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Autore: Beads and Flowers    10/03/2013    1 recensioni
C'é un ragno alla finestra di Anita. Lei ama parlare e confidarsi con lui, ma non è sicura che il ragno sia vivo. Ma lo ama e protegge nonostante tutto, convinta che fedeltà ed amicizia siano il prezzo per assistere alla Danza delle Costellazioni.
Dal testo:
'Cento, mille ragni vennero loro incontro. Delicati spiriti celesti, che tessevano le ali degli angeli. Avvolsero la bambina con la loro musica silenziosa, e lei desiderò con tutta se stessa che quella luce non svanisse mai con l’arrivo del giorno.'
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 La Ragnatela

 
 

The noon of creation rings
And all in the heavens sing
The glorious song through all eternity.
I am the dawn of all Time.


'Time', dei Libera



 Due barriere separavano la bambina dal paesaggio esterno. La prima, una semplicissima finestra.  Legno, vetro e imposte. Era un ostacolo piuttosto semplice da superare. Quasi divertente. Implicava un movimento, coinvolgeva fisicamente il suo corpo nel gesto della mano. Così si attivava un meccanismo, e la finestra si apriva.
 Ma proprio quando riusciva ad abbattere questo muro, la piccola Anita si trovava di fronte ad una ancor più invalicabile barriera. Una ragnatela.
Apparentemente fragile ed insignificante, questa tela sottile si stendeva come una rete da una parte all’altra della finestra, rendendo fioco e confuso il paesaggio esterno. Al centro di questa incredibile, seppur problematica, opera della Natura, dormiva il vecchio ragno. In silenzio, immobile, bianco e scheletrico come un ramo di betulla.
 Anita nutriva un profondo rispetto per l’anziano aracnide, che lei aveva giocosamente soprannominato Fermoebasta. Inoltre, la bimba era persa in un folle amore per quella ragnatela. Ogni filo tessuto con la precisione di uno spirito, ogni riflesso perfettamente studiato, ogni disegno elaborato come il vestito di una fata. Nulla al mondo l’avrebbe mai portata a distruggerla.
 Questo, dicevano parenti ed amici, era un vero peccato, perché il paesaggio su cui dava la finestra di Anita era veramente sublime. Le gambe della bambina erano sempre state deboli e malferme, e non poteva alzarsi dal letto. Ma avrebbe potuto trovare un meraviglioso spettacolo in quegli ettari di foresta incontaminata, nelle vette delle montagne, nella curiosa traiettoria che il Sole tracciava lungo i ruscelli. Non le sarebbe piaciuto sbarazzarsi di quella fastidiosa ragnatela? In un solo, semplice gesto, l’incanto del mutevole paesaggio sarebbe stato a sua completa disposizione.
 “No, grazie. Lasciate il ragno lì dov’é. Non ho bisogno di distruggere la sua casa per un semplice paesaggio. Il caleidoscopio che il nonno mi ha portato dall’Asia mi offre delle immagini sempre nuove e sempre più belle. Le montagne e le foreste non cambieranno mai, e va bene così.”
 In verità, la ragione per cui Anita non voleva sbarazzarsi della ragnatela era proprio Fermoebasta. La bambina era convinta di poter insegnare il ragno a parlare. Lui, così vecchio e saggio, non era un ragno qualsiasi. Le cose che aveva visto dovevano essere state davvero tante. Sarebbe stato in grado di raccontargliele. Così, ogni giorno la bambina parlava con il ragno bianco. Gli descriveva la sua stanza, la sua casa, la sua famiglia e i suoi giocattoli. Gli confidava ogni suo pensiero, ogni sentimento, ogni verità e fantasia. E sapeva che lui non avrebbe mai rivelato niente a nessuno, perché loro due erano sempre stati insieme.
 Non si sarebbero mai lasciati.
 “Fermoebasta, questa è una foto della mia famiglia. Guarda. Guarda, qui ci sono io. E la mia mamma. Il mio papà. La zia, il cugino. E il nonno. Lui è il migliore. Viaggia per tutto il mondo, e mi porta tanti regali.”
 Al nonno di Anita piaceva molto visitare nuovi paesi e viziare la sua nipotina con curiosi regali esotici. La stanza di quella bambina speciale era animata da statuine di corallo, ombrelli parasole in carta di riso, caleidoscopi, meridiane e pesciolini colorati. Anita voleva molto bene al nonno, l’unico a cui il nome di Fermoebasta era stato rivelato. Quando gli aveva raccontato delle lezioni imposte all’anziano ragno, l’uomo aveva sorriso. Era divertito da tanta innocenza.
 “Vieni, piccola mia. Ti racconterò una storia.”
 Si sedette accanto al suo letto, carezzandole una mano.
 “Molti anni fa, durante uno dei miei viaggi in Asia, ho incontrato nel deserto del Gobi un piccolo villaggio di pastori ed astrologi. La gente di quel luogo venera i ragni come messaggeri del Cielo, e crede che le loro tele siano realizzate con la luce delle stelle. Alla morte di un ragno, il meraviglioso omaggio reso agli astri verrà ripagato col candido mutare del suo corpo, che si tingerà con il colore della Luna.”
 “Anche il corpo di Fermoebasta è bianco e trasparente.”
 “E’ vero.”
 “Non si muove mai per la ragnatela. E’ sempre immobile.”
 La finestra era aperta. Il nonno e la bambina guardarono il gracile corpicino, addormentato su quell’arazzo sottile.
 “Nonno… che sia morto?”
 “C’è solo un modo per scoprirlo.”
 L’uomo si avvicinò alla ragnatela, tendendo il dito per sfiorarne i fili leggeri. Avrebbe risvegliato lo scheletro dell’aracnide. E se il ragno non si fosse mosso? Un urlo agitato impedì al nonno di proseguire il suo esame.
 “Fermati! Oh, ti prego, non farlo! Non voglio scoprirlo!”
 Anita tremava violentemente, il volto nascosto tra le mani. Singhiozzava.
 “Non toccarlo.”
 Il nonno non si scompose. Il suo sguardo era serio e malinconico. Si allontanò dalla finestra e si sedette accanto alla nipotina, fissando con quieta insistenza il corpo bianco e vuoto del ragno.
 “Non riuscirò mai a camminare, non è vero?”
 “Tesoro mio…”
 “Io camminerò, un giorno. Camminerò, andrò nella foresta, e nutrirò Fermoebasta con tutti gli insetti che troverò.”
 Le lacrime nei suoi occhi risplendevano come stelle. Il nonno le baciò i capelli, sorridendo, ed annuì.
 “Li cercheremo insieme.”
 
