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Autore: Go_always_ahead    08/03/2013    0 recensioni
Elena, è una diciottenne con i suoi problemi e la sua tristezza. George è un immigrato inglese, un professore costretto a non seguire i suoi sogni e il suo talento.
La guerra in Iraq non ha niente a che fare con loro, ma una frase tutti e due condividono, una citazione di John Lennon.
"Fate l'amore, non fate la guerra."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Sara e Saverio erano seduti ad un bar, lei intenta a baciarlo con amore, lui a  far scendere la sua mano per la schiena della ragazza, e avere qualcosa di più di baci e carezze quella notte.
Luisa mandava messaggini, in una biblioteca, a sua madre con cui aveva un bellissimo rapporto e le voleva un gran bene.
Giovanni,  era con i suoi amici, a farsi una passeggiata, fieri della loro grande amicizia, inscenando falsi litigi per la strada.
Il sabato, a quell’ora la città era bella.  Erano tutti felici, tutti insieme, si amavano, si volevano bene, e si desideravano. L’odio lo lasciavano da parte, per il week-end , in quelle ore di pace e pausa da scuola e lavoro.
C’era chi, però lavorava anche sabato e domenica, e lì l’odio c’era o per il capo, o per la propria situazione economica che non permetteva loro, di rinunciare agli extra.
Ma c’erano anche le persone oziose.
Mal considerate dagli altri, che in una viva città ,oziavano in casa.
 
