Disclaimer:
i personaggi di
Tsubasa non mi appartengono, sono solo ed esclusivamente delle CLAMP, che se
interrompono questa serie come fatto con X 1999 verranno fucilate a distanza.
Fosse per me adotterei tutti i personaggi, ma non si può, quindi io li prendo in
prestito e basta T.T
Avvertenze: Spoiler sul passato / identità di Fay. Non
ho ancora letto il manga fino ad arrivare a conoscere anche le pulci che questo
esserino pucchoso abbia, quindi anche stavolta, per chi conosce tutto il
percorso mangofilo, ci saranno incongruenze é.è
Note:
Dunque… è una ff partorita in 4 ore
(rigorosamente scolastiche u.u). Siccome io sono folle, e quindi faccio
collegamenti astrusi, avviso da qui di tenere in considerazione le lettere in
grassetto, perché altrimenti questa ff temo si ridurrebbe ad essere una lista
della spesa! XD
Dedica:
Di nuovo, dedica per la stessa persona.
Io sono noiosa, ma siccome è sempre merito (?) suo se mi viene l’ispirazione per
scrivere… Grazie al mio personale “Yuui” <3 Daisuki, hontou ni.
^***^
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Your
Name
Sospirò, seduto in ginocchio su quel pavimento che,
prima o poi ne era certo, avrebbe certamente ricordato come si chiamava nella
lingua di Kuro-pon.
Ta…
Ta… sorrise impacciato.
Era
proprio una frana nella lingua di quel mondo chiamato Giappone. La principessa
Tomoyo si era rivelata estremamente gentile ed indulgente nel permettergli di
rimanere lì, visto che il suo continuo fuggire da un mondo all’altro, sarebbe
continuato come un viaggio in solitudine, dopo il ritrovamento dell’ultima
piuma.
-Ne, Yuui-san! Posso?- sentì chiedere ad una vocina
proveniente da una delle porte scorrevoli che si era aperta senza che se ne
accorgesse. Annuì, il sorriso gentile sul volto, notando uno dei bambini che
giravano per quei luoghi e che spesso cercavano Kurogane. Il ragazzino avanzò e,
dietro di lui, altri tre bambini, di cui due maschi ed una femmina: -Yuui-san!
Che sta facendo?-
Ringraziò mentalmente di avere un buon intuito per
capire i sensi generali delle frasi e di aver studiato abbastanza per intavolare
almeno un minimo di conversazione: -Studio, ma è difficile.- rispose ai bambini
che lo guardavano ammirati per la sua amicizia con quello che era il loro idolo,
ma con ingenua incredulità data dal trovare ovviamente semplicissima la propria
lingua. La bambina sorrise allegramente: -Yuui-san! Se vuoi noi ti aiutiamo!-
esclamò energica, pronta a rendersi utile. Il biondo sorrise, annuendo: -Una
cosa, mi serve. Se vi va, di insegnarmi alcune parole.- disse, ricevendo
l’assenso dei bambini, che come da loro natura prendevano tutto come un gioco
divertente.
Uno
di loro, il primo che era entrato, si sedette di fronte al biondo: -Possiamo
fare con un gioco, come quando la maestra ci insegnava.- propose, continuando a
spiegare solo quando gli altri tre amici ebbero dato il consenso: -Scegliamo dei
nomi e tu, Yuui-san, devi abbinare le parole alle lettere! Va bene?- chiese,
osservandolo.
Il
biondo lanciò uno sguardo al libro che studiava dal giorno precedente, capendo a
mala pena la metà delle cose che trovava scritte. Annuì quindi senza pensarci
due volte.
Il
bambino prese quindi un pezzo di carta, scrivendo qualcosa e
porgendoglielo.
Vi
lesse “Yuui”: -Inizia con questo, è facile perché è abbastanza
corto.-
Il
biondo annuì, con un sorrisetto, prendendo la penna… forse non sarebbe stato
nemmeno così facile come credeva.
***
-Kurogane!- chiamò Soma, osservando l’uomo allontanarsi,
dopo il colloquio con la principessa Tomoyo.
Il
ninja si voltò, osservandola ed arrestando il passo, senza tuttavia rispondere.
La donna, raggiuntolo, parlò: -Come procedono le lezioni di Yuui-san?- chiese,
osservando il ninja assumere un’aria fra il pensoso e il seccato. Evidentemente,
molti gli ponevano domande sul mago: -Ieri studiava, oggi anche.- concluse
sbrigativamente, riprendendo dunque ad avanzare.
Quel mago da strapazzo non solo si era deciso ad
andarsene ancora in giro per mondi, ma si era anche coalizzato con quella
dannata principessa Tomoyo, cospirando alle sue spalle!
