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Autore: Sebastiano Theus    06/03/2013    3 recensioni
Geralt parte da Vengerberg in compagnia di Ranuncolo, impegnato in una pericolosa missione per riparare il liuto del bardo. Un'altra persona segue il loro stesso percorso per altri motivi: Essi Daven, vecchia conoscenza di Geralt. I due si incontreranno? Riusciranno a dirsi tutto quello che non hanno potuto dire in passato? O potranno solo vedersi da lontano, guidati da diverse correnti del destino?
*questa storia è il seguito de Un Vero Amico*
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Frinyf scrutò la strada che serpeggiava nel bosco, disseminata di massi e rami caduti. Imprecò e fece segno ai carri dietro di lui di fermarsi, quindi tirò le redini dei cavalli fino a bloccarli del tutto. Sentì voci e rumori mentre la gente approfittava della pausa per sgranchirsi le gambe.
Quasi subito, un giovanotto dai capelli chiari e l'armatura lucente mise la testa fuori dal telone e guardò verso di lui: «Nano! Perché ci siamo fermati?».
Frinyf aspettò qualche secondo a rispondere, giusto il tempo di sbollire la rabbia accarezzandosi la barba, quindi si girò verso il giovane con un'espressione affabile: «Signore, la strada si fa più difficile: rischiamo di azzoppare i cavalli a correre col buio. Dovremmo accamparci per la notte»
«Accamparci? Ma che diavolo stai dicendo! La strada è tutt'altro che difficile e il bosco finirà presto. Ci accamperemo solo allora!»
«Signore, i cavalli…»
«Re Demavend vuole che il carico giunga a destinazione in una settimana e noi arriveremo là senza un minuto di ritardo! Accelera, nano! E voi tornate subito dentro!».
La testa del giovane dai capelli chiari sparì dentro al carro e Frinyf fece schioccare le redini abbastanza forte da coprire la propria voce: «Re Demavend i miei coglioni».
I carri, tre in tutto, ripresero la marcia notturna in mezzo agli alberi. I cavalli si muovevano a disagio, costretti a indovinare la strada più che a vederla. D'un tratto la foresta aprì un poco i propri rami, rivelando sopra di loro il cielo stellato.
«Va tutto bene?».
Frinyf si voltò verso la voce, stavolta dolce e piacevole. Una giovane ragazza, di non più di vent'anni, spuntava fuori per metà dal telone del carro, restando coperta dalla vita in giù. Un minuto pendente a forma di margherita oscillava dalla delicata scollatura che lasciava intravedere il suo petto. Il piccolo viso simpatico, dai tratti assolutamente comuni, era illuminato da uno splendido occhio blu intenso, enorme, sfavillante, dal quale non si riusciva a staccare lo sguardo. L'altro era quasi sempre coperto da un ricciolo dei suoi capelli color dell'oro scuro, che cadeva immancabilmente sulla sua fronte a darle un'aria sbarazzina. Ogni tanto, la ragazza spostava il ricciolo con un movimento della mano o con un soffio leggero, dimostrando che anche l'altro occhio non era da meno. Essi Daven, detta Occhietto.
«Nobile signora Daven...».
Lei rise, serena: «Non sono nobile, ma mi piace il signora. Se vuoi, chiamami pure Essi.»
«Va bene, signo... Essi. Cosa vuoi?»
«Posso sedermi accanto a te? Il movimento del carro comincia a darmi la nausea».
Frinyf stava per protestare dicendo che era freddo e soprattutto rischioso stare allo scoperto, ma la ragazza si fece avanti senza attendere risposta e si sedette sulla cassetta di fianco a lui, aggiustandosi il semplice abito azzurro chiaro. Lui la guardò accarezzandosi lentamente la barba rossa che gli copriva il collo e l'inizio del petto.
«Non ci fermiamo ancora?», chiese lei.
«Il comandante di questa carovana vuole andare avanti, mai disobbedire al grande comandante della carovana!». Soffiò contro i cavalli dando un altro colpo con le redini.
«Vuoi dargliela vinta?»
Frinyf la guardò, domandandosi se doveva sentirsi divertito o offeso da una domanda così diretta. Spuntò un sorriso tra i peli della sua barba.
«Solo per un altro po'», rispose. «Conosco questa strada: tra non molto ci sarà una radura, un posto perfetto per fermarsi. Potrà farmi quello che vuole, ma io lì mi fermo!»
«Bene», disse lei soffiando sul ciuffo. «Siamo tutti stanchi, gli altri saranno d'accordo con te.»
«È un viaggio stancante per una femmina.»
«Per tua informazione, ho viaggiato più della maggior parte degli uomini.»
«Scusa, non volevo offenderti. La mia era solo una...», Frynif aggrottò la fronte per lo sforzo. «Cossatazione...»
«Constatazione», lo corresse lei. «Nessuna offesa. Noi bardi dobbiamo viaggiare di continuo per conoscere il mondo che descriviamo nelle nostre canzoni. E non ci sono molti bardi donne.»
