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Autore: Z1m    09/03/2013    2 recensioni
Per Sebastian era routine: la serratura che scattava con il consueto rumore metallico, la porta che cigola com’era suo solito fare, entrare ed allungare la mano verso destra per accendere la luce e… ridefinire la sua posizione riguardo alla teologia.
Perché Sebastian non era credente. Proprio no.
Tuttavia c’era da riconoscere che nei suoi momenti più bui, durante quegli ultimi tre anni, aveva sì pregato per un miracolo. Forse doveva ricredersi sul suo ateismo, perché sembrava che Dio, Buddha o qualsivoglia entità sovrannaturale lo avesse ascoltato sul serio.
Il suo “miracolo” lo stava fissando, sorridendo, seduto comodamente sul suo divano...
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim, Moriarty, John, Watson, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran, Sherlock, Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Angolo di Zim*
Ciao a tutti!!!!!! Questa ff è nata da una discussione tra me e  May Des, in cui ci domandavamo cosa avremmo fatto al posto di John e Sebastian al ritorno dei rispettivi consulenti. Siamo arrivate alla conclusione che… ma se ve lo dico ora che gusto c’è? Leggete e lo saprete!
Questa è la mia prima ff che scrivo su questa serie, spero davvero che vi piaccia! E’ stata una sfida cimentarmi con personaggi mai affrontati  e così complessi come sono loro, incrocio le dita che ci somiglino almeno un pochino. Consigli e critiche son ben accetti, non mordo… non forte almeno ;)
Uno stra-mega grazie a  May Des per le dritte e l’aiuto!!!


Il miracolo seduto sul divano

Per Sebastian Moran quello era un giorno da dimenticare.
Non solo dimenticare, voleva disperatamente rimuoverlo dal suo cervello come fosse un cancro.
Aveva dormito fino ad un’ora indecente, passando il resto della giornata a bere da un bar all’altro, tuttavia non gli sarebbe bastato l’alcool di tutta l’Inghilterra per impedire ai ricordi di riaffiorare. Jim sul tetto. Jim che punta la pistola. Jim col cervello sparso su quel fottuto tetto.
Gli anniversari non sono sempre belli. Ce ne sono alcuni che fanno decisamente male.
Era stanco, stanco di tutto: di bere, di Jim, di star male, di stare ancora male per Jim. Ora voleva solo andare a casa. No, non a casa, perché lì non ci sarebbe più tornato. Perché casa è dove viveva prima. Con lui. S’incamminò verso il suo appartamento in affitto.
A malapena si reggeva in piedi, eppure i suoi fantasmi non sparivano, anzi, sembravano seguirlo con ancor più accanimento. Jim sul tetto. Jim che punta la pistola. Jim col cervello sparso su quel fottuto tetto.
Si alzò un vento leggero ma pungente che fece rabbrividire Sebastian nonostante il giubbotto di pelle. Con suo sommo disappunto, iniziava anche a riprendere lucidità, la serata si preannunciava bene. Sospirò, massaggiandosi le tempie doloranti con la mano sinistra. Jim sul tetto. Jim che punta la pistola. Jim col cervello sparso su quel fottuto tetto.
“Cazzo…” sussurrò esausto. Tentare il coma etilico non aveva funzionato, forse solo una bella pastiglia calibro quarantacinque piantata nel cranio poteva aiutarlo. In fin dei conti con Jim aveva funzionato no?
Si appoggiò ad un muro, boccheggiando in preda alla nausea. Forse aveva davvero bevuto troppo. Accese una sigaretta per calmarsi. Iniziò a pensare all’unica persona che poteva capire cosa stesse passando: John Watson. Chissà se anche lui si era bevuto l’anima quella sera o se invece stava contemplando il vuoto della canna di una pistola.
John Watson suo amico. Ancora gli suonava strano, rifletté mentre espirava pigramente il fumo, le spalle contro la parete fredda. Pensare che all’inizio voleva ucciderlo, un modo come un altro per superare il lutto. Ci sono persone che partono per una vacanza, altre che invece decidono di uccidere il compagno dell’arcinemico del proprio amante. Ma alla fine quei due stavano davvero insieme? Pensò distrattamente Sebastian. Forse un giorno l’avrebbe domandato direttamente a John. Sì, a John, il suo nuovo amico di bevute.
Strana la vita. Un attimo prima gli punti la pistola alla nuca e l’attimo dopo vi trovate seduti in poltrona a bere birra, condividendo i dettagli più intimi e dolorosi delle vostre anime.
Non era certo un’amicizia facile da mantenere, non con gli uomini di Mycroft Holmes sempre alle calcagna del dottore, ma non impossibile. Nessuno dei due era mai mancato all’appuntamento, il secondo sabato del mese alle ventidue, in quell’anonimo bar alla periferia di Londra. Per Sebastian era decisamente rischioso, le persone che seguivano John stavano braccando lui, ma non gli importava e fino ad ora non era mai stato scoperto. Forse persino quei paranoici di governativi trovavano assurda l’idea che John Watson andasse a farsi spontaneamente un goccetto con quello che, in sostanza, doveva essere il suo potenziale carnefice. Sebastian fece un sorriso storto.
Cosa facevano di male alla fine? Due relitti umani che affogavano la loro disperazione, bevendo e raccontandosi aneddoti sui loro defunti compagni, alcuni divertenti altri devastanti. Un modo per farli ritornare in vita, anche se solo per una notte. Alle prime luci dell’alba pagavano il conto e poi ognuno per la sua strada, almeno fino al mese successivo.
Gettò via il mozzicone e riprese a camminare.

