CAPITOLO 1
Hello,
cold World.
5.47 am
Berlin.
Oktober
17, Mittwoch.
La stanza
è immersa nel buio: le persiane sono tirate, e non un
singolo spiraglio di luce penetra all'interno. Si intravede appena la
sagoma di un televisore su una cassettiera alta e stretta, accanto ad
un armadio che copre tutta una parete; in un angolo, una scrivania su
cui sono ammonticchiati libri, quaderni, smalti e oggetti di ogni sorta
in totale disordine; di fronte contro la parete, un letto di legno
scuro.
Raggomitolata, una figura si staglia tra le coperte blu scuro; sul
cuscino una corona di lunghi fili bianco-argentei si confondono col
tessuto chiaro. Il corpo nascosto si muove appena al ritmo del suo
respiro pesante e regolare. L'orologio elettronico del registratore
della tivù segna le cinque e quarantasette. E' tutto
assolutamente tranquillo.
O, almeno, lo è finché chi giace nel letto non
inizia ad ansimare rumorosamente. Si gira sulla schiena, tirando il
lenzuolo, così da lasciare un piede al di fuori di quella
calda protezione. Un altro strattone, e anche il viso si scopre, la
pelle pallida arrossata da chissà quali pensieri
angoscianti; una guancia è segnata da un vecchio taglio. A
contatto col fresco dell'aria, quella che si è rivelata una
ragazza pare rasserenarsi.
Liebes
Tagebuch,
I minuti
scivolano via sul registratore, susseguendosi l'uno dopo l'altro, lenti
quanto inesorabili.
Le sei e trentanove. La ragazza rotola su se stessa, il volto premuto
contro il bordo del materasso, spingendosi sempre più oltre,
lasciando nel vuoto prima la fronte, poi gli zigomi appena pronunciati
e il naso, fino alla punta del labbro superiore. E' un volto di
un'adolescente non ancora cresciuta, di una ragazzina che si appresta a
diventare donna, che mantiene ancora qualche tratto infantile su un
viso più adulto. Nel
sonno, batte le palpebre chiuse, aperte su mondi preclusi a chiunque
tranne che lei, sempre più veloci, mentre un gemito
strozzato le ferisce le labbra. Un calcio nel vuoto, e anche l'altra
gamba si libera delle coltri, che si ammonticchiano contro la parete.
Lungo la parte di coscia rimasta scoperti dalla camicia da notte troppo
corta, una cicatrice rosea percorre la cute immacolata fino al
ginocchio.
Rumore di passi ovattati, e in un attimo la porta si spalanca, mentre
la luce del corridoio inonda la camera. La ragazza apre gli occhi di
scatto, bruscamente strappata al sonno, rivelando due iridi rosse come
il sangue.
Stanotte
è stato... strano.
Credo di aver avuto un incubo, e sono piuttosto certa che centrasse
anche il piccolo West, anche se non ho la minima idea di cosa possa
aver sognato. Mi sentivo inquieta, però.
«
Julchen, farai tardi. »
Una voce maschile le raggiunge le orecchie, mentre il suo sguardo
scatta in direzione del televisore davanti a lei. Sono le sette meno un
quarto.
Un uomo dai lunghi capelli biondi lasciati sciolti sulle spalle entra
nella stanza a passo di marcia. diretto alle finestre dei balconi,
aprendo le persiane e spalancando le finestre, mentre l'aria gelida
dell'ottobre berlinese penetra nel tiepido ambiente. La ragazza
rabbrividisce, la pelle nuda ha un guizzo.
« Ma, Vati, è prestissimo! »,
squittisce, rituffandosi nel letto, rannicchiata contro il muro.
L'uomo, vestito di tutto punto, sospira, avvicinandosi alla figlia
tremante sotto le coperte, prima di sollevare lenzuola e trapunta e
scuotere la testa di fronte al grido offeso per quella prevaricazione.
La prende per la caviglia, tirandola giù a sedere e uscendo.
« Ti odio. », fa lei, con aria piccata e
innervosita.
« La colazione è sul tavolo.»
è l'unica risposta proveniente dal corridoio.
Il
risveglio, invece, è stato il solito.
