamente, con un leggio davanti, i musicisti accordarono brevemente gli strumenti, si diedero un cenno d’assenso e iniziarono a suonare.
- Poco importa – borbottò togliendosi i guanti. Anya ebbe appena il tempo di meravigliarsi, dato che c’era freddo anche lì, che l’amico si mise a frugare nelle tasche del suo giubbotto.
Anya prese un opuscolo del concerto dal posto vicino e scorse i brani con lo sguardo. Li conosceva quasi tutti e l’esibizione intera durava meno di un’ora.
- Durante la tua assenza … - mormorò Phil, piegandosi appena verso di lei – ho fatto qualche ricerca …
Dalla tasca tirò fuori una serie di fogli piegati in quattro e li porse alla ragazza. Anya li aprì e si sorprese nel vedere il nome della contea di Waterford sparso un po’ ovunque.
- Purtroppo non ho trovato nessuna residenza che corrispondesse alla tua descrizione, ma facendomi un giro su Google maps ho visto tanto verde … tanta campagna … e poi – soggiunse, mettendo mano al fascio di fogli che Anya osservava con contenuto sbigottimento – guarda questo … anzi, queste … ho trovato due ditte che organizzano viaggi low cost per tutta l’Irlanda … potrebbe essere l’occasione che fa al caso tuo …
- Phil, Phil … frena. Ne abbiamo già parlato, mi pare – disse riconsegnandogli il malloppo di fogli.
- Di cosa?
Il tono lievemente alterato di Philip irritò l’uomo seduto di fronte che si voltò e scoccò ad entrambi un’occhiataccia. Anya si girò da un’altra parte, incrociando le braccia al petto.
- Mi pento, quasi, di averti raccontato tutto.
- Perché non vuoi parlarne?
- Te lo chiedi, Phil?
Il ragazzo la guardò per un attimo negli occhi, prima di cominciare a valutare l’idea di mettere via i fogli.
- Se anche trovassi quella tenuta … - la sentì mormorare poi, mestamente – cosa potrei fare? Sono passati più di centocinquant’anni … magari avranno buttato giù tutto … sempre a patto che questa tenuta sia mai esistita!
- Io penso di sì – sussurrò Philip con lo stesso tono – ho trovato informazioni anche a questo proposito …
Anya lo guardò e Philip ficcò la mano in una tasca interna del giaccone, da cui estrasse degli altri fogli. La giovane quasi non rise.
- Ecco – continuò lui, serio – guarda qui: mi sono documentato per bene …
Porse il nuovo malloppo all’amica. Questa volta si trattava di brevi interviste a persone che avevano avuto la stessa sua esperienza.
- Questa gente afferma di aver ritrovato i posti in cui era … stata durante il coma. Leggi quell’articolo, ad esempio …
Confusa dalle sue parole, e non volendone più sapere niente, dopo aver indugiato per del tempo che le parve anche più che sufficiente, porse il malloppo all’amico e si allontanò. Dispiaciuto e disorientato, mimando il gesto di lasciare tutto sulla sedia, Philip la osservò mentre si alzava e le andò dietro. Il rumore della sedia contro il pavimento irritò ancora una volta l’uomo seduto davanti a loro.
- Un attimo di pazienza! – gli bisbigliò il ragazzo. – Anya … ma che ti prende?
La giovane si era spostata dietro un pilastro vicino alla porta e ritrasse il braccio quando Philip tentò di toccarlo.
- Ma non ti importa proprio niente di quello che sento? È stato difficile parlartene, oggi … e adesso tu te ne esci con quei fogli stampati? Con quelle interviste?
- Anya, io voglio solo aiutarti …
La ragazza si stropicciò la fronte con le dita, respirando profondamente per sbollire il nervosismo.
- Perché mi hai portato qui, Phil?
- P-perchè? – balbettò lui, ancor più confuso.
Anya sospirò ancora, volgendo lo sguardo in direzione dell’altare. – Quello che ho visto non mi abbandonerà mai. Il volto di Paride che … diceva di amarmi mentre, stringendolo, tentavo vanamente di strapparlo alla morte … sarà sempre davanti ai miei occhi … in ogni momento rivivo la sua morte. E se pure c’è stato tanto che insieme abbiamo vissuto … è solo quel momento tragico ad assillarmi in ogni istante … - si nascose il volto dietro una mano, stropicciandosi nuovamente la fronte – Facendomi vedere quella roba, anche senza un cattivo proposito, rendi questi ricordi ancor più vividi.
- Mi dispiace – sospirò Philip, passando una mano sul suo braccio. – Ma come posso aiutarti?
Anya guardò un’altra volta i musicisti. Con un accordo terminarono il secondo brano e un timido applauso si levò fra gli astanti. Poi ripresero a suonare.
- Sei proprio convinta che andare a Waterford non ti aiuterebbe?