***


Per Sebastian era routine: la serratura che scattava con il consueto rumore metallico, la porta che cigola com’era suo solito fare, entrare ed allungare la mano verso destra per accendere la luce e… ridefinire la sua posizione riguardo alla teologia.
Perché Sebastian non era credente. Proprio no.
Tuttavia c’era da riconoscere che nei suoi momenti più bui, durante quegli ultimi tre anni, aveva sì pregato per un miracolo. Forse doveva ricredersi sul suo ateismo, perché sembrava che Dio, Buddha o qualsivoglia entità sovrannaturale lo avesse ascoltato sul serio.
Il suo “miracolo” lo stava fissando, sorridendo, seduto comodamente sul suo divano.
Sebastian si era come impietrito sulla soglia, con le chiavi in mano e la porta ancora aperta alle sue spalle. Il suo cervello che ripeteva come un mantra: Jim sul tetto. Jim che punta la pistola. Jim col cervello sparso su quel fottuto tetto.
Una risata fece sussultare il cecchino.
“Non sembri contento di rivedermi, mi aspettavo ben altra reazione” cantilenò Jim, mettendo il broncio.
Sebastian comprese d’essere definitivamente impazzito. O forse era davvero morto per coma etilico in qualche squallido vicolo…
Nella sua vita, poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui lui, Sebastian Moran, non aveva la più pallida idea di cosa fare. Non era il genere di persona che si paralizzava, era un soldato, abituato a reagire, a combattere… ma l’unica cosa che riusciva a fare ora, a malapena, era respirare. Fu Jim a prendere l’iniziativa. Si alzò sbuffando, contrariato, avvicinandosi a lui in poche falcate. Gli afferrò bruscamente il bavero del giaccone, costringendolo ad abbassarsi verso di lui per poterlo baciare. Fu quasi dolce all’inizio, con Jim che gli sfiorava delicatamente le labbra cercando di fargliele aprire, ma finì con un morso al suo labbro inferiore, per ripicca, visto che il cecchino non sembrava voler collaborare.
Il sapore del sangue, del suo sangue, risvegliò Sebastian. Afferrò Jim per le braccia e lo staccò da sé, tenendolo bloccato. Era strano vederlo con indosso jeans e una felpa con cappuccio. Senza i suoi soliti completi sembrava ancora di più un ragazzino, specie quando faceva quell’espressione impertinente mentre si leccava le ultime tracce di sangue dalle labbra… e lì Sebastian capì: non era un’allucinazione. Le fantasie ed i fantasmi non sono così caldi sotto le dita.
Jim sul tetto. Jim che punta la pistola. Jim col cervello sparso su quel fottuto tetto… solo menzogne!!!
“Seb…” sussurrò con voce roca “ora che hai capito che non sono frutto della tua immaginazione, hai intenzione di fare qualcosa o vuoi farci mettere radici?” lo canzonò, sorridendogli sfrontato.
“Jim...” quasi un sospiro e lo lasciò andare. L’altro, una volta libero, si massaggiò le braccia doloranti per la stretta.
“Sei sempre il solito bruto, domani avrò dei lividi” sospirando teatralmente. Alzò lo sguardo per incontrare gli occhi verdi di Sebastian, che lo stava scrutando in modo strano, imperscrutabile, ancora immobile sulla soglia. “Andiamo tigre! Perché non… ah!” non terminò la frase, Moran gli assestò uno schiaffo violento che lo fece finire col sedere per terra.
Sebastian se ne andò sbattendo la porta, lasciandosi alle spalle il suo “miracolo”.

***


“Quel gran figlio di puttana!! È vivo cazzo… È VIVO!!!” digrignò a denti stretti, furioso come non si sentiva da anni. Aveva bisogno di allontanarsi, mettere più strada possibile tra lui e la sua voglia di tornare dal “miracolo” per sparargli un colpo in piena fronte… stavolta vero però.
Aveva bisogno di bere. Aveva disperatamente bisogno di bere.

John Watson se ne stava seduto al buio, assorto, una sigaretta tra le labbra tese[1]. Doveva pensare, per questo aveva scelto il parco, a quell’ora era deserto e nessuno l’avrebbe disturbato. O almeno era quello che aveva creduto all’inizio. Trasalì quando la suoneria del suo telefonino ruppe il silenzio. Osservò il numero, che oramai conosceva bene, lampeggiare sulla schermata. Rispondere o no? Quella sera aveva fin troppe cose per la testa, non aveva bisogno di altri problemi… proprio no. Esitò qualche istante, ma alla fine cedette.
“Che c’è?” rispondendo in tono non propriamente educato, aspirando rabbiosamente il fumo. “Non è proprio serata.”
“Allora siamo in due” replicò Sebastian senza scomporsi. “Ho bisogno di parlarti, tra mezz’ora al solito posto?”
John sospirò. In fondo quella proposta non gli dispiaceva, sentiva il bisogno di distrarsi.
“John?”
“Arrivo” decise, calpestando ciò che rimaneva della sigaretta.

***


“Dimmi che stai scherzando” mormorò basso John, minaccioso. “Anzi no, dimmi che non stai scherzando, perché se no ti giuro, quant’è vero Iddio, che ti ammazzo!”
Sebastian rise, anche se era una risata un po’ forzata, ma era la prima dall’inizio di quella giornata malefica. Passò l’accendino a John che si accese un’altra sigaretta.
“Stai iniziando a fumare più di me dottore.”
L’altro si limitò ad una scrollata di spalle. “Sai com’è… a stare con le cattive compagnie” restituendogli un sorriso storto. “Stai glissando.”
Il cecchino scosse la testa, appoggiandosi con le spalle allo schienale della sedia. “Non ti sto prendendo per il culo, ti ho detto la verità” tornando serio. “Comunque potrei fare a te la stessa domanda.”
John sospirò per l’ennesima volta, oramai aveva perso il conto.
“Non sto mentendo neanch’io, stasera sono rientrato a casa ed ho trovato Sherlock ad aspettarmi… vivo!” digrignò i denti dalla rabbia. “L’unica alternativa è che siamo entrambi impazziti e che in realtà abbiamo avuto solo delle allucinazioni” continuò poco convinto. Fece un gesto al cameriere che portò loro un’altra bottiglia di rum.
“Per essere allucinazioni sono molto corporee” commentò Sebastian, “la mia mano ha sentito bene la sua faccia.”
“Anche il mio pugno ha decisamente sentito il suo naso. Sei stato più delicato di me, non l’avrei mai detto.” Ridere venne spontaneo ad entrambi. La prima vera e propria risata da quando si erano trovati.
Svuotarono i bicchieri e li riempirono ancora ed ancora. Si sentivano felici come non lo erano tra tre anni, sollevati da quel peso che gravava su di loro impedendogli di respirare. Ma allo stesso tempo c’era anche una nuova sensazione, la consapevolezza d’essere stati ingannati… raggirati, gabbati, frodati, abbindolati per tre lunghi anni!!! Anni in cui li avevano pianti credendoli morti! Tutto per un loro stupido gioco!
“Tre anni…” disse John, gli occhi fissi sul bicchiere vuoto. “E torna come se nulla fosse il bastardo.”
“Non me lo ricordare” mormorò cupo il cecchino, coprendosi il volto con le mani.
“Sono due fottutissimi sadici” continuò John, ignorandolo. “Potevano ritornare, che ne so, il mese scorso, ma loro no… ricomparire durante l’anniversario della loro finta morte è così dannatamente…”
“Teatrale?” Sebastian terminò la frase per lui. Afferrò la bottiglia, facendo una smorfia di disappunto trovandola vuota. Fu in quel momento che si guardarono negli occhi, consapevoli di star pensando alla stessa cosa.
“Come gliela facciamo pagare?” il dottore diede voce al loro pensiero comune.
Un sorriso feroce comparve sul volto di Sebastian. “Non è ovvio? Occhio per occhio, mio caro John. Occhio. Per. Occhio.”
Un’espressione simile comparve sul viso di John, mentre scontrava il bicchiere vuoto contro quello dell’altro. “Così sia” disse. E con quel gesto l’accordo era stato siglato.

