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Autore: miss potter    07/03/2013    4 recensioni
E il tuo nome è stato scritto a matita
per poterti cancellare una volta finita
tra me e te sai
sei l’errore più bello della mia vita.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cigno Nero.

 







Non c’è tempo per le domande. Non c’è più voglia di risposte.
La tua la sai, e sai anche che ti basta. Ti basta anche ciò che vedi, e ciò che vorresti avere indietro insieme ai momenti più belli della tua vita.
Non si può, non puoi tornare e riavere tutto indietro, come se nulla e nessuno fosse caduto, come se testa e petto non si fossero spaccati all’unisono.


 

Il tuo cuore batte a tempo
ritmo nuovo mai sentito
e da quel poco che lo ascolto
è già il mio pezzo preferito

 

Stanza bianca, sempre la stessa da qualche notte a questa parte. Pavimento e letto di polvere fine e cotone bianco puro, un laghetto al centro, un’anima fuori e un’altra dentro.
Uccello, è lui. Uccello pieno di grazia e odio dalle ali spezzate e dal cuore ferito, lui. Tu.

Sbottona gli occhi scuri e opachi, gonfi d’illusione, verso di te, nudo e seduto sul cotone sporco di questa tua vita brulla dopo e fuori di lui.
L’acqua lo accompagna gelida, mentre nuota sinuoso e gracile, verso di te, e risale la riva, e ci prova, a non sanguinare rancore.
Bugia.

Ma è bugia, è ancora allucinazione quando le penne e gli artigli si fanno pelle d’avorio e unghie di confetto, è ancora illusione e rimorso quando scivola lento e si fa uomo, carne e ossa, pelle e respiro, accanto a te?

I cinque sensi, tutti assieme, ti esplodono nello stomaco quando ti sfiora col fiato e ti assale con gli occhi di latte e menta, schizzando sul suo viso d’argento e seta la tua cieca sincerità.

Quando sussurri il suo nome, quando gli sfiori le cosce nude e pallide e tremi, ringrazi quella bottiglia di rum.

“Sherlock?”


 

Labbra al gusto di fumo
mischiate col Pampero
rende la testa pesante
ma il cuore più leggero
e tu sei il cigno nero
stanco di seguire il branco
il cuore grande quanto il sole
ma freddo come il marmo


 

  Freddo, freddo e gelato. Bollente.
Calore improvviso e fiamma, voragine azzurra mentre schiude i petali di rosa che gli coprono le labbra e ti assaggia.
Tieni gli occhi aperti, aggrappati ai suoi, laggiù dove il blu e il verde s’accartocciano insieme e si buttano via, e lo assapori mentre lo sveli come mai hai fatto prima e come mai ti concederebbe di fare, perché lui, creatura e miraggio del tuo lago di sogno, non è reale.

È lingua, è fuoco grigio e lento mentre il sangue bolle, e mani lunghe e morbide come piume simili a quelle che ha incastrate tra i capelli, color ebano, dove si confondono con boccoli e pensieri spelacchiati.
Sei sudore e sangue, e umido e secco accarezzati e leccati via. Sei ciò che vuole che sia, siete quello che volete essere per voi. Ci siete come non siete stati mai l’uno per l’altro quando ce n’era il bisogno, quando tu ne avevi bisogno e non gliel’hai detto.

Siete odore, profumo, fragranza e spezie.
Siete colore, sfumatura e tinta unita, ombra e luce, energia accecata.
Siete gusto, sapore e odioso appetito, dolci come questa simulazione, bella e dannata menzogna che ti sta dipingendo sul palato e sull’anima.
Siete sussurro, parola e tuono.
Siete sfioramento e pressione, carezza e sfregio, sberla e ruvidi baci.

“John…” ansima, le labbra spalancate e fiorite sulle tue. Ma è troppo tardi, pensi, troppo presto ancora per le suppliche e il perdono.
Ti ha tolto tutto, il ragazzo. No, ora non c’è più posto, non c’è più nessun ragazzo e nessun soldato.


 

Io sono senza scrupoli
e tu sei senza carattere
togliamoci i vestiti
ma teniamoci le maschere
se mi fissi bene
non vedrai i miei occhi sbattere
chi sogna ad occhi aperti
perde l’uso delle palpebre


 

Pulsa, batte dentro. Il cuore si ferma ma il sangue continua a circolare, circola ovunque lui voglia e speri, e comunque vada, un po’ come la vita, una morta recidiva che boccheggia e zoppica su un bastone rotto e inutile, perché una volta correva e saltava e salvava da proiettili, persone e droga.

Sei suo, lui è tuo. È scritto nel DNA, ci credete? Perché delle stelle lui non si fida, come tu non pensi che tutta questa immensa stronzata sia solo la figlia orfana di elementi chimici che fanno l’amore.
E poi ti convinci che, forse, pensi troppo.

Chiedigli di trovare la forza di raccontarti una favola, la storia della vostra vita, mentre si stringe a te e riemergete dall’apnea.
Finirà bene? Di lupi cattivi ce ne sono stati, lo sapete entrambi. Nessun principe, però. Lui era il tuo, e il drago è arrivato prima.


