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Autore: ViolaShine    06/03/2013    1 recensioni
Questa storia fa parte di un progetto e dovrebbe venire traformata in un cortometraggio girato da una mia amica.
Parla della storia di tre ragazze liceali la cui vita, a causa di una decisione, cambia drasticamente.
***
Dal racconto:
" Può una decisione, una svista, decidere il destino di qualcuno? Secondo me il destino non esiste. Siamo noi che con le nostre scelte lo creiamo. Ed è per questo che sono qui, a narrarvi la storia che parla di me e di tre sventurate ragazze. "
***
Spero che questo racconto, che descrive situazioni che capitano ormai frequentemente, vi piaccia almeno un poco e abbiate voglia di lasciare un commento o qualche consiglio :)
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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About us.
 

 
 
Spesso, anzi, quasi sempre, la vita è difficile.
A volte ci si sofferma su delle sciocchezze e non si fa più caso alle cose veramente importanti; si cerca di cambiare per dare una svolta alla propria vita: all’improvviso ci accorgiamo che non è degna di essere vissuta, che non ci appartiene più…
È quello che vogliamo tutti, voltare pagina, come se fosse facile, ma ricominciare non è facile per niente, proprio per niente.
Certo, se cambiare in meglio o in peggio sta a noi deciderlo.
 
Io mi chiamo Silvia e questa storia parla di me, anzi di noi. Parla del giorno in cui attraverso una decisione la mia vita e quella delle mie amiche, ha preso una strada completamente diversa e inaspettata.
 
Dovete sapere che io, quell’inverno dei miei diciassette anni, di vita sapevo ben poco, quel tanto che basta per vivere una vita spensierata con la mia famiglia e con i miei pochi amici. Si, lo ammetto, non ero la classica teenager che usciva tutte le sere e tornava a casa il sabato notte sbronza e fumata.
Io preferivo senz’altro restare in camera mia a leggere o studiare. Già… Strano, ma vero! Mi piaceva studiare! Capirete che questo insolito ‘’hobby’’ mi aveva creato non pochi problemi… I compagni di classe mi avevano etichettata secchiona e in quanto tale vi era la regola non scritta di non rivolgermi la parola se non per insultarmi o per copiare i compiti. Che schifo.
Per fortuna non ero del tutto sola, ma c’era una testa riccioluta, nonché mia migliore amica, a tenermi compagnia. Rebecca era come una sorella per me: condividevamo tutto insieme. Eravamo nella stessa classe dalle elementari e da allora non ci eravamo più separate. Due facce della stessa medaglia.
Becca era l’unica persona al mondo di cui mi fidassi ciecamente ed era la sola a capirmi; sapeva meglio di me che ero estremamente timida e che odiavo prendere qualunque tipo di decisione. Spesso mi consigliava di essere più sicura di me, ma io, nonostante mi sforzassi, non riuscivo proprio ad essere più spigliata. Anche lei, in quanto timidezza, non scherzava: infatti non aveva mai osato rivelare i propri sentimenti a Giovanni, il nostro compagno di classe di cui era follemente innamorata da un anno e che fissava spesso durante le lezioni. Lui non la degnava neanche di uno sguardo, ma ai suoi occhi era come un principe.
 
A scuola, manco a dirlo, passavo tutto il mio tempo con lei. Ci facevamo gli affari nostri e non davamo fastidio a nessuno; gli altri ragazzi ci ignoravano e a noi andava bene così. All’inizio la cosa non ci turbava minimamente perché la nostra amicizia ci bastava, non avevamo bisogno di nessun’altro. Poi, col passare degli anni, l’essere escluse cominciò a pesare: volevamo anche noi fare parte di un gruppo e poterci divertire come facevano tutti i nostri compagni di classe. 
Beh, eravamo in una situazione completamente opposta.
Nel mese di dicembre del mio quarto anno di liceo le mie giornate cambiarono drasticamente; appena entrate a scuola, io e Rebecca, avevano intuito che qualcosa non andava. Ci fissavano tutti e continuavano a bisbigliare tra di loro; noi facemmo finta di niente e ci dirigemmo speditamente in classe, ma non nascondo che eravamo in imbarazzo. Avevamo fatto qualcosa di sbagliato?
Nell’intervallo la storia si ripeté; finita la merenda mangiata in un angoletto sperduto del cortile per sfuggire agli sguardi dei nostri compagni di classe e non solo, la mia migliore amica insistette per andare in bagno e io, ovviamente, l’accompagnai per non restare sola.
 