***


“John?”
Sherlock, sdraiato sul divano, cercava d’attirare l’attenzione del suo coinquilino. L’interessato si limitò a borbottare qualcosa con aria assente, continuando a battere sulla tastiera del suo portatile.
Il detective si morse le labbra, frustrato. Oramai erano passati quasi quattro mesi da quando era tornato a Baker Street, possibile che ce l’avesse ancora con lui? Certo, avevano chiarito quella faccenda del finto suicidio, altrimenti John non gli avrebbe mai permesso di restare, ma il suo blogger non era più quello di prima. Aveva pensato che gli servisse un po’ di tempo, per riabituarsi, ma che poi tutto sarebbe tornato come prima. John che gli preparava il the, John ed i suoi fantastico, John che si prendeva cura di lui… nulla. Quattro mesi di nulla. Le prime settimane poteva anche capire il suo tentativo, decisamente infantile tra l’altro, di fargliela pagare, tuttavia ora stava iniziando a stancarsi. Aveva fatto buon viso a cattivo gioco abbastanza a lungo, cosa voleva ancora da lui? Non si era comportato da perfetto coinquilino in questi ultimi mesi? Niente violino dopo mezzanotte, niente esperimenti al difuori della sua camera, faceva il bucato, si comportava educatamente persino con Mycroft ed aveva anche smesso con le sigarette! Non che la cosa avesse importanza oramai, John sembrava fumare per entrambi. Quando Sherlock aveva provato a dirgli qualcosa, quest’ultimo si era limitato a ringhiargli contro un “con che coraggio, proprio tu, vieni a far la predica a me?”, così alla fine si era rassegnato al nuovo vizio del dottore. Non che il fumo passivo gli desse fastidio, anzi, ma quello non era il suo John e non gli piaceva per niente la piega che aveva preso la situazione.
Perché non poteva tornar tutto come prima? Aveva atteso tre anni per quello, non per… questo! Strinse gli occhi a due fessure, rabbioso, cercando di fulminarlo con lo sguardo, ma anche questo suo tentativo fallì. John continuava imperterrito ad ignorarlo.
John!”
Il dottore sospirò irritato, voltandosi verso di lui. Sherlock era così arrabbiato che le sue pupille sembravano spilli, ma questo non sembrò intimorire per nulla l’altro, cosa che fece indignare ancora di più il detective.
“Smettila d’ignorarmi!!” gli sibilò contro, mettendosi seduto di scatto.
“Io, io, io!!” sbottò John. “Ma ti senti? Ho passato le ultime ore a seguire te mentre risolvevi l’ennesimo caso ed ora mi metti il muso perché dedico un po’ di tempo per me?!”
“Non è solo per oggi!!” replicò alzando di due toni la voce. “Sono settimane che ti comporti così, per quanto ancora vuoi punirmi? Ti ho già spiegato i perché delle mie scelte e sai che non amo ripetermi” qui la voce di Sherlock si fece glaciale. “Cos’altro vuoi fare? Picchiarmi? No, già fatto anche quello.”
In quel momento John pensò, che in fondo, a lui non dispiaceva affatto ripetersi. Se il suo coinquilino ci teneva tanto potevano anche rifare l’esperienza. Le mani iniziavano a prudergli, tuttavia si impose un sorriso tirato.
“Non ti sto punendo e se tu la stai vivendo così, beh, non so proprio che farci” sostenendo senza batter ciglio lo sguardo inviperito dell’altro.
Quando Sherlock si alzò di scatto dal divano, John pensò per un istante che volesse aggredirlo, invece si limitò a passargli accanto per andare nella sua stanza, chiudendo con violenza la porta alle sue spalle.
John non nascose un sorrisetto divertito mentre staccava dalla cintura il suo cercapersone, di solito celato agli occhi indiscreti dai suoi spessi maglioni.