 

La lacrima che brucia
il vento la consuma
il nero che mi sporca
tanto poi si lava
e tutto ciò che ho perso
io lo perdo ancora
mi tengo dentro il vuoto
che di te mi resta


 

“Non c’è più tempo, non…”
“Per una volta, taci.”
Panico e denti, ancora lacrime, e poi unghie e ancora dolore e muscoli tesi allo sforzo di rimanere a galla e di continuare a correre.

Non ci si ferma, non ci si ripensa, siete al limite. Una locomotiva impazzita lanciata su di un ponte di legno marcio con destinazione burrone.


 

Godiamoci il momento
perché prima o poi finisce
l’amore spesso prende
ma poi non restituisce


 

Poi, rosso e buio.
Che non si azzardi a chiudere gli occhi, dovessi mordergli anche le palpebre, perché quando è morto non si è certo fatto molti scrupoli nel tenerli sbarrati addosso a te e, no, così non vale. Non di nuovo e non così, non mentre incombe su di te più vivo della vita stessa, e il respiro gli si stropiccia in gola.

 “Stronzo bastardo.”
Non mi lasciare.
“Ti odio.”
Ti voglio con me.

È un ritmo, semplice da sostenere come le onde lo sono per il mare. Naturale e istintivo, primordiale.
E geme, il piccolo principe, invoca il tuo nome come se fossi la più sacra tra le sue divinità d’acido e gesso e, quando s’accascia sul tuo torace come una foglia alla fine della sua estate, lo maledici e bestemmi, mentre una pioggia d’argento sfregia il suo viso e sorride della vecchia volpe che è qui e che vi spia, bisbigliando alle vostre orecchie che l’amore, dopo tutto il resto, serve a questo.

La sua voce, vibrante e profonda, precipita giù dal tuo orecchio come cera bollente e si schianta nel cervello dove pianta il proprio seme, affilato e sterile come un bulbo di tulipano tra pneumatico e asfalto gelato.

Non è questo orgasmo smorzato, non è il millisecondo o il millennio che avete passato a toccarvi e urlarvi dentro, non sono questi suoni che ti riversa nella testa con l’arroganza e la possessione di sempre, e neanche la fretta o l’intreccio di dita, di muri di lunghe e umide ciglia e di respiri di cemento.

Sono il bianco e il nero.
È la piuma che torna a sostituirsi alle ciocche di vite matura e alle vertebre contratte, strappando e sorgendo dalla pelle bagnata insieme a labbra d’osso grigio e corti spilli al posto dei denti.
È la voce roca e piatta che uccide la melodia e la nota.
È lui, di nuovo animale nero e solitario, inasprito dal sentimento e dal tormento, tornato a giacere sul tuo petto vinto e liso dalla passione antica e umana che porta il suo nome, tornato a desiderare l’acqua dolce e insipida più della carne salata.


 

Io sto ancora aspettando il cuore
che gli ho dato in prestito
se la vita insegna
io sono un alunno pessimo
è come se facessimo una gara
è un inizio lungo
ma alla fine non è poi così lontana

 

Vomiti angoscia mentre piange lacrime di mercurio, sanguina ancora mentre gli artigli delle sue zampe palmate e viscide ti graffiano l’addome, e s’allontana.
Non è la prima volta che ti ferisce ma quando lo osservi, impotente come la prima volta che l’hai perso, strisciare sul tuo cotone marcito e sprofondare nell’acqua putrefatta, non c’è bisogno di parole, di gesti e sguardi perché capisci che è finita, per davvero questa volta, e che avete annientato il desiderio, la voglia e l’uomo negando l’amore e sposando l’abbandono.

Nella vita hai perso tutto e hai vinto in un sogno di palude.
Continua ad aspettare la bambolina.


 

E il tuo nome è stato scritto a matita
per poterti cancellare una volta finita
tra me e te sai
sei l’errore più bello della mia vita 








  

Note: le parti in corsivo sono strofe tratte dalla canzone del mitico Fedez, "Cigno nero", che mi ha ispirato titolo e storia.




Author's Corner:

Io chiedo perdono per la parte angstosa di me. Ma davvero. Altro che Dr. Jekyll e Mr. Hyde!
Va bene. Che dire di questo Sherlock mezzo volatile e di questo John, ubriaco di dolore, che lo sogna? Credo che sia il frutto di una giornata piovosa e del viaggio casa università in cui non si sa come passare il tempo tra bus e treno se non pensando a come torturare il fandom.
Avevo in mente di aggiungere nel finale uno spaccato in cui, di ritorno alla realtà, Lestrade e gli agenti trovano il corpo di John annegato in un lago in un parco di Londra, e un cigno bianco vicino che piange sangue. Ma poi ho pensato che forse avreste chiamato Mycroft per fare indagini sul mio conto per scoprire il mio indirizzo di casa e venirmi a trovare sguainando pugnali avvelenati...
Oh well, I'm mad.
Hugs,

miss potter

 

  
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