E quale posto più banale per un incontro se non proprio i servizi? Fu proprio lì che parlammo con loro la prima volta. Becca si stava lavando le mani quando le due ragazze più popolari della scuola entrarono nel piccolo ambiente e ci guardarono con aria di sfida.
La più minuta si chiamava Jasmine, era per metà francese e non c’era ragazzo che non la conoscesse “intimamente”; era una di quelle ragazze che sapeva di essere bella e usava questa qualità a suo vantaggio. Chi la contattava non lo faceva certo per avere una simpatica conversazione, anzi si diceva in giro che non riuscisse a formulare più di due frasi consecutive senza dire qualche cavolata.
Di fianco a lei appariva un’altra figura: Elisa. Non la conoscevo di persona e non sapevo molto se non che era la migliore amica di Jasmine e che era stata bocciata per ben tre volte. Era famosa per aver picchiato la metà degli sfigati dell’istituto, insomma, la classica bulla.
Gli occhi verdi di quest’ultima mi fissavano minacciosi e poco dopo la loro proprietaria esclamò:
- Guarda un po’, Jasmine, chi si vede in giro! Le due sfigate di cui mi parlavi! -
La ragazza vicino a lei ridacchiò per qualche secondo, tanto che mi sembrò un’oca più che un essere umano, e poi rispose alla sua amica:
- Si sono proprio loro, Eli. La troia che fissa il MIO ragazzo e la secchiona che le sta sempre appiccicata! Le abbiamo trovate finalmente. -
‘’Strano, non aveva sbagliato nessuna frase, forse non tutte le voci sono vere.’’ pensai.
- Che volete da noi? Non ho fatto nulla con la tua nuova fiamma, Jasmine cara. E poi non stavi con Andrea fino alla scorsa settimana? Sei rimasta single molto a lungo, stavolta. -
Spostai  lo sguardo da Becca, che probabilmente era shockata dal fatto che il suo amato Giovanni fosse caduto talmente in basso da mettersi con una come lei, alla francese che sembrava molto irritata.
- Cosa vorresti insinuare, sfigattola? -
- Ehm… - mi intromisi io dopo essermene stata zitta a pensare fino a quel momento - Non credo che esista questa parola. -
- Zitta tu! Chi ti credi di essere? Fate solo schifo, ve ne rendete conto, almeno? Spero per voi che la tua amichetta non fissi più il suo fidanzato o ve la vedrete con me! - mi gridò in faccia Elisa, dopodiché afferrò per un braccio la sua migliore amica e uscì velocemente dal bagno, lasciando me e Rebecca nel silenzio più totale. Poi lei mi osservò per qualche secondo e disse: - Certo che avresti potuto aiutarmi invece che correggere il suo italiano, Silvia! -
- Ehm… -
E poi scoppiammo a ridere.
 
Era passata una settimana da quel giorno e le mie giornate trascorrevano veloci; ero immersa nella solita routine e la mia vita non era cambiata di una virgola, se non per un piccolo, insignificante particolare.
Per qualche motivo, che non vi si sarà difficile immaginare, a scuola si erano diffuse molte voci che trattavano per lo più di alcune inverosimili stranezze di Rebecca e della dubbia provenienza della mia famiglia. Ci sentivamo continuamente osservate e la cosa cominciava a darci seriamente sui nervi.
 
