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Autore: Ramble On    06/03/2013    2 recensioni
Prendete una ragazza sbadata, un terribile malinteso e un gruppo di quattro ragazzi scatenati.
Il gioco è fatto!
Genere: Demenziale, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Avevo quindici anni quando mio padre se ne andò di casa.
 
Quindici anni, una madre alcolizzata e troppa indipendenza da spendere male. Non ho mai avuto orari, sono sempre stata libera di passare tutta la notte fuori casa, tanto nessuno se ne sarebbe mai accorto. Spesso rientravo a casa in tempo per prendere lo zaino e fuggire a scuola.
Più sto lontana da casa, più sto bene.
In quel periodo ho iniziato ad andare in qualche locale per ascoltare musica dal vivo e a conoscere persone nuove, in particolare musicisti. Mi hanno sempre affascinata, e parlare con loro ti fa dimenticare tutto lo schifo in cui sei costretto a vivere ogni giorno. 

Nel locale in cui i Led Zeppelin suonavano quella sera c'era un'atmosfera pazzesca e la musica rimbombava potente nelle mie orecchie.
Avendo perso di vista le compagne di classe con le quali ero venuta, decisi di andare a prendermi qualcosa da bere. Quando mi avvicinai al bancone del bar per ordinare una birra, un uomo corpulento, avvolto in una giacca di almeno due taglie in meno alla sua, si sedette vicino a me e mi tese la mano. Iniziammo a parlare. Mi riempiva di complimenti e di domande. Mi chiese quanti anni avessi, se avessi degli interessi particolari e cosa fossi  venuta a fare lì. Parlammo a lungo di musica e mi stupii di quanto se ne intendesse. Quando finii di rispondere a tutte le sue domande, se ne andò pregandomi di tornare la sera successiva. Mi disse che gli ero piaciuta e che aveva una grande occasione per me. 
La cosa non mi disturbò e dal momento che le mie compagne mi proposero di ritornare anche la sera successiva, accettai. 
Il locale era così pieno che per entrare dovemmo farci largo a gomitate. 
Lasciai che le altre ragazze si sbracciassero sotto il palco nel vano tentativo di farsi notare dalla band e mi diressi verso il bar. 
Mentre bevevo il mio Gin Tonic, si avvicinò l'uomo della sera precedente del quale mi ero completamente dimenticata. Mi riempì nuovamente di complimenti e mi chiese cosa ne pensavo dei Led Zeppelin.
Gli risposi che li trovavo semplicemente fantastici. Sembrò soddisfatto della mia risposta e mi offrì da bere. 
Non saprei dire per quanto tempo parlammo, ma ad un certo punto mi chiese se volevo sedermi con lui e alcuni suoi amici. Ci pensai un attimo e, non so se per l'alcool o per le sostanze che più tardi scoprii di aver assunto, accettai.
Dal momento in cui mi alzai dalla sedia le mie gambe diventarono di pietra e la mia vista si offuscò. La testa mi girava da matti e mi dovetti aggrappare a quell'uomo per camminare. Ci avvicinammo ad un tavolino appartato e mi fece sedere su una poltroncina di velluto. Le ultime cose che sentii furono la musica martellante e la voce di quell'uomo spiegare ai presenti -È molto piccola ancora, ma si dovrà abituare-.
Poi mi addormentai.
Mi risvegliai che potevano essere passati giorni ore o minuti. Volevo scendere ed andarmene a fare un giro, ma il mio corpo non si spostava e dalla mia bocca non uscivano parole. Stranamente non mi preoccupai della situazione. Sentii la mia testa così leggera come non succedeva da tempo. 
I miei occhi sembravano essere l'unica padre del corpo che ancora seguiva il cervello. Roteavano allegri tentando di seguire le luci che sguazzavano nel locale. 