***


Affidabile. Rapido. Preciso.
Termini a cui Jim si appellava quando pensava al suo cecchino. In quegli ultimi mesi, però, ne aveva coniati di nuovi. Uno tra questi era…
“Irritante!” gli gridò contro, mentre l’altro gli voltava le spalle. “Questo tuo essere… geloso è dannatamente irritante Sebastian!!”
Moran si voltò verso di lui, puntandogli un dito al petto. “Non è gelosia, è fottuta preoccupazione!!! Se non ti ricordassi, l’ultima volta che ti ho lasciato solo a giocare con Holmes ti sei fatto saltare il cervello!!!” Jim stava per obbiettare, ma venne bloccato prima. “Ah, no scusami… hai finto di spararti in bocca, come ho potuto dimenticare questo piccolo dettaglio!” Sebastian si colpì la fronte con la mano. “Fatto sta, che per questo vostro piccolo gioco,  io ti ho creduto morto per tre anni!!!”
Jim alzò gli occhi al cielo. “Quante volte dobbiamo rifare questo discorso?! Inizia a stancarmi!” Irritante. Tutto questo stava diventando dannatamente irritante.
Erano passati quattro mesi da quando era tornato, per così dire, in vita. Quattro mesi che avrebbe dovuto utilizzare per recuperare il tempo perso, riprendere le redini della situazione. Tre anni fa aveva perso tutto, ma aveva ancora delle risorse a cui attingere e non era certo rimasto inattivo per tutto quel tempo. Aveva tenuto un basso profilo certo, l’Asia era un territorio nuovo e non poteva permettersi d’attirare troppo l’attenzione e rischiare che lo trovassero veramente. Aveva lasciato degli indizi, sicuro che il Governo Inglese non avrebbe tardato a scoprire il suo bluff e, di conseguenza, sarebbe iniziata la caccia. Tutto questo per allontanarli da Sebastian. Perché non era lui che volevano no? Volevano Jim Moriarty, non il cecchino lasciato indietro come fosse zavorra. Aveva solo bisogno di tempo, ma alla fine avrebbe avuto la meglio su di loro, non aveva dubbi al riguardo, e sarebbe tornato da lui. Ma poi qualcosa aveva cambiato i suoi programmi.
Non era il solo ad aver finto la propria morte. Il sapere che la sua nemesi era ancora viva, fu un richiamo sufficientemente forte affinché Jim decidesse di tornare in Inghilterra.
Rifarsi non sarebbe stato un problema, non con l’aiuto del suo miglior cecchino o almeno così la pensava all’inizio. Prima di fare i conti con il nuovo, iperprotettivo Sebastian. Perché se da una parte poteva far comodo, specie dopo che la notizia del suo ritorno si era sparsa all’interno della malavita londinese, dall’altra non poteva muovere più di due passi senza essere accompagnato. E questo era limitativo. Oltre che terribilmente frustrante.
Mentre prima i loro ruoli erano ben stabiliti, in cui lui era indiscutibilmente il capo, ora non erano più così chiari. Le regole, su cui prima si basava il loro rapporto, si erano infrante. Tutto per colpa dell’ultimatum impostogli da Sebastian dopo il loro primo e disastroso ritrovo quattro mesi prima: tabula rasa di tutte quelle assurde regole[2] a cui aveva dovuto sottostare per anni, ricominciare da zero, oppure andarsene da quella porta e non farsi mai più rivedere. Perché il suo capo è morto su quel tetto, così gli aveva detto. Razza d’infame!
A James Moriarty i ricatti non piacciono. Una parte di lui fu tentata di sparargli a sangue freddo, ma l’altra era cosciente d’aver bisogno di lui per riprendersi ciò che era stato suo. Poi c’è anche quella piccola, piccolissima parte, che non poteva sopportare di perdere il suo Seb. Quella stessa parte che gli ha impedito di fare fuoco su Sebastian per avergli dato una sberla.
“Decido io quando questo discorso sarà da considerarsi concluso!” sbottò rabbioso Sebastian a pochi centimetri dal volto di Jim. “Perché so che lo credi, ma non sono così stupido. Ho capito a cosa stai mirando e non mi piace per niente!”
Jim si finse sorpreso, sgranando gli occhi ed indicandosi con la mano come per dire: moi?
Con uno spintone il cecchino lo fece sedere di mala grazia sul divano, troneggiando poi su di lui, le mani artigliate allo schienale a pochi centimetri dalla sua testa.
“Vuoi finire quello che hai iniziato con Holmes su quel tetto” gli sibilò contro, le sue parole suonavano calde e furenti. A Jim fecero venire un brivido, non propriamente di paura, lungo la spina dorsale, ma non gliel’avrebbe certo data vinta così facilmente. Si leccò le labbra e gli rivolse un sorrisetto scaltro, una mano sul petto dell’altro per tenere un minimo di distanza tra loro.
“Ho accettato le tue regole Sebby” scandendo bene le due parole, senza distogliere il contatto visivo, “ma non ho mai detto che avrei cambiato i miei piani” conficcando le unghie nella carne dell’altro per imprimere meglio il concetto. Sebastian non reagì, ne si lasciò scappare il benché minimo suono. “Da come la vedo io hai solo due scelte tigre: continuare, inutilmente, a mettermi i bastoni tra le ruote oppure collaborare per aiutarmi. Hai giurato che saresti rimasto con me se avessi accettato le tue ridicole condizioni… ed io l’ho fatto! Quindi vedi di rispettare anche la tua parte d’accordo!” Aveva pazientato fin troppo a lungo ed ora ne era decisamente seccato.
Sebastian gli afferrò rapido i polsi, bloccandoglieli ai lati del viso, per poi salire a cavalcioni su di lui immobilizzandolo con il suo peso. Lo squadrò come se lo volesse divorare da un momento all’altro.