- Phil …
- Potresti ritrovare quel posto … pensaci.
Anya prese a tormentare le asole del cappotto. Non era necessario che Philip la spronasse a considerare la possibilità di un viaggio a Waterford. Nolente, sentiva i pensieri muoversi già in quella direzione. Da sempre aveva sempre desiderato farlo, aveva sentito che quello era l’unico modo per ritrovare o perdere per sempre la serenità. A provocare una tale agitazione nel suo animo era la spinta che Philip le stava dando per aiutarla a decidersi una volta e per tutte. Sentiva che quell’agitazione l’avrebbe tenuta sveglia una o più notti, che avrebbe reso i giorni a venire difficili a viversi, che l’avrebbe spinta a bere più camomilla del solito, che l’avrebbe resa particolarmente suscettibile; ma sentiva anche che questo era l’unico modo per ritrovare un po’ di pace e rassegnarsi al fatto che l’uomo che aveva amato non c’era più.
Philip pareva leggere tutti quei pensieri nei suoi occhi e attendeva, ansioso e paziente, che lei parlasse. Guardandolo, Anya smise di tormentare asole e bottoni e gli si avvicinò, con un’unica frase in testa: chi meglio di lui poteva capirla? Lo abbracciò e lui la ricambiò, sorpreso.
In quell’istante le fu improvvisamente chiaro che Philip non avrebbe mai potuto farle del male e che gli sforzi di quella sera erano il suo ultimo tentativo di farle ritrovare la pace a lungo cercata. L’agitazione e l’ansia non altro erano che il primo movimento di un grande passo.
- Perché non tentare? – le sussurrò ad un orecchio.
- Ho paura …
- E se andassimo insieme?


A metà Maggio, dopo quasi un mese di ricerche e preparativi, Anya e Philip avevano deciso di partire, non senza qualche indecisione dell’ultimo minuto.
Per evitare ogni ripensamento, Anya aveva lasciato che delle formalità del viaggio se ne occupasse l’amico, che contattò un’agenzia di viaggi e pianificò la partenza nei minimi dettagli.
- Allora – iniziò un Sabato mattina, disponendo opuscoli e mappe sul tavolo del bar in cui avevano si erano incontrati – partiremo giorno ventinove con il treno delle dieci. Il viaggio durerà poche ore. Arriveremo a Waterford city nel primo pomeriggio ... al bar della stazione consumeremo il pranzo; alle quattro e mezza precise, dalla stazione partirà un pullman diretto a Ballylane West … il posto che mi hai descritto dovrebbe trovarsi qui – puntò il dito sulla mappa – a metà strada … o anche prima. Prenderemo questo pullman e scenderemo alla nostra fermata. Entro le sei dovremmo esserci.
Anya annuì con convinzione ad ogni passaggio, ma alla fine corrugò le sopracciglia. – Alle sei di pomeriggio? Ma non avremo tempo per cercare la tenuta …
- Allora ci fermeremo in un Bed & Breakfast …
- “Allora”? Vuol dire che hai pianificato solo la prima parte del viaggio?
Philip annuì. Per un momento Anya pensò di avere tutte le ragioni per irritarsi, ma colse presto i lati positivi e assentì in risposta.
- Ci sono sempre i treni che tornano a Dublino … possiamo prenderne uno appena avrai finito …
Anya annuì ancora e Philip ricominciò a parlare. Ad ogni sua pausa faceva segno di aver capito e di star seguendo tutto il filo del discorso, ma già da tempo non lo ascoltava più. La prospettiva di rivedere la tenuta, l’essere così vicini al compimento di questo progetto, si insidiò nel suo cuore e rapì ogni altro pensiero.
- E che Dio ce la mandi buona … - disse poi Philip con un sospiro.

Gli eventi dei giorni successivi riguardarono quasi unicamente il viaggio. Kate e Linda si rivelarono parecchio contente dell’imminente partenza di Anya, ma, non conoscendo la vera ragione per cui lo faceva, credevano che il viaggio avesse un intento romantico. Le visite di Philip erano sempre più imbarazzanti.
Fu una settimana felice, di cui Anya conservò per sempre un buon ricordo, e gli odori della primavera erano sempre più delicati e nostalgici. Pur tuttavia, a circa due giorni dalla partenza, iniziò a nutrire un brutto presentimento. Neanche a farlo apposta, la sera del ventotto Maggio Philip la chiamò per avvisarla che si era preso l’influenza.
- Che vuol dire che ti sei preso l’influenza?! – esclamò Anya al telefono, facendo avanti e indietro per la stanza.
- Vuol dire che ho la febbre a trentanove, freddo, dolori, nausea e un mal di testa da morire …
Anya guardò la valigia sul letto con rassegnazione e per poco non buttò tutto in aria. – E adesso come stai?