E
ora se lo ritrovava non nello stesso mondo, no, quello sarebbe stata “fortuna”…
nella stessa CASA!
CASA, diamine, con quel sorriso onnipresente su quella
faccia da schiaffi che si ritrovava! E con quella voce a dir poco petulante da far concorrenza alla
polpettina bianca, con cui gli propinava nomignoli astrusi ad ogni ora del
giorno, della notte e ogni qualvolta avesse voglia di
farlo!
In
una semplice parola, insopportabile.
Sospirò pesantemente, senza curarsi di Soma dietro di
lui che gli chiedeva gentilmente di salutargli il biondo, proseguendo invece
deciso verso l’esterno, per raggiungere casa.
O
la tortura del giorno, che dir si voglia.
***
Koe… il termine
che in questo Giappone, con una lingua così diversa dalla sua, si utilizza per
indicare “la voce”.
Quella voce che nei momenti più importanti, gli era
mancata: utilizzata per mentire e mai per dire “ti voglio bene” a coloro che
aveva amato. Una voce, la sua, che appariva serena pur suonando immensamente
triste.
Vera ma falsa.
Ingenua ma insinuante.
La
sua voce, era tanto ed era niente perché qualsiasi intonazione lui decidesse di
dargli, c’era una caratteristica di base che non cambiava mai: doveva fingere. Ed era sempre certo che
avrebbe potuto farlo senza problemi, perché nessuno se ne sarebbe mai
accorto.
Ma
Kuro-rin se ne era reso contro ad una velocità sorprendente anche se non si
conoscevano granché. Forse, pensava sempre con un sorriso, era perché Kuro-rin
aveva una voce e una maniera di usarla molto diverse dalle sue: si trattava di
una tonalità profonda, anche se non era roca. Era sempre e costantemente
seccata, almeno in apparenza, e molto triste.
E
lo era perché Kuro-pin era così.
Seccato da discorsi inutili, dalle parole superflue,
dagli sciocchi, dai superbi… e dai falsi, come lui. Ed era sempre triste, senza
permettere a nessuno di alleviare quello stato d’animo mai palesato, se non con
la voce, mai scorto se non da Yuui.
Quella di Kuro-won era una bella voce, a pensarci
bene.
Appuntò qualcosa sul foglio, sorridendo
appena.
Urei…in quel
Giappone così lontano da Celes, significava “dolore”.
Quello stesso dolore che lui aveva giocato a nascondere,
o a far finta di non aver mai provato, convinto che fosse semplicemente una
“giusta punizione”.
Un
dolore tanto forte che, se ignorato, continuava a dilaniarlo in
silenzio…
Un
dolore estremamente diverso da quello di Shaoran, cosa che aveva avvertito
subito senza nessuna difficoltà.
Quella del ragazzo, era la sofferenza di vedere la
persona amata in pericolo, di volerla aiutare a tutti i costi senza essere certo
di potercela fare. Era la preoccupazione di vederla morire senza poter
intervenire e veder scomparire la persona per lui più
importante.
Per
lui, era diverso.
Il
suo somigliava ad un dolore sordo, che ormai logorava l’anima senza poter essere
fermato. Era la rassegnazione di non poter essere perdonato e la quasi certezza
di non volere che accadesse; lui era colpevole, lui aveva scelta un esilio che
sembrava destinato a non concludersi mai.
Lui
provava un dolore fatto di sorrisi tristi quando si è certi di non essere
visti.
E
poi, c’era il dolore di Kuro-tan.
Un
dolore silenzioso che non dava mai segno di esistere, segregato nel cuore e
nell’anima, trovando sfogo solo nei ricordi del ninja. Ed era una sofferenza
così forte, che non faceva piangere.
Perché Kuro-tan non piangeva mai, non ne parlava, ma
avanzava a testa alta senza la minima esitazione.
Quello di Kuro-tan, era un dolore molto diverso da
quello degli altri.
Ma
lui, non fuggiva mai.
Risoo… in quel
luogo di cui ancora non conosceva bene molti aspetti, si usava per definire la
parola “ideale”. E a lui veniva da sorridere, mentre lo appuntava sul foglio,
sotto lo sguardo dei bambini.
Ideali? Non ne ricordava, se non il teatro
dell’ipocrisia in cui recitava, o la decisione di non rimettere piede a
Celes.
Non
voleva salvare, ma essere salvato, come un bambino che aspetta che il papà o la
mamma lo portino via dai suoi incubi. Non aveva un cuore nobile come Shaoran,
che era pronto a tutto per Sakura.