Le altre ragazze sedute sui divanetti avevano più o meno la mia età, erano schifosamente belle e ridevano alle ridicole battute di quell'uomo. Ogni minuto che passava mi sembrava sempre più grasso e viscido. 
Dopo vari tentativi di rialzarmi, finalmente parve accorgersi di me. 
-Si è risvegliata la nostra amica. Hai dormito bene?-.
Scossi la testa e provai a parlare, ma la mia gola era completamente secca. 
Una delle ragazze mi passò una bottiglia di vodka. Ne buttai giù in sorso e sentii la mia gola in fiamme. 
Tutti scoppiarono a ridere. 
-grazie- riuscii a balbettare senza ottenere risposta.
La testa mi iniziò a girare e le loro bocche mi apparvero allungate e le loro voci sempre più lente e cupe. Scoprii che l'uomo si chiamava Grant. Peter Grant. Ma il perché tutte quelle ragazze gli stavano addosso non lo capii subito. 
Quando il locale cominciò a svuotarsi, Grant licenziò le numerose ragazze che gli ronzavano intorno e rimanemmo in quattro più lui. Una delle ragazze mi prese sotto braccio e insieme alle altre due che si continuavano a ridere con Grant, mi portò fuori dal locale.
Salimmo in una limousine nera con degli interni in pelle che mi sembrarono comodissimi. Ci venne offerto da bere e qualche spinello da fumare. Non mi posi alcuna domanda su dove fossimo diretti e cosa avremmo fatto una volta giunti a destinazione, mi sentivo così bene seduta tra quelle persone sorridenti e silenziose. 
Ci fermammo nel parcheggio di un hotel. 
Una volta scesi dalla macchina, Peter corse dentro l'albergo per non farsi bagnare dalla pioggia. Io e le altre iniziammo a correre sotto l'acqua tra le risate. Eravamo completamente fatte e volevamo raccogliere ogni singola goccia di pioggia per berla.
Sentii Grant chiamarci per nome ed invitarci ad entrare. Una volta in albergo Peter ordinò alle ragazze di andare nelle camere. 
Poi mi prese per mano e mi portò in ascensore. Quando rimanemmo soli iniziò a girarmi la testa e a sentii una profonda nausea. Tutta l'euforia precedente si era esaurita. Ero troppo presa dal mio malessere per riuscire ad ascoltare quello che mi stava dicendo Peter. A giudicare dal tono doveva essere un rimprovero o una raccomandazione e io avevo sempre odiato ogni tipo di ordine o comando.
Le porte dell'ascensore si aprirono e incominciammo a camminare lungo il corridoio. Mi sembrò infinito: ad ogni passo tutto si contorceva e le pareri si restringevano sempre di più. 
Solo quando sentii la parola Led Zeppelin uscire dalla bocca di Grant, iniziai a realizzare l'enorme errore che avevo fatto. Capii chi fosse realmente Peter Grant. Sentii il mio stomaco contorcersi ancora di più e la nausea aumentare passo dopo passo. Guardai il mio polso fino stretto nella sua mano unta. Non avrei mai avuto la forza per liberarmi. Rassegnata continuai a camminare sperando in un miracolo. 
Improvvisamente ci fermammo davanti alla camera 263
Peter bussò alla porta gridando con la sua voce sgraziata. 
Dopo qualche secondo, la porta si spalancò e sulla soglia apparve lui. Il diavolo.

 
 
angolo dell’autrice
Allora, questa è la mia prima storia.
Non chiedetemi come mi sia venuta in mente, ma purtroppo così è stato.
Ahhh e vorrei precisare che io non ho assolutamente nulla in contrario alle Groupies, anzi le invidio molto e sono sicura che se avessi avuto la possibilità di vivere in quegli anni, sarei diventata anche io una di loro.
Lo stesso vale per Peter Grant. Diciamo che non mi sta molto simpatico, ma so che in fondo in fondo era un brav’uomo.
Bene detto questo, vi prometto che dal prossimo capitolo entreranno in gioco anche i nostri eroi.
Rimanete con noi!
Adiossss
:*
  
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