- Te l’ho detto ... mi sento da cani … mi dispiace per il viaggio – soggiunse, sconsolato – so quanto ci tenevi …
- Non importa. Pensa a riprenderti …
Solo l’entrata di Linda in camera la trattenne dal lanciare il cellulare contro la parete, quando la chiamata si concluse.
Sfortunatamente il malessere di Philip si protrasse fino all’inizio della seconda settimana di Giugno. Anya trovò il modo di farsi restituire le quote versate all’agenzia di viaggi e nel pomeriggio in cui portò a Philip i suoi soldi lo trovò al computer, intento a guardarsi una mappa di Waterford city. Stava visibilmente meglio, anche se il colorito della pelle tradiva una certa spossatezza. Non fece in tempo a mettere mano al portafogli che lui iniziò a parlare del modo in cui stava pianificando una seconda partenza. L’itinerario, diceva, era più dinamico del primo e sarebbero giunti a destinazione due ore in anticipo.
Quando, dopo un lauto quarto d’ora, finì di parlare, era allegro come un bambino consapevole di aver ripetuto bene la poesia e guardò Anya negli occhi, pieno di aspettative.
- Non posso certo dirti di no dopo un monologo così lungo – sorrise lei, senza ricambiare lo sguardo, infilando le mani nella tasca della gonna – devi esserti certamente sforzato, dato il tuo stato fisico … quando partiamo?

Precisamente una settimana dopo, con la paura che un contrattempo dell’ultimo minuto li ostacolasse, camminavano speditamente lungo il binario due della stazione di Dublino. Philip spiegava concitatamente che mancava più di mezz’ora alla partenza del treno e che questo non era ancora giunto in stazione. Tenendolo per mano, Anya muoveva il capo in continui cenni d’assenso e si detergeva il sudore sulle tempie con un fazzoletto di cotone. In quel momento provava una profonda tenerezza per lui, che faceva strada guardandosi continuamente intorno, carico dei loro due zaini.
- Hai il biglietto?
- Li hai entrambi tu.
Philip ci pensò un istante su, poggiando la mano sulla tasca del gilet. – È vero … e la carta d’identità? Ce l’hai?
- Certamente … tu, la tua?
Il ragazzo si fermò improvvisamente, buttò giù lo zaino e rovistò nella tasca esterna. Quando trovò la sua tessera, alzò lo sguardo sorridente su Anya e subito riprese a camminare.
- Mi hai fatto prendere un colpo! – esclamò prima di indicare qualcosa all’orizzonte. – Ecco il treno … appena scendono tutti i passeggeri …
- … corriamo a prenderci il posto. Credo di essere più pronta di te allo scatto.
Camminarono fino ad una panca e finalmente si sedettero. Nonostante fossero le sette del mattino, erano sudatissimi, ma tra i due il più affaticato era Philip. Anya gli porse un fazzoletto di carta.
- Avresti anche un bicchiere d’acqua fresca?
Tra i due, mentre il treno, fischiando, si fermava, calò il silenzio. L’aria si riempì dell’odore della polvere di metallo ed una voce registrata annunciò la partenza alle sette e venticinque del treno per Waterford city. Mentre Philip beveva Anya controllò l’orario: erano quasi le sette e dieci. C’era ancora il tempo per comprare qualcosa da leggere durante il viaggio.
- Phil, ti dispiace se mi allontano un attimo? Vado in edicola e torno … - continuò, vedendolo titubare. Il ragazzo si guardò intorno e, adocchiato un chioschetto di giornali a meno di cento metri, assentì.
- Fai presto.
Anya lo rassicurò con un sorriso e si incamminò. Non poteva procedere come la fretta richiedeva, perché la gente usciva dal treno in folti gruppi, ma non impiegò molto a sparire dalla visuale dell’amico, che la seguiva con lo sguardo. Il chioschetto era a pochi metri della fine del treno. Il proprietario stava giusto lamentandosi con un uomo della corrente prodotta dal suo arrivo, quando Anya si fermò di fronte al chioschetto e gli fece capire che stava dando un’occhiata. L’edicolante si interruppe solo per un attimo, poi ricominciò a parlare.
Spirava una leggera brezza, fresca e molto piacevole. Erano le prime ore del mattino, ma la temperatura era già alta; prevedeva (e questo pensiero la consolava) che a Waterford ci sarebbe stato meno caldo. Senza pensarci su più di tanto, prese un giornale con allegato un libriccino di ricette per l’estate e pagò. Sulla strada del ritorno, più libera di prima, controllò l’orario e sospirò di impazienza al pensiero che meno di dieci minuti dopo sarebbe partita. Gonfiò i polmoni d’aria e avvertì i battiti aumentare con leggera agitazione; poi si accorse che le tremavano le mani e che stava sorridendo.
Waterford … la tenuta … se tutto andava come doveva nel giro di una giornata avrebbe ritrovato quel posto. Dopo averlo desiderato tanto.