Jim era pronto allo scontro. Voleva la lotta il suo Seb? Bene, perché l’avrebbe avuta. Non era nella sua natura trattenersi, ma era stato bravo e lo l’aveva fatto fin’. Beh, ora però gli avrebbe fatto male.
“Banale. La tua reazione è così… banale! Comincio a ricordare perché non ti ho portato con me tre anni fa” ridendogli in faccia con cattiveria, senza il minimo turbamento nonostante la sua precaria posizione al momento. Sebastian si limitò ad aumentare la presa su di lui, provocandogli solo un altro eccesso di risa. “Non sei, ne sei mai stato alla mia altezza, quindi non pensare neanche per un secondo di sapere cosa ci sia nella mia testa. Perderesti in partenza tigre. Perché è questo ciò che sei, solo un animale capace di usare unicamente la forza. A tal proposito, potresti anche allentare un po’ la presa, mi stai togliendo la circolazione.”
Il tutta risposta Sebastian ringhiò, premendo ancora di più sui polsi che scricchiolarono. Jim si lasciò scappare una lieve smorfia di dolore.
“Ecco la conferma di quanto dicevo. Sei solo un animale… e per quanto tu possa essere esteticamente piacevole per me, forse anche gratificante alle volte, non potrai mai appagarmi come fa Sherlock. Non puoi neanche lontanamente avvicinarti a quello che può farmi lui, senza neanche sfiorarmi.”
Silenzio.
Un colpo basso e ben piazzato dove fa più male. Jim ne era perfettamente consapevole, eppure non era riuscito a fermarsi. Era bravo a mentire, così dannatamente convincente. Per un attimo persino lui ci aveva creduto. Deglutì sotto lo sguardo di Sebastian, così carico di gelido furore.
Forse stavolta aveva un tantino esagerato gli diceva una vocina nel suo cervello, ma era anche curioso di vedere come sarebbe finita. La sua mente si divideva tra vari scenari, alcuni dei quali decisamente molto spinti, altri che finivano con numerose varianti del tema omicidio-suicidio. Ne era quasi divertito, finché Sebastian non fece qualcosa che lo lasciò completamente spiazzato. E non era una cosa facile.
Iniziò a ridere. Non una risata nervosa o isterica come Jim poteva anche aspettarsi, ma sincera e divertita.
“Ti è dato completamente di volta il cervello?!!” gli gridò contro nervoso, mentre l’altro cercava di riprendere fiato appoggiandogli la fronte al petto, senza smettere di ridacchiare. Jim si contorse cercando di liberarsi dalla sua stretta, ma la presa del cecchino era ferrea nonostante tutto. Smise di lottare quando Sebastian alzò gli occhi divertiti su di lui, sulle labbra un sorriso sornione. Iniziò a leccargli lentamente una guancia.
“Sei… sei impazzito?!! Smettila subito!!” gli intimò senza successo. Il cecchino mugolò deliziato nel vederlo così contrariato, continuando imperterrito a lambirgli il volto con la lingua.
“Lo hai detto tu no? Sono solo un animale, parole tue, quindi lascio che i miei istinti prendano il sopravvento” interrompendosi per leccargli le labbra. “Ed in questo momento la tigre vuole coccolare il suo cucciolo[3].”
Jim sentì la rabbia imporporargli le guance. “Come mi hai chiamato?!! Quel soprannome è vietato!! Lo sai bene!!” scattando in avanti per morderlo, ma Sebastian fu veloce a ritrarsi.
“Non avrò una memoria come la tua, ma ricordo bene che avevamo stabilito che quelle regole fossero acqua passata. O sbaglio cucciolo?” marcando il tono sull’ultima parola. Jim gli lanciò un’occhiata omicida, stava per sputargli contro qualche commento acido quando Sebastian lo zittì con un baciò, ficcandogli senza premura la lingua in bocca. Prima che Moriarty potesse reagire, il cecchino si alzò, lasciandolo libero e boccheggiante di collera.
“Su una cosa devo darti ragione cucciolo” ignorando volutamente il sibilo minaccioso del diretto interessato. “Tutta questa faccenda deve avere una fine. Per te, per Holmes, per noi” si prese una pausa, incrociando lo sguardo, sconcertato, di Jim. “Ho giurato che ti avrei aiutato, è vero, ma non abbiamo concordato sul come. Sono la tua tigre no? Il tuo animale. E lo sai cosa fanno le tigri Jim?” gli domandò con voce roca, bassa. Quasi stesse facendo le fusa.
“Se stai cercando di farmi arrabbiare Moran, sappi che ci sei dannatamente vicino!”
Il cecchino si limitò a ricambiargli un sorriso astuto.
“Difendono il territorio” dichiarò con un’espressione sibillina, tuttavia molto chiara agli occhi di Jim, senza smettere di sorridere. Non serviva certo il suo genio per capire le intenzioni del suo uomo.
Scattò in piedi, trapassandolo con gli occhi scuri, febbrili e folli di collera.
“Basta scherzare Sebastian” il suo tono, così come la sua espressione, si fecero seri, carichi di una minaccia non espressa a parole.
Moran gli diede le spalle, avanzando verso la porta.
Sebastian!! Torna. Immediatamente. Qui!! È un ordine!” gridò, il volto acceso dall’ira. In tutta risposta il suo cecchino girò la maniglia.
“Avevamo già chiarito questo punto. Puoi darmi ordini solo in ambito lavorativo” sentiva gli occhi scuri di Jim che gli bruciavano la schiena, ma non gli importava, “questa è una faccenda personale, quindi me ne fotto altamente dei tuoi ordini” detto questo uscì, trattenendosi solo un attimo con la porta socchiusa.
“Ah, dimenticavo!” non resistendo ad un’ultima provocazione. “Non aspettarmi alzato cucciolo, la tua tigre farà tardi stasera.”
Fece in tempo a sentire lo scatto di una sicura, prima di fiondarsi giù dalle scale.
Estremamente soddisfatto prese dalla tasca le sigarette, estraendo dal pacchetto un piccolo cercapersone nero.

