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Autore: _fafyste_    09/03/2013    1 recensioni
La guerra, finita. Tanti morti, tra cui Ninfadora.
Remus si ritroverà a dover crescere il figlio da solo, finché non incontrerà qualcuno disposto ad aiutarlo.
[Remus/Hermione]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Remus Lupin, Teddy Lupin
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Hermione/Remus'
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J.K.Rowling; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.






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La ragazza perse l'equilibrio. Tutti quei morti. Tutte quelle anime perse. Per cosa? Avevano forse vinto?
 
Certo, Voldemort era stato sconfitto, i Mangiamorte arrestati, ma non era abbastanza per poter lenire le loro ferite.
 
Troppe vittime indifese, enormi numeri di famiglie rimaste distrutte, infiniti cuori infranti.
 
Molte persone avevano perso dei cari, qualunque ruolo avessero nelle loro vite.
 
E lei, Hermione, vedeva. Vedeva i corpi inermi di Fred, Severus, Ninfadora, Lavanda e Colin, insieme a quelli di altri centinaia di studenti.
 
Aveva incastonate in testa le urla di tutta Hogwarts.
 
I suoi primi pensieri furono proprio George e Remus, che erano stati sottratti della propria metà.
 
Remus, che si era ritrovato solo con un figlio da crescere così, all'improvviso.
 
Una grande voragine si aprì nel suo petto alla vista di quell'atroce scena: il suo ex-professore di difesa contro le arti oscure piangeva, urlava, ululava, disteso a peso morto sul corpo della sua ormai defunta moglie.
 
Gridava e invocava il suo nome, come se si aspettasse che potesse aprire gli occhi e sorridergli amorevolmente, come faceva di solito.
 
Stava annegando tra le sue stesse lacrime, che sommandosi l'una all'altra creavano un oceano fatto di disperazione e collera.
 
Chiedeva perché, come se avesse potuto ricevere una risposta.
 
Non ce la faceva a tenere lo sguardo fisso su di loro e starsene ferma, così mosse un passo in avanti, tentando di avvicinarsi.
 
Uno. E la paura di essere rifiutata saliva.
Due. Un gran senso di nausea.
Tre. Il cuore in gola.
Quattro. Ormai non riusciva più a contare le sue lacrime.
Cinque. Una mano delicata poggiata sulla spalla tremante dell'uomo.
 
Non si girò, non le concesse nessuno sguardo, ma almeno si calmò. Aveva masso fine alle urla.
 
La ragazza si chinò su di lui e si inginocchiò al suo fianco.
 
Finalmente si guardarono, i loro occhi si incontravano.
 
Lui sapeva, aveva conosciuto la bontà e la dolcezza che risiedevano nel cuore della sua ex-alunna. Poteva fidarsi.
 
E lo fece.
 
Afferrò la mano di Hermione e se la premette sulla guancia, come se stesse cercando di aggrapparsi a lei per non  cadere nelle profondità del dolore.
 
La fanciulla rimase dapprima basita, poi, quando si rese conto del gesto dell'uomo, si tuffò su di lui e lo strinse in un caloroso abbraccio.
 
Si cinsero spalle e vita in una morsa che sapeva di amore, pace e calore.
 
Lacrime cadevano nel suolo, consumandosi insieme alla frustazione e alle pene, che si scioglievano, come se non avessero aspettato altro, come se quello fosse stato il momento in cui morivano, in cui capivano che il loro momento di brillare e scivolare su delicate o ruvide pelli era terminato.
 
ooOoo
 
-Hermione?- Ginevra richiese la sua attenzione. La castana si voltò verso l'amica e si sforzò di sorriderle, seppur apparentemente -Passi l'estate con noi alla Tana?- Le propose sperando ardentemente ad una risposta affermativa.
 
Sapeva che i suoi tre migliori amici e la sua seconda famiglia avevano bisogno di lei, ma era anche al corrente che potevano darsi la forza da soli, tra di loro. E sicuramente c'era un uomo molto più bisognoso di affetto, aiuto e compagnia, e lei voleva dedicarsi completamente a lui e al suo figlioletto, che non avrebbe mai conosciuto la propria madre.
 
Abbassò lo sguardo e si osservò, seppur non vedendole realmente, le punte delle sue scarpe, notando i numerosi graffi che vi erano apparsi dopo tutto il lavoro svolto per mettere Hogwarts nelle stesse condizioni in cui era stata prima di quell'orribile guerra.
 
Mancava poco, e poi sarebbero potuti ritornare alle solite vite, anche se con numerose persone in meno.
 