Philip la aspettava in piedi, già carico degli zaini. Anya prese la sua borsa e insieme salirono. Conquistò subito il posto accanto al finestrino e guardò la banchina, come se avesse dovuto salutare qualcuno. Dopo aver sistemato i bagagli Philip le sedette di fronte e guardò anche lui giù.
Quando il treno si mise in movimento, Anya avrebbe potuto giurare che il cuore avrebbe sfondato il petto. Sperava che presto questa sensazione sarebbe passata, ma dopo un’ora e mezza di viaggio era ancora preda dell’ansia. Con un solo sguardo capirono che nessuna parola sarebbe servita a calmarla.



Come previsto dall’itinerario di Philip, alle undici, dopo molte fermate, il treno giunse a Waterford city. Era una bella giornata, non c’era vento e faceva meno caldo di Dublino. Una volta a terra, Anya riuscì a quietarsi e subito si diressero alla stazione dei pullman, dove Philip si occupò delle ultime formalità. Lui, osservò Anya, era molto più tranquillo; ogni gesto era permeato di ottimismo.
In quell’istante la prese per mano e la tirò con sé. Anya mosse istintivamente le dita, confusa, per liberarsi dalla presa; ma quando capì lasciò perdere.
- Dove stiamo andando?
- Ho parlato con l’autista e mi ha detto che il pullman è quello là in fondo … - disse indicando un punto poco distante e controllando l’orario – abbiamo giusto un quarto d’ora per sistemare i bagagli e pranzare …
Per Anya non ci fu bisogno di affidargli il suo, in quanto l’aveva già sulle spalle; così, mentre Philip si dava da fare per caricare gli zaini nel bagagliaio del pullman, mise mano alla borsa del pranzo e tirò fuori due panini. Mangiarono e bevvero in fretta nei cinque minuti di tempo prima che il pullman partisse. Presero posto altrettanto velocemente insieme al resto dei passeggeri e quando il pullman si mise in moto, Anya strinse forte la mano dell’amico.
- Quanto hai detto che durerà il viaggio?
Philip ricambiò la stretta e sollevò le spalle nell’atto di parlare; ma le parole gli si fermarono in gola quando il pullman, che si accingeva ad uscire dalla stazione, si spense. I due giovani e il resto dei passeggeri ascoltarono, in tralice, i tentativi dell’autista di rimettere in moto il mezzo.
- Ma che razza … - sibilò Philip, dirigendosi alla postazione dell’autista. Anya si sporse dal sedile, paralizzata dall’incertezza, e li guardò confabulare per qualche minuto. Le sue sopracciglia conobbero un istante di terrore quando l’autista sbottò in un’esclamazione esasperata e si alzò, soverchiando Philip con la sua altezza; era pronta ad intervenire per separarli, ma l’autista non sembrò avere affatto cattive intenzioni. Philip gli fece qualche altra domanda e con un sospiro l’altro gli rispose. Anya capì che qualcosa non andava molto prima che Philip, visibilmente contrariato, la raggiungesse e le mormorasse di alzarsi.
- Quegli idioti si sono accorti solo ora che c’è un guasto … - disse mentre scendevano. Anya lo seguì fino al bagagliaio, davanti al quale attesero che l’addetto aprisse il portellone.
- E adesso come facciamo?
- L’autista sta telefonando al principale ... – rispose il giovane caricandosi gli zaini – ha detto che controlleranno se ci sono dei pullman disponibili … nella peggiore delle ipotesi chiameranno dei taxi.
Anya non voleva che si preoccupasse ulteriormente, ma non poté fare a meno di porgli un’ultima domanda. – E quanto tempo ci vorrà?
- Un’ora o due … Anya, non ne ho la più pallida idea!
Si spostarono su una panchina, l’unica in tutta la stazione dei pullman, al sole, e a lungo vi sostarono. Philip non pronunciò neppure una parola e dai suoi modi Anya capì che l’ottimismo di quella mattina era svanito: sedeva sul bordo della panchina, con le braccia incrociate al petto e la fronte e le tempie madide di sudore. I gesti della ragazza, per quanto preoccupata dalla situazione, erano contenuti. Le mani si limitavano a detergere il sudore, mentre la bocca si apriva solo per sbuffare sommessamente. Sapeva che il minimo eccesso sarebbe bastato ad irritare Philip.
Ad ogni buon conto, dopo quasi un quarto d’ora di silenzio e attenta contemplazione di un paesaggio animato da tante anime in cerca di un taxi, Philip si alzò improvvisamente e prese il cellulare.