 Quel sogno venne solo per una notte. Tuttavia, Anita lo avrebbe ricordato per tutta la vita.
 Stava camminando. Era una strana sensazione. La bambina aveva pochissimi ricordi dei giorni in cui le sue gambe funzionavano ancora abbastanza bene da concederle una passeggiata. Stava salendo lungo una scala, una lunghissima scala che raggiungeva il Cielo. Quando la bambina si voltava, abbassando lo sguardo sui suoi passi, non riusciva a scorgere altro che nuvole e nebbia. Anita avrebbe facilmente ceduto alla tentazione di ridiscendere a terra, se alzando lo sguardo non avesse visto le Costellazioni.
 Erano migliaia, milioni. Danzavano nel cielo, risplendendo come pietre preziose nella più oscura delle caverne. Sembrava una festa di luci e movimenti celesti. Anita udiva in lontananza una dolcissima musica, e riconobbe i sussurri degli astri.
 Affrettò il passo, corse lungo i gradini di pietra verso quel mondo di gioia e perfezione. Guardando con maggiore attenzione, si poteva perfino intravedere… sì! I ragni! I ragni del Cielo, che come angelici acrobati si lanciavano da una stella all’altra, lasciando dietro di sé i loro fili di luce. Stavano tessendo. Tracciavano con le loro tele le figure delle costellazioni. Orione, Delfino, Orsa Minore, Cigno e Cassiopea. Ogni personaggio pareva muoversi lungo la volta oscura, in una danza dolce e composta. E i ragni ridevano, volteggiando nel Cielo, ascoltando la musica delle stelle.
 Corri, Anita. Corri, raggiungi la nostra danza. Vieni a sognare con noi.
 “Non posso, non ci riesco. Siete troppo lontane, non riesco a raggiungervi.”
 Vieni, vieni con noi!
 “Aiutatemi! Siete troppo lontane!”
 Ma le costellazioni ridevano, ridevano nella loro maestosa indifferenza. Divinità, sapienti spiriti dell’Universo, quale interesse potevano avere per una piccola bambina?
 “Troppo lontane! Siete troppo lontane!”
 La musica incominciava ad affievolirsi. La luce delle costellazione si allontanava, divenendo sempre più fioca.
 “Troppo lontane… Fin troppo lontane…”
 Fu allora che il suo ragno la raggiunse dall’alto dei Cieli. Anita era stanca e sconvolta, ma non avrebbe mai esitato a riconoscere il suo amato Fermoebasta. Era più bello che mai. Il suo corpo risplendeva come i raggi del Sole su un gioiello di cristallo. I fili della sua tela, impreziositi da mille gocce di rugiada, ricordavano i capelli di un angelo.
 Con la grazia di una ballerina, volteggiò attraverso il Cielo, fino a raggiungerla sulla scala. Anita tese una mano, e lui atterrò delicatamente sul suo palmo.
 Ti aspettavo, Anita.
 “Parli!”
 Tu l’hai sempre saputo. Voleva accogliere personalmente la più bella tra le stelle.
 E, così dicendo, il ragno si librò in aria, e con la silenziosa velocità del vento tessé una corona di luce tra i capelli della bambina. Muovendosi sinuosamente attraverso il corpo della bambina, Fermoebasta tessé meravigliosi orecchini, bracciali e collane, una cintura di tela e scarpette d’argento. Si spostò poi sulla schiena di Anita, dove in meno di un minuto comparve un paio di meravigliose ali bianche. 
 Ora anche tu puoi raggiungere la Danza.
 Si librarono insieme verso le Costellazioni, e la gioia più pura e completa invase il cuore di Anita. Cento, mille ragni vennero loro incontro. Delicati spiriti celesti, che tessevano le ali degli angeli. Avvolsero la bambina con la loro musica silenziosa, e lei desiderò con tutta se stessa che quella luce non svanisse con l’arrivo del mattino.
 In quel momento venne svegliata dal Sole. Le stelle erano sparite. Fermoebasta era ancora lì, immobile e rigido, sulla sua ragnatela.
 