-No- Pronunciò quella negazione scuotendo la testa, mortificata -Mi dispiace Ginny, ma anche se io amo voi tutti e la vostra casa non potrò passare con voi questi mesi di riposo. So che soffrite tutti, ma c'è qualcuno che sta peggio ed è solo, mentre voi siete in tanti. Non posso permettermi di lasciarlo in certe condizioni; io lo aiuterò e farò quel che posso. Ti ringrazio infinitamente per la tua proposta, perché mi fa capire di essere amata e desiderata, ma devo rifiutare. Perdonami-
 
Dette quelle tristi e lascive parole si lasciò sfuggire una lenta e solitaria lacrima, che come una delicata carezza le percorse la guancia sinistra fino ad appoggiarsi sul mento e scivolare librandosi nel vento.
 
Si girò lentamente e si incamminò, lasciandosi alle spalle l'amica molto sorpresa e ferita, cominciando a far scendere le lacrime che aveva cercato di trattenere.
 
Non sapeva dove stesse andando, si faceva seguire dal proprio istinto, non osservando minimamente la direzione in cui si recava.
 
Arrivò al limitare di un bosco, senza smaterializzarsi, semplicemente a piedi.
 
Cominciò a osservare tutti i tipi di piante e alberi, cercando di rammentare a quali tipi e specie appartenessero.
 
Si sfilò le scarpe per poter percepire sotto i piedi la morbidezza del prato verde smeraldo e dei fiori colorati.
 
Non aveva mai visto ne sentito parlare di quel luogo, o forse era stato creato recentemente, visto che aveva tutta l'aria di un immenso giardino.
 
Avvistò un'altalena da lontano, e vi si incamminò.
Quando fu abbastanza vicina si bloccò e la ammirò, ricordando i bei momenti della sua infanzia e adolescenza.
 
Le passò tutta la vita davanti agli occhi: dai primi anni di vita, a quando a soli cinque anni leggeva libri per adulti, agli sguardi spaventati che le rivolgevano gli altri bambini, alla sua rabbia incontrollata che le faceva muovere oggetti senza toccarli o ai fuochi che si accendevano, alla lettera di Hogwarts, a Diagon Alley quando comprò i suoi libri e la bacchetta, al primo anno in una scuola di maghi, a Harry, Ron e tutti i Weasley. Alla guerra...
 
Quanto le sarebbe piaciuto avere una vita più normale, senza eccessive sofferenze e pene. Ma poi pensava. Pensava al fatto che c'era gente che stava peggio di lei e che si sarebbe dovuta sentire fortunata per quel poco che aveva. Pensava alla gente morta e a cui erano stati portati via tutti i sogni di vita lunga e spesa nel migliore dei modi.
 
Aveva smesso di piangere, ricordandosi del perché aveva declinato l'invito della sua amica.
 
C'era un uomo che aveva bisogno di un aiuto, e lei gli avrebbe dato il suo.
 
-Hermione?- Una voce la distolse di colpo da suoi pensieri, come se la avesse ripescata dai meandri della sua grande ed espansiva mente, che piano piano aveva preso le sembianze di un immenso oceano.
 
Non riconobbe quella nota di malinconia e amarezza, quindi preferì voltarsi. Rimase sconvolta quando incontrò un grande paio di occhi blu come un mare immenso, con striature celesti e grigie.
 
Sapeva bene a chi appartenevano.
 
-Remus?- Chiese timorosa, come se stesse sognando o si fosse immaginata tutto. Sarebbe stato più che normale, dato che ormai lui e il figlio occupavano quasi completamente i suoi pensieri.
 
-Come mai sei venuta qui?- Chiese lui, ma vedendola in difficoltà preferì continuare -Come hai scoperto questo posto?- Domandò. Aveva cambiato sguardo: Non emanava più gioia da quei grandi occhi.
 
-Non lo so. Qualcosa mi ci ha guidato- Rispose lei osservando ogni gesto che le potesse far capire di aver sbagliato i suoi ragionamenti. L'espressione interrogativa di lui le fece capire che era confuso. -Ma devo ancora capire cosa-
 
Remus notò i piedi scalzi di lei e si allarmò -Dove sono le tue scarpe?- Chiese preoccupato per l'eventualità in cui avessero aggredito Hermione. Lei alzò le spalle e lasciò correre -Avrai sicuramente freddo. L'estate sta finendo. Ti va del the?-
 
Non aveva mai fatto entrare nessuno in casa sua, ma con lei era tutto diverso. Non si spiegava bene cosa lo attraesse, ma la trovava una meraviglia di donna. Eh già, perché ormai non c'era traccia della ragazzina che aveva conosciuto al suo terzo anno.
 