- Chiamo l’autonoleggio – sbottò estraendo dal portafogli un opuscolo pubblicitario. Non avendo organizzato lei il viaggio, pensò che affidarsi all’amico fosse la decisione migliore e lo seguì fin fuori la stazione dei pullman. Si ritrovarono in una strada poco trafficata, a doppio senso, con due conglomerati di case che molto bene si adattavano ad un clima nuvoloso, con facciate giallo senape e tetti grigi. Philip camminò speditamente fino a quello che a prima vista sembrava un concessionario, trattò quanto più rapidamente poté con il proprietario e prese una macchina. Anya non poteva dire di essere più nervosa di quando erano partiti: adesso nutriva più che altro delusione e si sentiva la causa del malumore dell’amico.
Non disse niente per gran parte del viaggio. La macchina correva spedita sulle strade di campagna, che Anya guardava con nostalgica attenzione. Il fatto di non parlare con Philip non le pesò molto.
In entrambi i lati della strada, dispiegandosi per centinaia e centinaia di metri, i prati rilucevano del loro verde più brillante. A circondarli, con una grazia ed un’eleganza proprie solo della natura, dei piccoli gruppi di alberi: querce, eucalipti, pini e abeti. In diverso modo e misura, questi verdi conglomerati donavano all’aria una delicata fragranza di bosco. Anya sporse la testa fuori dal finestrino per goderne appieno. Quando Philip le disse di rientrare, aprì gli occhi, riempiendo i polmoni di quei profumi che le erano tanto mancati. Ogni brutta sensazione, ogni traccia di nervosismo e ansia, con un’impalpabile dolcezza, la abbandonarono. Man mano che si avvicinavano alla meta (che, lo sentiva, era vicina) avvertiva la serenità accrescersi nel suo animo, come se presto tutti i problemi sarebbero finiti.
Malgrado ciò, un più attento esame la rese cosciente del fatto che il paesaggio fosse cambiato. La strada che percorrevano, ad esempio, non era quella frequentata dalla carrozza del signor Langley, né più esistevano le abitazioni dei contadini, nei pressi dei campi. Molte erano le case e i villini che il tempo e il progresso impiantarono in quelle lande vergini. Immaginò le proprietà degli antichi nobili essere dimenticate, rubate, smembrate, rivendute, modificate, abbrutite … dove un tempo c’era stato l’ingresso alla città, v’era ora la ferrovia; dove un tempo avevano preso vita le più antiche botteghe, erano stati costruiti i supermercati. Anya era sicura di averne visto uno anche in campagna, in lontananza.
Ma niente, nessun cambiamento, neppure il peggiore, demolirono in lei quel crescente amore per le campagne di Waterford e per i cipressi, che si profilarono presto all’orizzonte. I suoi pensieri erano tutti per il signor Langley e per il luogo in cui si erano conosciuti. Non vedeva l’ora di arrivare, vedere con i propri occhi quello spicchio di terra che le aveva dato e rubato la vita, anche se non vi avrebbe trovato nient’altro che erba verde e uno squallido villino.
Era distratta da tutte queste piacevoli speranze, quando Philip iniziò ad allarmarsi. Teneva lo sguardo fisso sulla strada, ma ben presto con la coda dell’occhio iniziò a notare uno strano movimento dietro il volante. La macchina rallentò l’andatura e l’espressione del ragazzo si fece spaventata. Abbassò lo sguardo sul cruscotto, là dove una lancetta rossa segnava il livello della benzina. Giurò di aver sentito il cuore perdere dei battiti quando si accorse che era finita.
La macchina si fermò.
Anya si voltò nella sua direzione, poi, confusa, si guardò attorno, prima che Philip esplodesse in una colorita esclamazione di rabbia, battendo le mani sul volante.
- Oggi non me ne va bene una, accidenti a quella … figli di buona madre!
- Phil!
- Mi hanno dato una macchina senza benzina, Anya! – spiegò togliendosi la cintura e scendendo rabbiosamente dall’auto. La ragazza rimase inchiodata sul sedile. Poi lo seguì. Philip faceva avanti e indietro di fronte la macchina e a un certo punto prese a dare calci sul parafango, sillabando esclamazioni sempre più colorite.
- Ma insomma, calmati! – urlò avvicinandoglisi – E smettila, finirai per romperla!
- Sessanta euro per una caspita di macchina senza benzina! Ma è possibile che oggi non riesco a far niente?!
- Cercheremo un benzinaio, allora! Che motivo c’è di fare così?
Philip si stropicciò il viso con una mano, poggiandosi al cofano e allontanandosi subito dopo. – È da un mese che cerco di organizzare questo accidenti di viaggio, ma ne è sempre capitata una! Ci hai fatto caso? Prima l’influenza, poi il pullman … ora questo schifo di macchina!
Per quanto alterato fosse, Anya non mosse neppure un dito per calmarlo. Le sue parole la fecero pensare agli avvenimenti delle ultime settimane e non poté che dare ragione all’amico: effettivamente, tutti i tentativi di organizzare il viaggio erano stati portati a termine dopo non pochi ostacoli. Alzarono entrambi gli occhi sull’altro e per un momento i loro sguardi si incrociarono.