Una domenica pomeriggio Becca era venuta a casa mia, come al solito, e, stese sul letto, stavamo leggendo alcune riviste e parlando del più e del meno. Ad un certo punto la curiosità mi porta a farle una domanda:
- Senti, ma… Giovanni? Ti piace ancora? -
- Nah! Se si è messo con quella deve avere qualche serio problema mentale! -
Eppure io sapevo che, sebbene stesse superando la cosa, era stata male, e non poco, a causa di quel ragazzo.
- Comunque stavo pensando ad una cosa… - mi disse - Sono davvero stufa di questa situazione! Tutti ci guardano e non fanno che sparlare di noi! Non dovremmo fare qualcosa? -
- E cosa? Non credo che mettersi contro Elisa e Jasmine sia una buona idea, tutti pendono dalle loro labbra dato che sono le più popolari della scuola! Non riesco a capire cosa ci trovino di speciale in quelle due oche! E poi, non hai fatto nulla di male! -
- Guarda non ne ho idea! - mentre parlava si mise seduta sul letto e si stiracchiò - Però ho preso una decisione! Gliela faremo vedere noi! –
- Oddio, che vuoi dire? - Ok, iniziavo ad avere paura! Quando Becca aveva quello sguardo, non bisognava aspettarsi niente di buono.
- Semplice, stasera Jasmine fa una festa a casa sua! - esclamò come se fosse la cosa più naturale del giorno - Mi sembra scontato dire che noi ci andremo! -
- … -
- Sei diventata muta?! Avanti, dì qualcosa! -
- … -
- Sto perdendo la pazienza! Su, parla! -
- Tu devi essere completamente pazza. - dissi convinta.
La mia migliore amica si mise a ridere e mi guardò divertita:
- Ma no, Silvia! Ragiona, dobbiamo dimostrare a tutti che quelle due si sbagliano. Noi non siamo delle sfigate! Certo siamo brave a scuola, ma non per questo dobbiamo essere isolate. Perciò questa sera ci mettiamo in tiro e andiamo a quella fottutissima festa, facciamo vedere a tutti che si sbagliano e che ci sappiamo divertire pure noi! -
La osservavo con gli occhi sgranati, doveva essere impazzita, sicuramente.
- Ma sei scema?! E se dovesse andare male? Saremo prese in giro fino alla fine del liceo! Poi con che faccia ti presenti ad una festa a cui non sei invitata? -
- E che cambierebbe da adesso? Se non te ne sei accorta ci prendono già in giro. Non abbiamo nulla da perdere. Nella vita bisogna rischiare ogni tanto! -
Non avevo nulla da ribattere, perciò, alla fine, cedetti ed acconsentii all’ordine di Becca che tutta emozionata mi buttò giù dal letto con la grazia che la contraddiceva. La mia amica aprì con entusiasmo l’armadio e iniziò a cercare qualcosa di decente da farci indossare ed ero sicura che stesse già pensando a delle scarpe e ad un trucco perfettamente abbinati.
 
A distanza di tempo penso ancora che avrei potuto cambiare le cose. Se quella domenica, in cui stranamente c’era il sole, io avessi insistito di più per non andare a quella maledettissima festa, forse le cose sarebbero diverse. Certo, saremmo state delle emarginate fino alla fine del liceo, ma poi avremmo avuto una vita felice. Forse saremmo andate all’università, forse no. Forse avremmo trovato un fidanzato, forse no. Chi lo sa? Eppure, mai come in questi momenti penso che il destino sia davvero infame: può una scelta o una svista modificare a tal punto la vita di delle ragazze?
 
La tanto attesa sera (attesa solo per Becca) arrivò e non so come ci trovammo davanti alla casa di Jasmine, in ghingheri e con un paio di tacchi.
Io ero letteralmente terrorizzata, ma la presenza al mio fianco di Rebecca mi tranquillizzava un pochino. Sospirai e, colpita da un attacco di puro coraggio, suonai il campanello. Dall’esterno si sentiva un gran chiacchierare e la musica ad alto volume.
Dopo circa un minuto la porta che avevamo davanti si aprì.
Nel momento in cui la ragazza francese spuntò da dietro l’uscio capì perché era così popolare: era di una bellezza tale da far cadere ai suoi piedi qualsiasi uomo.
- Che caspiteringola ci fate voi due qui? – chiese acida.
- Scusa, ma te le sogni di notte queste parol… - fui interrotta prontamente dalla mia amica che disse:
- Zitta, Silvia. Siamo venute qui per dimostrare che siamo degne di voi. Noi non valiamo di meno. -
Jasmine ci fissò per qualche istante e nel suo sguardo riuscii a cogliere distintamente lo stupore.
- Ok, avete coraggio, ve lo concedo. Entrate. - si scostò appena per farci passare. Entrammo con quasi riverenza e ci guardammo intorno: la musica era alta e molte persone ballavano. Riconoscemmo molti ragazzi che venivano a scuola con noi, ma con cui naturalmente non avevamo mai parlato, e soprattutto individuammo Elisa. Stava chiacchierando con la sua migliore amica che era corsa a parlarle e intanto ci osservavano con un sorrisetto compiaciuto sul viso. La vidi annuire e procedere a passo spedito verso me e Rebecca; quando si fu piazzata davanti a noi ci disse:
- Ho saputo della vostra idea, ammiro le persone coraggiose; ma vediamo se siete brave con i fatti quanto lo siete con le parole! –
Ci passò una lattina di birra e un qualcosa che non sembrava propriamente una sigaretta, che teneva tra le mani; in quel momento capì perché Elisa fosse così popolare. Forse era lei che procurava la roba.
Del resto della serata ricordo poco e niente. So solo che ebbi molte prime volte: la mia prima sigaretta, la mia prima canna, la mia prima ubriacatura… La mattina dopo mi risvegliai con un gran mal di testa, vicino ad un divano; trovai Becca poco più in là, tra le braccia di uno sconosciuto. Jasmine e Elisa stavano raccogliendo dei rifiuti dal pavimento e solo allora mi accorsi che tenevano un sacchetto nero dell’immondizia in mano e che mi sorridevano.
Quella festa appena conclusa fu l’inizio di tutto.
 