***


Tredici chiamate senza risposta. Ventidue messaggi ignorati.
Doveva solo fare la spesa che diamine! Perché ci metteva così tanto? Oramai erano le sette passate.
Sherlock era preda di una terribile sensazione di dejà vu. E se… no, troppo scontato. Tuttavia…
Infilò al volo il cappotto e lasciò l’appartamento.

John sembrava scomparso nel nulla. Ripercorse mentalmente i suoi spostamenti.
16:03 esce di casa per andare al spesa. Stupido latte che manca sempre.
16:15 entra nel supermercato.
16:36 esce dal suddetto con due borse della spesa. S’incammina verso Baker Street.
16:41 John fa una deviazione.

Sherlock ha trovato quanto rimasto delle buste in un vicolo poco distante. Qualcuno con una certa fretta le aveva lanciate in un cassonetto. La cosa più strana, però, era quanto aveva dedotto dalla reazione di John. Si era aspettato che opponesse resistenza, invece tutto sembrava far supporre che avesse seguito di sua volontà il rapitore. Perché? Perché lo conosceva e sapeva che sarebbe stato inutile tentare di scappare. Inutile e possibilmente doloroso.
Sherlock inghiottì la saliva diventata improvvisamente amara.

Piscina. Bomba. Bomba più John. Dejà vu.

“Maledizione” sibila tra i denti, calciando per la frustrazione una lattina vuota che rimbalzò contro il cassonetto. Il suo cellulare iniziò a squillare. Mycroft.
“L’hai trovato?” chiese perentorio, alternando il peso da una gamba all’altra. Dio! Avrebbe ucciso per una sigaretta in quel momento.
“No, ma so chi l’ha preso” rispose il fratello, il tono di voce come sempre controllato, ma c’era una nota di tensione che non sfuggì a Sherlock, la quale gli fece correre un brivido lungo la schiena. Sapeva quel nome ancor prima che l’altro lo pronunciasse. L’aveva capito ancora all’appartamento ma, per una volta, aveva sperato davvero d’essersi sbagliato.
“Sherlock, Moran ha rapito John.”
Il detective sospirò, quando mai sbaglia dopo tutto? Ascoltò distrattamente Mycroft mentre gli spiegava quello che già aveva intuito: John sta tornando a casa, John costretto sotto minaccia ad entrare nel vicolo, John sale su una macchina non rintracciabile, John che sparisce dalla vista delle telecamere. Informazioni inutili.
Chiuse la chiamata mentre il fratello stava ancora parlando. Pensasse quello che ne aveva voglia, l’unica cosa importante ora, era ritrovare il suo blogger.
“Moran…” ringhiò.

***


“Sebastian Moran sei un uomo morto!!” sibilò Jim, scagliando il cellulare contro il muro che s’infranse in mille pezzi. Erano ore che provava a chiamarlo, ma quel bastardo non si degnava di rispondergli.
Gli aveva mandato dietro qualcuno dei suoi uomini, ovvio… com’era altrettanto ovvio che anche questi avevano smesso di rispondere alle chiamate di Moriarty. Non che avessero una chance contro Sebastian, ma sperava che almeno gli dessero un po’ di tempo per organizzarsi.
“Sono circondato da emeriti incapaci!!!” gridò nonostante fosse solo, un modo per tentare di soffocare la collera che gli stava strisciando nelle vene. Quello stupido idiota… stava mandando all’aria tutti i suoi piani.
“Lo sai cosa fanno le tigri Jim? Difendono il territorio” lo scimmiottò con una vocetta stridula. Aveva capito quello che intendeva fare e non l’avrebbe permesso. Sherlock era suo! Suo!! Solo lui poteva permettersi d’ucciderlo, perché soltanto lui ne aveva il diritto. Se lo era guadagnato.
Capire come Sebastian avrebbe agito non era stato poi così difficile, fermarlo in tempo, beh, poteva essere più complicato. Quando ci si metteva sapeva essere molto efficacie. Era il migliore. Non l’avrebbe scelto se fosse stato altrimenti.
“Uhm…” con un mugolio infastidito afferrò la base del naso tra il pollice ed i medio. In queste situazioni era solito ordinare a Sebastian di risolvere definitivamente il problema, ma non poteva certo chiedergli di eliminare se stesso. Specie se non rispondeva al cellulare. Un bel problema. E conosceva un solo modo per risolverlo.
Si cambiò in fretta, sostituendo il costoso completo con degli anonimi jeans e felpa nera con cappuccio. Nascose la pistola sotto il giaccone sportivo ed uscì.
Lo avrebbe fermato personalmente.

***


Uno squallido porto.
Zona poco frequentata. Scarsissima, se non nulla, sicurezza. Un dozzinale cliché.
Sherlock aveva impiegato meno di un’ora a capire dove Moran avesse portato John, le sue spie si erano rivelate più utili di tutti gli uomini di suo fratello. In un'altra situazione avrebbe sogghignato divertito.
“Non ti azzardare a morire John…” sussurrò ispezionando i dintorni. Poche lampade, troppi punti ciechi. Cliché.
Un rumore metallico attirò la sua attenzione, si avvicinò cautamente alla fonte del suono. Sherlock sorrise, nascondendosi dietro la porta semiaperta di un container.
Doveva stare attento, fin lì era stato tutto troppo semplice. Che Moriarty stesse perdendo colpi? Impossibile.
Sherlock digrignò i denti mentre osservava Moran puntare un arma alla testa di John, intimandogli di avanzare. Quest’ultimo, scuro in volto, non aveva altra alternativa che assecondarlo. Lo sentì imprecare.
Sherlock sbloccò la sicura della pistola. Doveva solo aspettare che si spostassero da lì, era troppo rischioso sparare finché si trovavano circondati dai bidoni del carburante.
Poi una voce gli fece gelare il sangue nelle vene.

