Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: Fallin    08/03/2013    1 recensioni
E gli vengono in mente tutte le notti in cui Cecilia dorme accanto a lui, i suoi occhi che vagano per la schiena nuda e lì, lì dove la spina dorsale è più evidente, addolcisce la curva, inasprendola dove immagina che dei fili lunghi e lisci, di un biondo scuro, incoccino i fianchi. Prende sua moglie e ci disegna sopra un profilo leggero, magro eppure rigido, scomposto e decisamente rumoroso. Chiara vive anche nei suoi sogni, persino quando non chiude gli occhi.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

L’arrivo dell’inverno le lascia sempre una strana sensazione addosso, che si trascina in quei lunghi e stanchi tre mesi fino a che la luce primaverile non comincia a diventare abbastanza pesante da attraversare le tende e svegliarla nelle metà mattinate domenicali.

Capisce dunque, quando un forte tuono la fa sobbalzare tra le lenzuola, che alla primavera purtroppo manca ancora tanto – troppo – tempo.

Chiara sposta una mano, le dita le si intrecciano subito tra i capelli biondi chilometrici e fastidiosi, scuriti dalla penombra della stanza. Si mette seduta con uno scatto, si allunga, raggiunge le coperte arrotolate al fondo del letto e le tira su, raddrizzando quella buffa diagonale che hanno formato lungo il materasso. 

Si volta alla sua destra e gli occhi nocciola incrociano una schiena scoperta. L’uomo accanto a lei grugnisce, infastidito dai suoi movimenti, rilassandosi poi quando una mano della ragazza raggiunge la sua spalla in quella che vuole essere una carezza, ma che finisce col limitarsi ad un contatto fermo. Rassicurante, quasi.

L’altro occupante del letto, Francesco, si volta verso Chiara, tenendo ostinatamente gli occhi chiusi, pur consapevole di avere i suoi addosso, in un debole tentativo di riprendere il sonno. 

E una carezza arriva davvero, alla fine, s’insinua tra i suoi capelli, sulle tempie, si sofferma sulle guance piene, riprende la sua corsa seguendo la linea del collo, poi dalla spalla alla clavicola e si arresta definitivamente sul torace, all’altezza del cuore, contandone fedelmente e con accuratezza i battiti. A Francesco sembra che Chiara stia accarezzando un cucciolo da compagnia, e che in realtà abbia la mente altrove. Si chiede cosa le passi per la testa, mentre inconsciamente le sue dita si fanno spazio tra i capelli di lei, un po’ ispidi dai continui trattamenti.

Le loro braccia, tese l’una verso l’altra, le espressioni ferme, i battiti che man mano vanno accelerando contribuiscono a creare una scena surreale e davvero poco verosimile, considerato il metro abbondante che li separa.  Quasi come se il toccarsi sia fondamentale quanto il tenersi a distanza. Una precauzione, forse semplice autodifesa.

Chiara chiude gli occhi e Francesco sembra sul punto di dire qualcosa, ma rimane lì, con la bocca aperta e un carosello nella testa. Poi gli arriva uno spunto.

<< Che ore sono? >> Le chiede. Lei riapre gli occhi, scrutandolo per un attimo. La vede alzare gli occhi verso un punto imprecisato della stanza e poi tornare su di lui.

<< Le sette meno un quarto >>

Francesco ne prende atto, comincia un calcolo mentale del tempo che impiega per rivestirsi, mangiare, passare a casa e cominciare il solito lavoro di ufficio.

<< Sto altri dieci minuti e poi vado. Per te va bene? >>

<< Come ti pare >> Chiara scivola rapida fuori dalle coperte, accompagna con un sospiro l’ultima frase.

<< Faccio il caffè. >> Continua, giustificandosi in risposta allo sguardo accusatorio dell’altro. << Te lo porto qui? >> Chiara si gira, una volta arrivata allo stipite della porta.

<< No, arrivo. >>

Il tempo di rivestirsi e Francesco l’ha raggiunta in cucina, dove la trova impegnata al telefono, che parla con una voce talmente sommessa da non sentirla neanche.

<< Sì, apro io oggi, stai pure a letto. >>

Gli passa una tazza fumante che Francesco si adopera per non rovesciare prima di poggiarla sul tavolo.

<< Ma no, tranquilla, sono già in piedi. >>

Le sfugge una risata, e la cosa sorprende non poco entrambi, specialmente Francesco, che rimane con la tazza a pochi centimetri dalle labbra.

<< D’accordo, ciao. >> Un suono elettronico simboleggia la fine della chiamata e la conseguente significativa pausa di silenzio.

La voce di Chiara scende di un tono, intanto che l’altro butta giù l’ultimo sorso di caffè.

<< Senti…>>

<< Vado. Non preoccuparti. Ho già dato abbastanza fastidio. >>

<< No, non è per quello. >> Un altro tono in meno e Francesco si volta verso di lei.

<< Cosa? >>

Con un gesto fin troppo intimo le prende una mano, intanto che lei scosta una ciocca dietro l’orecchio. La tira via di colpo, come se si fosse scottata col pentolino del latte – come fa sempre. – e se la poggia su un fianco, nervosa.

<< Niente. Vai, che fai tardi. >> Gli suggerisce.

<< Giusto. >> Ma nessuno dei due si muove.

<< Allora, ciao. >> C’è un breve scambio di sguardi, qualche parola non detta e Francesco si avvia giù per le scale, saltando due gradini alla volta, fino alla Renault parcheggiata davanti l’edificio. La raggiunge e si volta verso le finestre del suo appartamento, aspettandosi di trovare lo sguardo nocciola di Chiara a controllarlo. Ma così non è.

 

Sono passati dieci minuti quando il campanello suona e Francesco è di nuovo di fronte a lei.