Passarono i mesi. A marzo io, Becca, Jasmine e Elisa eravamo diventate amiche inseparabili. Col tempo imparammo di più su queste due ragazze.
Jasmine era una liceale molto triste: in seguito al divorzio dei suoi genitori cercava affetto in chiunque vedeva fosse interessato a lei. Aveva lasciato, ovviamente Giovanni, ma si era consolata in fretta con Paolo; non era una ragazza stupida, sapeva benissimo che tutta la gente che definiva “amici” erano tutto tranne che quello, ma non poteva farne a meno. Era dolce, in definitiva, e quelle parole che inventava a volte mi trasmettevano un senso di tenerezza.
Elisa mi parlò di se quasi subito, non aveva paura del suo passato, apparentemente. Sin da piccola veniva picchiata dal padre costantemente ubriaco, che non si era più ripreso dopo la morte della madre malata di cancro. Il fatto che manifestasse la sua rabbia in risse mi fece presto capire che non avesse affatto superato la cosa.
Andammo a molte feste e a molte uscite, che mi causarono non poche litigate con i miei genitori, e scoprii un mondo a me totalmente estraneo. Prima di tutto a scuola nessuno ci dava più fastidio, anzi, mi ero fatta tanti nuovi amici.
Inutile dire che queste nuove amicizie necessitavano di tempo e che perciò le mie ore di studio passarono da quattro, a due e poi a zero. Non toccavo un libro da mesi, ma ero felice: mi avevano finalmente accettata. Poco importava se, per ottenere questo risultato dovetti fare delle cose che prima consideravo completamente immorali. Avevo una visione contorta del mondo, ma ero contenta.
 
A metà di marzo fummo invitate ad una festa di una conoscente di Jasmine, una certa Chiara; Elisa ci accompagnò con la macchina che aveva “gentilmente chiesto in prestito” al padre. Fu una vera delusione. C’erano pochissime persone, ma non evitammo lo stesso di fare baldoria. Quando uscimmo dal pub in cui si teneva il festeggiamento eravamo ubriache fradice e non solo. Elisa era convinta di poter resistere e non addormentarsi al volante e noi ci fidammo ciecamente, troppo fatte per ribattere e ragionare. Rebecca si sedette davanti, vicino a lei, mentre io e Jasmine ci sedemmo nei posti di dietro ridacchiando. Ricorderò per sempre quella risata che contagiò anche le altre due nostre amiche. Eli mise in moto e fu l’ultima cosa che vidi fu il sorriso di Becca che si era girata per dirmi una non so quale cretinata.
 
Mi svegliai tre giorni dopo in un letto di ospedale; tutto quel bianco intorno a me mi fece credere inizialmente di essere in paradiso, tra soffici nuvole candide. Non era così, decisamente no. Ero all’inferno.
 