Perché Vati non capisce che la Magnifica me ha dei ritmi
diversi e che queste sveglie violente fanno male alla mia salute -e al
mio umore? NE MORIRO', LO SO.
Oh, ma allora sarà tutta colpa sua, glielo
lascerò scritto, e si sentirà COSI' in colpa.
Così impara, ah! Non si tratta in questo modo una tale
meravigliosa creatura.
Parlo di me, eh!
...
No, scherzo. Non potrei mai, non dopo... beh, dopo il piccolo West.
Muove i piedi,
con una smorfia sul viso, quasi fosse una grandissima fatica; poi
sospira -con la stessa aria rassegnata del padre- e si decide ad
alzarsi. Le dita scattano ai bordi della camicia da notte, nel
tentativo disperato di abbassarla e coprirsi di più, ma
presto le mani abbandonano l'impresa, optando per infilarsi nelle
maniche della vestaglia giallo limone abbandonata ai piedi del letto.
In
ogni caso, più passano i giorni, più mi rendo
conto che l'orribile vestaglia che mi ha regalato Antonio - ma dimmi se
è normale regalare una vestaglia per il compleanno della tua
migliore amica, nonché anche sorella del tuo migliore amico
- è utile. Almeno mi evita la dipartita per assideramento;
assideramento causato dal baby doll che avevo preso per far contento
Roddie, ma che lui non vuole proprio vedere - razza di idiota ingrato!
-, e che ora uso come pigiama. Detesto spendere soldi inutilmente, mein
Gott!
Infila le
pantofole e si alza, mentre alza le braccia sopra la testa e si
stiracchia con un sonoro mugugno.
Quasi inciampa nel tappeto persiano che ricopre quasi tutto il parquet
della stanza, ma riesce a tenersi in piedi con precario equilibrio,
appoggiandosi alla cassettiera. Si
stropiccia gli occhi, prima di prendere un respiro profondo e camminare con
passo traballante in cucina.
« 'Chen.»
Julchen alza gli occhi sentendosi chiamare, poggiandoli sulla figura di
un ragazzo pressoché identico a lei: è seduto
scompostamente al tavolo, a gambe larghe e le braccia abbandonate sulla
superficie di plastica bianca, vestito solamente di una canottiera nera
e delle mutande grigie.
« Gil, copriti, 'ché fai schifo. »,
commenta acidamente sedendosi di fronte a lui. Non lo guarda in faccia,
fissando invece la fetta di dolce alle noci con una smorfia.
Poi,
non sai! Vati si ostina a comprare quell'orribile coso muffoso alle
noci che odio.
Ma l'assurdo è che lo odiano anche Gilbert e lo stesso Vati
-però a Mutti piaceva e quindi...
Però, dai, sono passati quattro anni, non si può
andare avanti così.
« Sei
bella tu, ah! », la rimbecca l'altro meccanicamente,
masticando il suo pezzo di torta col naso arricciato.
Ingoia a fatica il boccone, e squadra il suo abbigliamento, con un
sorrisetto malizioso. « Che c'è? Il damerino ha
finalmente accettato la sua vera sessualità e rifiutato il
tuo completino da t-», si interrompe quando Julchen gli tira
una pera appena pescata dalla ciotola affianco a lei addosso. «
Ahio! »
« Da cosa, scusa? »
Lei assottiglia lo sguardo, feroce, la mano pericolosamente vicina alla
prossima pera.
Il ragazzo la guarda massaggiandosi la fronte con aria indecisa,
probabilmente alla ricerca delle parole giuste per non peggiorare la
situazione. «
... da tanto seria ragazza, Schwe'. »
« Farò finta di crederti. », sbotta,
mordicchiandosi il labbro, all'improvviso sovrappensiero. La sua mano
gira il latte nella sua tazza rosa a pois bianchi meccanicamente.
« Dubiti forse delle mie Magnifiche parole,
'Chen?», fa lui, scuotendo la testa, affranto. « Mi
ferisci nel profondo! »
E scoppia a ridere, un lungo verso aspro, tanto forte da costringerlo a
tenersi la pancia; si alza, ancora sghignazzando e facendo stridere la
sedia sul pavimento. « Pulisci tu, eh- »
« TE LO SCORDI, OH! », gli grida dietro Julchen, mentre
quello sparisce nel bagno.