Frynif, che considerava i bardi buoni giusto per far marciare gli eserciti più rapidamente e per accompagnare la birra nelle locande, non era molto colpito.
D’un tratto un sasso sollevò una delle ruote e il carro si scosse da cima a fondo. Con mosse rapide, Frynif strinse le redini e domò i cavalli impedendogli di scalciare in preda al panico. Dall’interno del tendone giunse una gran serie di imprecazioni.
Essi si teneva stretta all’asse dove stava seduta, l’occhietto spalancato per lo spavento.
Il nano ritrovò il controllo e si diede un colpo sulla coscia con una risata: «Non ti piace più tanto stare qui fuori, eh?».
Il giovane dai capelli chiari mise di nuovo fuori la testa: «Che succede, nano?»
«Nulla, signore! La strada è liscia e sicura!».
Essi cominciò a rilassarsi solo quando il comandante rientrò nella tenda. Si passò una mano sul ricciolo dorato, rimettendosi dritta accanto a Frynif.
«Quando arriveremo a Vergen?», chiese.
«Ci vorrà ancora un po’, con buona pace dei desideri del sovrano. Dobbiamo superare il Dyfne, e purtroppo il ponte è danneggiato... Non ci resta che dirigerci verso il villaggio di Passafiume.»
«Un nome eloquente.»
Frynif la guardò con aria interrogativa.
«Intendo... chiaro. Avranno un traghetto, immagino.»
«Sì, proprio così. Lo raggiungeremo alla fine di questa foresta.»
Essi guardò in alto, oltre le fronde in movimento di un pioppo, la notte diventò più luminosa nel suo occhietto sognante
«Vergen», disse piano, «gemma dei nani incastonata nelle montagne a nord dell’Aedirn, vedetta della Valle del Pontar, marmorea guardiana del confine tra Temeria e il Kaedwen. Dicono che sugli stipiti delle case ci siano scolpiti volti di pietra che fissano i viaggiatori con occhi di smeraldo e rubino»
«Mi prendi in giro? Se c’è mai stato qualche rubino o smeraldo, Re Demavend non se l’è certo fatto scappare! Ma quei volti ci sono... C’erano prima di voi umani e ci saranno anche dopo. Vergen è vecchia, più vecchia di Demavend».
Essi tacque per un po’, senza disturbare il brontolio sommesso del nano.
«Ora mi chiederai se sono d'accordo con gli Sco'iatel», disse lui col tono di chi afferma una cosa ovvia.
Essi scosse la testa, osservandolo coi suoi grandi occhi blu: «No. La politica non è un discorso adatto a piacevoli conversazioni.»
Frinyf ghignò: «Sì, lasciamo che ne parlino i signoroni nei loro castelli, sempre pronti a sorridere e pugnalarsi l'un l'altro. E gli Sco'iatel... Elfi e nani ancora bambini che credono di potersi sentire liberi vivendo nelle foreste e assalendo le carovane come banditi qualsiasi.»
Lui notò l'occhiata preoccupata che Essi lanciava agli alberi attorno a loro.
«Stai tranquilla, qui non ci sono Sco'iatel. In compenso abbiamo Ondine e pure qualche Driade.»
«Driadi?», il suo occhietto brillò d'entusiasmo.
«Driadi o Sco'iatel fa poca differenza: rischiamo in ogni caso di buscarci una freccia nella barba! Nel mio caso, almeno...»
«Sì, lo so... Ma vedere una Driade! E così lontani dal loro bosco! Ci pensi?»
«Già...». Frinyf cominciò a chiedersi se ai bardi mancasse un po' di buon senso in generale. Decise di cambiare discorso.
«Sai che cosa trasportiamo?»
«Pepe?»
«Pepe! Sì! Più altre cosa, ma soprattutto pepe!»
«A Vergen»
«Vedi, dopo le gemme e la birra, il grande amore dei nani è il pepe. Agli elfi fa schifo, ma loro sono femminucce. Riempici la tavola di pepe e noi siamo contenti! Demavend lo sa e cerca di non farlo mai mancare: metti che un giorno i buoni abitanti di Vergen rimangano senza pepe e decidano di andarlo a chiedere a Re Foltest o a Re Henselt!»
«Sarebbe un bel problema per Demavend! Ma stiamo già tornando a parlare di politica...»
«Difficile non parlarne in questi giorni.... Dannazione, ragazza! Mi hai fatto venire voglia di un filetto al pepe verde!»
«Devi ammettere allora che Re Demavend vi tratta con riguardo.»
Frinyf distorse la bocca nella parodia di un nobile contegno e si posò la mano sul cuore: «Io, Re Demavend, in onore dell'amicizia che lega le nostre genti e nel rispetto della vostra razza laboriosa, taglio i dazi commerciali verso la vostra splendida città: che le strade siano piene di pepe! Bah, tutte dùvvelsheyss!»
«Ehi! Attento a quello che dici, stai viaggiando con una signora!»