Non
si curava di orgoglio e dignità, che fuggendo aveva perso; non poteva
considerare la sincerità come un ideale proprio, visto che lui era il “re dei
falsi”.
Sorrise appena.
Lui
e Kuro-pun erano davvero diversi.
Il
ninja aveva un orgoglio che gli permetteva di divertirsi nel prenderlo in giro
con tutti quei nomignoli che usava con lui. Era deciso a tornare a casa, ed era
il classico tipo che parlava quando lo riteneva necessario, senza preoccuparsi
poi molto degli altri.
Kuro-pun era fedele a sé stesso.
E
non trovava ideale più degno di ammirazione di quello, lui che quel “sé stesso”,
non sapeva nemmeno dov’era.
Orei… scrisse,
affiancandovi mentalmente la traduzione che aveva faticato a ricordare:
“ringraziamento”. Quante volte si era sentito ringraziare, e quante volte si era
concesso di dire “grazie” non per dovere o educazione, ma per reale gratitudine?
Poche, chissà, forse nessuna. Se ciò che gli altri fanno per noi ci aiuta, lui
aveva sempre pensato che fosse giusto ringraziare, perché era come un tacito
scambio: un aiuto, in cambio o di un altro aiuto, o di un
ringraziamento.
Ma
non era gentilezza autentica, non era quella gratitudine che non si può fare a
meno di esprimere in qualsiasi modo.
Un
vero “grazie”… poteva dirlo solo a qualcosa o qualcuno che lo rendesse felice,
che fosse in grado di cancellare quel dolore sordo anche se solo per un istante,
che potesse essere capace di apprezzare quella semplice parola più di una
qualsiasi ricompensa.
In
questo, forse, lui e Kuro-bau erano abbastanza simili.
Il
ninja, che era tutto fuorché un chiacchierone, tendeva a non ringraziare mai,
forse perché faceva tutto da sé.
Nessuno dei due chiedeva aiuto.
Solo che lui aveva desiderato di essere
salvato.
Il
ninja forse no…
Goozyoo…
appuntò, di poco sotto alla parola precedente, sorridendo divertito dato che il
suo significato, “testardaggine” oppure “ostinazione”, calza tremendamente sia
con lui che con il proprio coinquilino.
Sembravano simili, ma in realtà c’erano delle sottili
differenze.
Testardo: poteva di certo dirlo di Kuro-chan. lui era
proprio così, se decideva una cosa era quella e basta, non c’era modo di fargli
cambiare idea, nemmeno mettendogli davanti un’evidenza concreta ed opposta alle
sue convinzioni.
Nel
senso buono, poteva dire che Kuro-chan era “senza
speranza”.
Anche se lui, a volte, vedeva in quella testardaggine un
pregio.
Quella stessa sua convinzione, lui non l’aveva mai avuta
in niente: né nelle proprie idee, né nelle proprie azioni.
Lui
non era “testardo”.
Lui
era “ostinato”.
Di
un’ostinazione quasi seccante forse, se non per tutti, almeno per il
ninja.
Voleva essere salvato, ma non voleva
aiuti.
Si
sentiva stanco della propria colpevolezza, ma non accettava di essere
perdonato.
Avrebbe voluto soffocare quel dolore, ma non desiderava
avvicinarsi a nessuno che potesse cancellarlo.
Perché era giusto.
Perché era un debole e un codardo.
Sospirò, nella mente le parole del ninja quando erano
nel paese di Outo.
Lui
si sarebbe volentieri arreso… quindi era di certo una persona che Kuro-chan
poteva odiare senza problemi.
Ma
lui solo quel modo di andare avanti con facilità.
Per
questo…
Adana…
ridacchiò, attirando l’attenzione dei bambini, che lo osservavano incuriositi e
pazienti: -Gomen ne.(1)- disse, osservandoli –Ho quasi finito.- aggiunse,
finendo di appuntare quella parola che poteva riassumere il sottile legame
instaurato con Kuro-pon appena si erano incontrati.
“Soprannome”.
Quanti gliene aveva dati e quanti ancora gliene dava,
per il gusto di divertirsi nel vederlo sillabare, sillabandogli come in realtà s
chiamava quando il biondo stesso lo sapeva benissimo?
Tante.
Tante quante erano le volte che il ninja gli aveva
inveito contro, facendolo sorridere divertito da quell’atteggiamento da bambino
che su Kuro-pon tanto stonava. E sorrideva davvero.
Anche se forse il ninja era sempre stato convinto del
contrario.