Le risponde il rumore di una porta che sbatte.
Gilbert,
invece, è insopportabile come al solito.
E' sempre così arrogante e maleducato!
Dovrebbe prendere un po' il buon esempio dalla sua straordinaria
gemella.
Alza gli occhi al
cielo, evidentemente esasperata. Davanti a lei, l'orologio a forma di
gufo segna le sette.
« Scheiße. », mugola, con palese
disappunto. Si affretta a trangugiare il latte e, dopo aver fissato per
alcuni secondi con sguardo imperscrutabile la fetta di dolce
abbandonata sul tavolo, la butta senza rimpianti.
Si appresta verso il bagno accanto alla cucina, ma dopo i primi colpi
furiosi e i seguenti « Vattene, Schwe'! » ricorda
la presenza del fratello e si incammina verso quello comunicante con la
camera del padre.
Chiude la serratura dorata con la chiave, per poi appoggiarsi al
lavello di marmo e scrutare la propria immagine allo specchio. Arriccia
il naso, e mostra la lingua alla figura pallida che le sta innanzi.
Una
creatura semplicemente magnifica.
7:29
am
Berlin.
17th of October, Wednesday.
Un ragazzo scende
i gradini a passo svelto, la borsa scura che sbatte ritmicamente contro
i suoi fianchi stretti. La cravatta a righe blu e verdi è
allentata e i primi bottoni della camicia candida sono sbottonati,
lasciando intravedere la pelle smunta del petto. La giacca blu notte
è appoggiata sbadatamente al suo braccio, con il bordo che
struscia sul marmo chiaro delle scale. Il ragazzo accellera l'andatura, aggrottando
le sopracciglia folte. Un sottile rivolo di sudore gli ricopre la
fronte solcata da una profonda ruga. Forse
il ragazzo dimentica gli unici due gradi sopra lo zero della mattina
berlinese? Il gelo non sembra nemmeno sfiorarlo, mentre si arrotola le
maniche fin sopra i gomiti; qualcos'altro pare assorbire del tutto la
sua mente, e persino il suo corpo. Gli occhi verdi sono concentrati su
un punto imprecisato alla fine delle scale, fissi.
Dear
Aunt,
La mano destra
scatta nella tasca, probabilmente a controllare una qualche vibrazione
frutto della sua immaginazione; ma il cellulare rimane
irrimediabilmente inerte tra le sue dita irrigidite. Il ragazzo
impreca, senza nemmeno troppa convinzione. Si arresta ai piedi della
scalinata, ora esitante davanti ai pochi metri che lo separano dai
binari della metropolitana.
Come
hai potuto? Come hai potuto fare questo?
Proprio ora che Gwineth non c'è.
Proprio ora che l'unico su cui buttare questo peso sulle spalle sono io.
Proprio ora che sono solo.
Un rumore in
lontananza e il solito spiffero di vento prima dell'arrivo del treno
annunciano che non può più perdere tempo ad
indugiare prima ancora che il tabellone con gli orari di ogni fermata
si aggiorni. Il ragazzo si gira verso la galleria che chiude la
piattaforma deserta. In tutta la fermata, c'è solo lui:
nessun altro nemmeno sulla banchina opposta.
Qualche altro secondo, il rumore che si avvicina e finalmente le luci
del convoglio fanno capolino dal tunnel fiocamente illuminato. Il
ragazzo stringe un'ultima volta il telefono, sul volto dipinta
un'espressione implorante destinata ad essere delusa. Il treno si ferma
di fronte ai suoi occhi. Le porte si aprono e lui entra, andando a
sedersi in uno dei tanti posti liberi; ecco l'unico elemento piacevole
di abitare fuori dalle zone trafficate della città.
Come
hai potuto lasciarli soli?
Come hai potuto lasciare me e Gwineth?
Come hai potuto andartene anche tu?
Alza lo sguardo
di fronte al cartello con le fermate, contando sulle dita quante gliene
mancano prima di scendere. Quindici.
Quindici prima che il telefono torni a prendere la linea. Quindici
prima che possa ricevere la sua telefonata. Chiude gli occhi.