Frinyf sembrò diventare più piccolo: «Io... Chiedo scusa, signora...».
Lei lo guardo con aria offesa, poi scoppiò improvvisamente a ridere facendo brillare il suo occhietto sotto al ricciolo dorato: «Ci sei cascato! Sono stata convincente, vero?»
Il nano non aveva idea di cosa dire.
Essi lo guardò e cercò di soffocare un'altra risatina: «Sai, non mi piace neppure il signora: chiamami solo Essi»
«Ah, quindi... Conosci la Lingua Antica, Essi?»
«Abbastanza da sapere che a Demavend staranno fischiando le orecchie dopo quello che hai detto!»
«Sempre che non sia troppo ubriaco per accorgersene. Ci sono tanti bardi donne, Essi?»
«Poche, e di certo nessun’altra come me»
«Mi sei simpatica », disse lui ricambiando il suo sorriso, «quando arriviamo a Vergen vieni a cena dai miei parenti!»
«Volentieri!»
«Sai cucinare?»
«Poco, in realtà...»
«Avrai modo di imparare un bel po' di cose! Prima di tutto cominceremo con gamberoni di fiume bolliti e vino piccante!»
Frinyf cominciò con enfasi a descrivere le proprie fantasie culinarie, Essi lo ascoltava con un grazioso sorriso, chiedendosi se avrebbe potuto ricavare una ballata da tutto questo.
Finalmente superarono gli ultimi alberi ed entrarono nella radura, larga abbastanza da ospitare venti carri come i loro. Il nano tirò le redini mentre continuava a spiegare la propria personale ricetta dei canestri di carne di cervo in salsa pepata.
Accadde tutto in meno di un minuto. Frinyf avvertì un movimento nel buio con la coda dell'occhio, poi sentì un rumore assordante dietro di sé. Si girò appena in tempo per vedere il terzo e ultimo carro della fila rovesciarsi sul fianco, il telaio disintegrato come se fosse stato trapassato da un colpo di ballista. Il fragore venne soffocato dalle urla quando il conducente venne sbalzato in avanti finendo tra gli zoccoli dei cavalli imbizzarriti.
Un movimento ancora e il secondo carro venne colpito, attraversato da qualcosa che si muoveva come un fulmine nero.
Senza neppure pensare, Frinyf fece schioccare le redini e lanciò a tutta velocità i cavalli lungo la radura. Il giovane comandante spuntò fuori e gli urlò qualcosa, ma lui non sentì, il vento gridava più forte nelle sue orecchie.
Un masso appuntito colpì la ruota anteriore destra e la squarciò, spaccando anche il rivestimento interno di ferro.
Frinyf si alzò sulla cassetta, si gettò afferrando Essi con le braccia possenti e si lanciò fuori, proteggendola dalla caduta col proprio corpo.
Il mondo divenne confuso: alzò la testa dal petto di Essi, vide un ciuffo di capelli chiari e un’armatura scintillante lanciarsi all'attacco con la spada presa a due mani. Un ringhio e uno scoppio di sangue misero fine all'eroismo del giovane comandante della carovana.
«Per gli dei!»
«Che cosa...?»
«Alzati! In piedi, ragazza!».
Frinyf l'alzò di peso e la spinse tra gli alberi.
«Vai! Corri!»
«Il mio liuto! È nel carro!»
«Dùvvel hoàel, ragazza! Scappa!»
La scagliò tra i cespugli ed estrasse la mazza dalla cintura.
Essi cadde per terra, perse la scarpa e si scorticò il piede contro un masso tagliente. Si voltò gemendo per il dolore, la mano stretta attorno al piede già ricoperto di sangue e terriccio. Sentì lo schianto del metallo che colpisce qualcosa, poi un urlo e il rumore di una spina dorsale spezzata.
Lei rimase ferma, immobile, il respiro che correva come impazzito, la mente paralizzata. Qualcosa emerse dal buio. Una cosa nera, enorme. I rami si spezzarono al suo passaggio, il fetore era quello del sudore e del sangue. Due occhi troppo grandi si posarono su di lei.
Essi si voltò, fuggì terrorizzata con nelle orecchie il rumore di quelle ossa spezzate ogni volta che un legno cedeva sotto i suoi piedi. Strinse una mano al petto, cercando il piccolo medaglione che portava nascosto sotto i vestiti: sentì il suo rilievo tra i seni e trovò la forza per correre più veloce.
Non sentiva più nulla, né rumori, né le proprie gambe. Fece per voltarsi per vedere se la stavano ancora inseguendo, ma picchiò la testa contro un ramo basso. Spalancò entrambi gli occhietti, cercò inutilmente un appiglio nell'aria che le fuggiva via mentre cadeva all'indietro sulla roccia.
Si mosse lenta, strisciando come un verme, la voce ridotta a un rantolo, il mondo diventato una macchia di colore indistinta. Vide un'ultima cosa prima di piombare nel buio: un'ombra piegata su di lei, due piccoli occhi gialli. Sangue e sudore.
  
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