Probabilmente, differentemente d quanto si fosse
sforzato di credere, quei nomignoli davano davvero fastidio a Kuro-pon. Sorrise
impercettibilmente, stavolta.
Lo
stava facendo di nuovo…
Sospirò, in fondo anche il ninja gli
aveva dato un soprannome senza mai chiamarlo per nome. Si limitava sempre a
“Ehi, mago da strapazzo”, ma
…
Perché Kuro-pon sembrava ritenere l’utilizzo di un nome
una cosa che si limitava alle persone importanti per lui.
…E
quindi perché chiamare per nome uno come lui?
Negai… scrisse,
bloccandosi quasi subito: “desiderio”.
Ne
aveva avuti? No, forse mai di seri.
Ne
aveva ora?... Sì. E sapeva che non si realizzavano con la facilità che si
credeva. Non per lui, non per quel
desiderio, che in realtà non era individuale.
Ma
continuava a sperarlo ugualmente, in maniera indipendente da
lui.
E
si sentiva in colpa per essere arrivato a desiderare qualcosa di simile, che per
lui era irrealizzabile.
-Yuui-san… o'genki desu ka? (2)- chiese l’unica bambina
del gruppo, incrociando il proprio sguardo con quello del biondo. Scosse
impercettibilmente il capo, prima di rispondere semplicemente:
-Hai.(3)-
Una semplice bugia, di nuovo.
Una menzogna per cercare di cancellare quel desiderio,
quel senso di benessere e malessere che si alternavano senza sosta nella sua
mente, se non la teneva occupata.
Nel suo cuore, se non lo
difendeva.
E nella propria anima, che sembrava spezzarsi e
risanarsi in continuazione.
Sospirò nuovamente… Kuro-miao si sarebbe di certo
innervosito nel sentire quei suoi pensieri insicuri. Lui, che per i propri
desideri era sempre pronto a qualsiasi cosa, come se non avesse altri obiettivi
da realizzare, di certo il discorso del biondo darebbe apparso come minimo
irritante.
Sorrise di un sorriso strano, immaginando senza fatica
Kuro-miao che gli dava dello stupido, usando quel termine “baka”, che era una
delle prime cose ad aver imparato lì in Giappone.
Stupido e codardo. Oh, se lo
sapeva.
E Kuro-miao… chissà se ora, accanto alla principessa
Tomoyo, c’era ancora qualcosa che desiderasse tanto…
En… scrisse
infine, porgendo il foglio al ragazzino castano, che sorrise allegro: -Yuui-san,
sei proprio bravo!- esclamò, riconsegnandogli il foglio. Il biondo sorrise,
riprendendoselo: -Arigatou, Shaoran-kun.(4)- disse, con una certa nostalgia per
quel nome. La bambina si avvicinò quindi a Yuui, con un sorriso
incerto:
-Yuui-san, ti siamo stati d’aiuto almeno un po’?-
domandò speranzosa, trovandosi a sorridere più apertamente quando il biondo le
scompigliò affettuosamente i capelli: -Molto, Sakura-chan.- rispose, per poi
aggiungere –ma prima che faccia buio, dovreste tornare a casa, ne?- I due
annuirono, insieme ai compagni, uscendo poi dalla stanza.
Il biondo fissò la propria attenzione sul foglio e
sull’ultima parola, soffermandosi sul significa “destino” o
“fatalità”.
Irrimediabilmente, gli tornavano alla mente le parole di
Yuuko-san.
“Al mondo non esistono coincidenze, ma solo
l’inevitabile.”
Perplesso da come quella parola, “En”, potesse
significare due cose così diverse, almeno per come le intendeva
lui.
Il “destino”, non poteva essere cambiato, era qualcosa
da cui non si può fuggire in alcun modo. Eppure, lui aveva arrestato il suo
viaggio, ed ora era in Giappone.
Quindi, quello era il suo destino,
forse.
Ma solo perché conosceva Kuro-rin.
Se quel giorno il ninja non si fosse trovato da
Yuuko-san, non si sarebbero incontrati… o sì?
Era inevitabile viaggiare, parlare, ridere lui ed
arrabbiarsi il ninja?
“Fatalità”.
Era per lui qualcosa che accadeva per caso, per diverse
condizioni unite fra loro; non potevano essere decise né previste, le
fatalità.
Forse, era una questione di fortuna,
semplicemente.
Eppure, anche pensarla in questo
modo…
Lui era così, conosceva Kuro-rin per qualcosa di
terribilmente incerto come le fatalità?
O dipendeva da qualcosa di deciso come il
destino?
Quindi, in ogni caso, era comunque un legame che doveva
a qualcosa su cui non aveva alcun potere?
Forse sì.