“Cosa diavolo pensi di fare Seb?!!”
Un Jim fuori di se dalla rabbia avanzava deciso verso di loro. Sebastian non perse tempo, un braccio scattò intorno al collo di John immobilizzandolo, mentre con la mano libera gli premeva la pistola alla tempia.
“Non un altro passo Jim” gli intimò. L’altro, seppur malvolentieri, obbedì con una smorfia.
“Rapire di nuovo Johnny-boy” Moriarty sbuffò infastidito. “Che figure mi fai fare Sebby? Sherlock penserà che io stia perdendo colpi.”
Sebastian consolidò la presa sul dottore. “Non lo sai Jim che a nominare il diavolo spuntano le corna? Avanti Holmes!” gridò rivolto alle ombre. “Perché non ti fai vedere? Sono più che sicuro che sei nascosto qui da qualche parte. Su non fare il timido, a meno che tu non voglia vedere di che colore è il cervello del tuo amichetto. Conterò fino a tre…”
Sherlock si nascose meglio tra le ombre. “Uno…”
Non poteva averlo visto maledizione! “Due…”
Maledizione!! “Tre…” “Fermo!” il detective uscì allo scoperto, a non più di tre metri da Jim, che lo fissava con una strana espressione divertita. Forse gli piaceva farsi puntare addosso una pistola, perché era quello che Sherlock stava facendo.
“Io rifletterei bene su quanto stai per fare Moran, sempre se ci tieni alla salute del tuo capo.”
“Sh… She… Sherlock!” lo chiamò John, incespicando per via delle stretta del cecchino sulla sua gola. Una distrazione voltarsi verso di lui. Piccola, ma bastò perché Moriarty estraesse a sua volta un arma e la puntasse contro di lui.
“Questo nostro piccolo rendez-vous sta diventando sempre più interessante” cinguettò deliziato il consulente criminale. “Perché non abbassi la pistola Holmes caro? Altrimenti il mio Sebby sarà costretto a fare del male al tuo adorabile coinquilino e sarebbe un vero peccato non trovi?” sorridendogli crudele. L’espressione di Sherlock si fece dura, gli occhi gelidi come ghiaccio immersi in quelli scuri e febbricitanti di Jim.
Uno sparo fece sussultare entrambi.
Sebastian aveva esploso un colpo in aria per attirare le loro attenzione, riportando l’arma subito alla tempia di John.
“Holmes perché non fai un favore al mondo e ti spari un colpo in testa. Qui ed ora o il tuo amico muore” la voce calda di Sebastian trapassò entrambi i consulenti –investigativo uno, criminale l’altro- come una lama.
Sherlock intrecciò lo sguardo con quello di John. La situazione gli stava sfuggendo di mano.
Ma fu Jim a reagire per primo, cambiando bersaglio e mirando al suo cecchino. “Ora basta Sebastian! Tutto questo sta diventando… spiacevole. Mi conosci bene no? Sai cosa succede quando qualcuno mi delude e tu, mio caro, ci stai andando pericolosamente vicino. Spararti mi spiacerebbe, sarebbe davvero uno spreco di talento. Trovare qualcuno con le tue abilità è difficile” la sua voce aveva un tono più acuto, quasi infantile, “ma non impossibile. Quindi ora obbedisci a papà… lascia andare Johnny-boy ma tienilo sotto tiro, se il verginello muove anche solo un muscolo sparagli ad una gamba.”
Moriarty non staccava gli occhi dal suo cecchino. Doveva obbedirgli. Doveva!

Sherlock continuava a tenere sotto tiro Jim. Era chiaro che qualcosa non andava tra quei due e doveva solo aspettare l’occasione giusta per approfittarne. Si voltò verso John. E non gli piacque quello che vide nei suoi occhi.
Non fece in tempo a dire nulla. Sotto il suo sguardo allibito lo vide dare una gomitata al costato di Sebastian, che colto di sorpresa lo lasciò libero. John non perse tempo e gli assestò un montante sinistro in piena faccia. Il cecchino perse l’equilibrio e si aggrappò a lui.
Caddero entrambi fuori dal campo visivo dei due consulenti. Poco dopo udirono i chiari suoni di una colluttazione. Poi uno sparo.

Sherlock faticò ad aprire gli occhi. Bruciavano. Troppo fumo. Fumo? Ed in meno di una frazione di secondo ricordò: sparo, esplosione, John.
John!” cercò di gridare, ma dalla sua gola infiammata uscì solo un roco sussurro. Tossì. “John!!” un po’ meglio. Qualcosa si mosse a pochi metri da lui. La sua vista era ancora sfocata, ne vedeva solo la sagoma. “John?”
Cazzo…” imprecò, la voce messa male almeno quanto la sua. Moriarty!
Sherlock l’osservò faticare per mettersi seduto.
“Sher… Sherlock?” balbettò rauco Jim, scosso da colpi di tosse che sembravano mandargli in fiamme i polmoni.
Si studiarono per qualche istante poi, quasi contemporaneamente, si voltarono verso il punto d’origine dell’esplosione.
Quando a fatica rincrociarono di nuovo gli sguardi, i loro occhi riflettevano la stessa cosa: dolore. Un dolore lancinante che non aveva nulla di fisico. Era qualcosa di intimo. Qualcosa a cui entrambi non erano preparati ad affrontare.
Rimasero immobili solo per pochi minuti, ma a loro sembrarono ore. Un eternità.