“Sono ormai tre anni che ti parlo. Tu non mi hai mai risposto.”
 Le mani di Anita pettinavano le trecce di una bambola.
 “Non sono una brava insegnante. Chiunque avrebbe imparato a parlare in tre anni di tempo. Ma non tu. Non un suono, non una parola.”
 Il ragno non si mosse.
 “Sei morto, non è vero?”
 Le stelle non brillavano nel suo corpo bianco.
 “Sei sempre stato un cadavere. Mi sono sempre rivolta ad un cadavere. Perché?”
 Una fresca brezza entrò dalla finestra. Lo scheletro danzò nel vento. Uno dei sottili fili della tela si spezzò, e volò via per sempre.
 “Signor Fermoebasta, un giorno anche tu volerai via per sempre.”
 La tela era ancora lì. Fragile e sottile, come uno spirito ferito. Ma era ancora lì.
 “Ti parlerò per sempre, amico mio, anche quando non ci sarai più.”
 Nessuna reazione. Non c’era mai stata alcuna reazione da parte di Fermoebasta.
 “Mi opereranno.”
 Nulla.
 “Mi opereranno. Finalmente potrò camminare.”
 La risposta del ragno rimase impressa nel silenzio.
 “Vorrei che tu fossi al mio fianco quando accadrà. Se tu mi guarderai, anche gli astri veglieranno su di me. Mi proteggeranno. Se fossi riuscita ad insegnarti a parlare, allora forse le stelle mi sarebbero state grate, e mi avrebbero ringraziato con uno scheletro bianco e splendente come la Luna. E tu, così candido e perfetto? Di che colore si tingeranno le tua ossa, quando morirai? Se non sei già morto.”
 