La sedia di una scarsa qualità di legno, cigolava sotto il peso della giovine.
Si chiamava Elena, la ragazza a cui apparteneva quel peso.
I piccoli occhi  da miope marroni, erano socchiusi a fessura.
Il suo corpo robusto, stava contorto, ora finalmente sola, fregandosene della sua scoliosi, e del male alla schiena che avrebbe provato fra qualche ora.
Era una neo- diciottenne, e la prima cosa che aveva fatto, dopo esser diventata maggiorenne, era stata di andare a vivere da sola.
E questo, a discapito del volere dei genitori, che desideravano, rimanesse ancora qualche mese, sotto l’ala familiare, per facilitare  il loro controllo su di lei ; almeno finchè non sarebbe andata all’università.
Stava ricurva sul tavolo, intenta a leggere un libro , poiché la luce del sole, che trapelava dalla tendina della finestra della cucina, andava diminuendo.
A quell’ora doveva essere a studiare, quell’anno aveva gli esami di maturità.
Ma la scuola non la interessava.
Le sembrava, costringesse un modo di pensare e di opinione.
Era forse una sua impressione, ma che i liceali ne fossero influenzati, era una certezza.
Non erano i vestiti, o le musiche commerciali che ascoltavano a infastidirla, perché non c’era niente di male se seguissero la moda; la faceva arrabbiare il fatto che, per esempio, in politica, avessero lo stesso pensiero, e spesso ingannati. Ma bastava che uno ci cascava, e la massa era pronta a seguire l’idea dell’individuo che sbagliava.
E da idea, e opinioni, si era tutto uniformato anche alle conversazioni.
Se eri una ragazza dovevi andare a finire a parlare di ceretta.
Se eri un ragazzo di calcio.
E di questo anche se eri una ragazza nata senza peli, o un ragazzo che odiava terribilmente il calcio, ma finiva a parlare delle tematiche imposte.
E tutto ciò non era uno scherzo.
Ma lei voleva essere libera, e fare l’artista di strada. Ma.. artista di che?
Nonostante il suo amore   per la musica e per il disegno faceva pena in entrambe le arti, con suo dispiacere.
Aveva fatto tutta la sua adolescenza a sognare, per distrarsi dai problemi, a quando avrebbe finito il liceo.
Avrebbe imparato la chitarra, avrebbe trovato un fidanzato, degli amici disposti a fare quell’esperienza con lei.
Sarebbe partita  in Inghilterra, in Spagna, in Francia, in qualsiasi posto!
Si sarebbe laureata in un accademia di teatro, nel frattempo sarebbe stata a girare con la chitarra nelle strade a suonare, cantare e raccattare un po’ di soldi… erano bei sogni.
Ma appena aveva preso la chitarra, non aveva avuto la pazienza di impararsi, almeno i rudimenti.
Non aveva trovato né fidanzato, né amici, che fuori la scuola prolungassero la conversazione dopo uno “ciao” annoiato.
Aveva avuto una amica, una volta, quand’era ragazzina.
Ma poi avevano scelto licei diversi, e la bella relazione era andata scemando.
Dietro quella ragazza c’era un odio. Un odio, spesso che sfiorava l’isterico, per se stessa.
Non era una bella ragazza, e non era simpatica. Era tutto ciò che non voleva essere.
Ma, dopo tutti questi anni di convivenza con se stessa, aveva finito, per far finta di non odiarsi più, e stabilire una tacita tregua.
Erano occhi, in cui si vedeva che prima una fiammella brillava,  ma poi era diventata cenere. Ed era diventata cenere presto, troppo presto spegnendo la fiammella di una giocosità bambinesca.
Squillò il telefono, facendo perdere la concentrazione che aveva, per capire nel suo libro giallo, chi era l’assassino.
Prese la cornetta, lievemente eccitata che qualcuna la cercasse.
-Pronto, Elly? Ma… scusa se ti disturbo, ma la versione di latino, l’hai finit…? – Riconobbe la voce, di una ragazzina, formosa della sua classe, con lunghi capelli biondi che era solita, ammaliare tutti i ragazzi alla visuale del suo didietro.
Ma merda, no. Elly? La prossima volta l’avrebbero chiamata  “tesoro” per l’esercizio di geometria?
Sapevano tutti, che Elena non studiava, ma era molto intelligente, e le poche volte che faceva i compiti era generosa (o ingenua) e li passava.
Ma c’erano momenti in  cui, come una vibrazione graduale, il nervosismo di accumulava, avendo scatti d’ira.
-Vaffanculo e vai al diavolo!-
No, non era una ragazza simpatica e ragionevole.
Prese un Bloch notes lì accanto, e lo scaraventò con furia a terra ringhiando.
Ed era questo, il non potersi confidare con nessuno, che la faceva impazzire e poi scoppiare come una pentola a pressione.
 Non era mai sincera con se stessa, ma ammise che voleva che quella telefonata era per chiedergli, non so, di passare un po’ di tempo insieme, per esempio. Non le sarebbe dispiaciuto se qualcuno, la potesse considerare una persona, un’amica o una fidanzata.
Allontanava le persone, con orgoglio,  ma pretendeva che queste la richiamassero, supplicandolo.
E inconsciamente e a suo dispetto ci sperava ancora.
Si calmò, placando la sua rabbia, e accorgendosi improvvisamente di non essere sola.
Eccola lì. Tornava spesso, la stronza.
Era la lei che si odiava. Quell’altra. Ed essendo lei stessa conosceva ogni suo punto debole, e riprese a ferirla come faceva da sempre.
Cercava di difendersi, di giustificarsi, ma l’altra doveva essere un bravo avvocato e l’accusava senza pietà.
Si mise a piangere, senza singhiozzi in un pianto muto.
Si distese sul divano, e maledisse il mondo e i suoi problemi.
Eppure era scappata proprio da questo.
Dai problemi.
Ma loro, la seguivano, dovunque andasse facendole pesare la vita.
Il sole, tramontò del tutto e si accorse meravigliata che era già sera inoltrata.
Saverio, stava per  ottenere ciò che voleva da Sara, e in quel momento si baciavano davanti al portone di lei impazienti di entrare.
Luisa era in treno, pronta a riabbracciare la sua cara mamma, forse l’unica persona , che il suo cuore ingenuo e ancora bambino, volesse veramente bene.
Giovanni si era andato ad ubriacare e a rimorchiare, coi suoi inseparabili amici, al solito pub; quello in cui passavano i migliori momenti della loro vita.
Mi fermo qui, per non elencare l’emozioni e la vita di tanti altri ragazzi suoi coetanei.
Il punto è che Elena era lì.
Che si pentiva della sua impazienza e della sua mancata forza di volontà.
Della sua reale paura, che il suo  orgoglio non voleva ammettere, di dare quella vera svolta alla vita,  che aveva sempre sognato, lasciando da parte la sua timidezza, ben nascosta dall’arroganza.
Si preparò una cena abbondante.
Tanto le sue belle forme, erano mimetizzate bene da larghi e anticonformisti vestiti, che nessun ragazzo mai, aveva osato alzare o sfiorare.
Un chilo più, o uno meno, non avrebbero fatto dispetto, a nessuna disciplina fisica, anche perché  non aveva più la voglia di fare corsi di teatro, che aveva considerato stancante ; era l’unica cosa che da ragazzina facesse,  per muovere, ogni tanto il suo corpo.
Eppure il teatro l’aveva amato davvero, era la sua via d’uscita, avrebbe voluto diventare un’attrice di teatro, ma aveva paura, e non aveva continuato.
Meglio non farlo, così sei sicura di non sbagliare.
Si apparecchiò la tavola, e mentre preparava, guardava il telegiornale.
E spesso, si sentiva stupidamente egoista.
Pensava ai suoi problemi, e al suo futile odio per se stessa mentre il mondo soffriva.
Diamine, tantissime persone al suo posto, avrebbero pianto dalla gioia.
Lasciò da parte, la ragazza che preferiva autocommiserarsi al posto di pensare razionalmente.
Poteva vedere scorrere le immagini della guerra.
E gli provocò un fitto dolore al cuore.
Poteva essere, una povera cretina depressa, ma amava la pace.
E se Sara, Saverio, Luisa e Giovanni avessero pensato a proclamare la pace, forse ci sarebbe un mondo migliore.
Se al posto di far la guerra, facessero l’amore le persone, si. Ci sarebbe davvero, un mondo migliore. 



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è la prima volta, che mi voglio cimentare in qualcosa di "serio" diciamo. 
Come un  libro, anche se forse non avrà la stessa qualità.
Ditemi cosa ne pensate di questo prologo :)
  
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