È di spalle, poi si gira e Chiara nota due scure occhiaie che poco prima, distratta dalla telefonata, non ha notato. È un po’ ingobbito su se stesso, la testa inclinata e gli occhi lucidi per il sonno perso.

<< Ho dimenticato le chiavi di casa. >>

Dopo una breve pausa in cui Chiara si sforza si assimilare quello che ha sentito, lentamente, comincia ad annuire. La luce dell’appartamento illumina la penombra del pianerottolo e Francesco prova una sensazione strana mentre la ragazza gli fa strada contro luce. Un’ aureola giallognola le fa i capelli bianchi.

Francesco si ferma al centro del soggiorno  intanto che l’altra sparisce e riappare dalla camera da letto, sventolando le chiavi.

<< Ecco. >>

<< Grazie. >>

<< Figurati. >>

Silenzio.

<< Vado. >>

<< D’accordo. >>

 

-

 

Quella sera, Francesco rincasa più tardi del solito, spinto dal noioso traffico del rientro dal lavoro, ha allungato il percorso con aria annoiata.  Ritarda di proposito, ma Cecilia lo accoglie come sempre, come una brava moglie sa fare, con un caldo sorriso di quelli che se ne trovano in pochi.

Ha un grembiule schizzato di sugo e i capelli raccolti con una pinza, l’acqua bolle nella pentola. Gli vengono in mente i pentolini rovinati sui fornelli di Chiara, che ha incrociato con lo sguardo nella stessa mattina, ma è un momento che gli scivola subito addosso.

Passa dal bagno prima di sedersi a tavola, non deve solo lavarsi le mani, ha un impellente bisogno di quattro mura e una porta da chiudersi alle spalle.

È sera, la tapparella è abbassata e non ha acceso la luce. È immerso nel buio, adesso. Allunga una mano e gira il rubinetto, giusto per coprire il silenzio e i suoi respiri rumorosi.  Probabilmente l’idea è quella di riflettere in santa pace, ma guardandosi bene intorno, effettivamente non c’è proprio nulla su cui riflettere.

C’è il lavoro, ci sono gli amici e poi Cecilia. Non si ricorda bene che tonalità di verde hanno i suoi occhi di preciso, se più tendenti al grigio o al castano.

Quelli di Chiara sono marroni, invece, un po’ più scuri verso la pupilla e sul contorno, con qualche venatura più chiara, come il legno. Chiara.

C’è il lavoro, ci sono gli amici, Cecilia e poi c’è Chiara, separata da tutto dietro una cornice a righe.

Lui sta al centro, un piede da una parte, uno dall’altra, e ogni tanto pende verso destra o sinistra. Ultimamente oscilla, veramente, perché non può stare contemporaneamente da tutte e due le parti.  Deve scegliere.

Se toglie quelli a destra, gli rimane Chiara, ma non è sicuro.

Ma se toglie Chiara, non rimane nulla.

<< Fra, che stai facendo? >>

Cecilia non aspetta nemmeno la risposta, entra.

<< Che fai al buio? >>

Già, è buio. Non riesce a vederle bene gli occhi.

Gli occhi, gli occhi. Di che colore sono gli occhi di Cecilia?

<< Stavo uscendo. >>

<< È pronto. >>

<< Mi tolgo le scarpe e arrivo. >>

Entrato in cucina, la moglie è di spalle, non riesce a vederla in faccia.

<< Ci vuoi il parmigiano? >> Gli chiede lei, La voce si alza adorabilmente di un tono mentre si allunga per prendere la busta dal freezer.

<< No. >>

Francesco prende posto a tavola, smanettando per tirarsi su le maniche della camicia e Cecilia va e viene, prende le ultime cose dai cassetti.

Quando finalmente la vede sedersi, i capelli forzati dalla piastra si sono arricciati, forse per l’umidità quando è uscita sul balcone.

Per un po’ si sentono soltanto le posate tintinnare e la forchetta che stride sul fondo del piatto, racimolando gli spaghetti.

<< Domani hai il giorno libero? >> Gli chiede lei.

<< Domani è sabato, sì. >>

Francesco reputa che la conversazione possa anche finire lì, e tace. Cecilia non è dello stesso avviso.

<< Potremmo andare al Valentino, sul fiume. Oppure su, con la Superga*. >>

Il marito si ferma per un attimo e la guarda, dritta negli occhi. Sono più tendenti al verde bosco, una gradazione che vagamente ricorda. Storce la bocca.

Il Valentino è sempre affollato e sicuramente vorrà andare sul fiume con i battelli. Morirà di stress in mezzo a tutto quel caos che c’è sempre.

E gli vengono in mente tutte le notti in cui Cecilia dorme accanto a lui, i suoi occhi che vagano per la schiena nuda e lì, lì dove la spina dorsale è più evidente, addolcisce la curva, inasprendola dove immagina che dei fili lunghi e lisci, di un biondo scuro, incoccino i fianchi. Prende sua moglie e ci disegna sopra un profilo leggero, magro eppure rigido, scomposto e decisamente rumoroso. Chiara vive anche nei suoi sogni, persino quando non chiude gli occhi.

Ma quelli di Cecilia sono verdi, e lui finalmente è tranquillo.

<< Andiamo su con la Superga. >> le risponde, e lei gli sorride.

Cecilia si rituffa sulla pasta con aria soddisfatta.

Francesco posa la forchetta e si perde a rimirarla.

Nessuno dice più una parola.

 

 

 

 

 

 

 

*Riferimenti al Parco del Valentino e il treno della Superga, entrambi a Torino. Probabilmente c’è qualche errore, perché ho vaghi ricordi di Torino, ma mi ostino ad ambientare tutto lì, perché è una città meravigliosa che mi è rimasta nel cuore.

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Fallin