 “Ho letto da qualche parte che i ragni non hanno un vero e proprio scheletro, ma piuttosto una resistente armatura che avvolge il loro corpo. Sono come angeli guerrieri. Imbracciano spade avvelenate e tessono misteriose mappe per raggiungere il Cielo. Alla loro morte raggiungono i più alti Pianeti, lasciando alle loro spalle un sottile guscio d’argento.”
 “Chi te lo ha raccontato?”
 “Il nonno.”
 “Ma certo. Chi altro poteva essere?”
 “Non sarà qui con me per l’operazione?”
 “Non mancherebbe per nulla al mondo, piccola mia. Lo incontreremo quando lasceremo le montagne per recarci all’ospedale americano.”
 “In America… prenderemo l’aereo?”
 “Sì.”
 “E voleremo?”
 “Sì.”
 “E il ragno?”
 “Quale ragno?”
 “Fermoebasta.”
 “Fermo e cosa?”
 “Basta. Fermoebasta, il mio ragno.”
 La bambina indicò la finestra. Sua madre arricciò il naso con disgusto.
 “Credo sia arrivato il momento di fare un po’ di pulizia. Quella ragnatela è veramente rivoltante, per non parlare di quel ragno morto.”
 “Tu credi che sia morto?”
 “Guarda il suo corpo: è un guscio vuoto.”
 “Non è vuoto.”
 “… Mi dispiace, tesoro.”
  “Non è vuoto.”
 “Non pensarci, cara. Era solo un piccolo ragno. Domani dovrai affrontare il viaggio all’aeroporto. Cerca di riposare.”
 La madre uscì in silenzio dalla stanza, e chiuse la porta alle sue spalle. Anita continuava a guardare la finestra aperta, scuotendo piano la testa.
 “Tu non sei vuoto. Sei il mio migliore amico. Non sarai mai vuoto. Non permetterò che tu svanisca nel nulla.”
 Tese la mano verso la ragnatela, quasi sfiorandola con una carezza. Si ritrasse in tempo. Spaventata, chiuse di scatto la finestra. Aprì il cassetto del comodino accanto al suo letto, e ne tirò fuori una chiave. La inserì nella serratura della finestra, e la chiuse ad ogni mano estranea.
 “Così nessuno potrà toccarti fino al mio ritorno.”
 Infilò la chiave in un nastro colorato, che si legò al collo. Fuori, la neve cadeva lentamente sulle montagne. Anita non riusciva a vederla.
 