***


Erano passate tre settimane dall’esplosione al porto.
Sotto il caldo sole delle Maldive, due uomini bevevano in riva al mare, pigramente sdraiati sui lettini. Piccoli paguri correvano sulla sabbia bianca, ma a loro non davano alcun disturbo. Erano in vacanza e nulla, assolutamente nulla,  poteva infastidirli.
“Certo che questo cocktail ha un colore imbarazzante” commenta il primo storcendo il naso.
“Abbiamo deciso di provare ogni alcolico presente sulla lista. Quindi non lamentarti e bevi” sogghignò divertito l’altro. Appoggiò il bicchiere vuoto sul tavolino a fianco e si voltò verso l’amico. “Nuovi pettegolezzi?”
L’altro scoppiò a ridere, quasi strozzandosi con la bevanda.
“I soliti. Greg sostiene di non averlo mai visto in quello stato. Addirittura dorme nella mia stanza!” ridacchiando. “Ti rendi conto? Giuro che alle volte mi sento quasi in colpa Sebastian.”
L’altro si alzò di scatto sul lettino, puntandogli il dito. “Non provare a darmi bidone John Watson!” il tono reso meno minaccioso dal sorriso divertito. “L’accordo era che avremmo lasciato quei due nel loro brodo per un mese, ricordi? Un mese dedicato solo a noi. Niente Jim. Niente Sherlock. Soltanto alcool, sole e mare.”
“Umm… come programma non suona affatto male” mugolò John deliziato, mentre prendeva un altro sorso dal suo coloratissimo drink. “Come se la sta cavando il tuo invece?”
“Il mio informatore riferisce che sta passando l’inferno, non fa più neanche shopping. Delizioso!” leccandosi le labbra soddisfatto. “Devo dire che David si sta comportando meglio di quanto pensassi, non che mi aspettassi di meno da un mio ex-camerata ma con Jim… invece è stata una scelta azzeccata.”
John annuì. “Trovare le persone giuste per tenergli d’occhio non è facile. Abbiamo già provato cosa vuol dire perderli e l’ultima cosa che voglio è facciano qualche cazzata per il nostro piccolo… gioco. Ma abbiamo fatto le cose per bene e messo le persone giuste al posto giusto. Penso proprio che possiamo goderci questa meritata vacanza. Soprattutto dopo gli ultimi mesi passati” John si passò una mano sul viso. “Le ho provate tutte per farlo scoppiare, ma Sherlock non cedeva… faceva persino il bucato. Ti giuro il bucato!”
Scoppiarono entrambi a ridere.
“Quanti maglioni ti ha ristretto?” gli domandò Sebastian tra un accesso di risa e l’altro.
“Ho smesso di contarli” rispose il dottore col fiato corto, non riuscendo a smettere di sogghignare.
“L’immagine di Sherlock che fa il bucato mi perseguiterà!”
“Oddio, basta Sebastian! Non respiro più!”
Quando si furono calmati abbastanza, John si rivolse al cecchino. “Dai raccontami ancora delle tue scenate con Jim” sgomitandolo. L’altro gli tirò un pugno scherzoso sul braccio.
“Devo dirtelo, onestamente non mi aspettavo che avrebbe accettato di invalidare le regole, ne che avrebbe retto tanto. Perché Jim tollera la presenza delle altre persone solo quando vuole lui, anche la mia. Per il sesso tutto ok, ma potevo scordarmi di condividere con lui il letto per dormire. Ma durante questi mesi…” Sebastian ghignò sadico “beh, diciamo che mi sono tolto molte soddisfazioni. Non solo dormivo con lui, ma lo seguivo persino mentre faceva il bagno! Credo di non averlo mai lasciato solo per più di mezzora e se pronunciava un nome che somigliasse, anche solo vagamente, a Sherlock gli facevo una piazzata di due ore.  Ci sono state delle volte che, giuro, pensavo mi avrebbe sparato.”
Altre risate.
“Quando mi è arrivato il tuo messaggio, quasi non ci speravo più che riuscissi a far capitolare Sherlock. Non che non mi sia divertito in questi mesi, sia chiaro, ma non vedevo l’ora di dare a Jim il colpo di grazia. Perché la prima volta che ho utilizzato quel soprannome, anni fa, mi ha minacciato di ricoprirmi di calcestruzzo e gettarmi nel Tamigi se mi azzardavo a ripeterlo ancora… oddio se te lo dico mi ammazzerà.”
“Non puoi non dirmelo! Io ti ho raccontato del bucato!” disse John, fingendo di mettere il broncio.
“Va bene, va bene… è cucciolo.”
Passarono cinque minuti buoni prima che riuscissero a tornare seri.
“Devo confessarti una cosa Sebastian. Durante la nostra messinscena al porto ho temuto per tutto il tempo che saltassimo in aria tutti e quattro” John rabbrividì nonostante il caldo.
“Uomo di poca fede” replicò il cecchino accendendosi una sigaretta. “Non è la prima volta che per lavoro uso esplosivi, sapevo che la detonazione delle taniche non sarebbe arrivata fino a loro, magari si saranno affumicati un po’ ma ne sono usciti illesi. Noi dovevamo solo rotolare fino al container e sparare da lì, perfettamente al sicuro, inoltre le deflagrazioni successive hanno distrutto ogni prova della nostra fuga. Direi che siamo stati piuttosto bravi, considerando con chi avevamo a che fare” soffiando il fumo verso il cielo limpido. “Ero più preoccupato che arrivassero entrambi in tempo e che si trovassero al posto giusto.”
John annuì pensieroso. Avevano avuto molta fortuna, doveva riconoscerlo.
Improvvisamente s’incupì.
“Cosa c’è?” domandò Sebastian, incuriosito dal suo cambio d’umore.
“Lo sai cosa ci aspetta appena torniamo a casa vero?” John rubò le sigarette dell’amico e ne accese una.
“Eccome se lo so!” rispose ridacchiando. “Sarà un inferno, rimpiangeremo di non essere morti davvero… ora però, abbiamo davanti a noi ancora una meravigliosa e liberissima settimana caro il mio dottore. Ai nostri due bambini penseremo più avanti.”
“Allora direi di continuare con la nostra lista” prendendo con la mancina il bicchiere vuoto. “Ordine del medico.”
“Ah, se la metti così non posso certo tirarmi indietro” disse Sebastian, facendo lo stesso. “Occhio per occhio dottore.”
“Occhio per occhio” recitò l’altro, facendo scontrare i due bicchiere.

Mentre il dottore ordinava i loro drink alla cameriera, Sebastian si ricordò di una cosa.
“John posso farti una domanda?”[4]
“Dimmi” disse semplicemente, tornando a sdraiarsi.
“Tu e Sherlock state insieme?”
“… non c’è la domanda di riserva?”

Fine


[1] Ho immaginato un John in lutto mentre trova le sigarette che Sherlock aveva nascosto. Indeciso se buttarle o meno, prova ad accenderne una… e non riesce più a smettere. Io la vedo come una sorta di bacio indiretto xD

[2] La storia delle regole me l'ha ispirata la ff “Seb's list [traduzione di OperationFailed] di Maestus”, tra l’altro meravigliosa, mi fa ridere un sacco!!
Mi è sembravo più che plausibile che Jim avesse imposto delle direttive a Sebastian sul loro rapporto, lavorativo e non, così come il fatto che al cecchino andassero strette… :P

[3] Questa l’ho presa proprio dalla ff sopraindicata: “47)Se mai usassi nuovamente quel soprannome, dimentica le scarpe, mi troverò ricoperto di calcestruzzo in fondo al Tamigi;”
È da quando l’ho letta che mi sono domandata quale fosse quel fantomatico appellativo!!!

[4] Qui Sebastian fa riferimento all’inizio di questa ff, quando è ubriaco e pensa alla sua strana amicizia col dottore: “Ma alla fine quei due stavano davvero insieme? Pensò distrattamente Sebastian. Forse un giorno l’avrebbe domandato direttamente a John. Sì, a John, il suo nuovo amico di bevute.”
  
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