Non
so che fare, Auntie.
7:56
am
Berlìn.
Octubre 17, Miércoles.
Una figura alta e
piuttosto dinoccolata cammina avanti e indietro davanti al cancello
dell'istituto internazionale. Ha un giaccone pesante chiuso fino al
collo, con qualche inserto di pelliccia che spunta dal cappuccio mezzo
staccato dalla giacca. Qualche ciuffetto di capelli castano scuro
fuoriesce dal capello di lana, sfiorandogli le tempie dalla pelle
olivastra.
Querida
portapapeles de historia,
Si sfrega le mani
e vi alita sopra, un mezzo sorriso dipinto sulle labbra; niente pare
poter spegnere l'entusiasmo sul suo volto, nemmeno quel freddo che
minaccia di staccagli le appendici del suo corpo una dopo l'altra,
inesorabile. Si infila le mani nelle tasche della giacca, continuando a
marciare come un soldato, scrutando tutti gli studenti che si
apprestano ad entrare in attesa di qualcuno in particolare.
Lo
so che non ha senso, ma...
Gil e Chen mi hanno tanto descritto i miracolosi effetti dell'avere un
diario che, ecco, magari potrei iniziare anche io. Sul quaderno degli
appunti di storia.
Beh, tanto non li uso comunque, quindi non si spreca nulla.
I suoi occhi
verdi saettano su i visi di tutti fino a posarsi su due teste candide
come la neve che sta iniziando a scendere lentamente. Piccoli fiocchi
si posano a terra, mentre il ragazzo inizia a correre verso i due,
incurante degli spintoni che si ritrova a rifilare per passare e delle
occhiatacce che gli vengono rivolte.
« Tonio! », squittisce Julchen quando lui
l'abbraccia con foga assieme al fratello.
« Julchen! Gilbert! »
Antonio sorride, e l'allegria gli riempie il viso. Pare che vedere i
due amici sia la cosa più bella che possa succedergli.
E
forse hanno ragione.
Mi sento già meglio rispetto a prima.
Perché sì, incredibilmente, poco fa mi sono
sentito un po' giù.
Già, anche Antonio Fernandez Carriedo ha i suoi brutti
momenti.
Di rado, certo, ma ci sono.
«
Andiamo? », aggiunge qualche secondo dopo, passando le
braccia intorno alle spalle dei due, che sovrasta di buoni dieci
centimetri. Senza attendere risposta alcuna, inizia ad avviarsi verso
la scuola, e la tracolla, anche, che ha lasciato abbandonata sul
muretto accanto al cancello.
Si stacca appena dai due per recuperare le sue cose. Storce il naso,
divertito e esasperato allo stesso tempo: la neve ha ricoperto la sua
borsa di un sottile strato bianco, abbastanza spesso, però,
da bagnare tutto il tessuto, e probabilmente anche l'interno.
« Ehi! »
Antonio si gira al suono della voce di Julchen. Vede i suoi occhi rossi
brillare eccitati nella sua direzione. La guarda lanciarsi verso il suo
corpo, e senza nemmeno pensarci allarga le braccia per stringerla
forte. Lui sente un fremito percorrergli la schiena, impaziente del
contatto. Mezzo passo, manca solo mezzo passo, e... lei lo supera,
diretta verso qualcuno alle sue spalle.
Gelato sul posto, le mani ancora sospese in aria, Antonio segue con lo
sguardo i movimenti della ragazza. Che
si getta addosso ad un altro. Che sorride felice. Che si stringe con
tutta la sua energia a quel ragazzo dall'aria quasi infastidita.
Antonio abbassa gli occhi, stringendo il bordo della borsa bagnato, la
bocca contratta.
Gilbert gli si affianca.
« Quell'idiota di Roderich. Quanto mi sta sul cazzo, ah! E
Julchen è ancora più idiota a non mandarlo a
fanculo alla prima occasione, Gott. », lo sente borbottare
mentre gli dà una pacca sulla spalla. Il moro non dice una
parola, gli occhi fissi a terra.
La mano sul suo omero lo picchietta leggermente.
« Tutto bene, To'? »
« Alla perfezione. »
Per
esempio, quando tutto ciò che vorrei non mi vuole.