 Lontano, lontano.
 Sdraiata sul sedile posteriore di un’automobile, Anita lasciò le montagne sconosciute e le invisibili foreste. Lontano, su un aereo, verso luoghi ignoti, verso camere oscure. Lontano, Anita raggiunse l'ospedale. Lontano, lontano dalla sua stanza, lontano dal suo amico più caro. Lontano, verso l’ignoto, verso camere sempre più oscure.
 Dentro l’ospedale. Un’attesa. Le fu assegnata una stanza. Doveva restare lì, da buona e brava bambina qual’era, in silenzio. Tra qualche giorno tutto sarebbe stato pronto per l'operazione. Non era contenta? Avrebbe camminato, avrebbe avuto delle gambe nuove. Ma lui era lontano, lontano. La chiave era ancora al suo collo, e la copriva con una mano per non farla vedere a nessuno. Era un segreto. Il suo segreto. Nessuno doveva avvicinarsi a Fermoebasta.
 Non pensava all’operazione, non ascoltava le voci allegre delle infermiere. Spesso il nonno le faceva visita, portandole sempre nuovi regalini e raccontando dei suoi viaggi passati. Solo a lui il segreto della chiave venne rivelato. Lui sorrise, rassicurandola: nessuno avrebbe fatto del male al suo ragno, se lei ne era così affezionata.
 Anita non poteva fidarsi neanche delle parole del nonno. Non permise a nessuno di toccare la chiave.
 Quando vennero a prenderla per l’operazione, lei non aveva paura. Era talmente assorta dal pensiero del suo amico lontano, che oramai la prospettiva di tornare a camminare non le interessava più. Nessuno riusciva a spiegarsi il perché. Nessuno capiva perche il legame sorto tra la bambina e il cadavere del ragno fosse più importante delle gambe nuove.
 Lontano, lontano. In una stanza ancora più oscura, illuminata da una sinistra luce verde. Che nessuno tocchi la chiave. E’ mia. Fermoebasta. Dove si trova? Lontano, lontano. Avevamo un patto, il nostro patto, segreto come il suo nome. Lontano, lontano. Portatemi lontano, dal mio amato Fermoebasta.
 Lontano, lontano.
 
 Nessuno dei familiari riusciva a crederci. Eppure era vero. L'operazione era riuscita alla perfezione. Ora Anita poteva camminare come ogni altra bambina. Certo, prima avrebbe dovuto affrontare mesi e mesi di dura riabilitazione all’ospedale, ma i medici erano tutti d’accordo: presto sarebbe potuta tornare a casa.
 Anita guardava tutti i volti sorridenti dei suoi parenti. La toccavano, piangendo, come un miracolo vivente, una preziosa reliquia da esporre nelle vetrine di una Chiesa. Il nonno le baciava i capelli, la stringeva a lungo, parlandole e sussurrandole frasi di conforto.
 “Nonno, nonno.”
 “Dimmi, amore mio.”
 “Voglio tornare a casa.”
 “Torneremo presto, cara.”
 “Quando?”
 “Presto.”
 “Io vorrei tornare il prima possibile.”
 “Presto, amore mio. Presto.”
 
 E venne il giorno in cui Anita tornò a casa. Venne il giorno in cui poté imparare a conoscere le montagne della sua infanzia, le grandi foreste, gli insetti e gli animali e la bellezza concreta della Natura. Tutto quel meraviglioso spettacolo era ora a sua completa disposizione. E lei ne era felice, ma più di ogni altra cosa desiderava tornare nella sua stanza, aprire la finestra, ed ignorare il paesaggio esterno. Voleva incantarsi di fronte all’elaborata perfezione della ragnatela, salutare il suo amato ragno. Vuoto o non vuoto, voleva rivedere Fermoebasta.
 Entrò nella casa, percorse le stanze delicatamente illuminate. Salì le scale. Era incredibile, era meraviglioso. Lei stava salendo le scale. Attraversò un lungo corridoio, e raggiunse la porta della sua stanza. Si precipitò verso il letto, cercò la ragnatela.
 Ecco, era la prima barriera. Legno, vetro e imposte. Tese la mano, cercò di attivare il meccanismo, ma il muro non cadde. Solo allora si ricordò della chiave. La inserì con atto febbrile nella serratura. Un suono metallico, la finestra si aprì leggermente.
 La bambina tremava.
 Spalancò la finestra.
 Era sorta una nuova barriera. Montagne e foreste si stagliavano imponenti all’orizzonte, soffocando le stelle con un muro di pietra. Monti invalicabili tra lei ed il cielo notturno, dove il suo ragno era stato trasportato dal vento. Ora tesseva ragnatele per le Costellazioni. Ma lei non riusciva a vederlo.








 

   
 
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