- È un disegno divino? – riprese Phil, con voce più bassa – Un segno del destino? O forse ho tanti problemi perché faccio del male, se male si può considerare l’affetto per un’amica … che devo fare? Non ci sto capendo più niente!
Anya lo guardò amorevolmente; poi abbassò gli occhi e sbuffò. Non era certo il luogo più popolato della contea quello in cui erano finiti. Se edifici erano presenti, questi erano case, villini e mura di recinzione … tutte a centinaia di metri di distanza.
- Vedi un benzinaio?
Anya scrutò ancor meglio il paesaggio.
- Neppure uno … - continuò Philip – neppure uno. Sai dove l’ho visto l’ultimo? All’uscita della stazione ferroviaria. Posso solo chiamare l’autonoleggio o un carro attrezzi … ma prima che capiscano dove siamo passerà almeno un’ora …
- Phil – proruppe la giovane dopo un momento di riflessione – tu chiama il carro attrezzi. La tenuta la cerco io.
- Cosa?!
- È l’unica soluzione … forse è come dici tu – continuò distogliendo lo sguardo dalla campagna per appuntarlo su Philip – magari è un segno del destino … magari non dobbiamo andare insieme …
- Non ti lascio andare da sola!
- Ci hai fatto caso che gli intoppi li abbiamo avuti quando eravamo insieme? Ti sei ammalato il giorno prima della partenza, abbiamo perso il pullman insieme e adesso …
- È un’idea quantomeno ridicola!
- Beh, complimenti allora: l’hai tirata fuori tu!
Philip tacque. Approfittando del silenzio, Anya prese il cellulare del ragazzo dal cruscotto e selezionò il numero dell’autonoleggio, ultimo delle chiamate effettuate.
- Phil, io vado. Riconosco questo paesaggio … la tenuta è nei dintorni.
- Allora andiamo insieme …
- Andrò da sola. Tu aspetta quelli dell’autonoleggio … - disse porgendo il cellulare all’amico, che lo prese con riluttanza. Gli voltò le spalle e cominciò a camminare lungo la strada. Contrariamente a quanto pensava, Philip non telefonò all’autonoleggio e infatti non udiva la sua voce. Così si girò a guardarlo. Aveva un’espressione spaesata e fissava il cellulare con incertezza. Anya tornò indietro e quando lui alzò lo sguardo gli sorrise. Poi lo abbracciò.
- Ti voglio bene …
- Anche io … sapessi quanto – rispose lui, ricambiando la stretta.

L’elemento del paesaggio che richiamò tutta la sua attenzione fu una lunga fila di cipressi. Per raggiungerli avrebbe dovuto camminare per un bel po’, ma l’emozione era tale che ogni problema le parve irrilevante. Man mano che procedeva, però, cominciò a porsi dei dubbi circa la strada che aveva percorso. A parte i colori del paesaggio e la varietà delle piante, niente ricordava la campagna che circondava la tenuta del signor Langley. I sentieri che percorreva non avevano niente degli originali e anche gli odori … erano cambiati. Non erano come quelli che aveva sentito mentre era in macchina con Philip.
Giunse ad un incrocio, nei pressi di un piccolo centro abitato, in cui la strada si diramava in due sentieri di terra battuta, uno più piccolo dell’altro. Il più piccolo portava alla schiera di case; l’altro, circondato da alberi, era più buio e pieno di buche. Non c’era tanto da decidere e imboccò subito il secondo. Camminò per diversi minuti, saltando con non poche difficoltà tutte le buche; la cortina di alberi si schiudeva in un boschetto di pini. L’odore della resina riempiva l’aria e ogni passo produceva un crepitio sugli aghi secchi. Anya si guardò intorno, fermandosi per un momento; poi riprese a camminare e in breve oltrepassò il bosco. Si ritrovò così in un altro sentiero, che a giudicare dall’erba e dai cespugli che lo invadevano non doveva essere molto frequentato. Anya lo imboccò, ma dopo pochi, difficoltosi, minuti, fu presa dalla paura di perdere la strada. Così decise di strappare un ciuffo di erba ad ogni dieci passi. Si accingeva a strappare l’ennesimo, quando, alzando la testa e muovendo contemporaneamente un passo avanti, andò a sbattere contro qualcosa di duro e perse l’equilibrio, cadendo seduta. Il dolore alla nuca le annebbiò momentaneamente la vista e si portò le mani sul punto in questione, come se così avrebbe risolto ogni problema. Aveva preso una bella botta, ma fortunatamente non sanguinava. Si rialzò, quindi, e scostò con irritazione il fogliame per vedere contro cosa aveva sbattuto. Ne fu parecchio sorpresa; talmente tanto che impallidì. Erano dei mattoni, o meglio, un muro di vecchi mattoni. Pensò di essersi imbattuta nell’ennesima villa e, sospirando, lasciò che i rami ricadessero nuovamente davanti al muro e si volse per tornare indietro e cercare un’altra strada. Ma proprio in quell’istante, la mente fu attraversata dal ricordo di un muro molto simile, che si interrompeva in un cancello di ferro, un cancello dal quale si accedeva ad un cortile …
Tornò immediatamente indietro, scostò il fogliame e sorrise di gioia. Era quel muro.