Era cresciuta e lo aveva fatto forse troppo presto, viste le occhiaie che vi erano sotto quei vividi occhi color dell'oro; quegli stessi occhi che lo avevano colpito come una fitta al cuore.
 
Quando era appena un ragazzo desiderava una compagna bella, intelligente, premurosa e altruista. Pensandoci meglio sembrava di starla descrivendo, ma in quel momento non ci diede peso.
 
Lei annuì più sollevata e tranquilla.
 
Amava la forza del suo vecchio professore. Nonostante avesse avuto fin da bambino una vita complessa e traumatica era sempre riuscito a vedere gli aspetti positivi in ogni cosa.
 
Amava il suo prendersi cura degli altri senza aspettarsi nulla in cambio. Lo aveva stimato sin da subito e in brevissimo tempo era divenuto il suo insegnante preferito.
 
Desiderava provare a rispecchiarlo e ad imitarlo, cercando di agire come lui le aveva insegnato senza neanche accorgersene.
 
Passati diversi anni ad osservarlo aveva capito che dopo qualunque dispersione lui si sarebbe sollevato, da solo. Ma lei avrebbe scritto il punto a tutte quelle faccende aiutandolo per la prima volta e tenendogli compagnia.
 
Lui le afferrò una mano, il che gli provocò un brivido nella schiena e che fece fare un grosso salto nel cuore di lei e si smaterializzarono davanti ad una piccola ma accogliente casetta. La guidò nella cucina dai gusti rustici e completamente di legno e la fece accomodare su una sedia. Agitando la bacchetta fece sollevare il bollitore, vi ci versò dell'acqua e lo appoggiò su un fornello rovente.
 
Tra loro regnava un gran silenzio, ma non imbarazzante, tutt'altro pieno di comprensioni e chiarimenti. Il tutto venne interrotto dal pianto di un bambino. L'uomo fece per alzarsi, ma lei poggiò la propria e piccola mano in quella grande e ruvida di lui.
 
Si avviò nella direzione da cui arrivavano i lamenti e aprì delicatamente una porta. Entrò e vide il piccolo Lupin con i pugnetti chiusi e sollevati e delle piccole lacrime scese sulle guance. Lo prese in braccio e lo fece accucciare sul proprio seno, dove Teddy si accoccolò e riprese a dormire avendo trovato della pace e del calore materno che aveva saggiato solo in un breve tempo della sua vita.
 
Un paio di occhi blu li osservarono rapiti, mentre il corpo ondeggiante di lei si sedeva su una poltroncina che di solito occupava lui per osservare il figlio dormire.
 
ooOoo
 
Nel grande e floreo giardino regnava un amore intenso. Teddy aveva appena trovato una margherita più grande di molte altre e correva tenendola stretta a se cercando di non sciuparla. Canticchiava e aveva i bei capelli liberi nel vento e di un caldo color rosa.
 
-Mamma!- Urlò avvicinandosi alla giovane donna seduta su una panca intenta a bere del the e a leggere un libro. Lei si girò, chiuse la raccolta di poesie e spalancò le braccia, dove il piccolo si gettò molto compostamente, per non gravare alla sua mamma.
 
-Si, piccolino?- Gli posò un leggero bacio sulla piccola punta del naso.
 
-Ho trovato questa e penso che sia un regalo molto bello- Le cantilenò il bambino -anche se non ha paragone con te- Aggiunse poi. Amava quando lui le faceva dei complimenti, la faceva sentire bene e ancora più amata di quanto già non fosse.
 
-Oh, grazie tesoro mio- Lo abbracciò nuovamente. Raccolse il bel fiore che lui le porgeva e ne odorò il profumo dolce e soave.
 
Nel mentre un uomo alto si era avvicinato, per poi sedersi al loro fianco e stendere un braccio dietro la schiena ricoperta da un candido vestito bianco della donna.
 
-Aspettate un attimo...- Sussurrò chinandosi sulla margherita. Puntò il mignolo su un petalo e vi ci fece salire un piccolo insettino dai colori rosso e nero.
 
-Ma è una coccinella!- Esclamò il bimbetto sorridendo e mostrando due tenere fossette ai margini delle labbra.
 
I genitori gli sorrisero.
 
-Io sono già tanto fortunato ad avervi con me, siete tutto ciò di cui ho bisogno- Disse Remus al figlio e alla moglie, chinandosi su di lei e baciandole prima le labbra e poi la sporgente pancia, dove stava crescendo piano piano il loro primogenito.

   
 
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