E qualunque cosa fosse, se solo avesse potuto, avrebbe
voluto rivolgergli un “grazie” sincero. Perché lui era
felice…
-Beh, ti sei incantato a studiare, baka? (5)- sentì
chiedere alla voce burbera del ninja, notandolo solo ora nella
stanza.
Sorriso divertito, su la maschera Yuui, si
ricomincia.
Poggiata la schiena al muro dopo aver lasciato il foglio
a terra, osservò il ninja: -Kuro-muu, sai che Shaoran e Sakura mi hanno aiutato
a studiare?- disse, con il solito sorriso sulle labbra. Vide il ninja sospirare
scocciato: -Ancora non hai imparato a pronunciarlo, il mio nome intero?!-
sbottò, affermando malamente il foglio. Sopra di esso, in verticale, era scritto
il suo nome, e da ogni lettera, ricavava un’iniziale di qualche termine della
sua lingua natale che il biondo ancora faticava ad apprendere.
Riconobbe velocemente il gioco che si fa fare ai bambini
per imparare le parole. Non disse nulla, limitandosi ad uno sguardo verso il
biondo, che ancora sorrideva: -Prima mi hanno fatto provare con il mio nome e
poi con il tuo. È divertente, ne Kuro-muu?-
Che sciocchezza.
Un nome non era certo un gioco.
-Tsk.- si limitò a commentare il ninja, alzandosi e
raggiungendolo con appena due falcate. Chinatosi, non disse nulla, non era da
lui in fondo.
Posò le labbra su quelle del biondo, una mano che
bloccava quella di Yuui che toccava il pavimento, mentre l’altra gli afferrava
il polso libero, tenendolo fermo contro il muro.
Non ebbe bisogno di insistere poi molto in quel bacio,
prima che il biondo si dimostrasse arrendevole, permettendo alle loro lingue di
scontrarsi in un bacio che sapeva di passione ed innocenza al tempo
stesso.
Yuui si lasciò andare, finendo lentamente con lo
sdraiarsi a terra, il moro sopra di sé.
Sorrise, in maniera estremamente dolce: -Ne, Kuro-rin…
non è un po’ rozzo sul tatami? (6)- domandò, con tono scherzoso. Il ninja alzò
lo sguardo sul suo viso: -E da quando ti ricordi come si chiama il pavimento qui
in Giappone?- chiese, ironico.
Yuui lo fissò con un sorriso innocente: -Me lo sono
ricordato poco fa.- rispose con semplicità, per poi aggiungere l’aria seria –Ne,
Kuro-rin…c’è un modo, qui in Giappone, per dire “morirei per te”?- Il moro portò
una mano ad accarezzargli il volto: -Tu pensi troppo e parli a sproposito.-
disse secco, osservando il tenero broncio che il mago stava già mettendo
su.
-Kuro-riiiin!- esclamò contrariato, fissando il ninja,
chinarsi su di lui e sussurrargli a fior di labbra, con tono sensuale: -Non mi
chiamo “Kuro-rin”…-
Il biondo rabbrividì, arrossendo appena ma continuando a
guardarlo negli occhi, deciso a ricevere risposta:
-Kurogane…- mormorò, interrotto dal ninja stesso, che
nuovamente lo baciava, passando poi dalle labbra al collo e risalendo lentamente
verso l’orecchio, prendendo fra le labbra il lobo del mago: -Il modo per dire
“morirei per te”, dovrai ricordarlo sempre…- sussurrò, soffiando direttamente
nel suo orecchio, -Esattamente come “Vivrò per te”, si
dice…-
Owari
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Alloooooooora! Facevano più male a me che a chi leggerà,
i numeri fra () ma ho dovuto ^^”
(1) Gomen ne: “Scusa”
(2) Yuui-san… o’genki desu ka? : “Yuui-san, sta bene?”
[Grazie a nacchan per la traduzione ^^]
(3) Hai : “Sì”
(4) Arigatou, Shaoran-kun: “Grazie, Shaoran-kun”
[scontatissimo, ma nel dubbio XD]
(5) Baka : “Stupido” o anche “Scemo” o ancora “Idiota”
(6) Tatami: sarebbero per quel che so io, i pannelli che
formano il pavimento giapponese, e sarebbe la parola che Fay/Yuui non ricorda
all’inizio della ff. Se ho sbagliato qualche traduzione, chiedo venia
*inchino*
THANKS
Approfitto per ringraziare le persone che hanno avuto il
coraggio di commentare il POV di Fay (se così vogliamo
definirlo)
Grazie a Francesca Akira89
Grazie a FireAngel
Grazie a _pEaCh_