Famelici, gli occhi si mossero da un punto all’altro alla ricerca del cancello. Le mani scostarono tutto il fogliame che si ritrovarono davanti e le gambe furono presto pervase da una frenesia troppo grande per restare ferme. Si inoltrò, quindi, nella fitta boscaglia sulla destra e, senza perdere il contatto con il muro, sul quale faceva scorrere la mano, ne seguì il perimetro. Nella foga che l’aveva presa, non si accorse dei rami che graffiarono le braccia e le guance, né della terra che in breve sporcò il bordo dei pantaloni. Quando perse in contatto con il muro il cuore fece un capitombolo.
Era arrivata.
Il cancello si apriva su un breve sentiero pieno di foglie secche che si diramava in due strade minori. Una si piegava a sinistra, allungandosi in uno spazio erboso curato; l’altra l’aveva appena percorsa. Si inoltrava negli alberi e nascondeva il cancello alla vista.
Preda di un’incredulità mista al timore che si ha di fronte qualcosa di sacro, Anya si avvicinò al cancello e sfiorò una delle alte lance che lo componevano. Neppure un filo di ruggine l’aveva intaccato. Capì poi che era nuovo; il cancello originale non era così. Questo era imponente, faceva paura.
Avvicinò il viso alla grata e guardò attraverso una delle molte fessure. C’era un ampio giardino deserto, tutto cosparso di foglie secche e, in fondo, la casa, brulla, fatiscente, abbandonata a sé stessa.
A malincuore distolse lo sguardo e cercò un modo per scavalcare il cancello; ma contro quelle lance alte e lisce niente si poteva fare senza il rischio di farsi male. Così tornò indietro e provò ad arrampicarsi ad un albero. I piedi scivolarono solo una volta e facendosi forza con le braccia riuscì a issarsi fino al muro, su cui sedette e da cui saltò. Fortunatamente cadde su un mucchio di foglie secche e rotolò sull’erba del giardino. Una volta in piedi riuscì finalmente a guardare la tenuta in tutta la sua interezza.
La facciata della casa era per gran parte ricoperta da un rampicante secco, che in certi punti solo per miracolo si aggrappava al muro. Le finestre, dagli infissi di legno fradici e polverosi, erano ormai prive di vetri, a eccezione di quelle ai piani bassi che ne avevano di robusti, ma completamente annebbiati dal tempo. Sulla destra, dove un tempo c’era stata la scuderia, c’erano due alti pini, che avevano sollevato il terreno con le loro grosse radici serpeggianti. Non era rimasta traccia dell’antico edificio, che probabilmente era stato buttato giù dai proprietari che si erano succeduti. La cucina, però, era ancora al suo posto, anche se cominciò a nutrire dei timori pure sulle sue trasformazioni. Anya avanzò fino alla porta, anche questa diversa dall’originale, e scosse la maniglia; ma la serratura era talmente vecchia e arrugginita che neppure facendo forza cedette.
Si spostò dunque verso l’entrata principale. Lì il portico c’era ancora. Le colonne erano state nascoste dalle infide spire del rampicante e il pianerottolo era infestato di foglie secche, rami spezzati e polvere. Anya mise mano alla maniglia della porta, che sorprendentemente si aprì al primo tentativo.
La casa era avvolta nella penombra. Solo tenendo aperta la porta riuscì a distinguere la conformazione degli interni, che fortunatamente non erano cambiati. Anya avanzò fino al centro della sala e mentre muoveva lo sguardo da una parte all’altra gli occhi le si riempirono le lacrime. Rivide la scala centrale, il motivo geometrico delle piastrelle del pavimento, i corridoi sui quali si era mossa per andare e tornare dalla cucina, le tende bianche che nelle belle giornate svolazzavano con il vento e che ora erano ridotte in luridi brandelli grigiastri.
Dopo un ultimo sguardo alla sala, decise di andare a vedere prima di tutto la cucina. Percorse il corridoio pieno di finestre, tossendo per la polvere che la brezza sollevava, aprì una porta che prima non c’era, camminò per qualche altro metro e vide l’arco dal quale la servitù entrava in cucina. Una volta arrivata non trovò niente. La stanza era stata privata del suo tavolo centrale e dei ripiani in muratura. Rimanevano solo il camino e il forno con il bordo di mattoni, di cui carezzò la superficie, singhiozzando al ricordo del bacio che lì il conte le aveva dato.