Scoprii, dopo essere stata dimessa, in fondo avevo solo battuto la testa e un braccio rotto, che ero stata molto fortunata ad essere sopravvissuta all’incidente stradale. Elisa infatti aveva sbandato nella carreggiata opposta e avevamo avuto un scontro frontale con una macchina che conteneva un uomo. Il poveretto stava tornando a casa per festeggiare con la moglie e i tre figli piccoli il suo compleanno, ma era morto.
Ne rimasi traumatizzata. Può una scelta rovinare la vita ad una persona? Oh, si… decisamente!
Ero spaventata, il cuore batteva a mille. Volevo sapere come stavano le mie amiche, ma nessuno voleva dirmi nulla. Avevo paura, tantissima paura.
Tornai a casa e i miei genitori, che da tempo non mi trattavano più con modi così gentili e garbati, mi fecero sedere sul divano e mi diedero da ingoiare alcune pillole. Subito dopo mi sentii stranamente calma.
Mi raccontarono in un sol colpo quello che era accaduto: in seguito all’incidente Elisa non aveva subito alcun tipo di danno, ma dopo aver chiamato l’ambulanza fu prelevata dalla polizia che, trovatole addosso un alto tasso alcolico, la portò in centrale. La fecero dormire in prigione in attesa di un processo cui risultò colpevole. La sua pena durò molti anni, ma quando uscì di prigione i sensi di colpa le mangiarono l’anima al punto di farle commettere un gesto estremo: il suicidio. Non la riuscii a vedere dopo la scarcerazione e quando morì, anche una parte di me se ne andò con lei.
A Jasmine toccò una fine diversa: dopo aver battuto la testa contro il vetro della vettura entrò in un coma da cui non si risvegliò mai più. Nessuno dei suoi “amici” andò a trovarla in quel letto di ospedale dove era attaccata ad una macchina che la teneva in vita. Io la vidi dopo circa un anno dall’incidente. Mi si spezzò il cuore: sul viso aveva un’espressione dolorosa, come se stesse facendo un incubo che non aveva mai fine; venni a sapere dalla madre della francese, alcuni anni dopo, che avrebbe spento il respiratore artificiale. Voleva fare un ultimo regalo alla figlia che non aveva mai capito e far cessare la sua infinita sofferenza; quando l’incubo di Jasmine finì mi venne strappato un altro pezzo di anima.
Rebecca ebbe la morte meno dolorosa, forse. Morì sul colpo quel giorno, forse nello stesso istante di quel signore che compiva gli anni. Quando andai al suo funerale mi sentii per la prima volta della mia vita morta, ma non piansi: il dolore era troppo forte. Dio solo sa quanto mi mancò, e ancora mi manca, sorriso.
 
E io? Perché mi trovavo lì? Perché ero ancora viva? Per molti anni mi sono fatta questa domanda e ancora oggi, talvolta, cerco di trovare una risposta. Dopo essere rimasta sola desiderai morire, tornare con le mie amiche. Il fatto di non poterle raggiungere mi lacerava dentro. Stavo male.
Dopo molto tempo mi venne in mente il solito quesito.
Può una decisione, una svista, decidere il destino di qualcuno?
Secondo me il destino non esiste. Siamo noi che con le nostre scelte lo creiamo. Ed è per questo che sono qui, a narrarvi la storia che parla di me e di tre sventurate ragazze.
Ho scritto questo blog per avvertirvi: state attenti! La vita è una e non va sprecata. Fate attenzione perché non sempre ciò che volete e ciò che è giusto volere; a volte si fanno degli errori e ci si rialza, a volte non c’è rimedio ai propri sbagli, ma, comunque sia, non bisogna mai ripeterli due volte di fila. Pensate bene prima di agire, perché la vita non è un film: non si può stoppare e non si torna indietro.
La vita va avanti, inesorabilmente. 


Note dell'autrice:
Che dire di questa storia... E' nata per un progetto di religione e dobbiamo realizzarne  un cortometraggio.
Io ho una paura D: Devo interpretare a parte di Silvia e mi sa che riderò tutto il tempo! Altro che recitare scene tragiche!
Auguratemi buona fortuna! xD Se viene un qualcosa di decente potrei inserire il link YouTube del filmato, ma ne dubito, perciò non sperateci troppo! D:
Fatemi sapere cosa ne pensate con un commentino! Usando cinque minuti della vostra vita, potrete rendermi immensamente felice! -^^-
Spero che questo racconto vi abbia toccato almeno un pochino...
Un bacione.
Viò :)
  
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