L’accesso alla stanza adiacente era stato chiuso con delle assi di legno. Guardando fra di esse, però, Anya si accorse che la scala, fradicia in molti punti, aveva ceduto; ma di questo si meravigliò poco, perché ricordava che ogni qual volta vi saliva, i gradini scricchiolavano.
Così tornò indietro e imboccò il breve corridoio che portava in sala da pranzo. Lì ebbe almeno la consolazione di trovare il lungo tavolo e qualche sedia. Per un attimo le parve di vedere il conte seduto che faceva colazione: era sempre in quest’occasione che qualche volta lo serviva. Il tavolo era interamente impolverato e tarlato. Da ogni parte, con un po’ d’attenzione, era possibile distinguere i fori scavati dalle tarme. E anche le sedie riversavano in tali condizioni. Si chinò su di una buttata a terra e carezzò il velluto bordeaux, scolorito e consunto, che ricopriva le imbottiture. Poi, preso un respiro per calmare i singhiozzi, si sollevò in piedi e uscì dalla sala. La fatiscenza dell’ingresso la colpì come se fosse la prima volta che lo vedeva; fu come ricevere un pugno allo stomaco. Attardò lo sguardo sugli elementi decorativi in legno scuro delle poche porte che rimanevano e degli altorilievi sulle pareti. Lasciò che gli occhi carezzassero poco a poco ogni superficie e si ingannassero con la visione della vita e delle attività che prima animavano il luogo e quando si posarono sulla scala, sui due pomelli e i gradini di legno tarlato, Anya guardò in alto, dove c’erano state le porte dei due corridoi e salì. In cima, tra i due corridoi, c’era corrente. I brandelli alle finestre svolazzavano così tanto che Anya ebbe il timore che si sarebbero strappati.
Dopo una fugace occhiata al corridoio destro, imboccò il sinistro. Il pavimento era cosparso di foglie secche, brandelli di tende; la polvere e la ruggine ricoprivano i davanzali e gli infissi. Più di qualunque altra casa, quel corridoio era il simbolo dell’abbandono. Anya dovette fare uno sforzo su sé stessa per avanzare. Sventolando, i brandelli di una tenda le sfiorarono il viso. La prima porta aveva i cardini fradici di ruggine, così come la maniglia e la serratura, intorno alle quali si era formato un alone arancione radicatosi perfino nel legno. Non poté, tuttavia, fare a meno di sforare il metallo. Chiusa adesso come in passato e come, probabilmente, sarebbe sempre stata: quella era la camera della figlia del conte. Poco oltre si apriva un’altra stanza, priva di porte e cardini: quella della signora Langley; ma non si preoccupò molto di entrarvi perché era vuota e la finestra era stata chiusa con delle assi di legno.
Quando vide la porta successiva, seppure con la coda dell’occhio, trattenne il fiato. Era la stanza del signor Langley. Negli istanti che occorsero per raggiungerla, si chiese cosa avrebbe dovuto aspettarsi; ma non appena allungò la mano verso la maniglia, un rumore attirò la sua attenzione. Proveniva dal piano inferiore e sembrava essere stato prodotto da qualcosa che sbatteva. Si convinse che era il vento, dopo essersi messa in ascolto, e aprì la porta. Come il resto, ogni elemento che caratterizzava la stanza sembrava chiedere aiuto per il livello di trascuratezza in cui era caduto. Dell’arredamento originale c’erano solo il letto, il camino e il baule. Con il petto scosso dai battiti pesanti e dai singhiozzi, si accasciò sulle ginocchia, preda di una straziante nostalgia. Era quasi tutto come era stato lasciato dopo la sua morte. Il letto che l’aveva visto superare la malattia, che li aveva accolti nella loro unica notte insieme e che aveva offerto un appoggio al suo corpo esanime, era ancora lì, davanti a lei e si stagliava quasi con orgoglio, ascoltando i suoi pianti con severa indifferenza. Alzò lo sguardo rabbioso su di lui e al ricordo di quell’ultimo, drammatico, momento, cadde nella disperazione. Aveva sbagliato a vivere quei giorni senza di lui. Era impossibile convivere con l’angoscia della sua assenza.
Era piegata in due, con le braccia strette al torace, quando fu destata da un secondo rumore. Fu presa dalla paura, una paura incontenibile, poiché quel rumore era vicino, alle sue spalle. Si alzò di scatto e sforzandosi di riprendere il controllo di sé stessa, si voltò in direzione della porta.
E impallidì.
Sulla soglia, un uomo alto, magro, con i capelli biondo scuro e gli occhi grigio verdi la guardò con un sincero sbigottimento che presto fu sostituito da un sorriso.
La giovane mosse la bocca per balbettare qualcosa, ma l’uomo non le lasciò il tempo. Le si avvicinò e l’abbracciò.
A quel punto Anya non ebbe più dubbi.
Era lui.
  
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