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Autore: Edian    10/03/2013    3 recensioni
Cesare lo guarda. “Fallo.” rantola.
Tanto è quello che hanno sempre fatto, no?
Sin dall'inizio, pugnalarsi a vicenda è stato sempre il loro scopo. Cosa importa se questa volta la pugnalata sarà concreta? L'imperator, il pontefix, il senatore morirà comunque.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Julius Caesar
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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THE TIME HAS COME TO MAKE THINGS RIGHT



Autore: Edian
Pairing: CesarexTiberius;
Rating: Verde
Avvertimenti: Angst, One-Shot, Future!Cesar, Future!Tiberius
Note: In questo piovoso pomeriggio ho preso il PC, le canzoni dei Muse e mi son detta che dovevo scrivere. Qualcosa dovevo per forza buttarla giù. Ed ecco qui il risultato, una angst storica che probabilmente non ha né capo né coda. E' ambientata nel fatidico giorno delle Idi di Marzo, e spero di non aver detto castronerie, ma per evitarle ho cercato sempre di lasciare tutto in generale. Godetevela, non ho altro da dire, e siate magnanimi!





La prima coltellata arriva diretta al dictator di Roma, e fa male.


Sapeva che ultimamente il suo operato non era molto rispettato in Senato, sapeva che, come per tutti i potenti, era arrivato il momento in cui attorno non si hanno che nemici e in cui le persone leali sono meno del numero delle mani concesse ad ogni uomo. Eppure c'è sempre quella persona che pensi che non ti tradirà mai.


Arrivano altre pugnalate, voci confuse gridano ovunque. I corpi si accalcano su di lui, ognuno vuole lasciare il suo marchio, ognuno, in queste Idi di Marzo, ha deciso di essere protagonista. Eppure dove erano tutti questi protagonisti quando la fine della Repubblica era vicina? Dov'erano Cassio, Decimo e Lucio in Britannia, in Gallia, o quando Spartacus stava stravolgendo l'ordine naturale delle cose?


Loro l'hanno appena ridotto in fin di vita, una ventina di persone contro uno solo, e la macchia di buio si allarga nei suoi occhi, negli occhi che hanno domato mille battaglie e che hanno sedato mille rivolte. Occhi che hanno visto il dolore.


Nel buio, nella confusione dei corpi che finalmente lo lasciano andare, nei corpi ancora vivi che scappano alla rinfusa, nei nitriti dei cavalli e nel rumore delle bighe che si allontanano, negli strepiti delle guardie che corrono ad arrestare chi possono, quegli occhi però funzionano ancora. Cesare, della Gens Iulia, discendente di Venere, gira la testa ed incontra un viso noto.


Tiberio, figlio di Crasso, che sta ritto davanti a lui, a guardarlo.


E in un attimo sente di essersi meritato ogni coltellata che gli è arrivata, ma nello stesso attimo, gli anni tornano indietro. Lui era ancora giovane, solo un tribuno militare, e Tiberio un giovane che credeva di avere il mondo nelle mani.


Quando è stato? Quando è iniziato tutto quel veleno fra di loro?
All'inizio era solo un gioco, era una gara di potere e di forza, c'era solo la voglia di non sottomettersi e probabilmente anche un po' di divertimento. Quando ancora Sinuessa en Valle era dei ribelli, o quando i ribelli avevano appena cominciato ad andare incontro alla loro morte. Era ancora tutto un gioco, c'era solo ambizione, voglia d'imporsi.. poi tutto è cambiato.


Il mondo era cambiato. Roma era cambiata. Il che era un po' la stessa cosa.


Adesso, negli occhi di Tiberio è passato qualche anno, è un uomo, e lui e Cesare si frequentano da anni; il triumvirato con Marco Licinio Crasso e Pompeo è stato firmato e Tiberio è uno svago che può permettersi tra e guerre civili e armi, tra gli anni passati sulle province della Gallia e della Britannia.


Cesare torna a Roma, prende la gloria e passa davanti casa di Tiberio.
I due si guardano, come se s'incontrassero per caso, e poi si baciano di rabbia, di paura, di nostalgia.
Gridano nelle camere da letto, si picchiano, si fottono.
I capelli vengono tirati, le labbra morse, i sentimenti vengono feriti dalle parole.
Ogni santa volta che lui ritorna a Roma è così.
Quante lenzuola hanno insanguinato con le loro unghie, con armi casuali, quanto male si sono fatti per anni? Fino a che...


Tiberio è un uomo ora. Sono stato troppo indulgente, gli ho concesso troppi anni di gioventù. Sposerà una donna.” queste le parole di Marco Crasso, qualcuna delle ultime parole della sua vita. Cesare è contento di aver messo già prima del veleno nel pasto del suo “alleato”, altrimenti l'avrebbe fatto in quello stesso momento. Tiberio è solo suo, non importa quanti anni lui sia stato all'estero, per quanti anni non lo veda. Tiberio è suo.
Annuisce alle parole del vecchio e poi ride quando successivamente lo vede agonizzare per terra. Lo sbeffeggia.


A pensarci ora, sul freddo pavimento di pietra del senato, forse non era necessario ucciderlo. Ma l'età è solo portatrice di sensi di colpa, avesse di nuovo vent'anni, fosse di nuovo vivo, non starebbe rimpiangendo niente.


Hai ucciso te mio padre.”
Brillante deduzione, Tiberio.”
Non toccarmi.”
Lo dici sempre.”
Sfortunatamente per te avevo già firmato un contratto di matrimonio:”
La sua ira fa breccia, prepotente, nel muro della situazione e il politico tiene per la gola il ragazzo, che ormai, non è più un ragazzo. Una sola domanda esce dai denti stretti, come un ringhio di una bestia selvaggia. “Chi?”
Tiberio lo guarda beffardo, sa che Cesare non stringerebbe mai la sua gola. Sa di avere potere sul console. “Saturnia, la bella. La figlia di Quintilio. La conosci, mi sembra!”


La nipote della sua prima moglie, già ripudiata.
Sperava in qualcosa di meglio.. no, sperava in se stesso. Cosa che non era possibile. Non era mai stato possibile.


Da quel giorno, da quel giorno il veleno era stato troppo per poterlo sedare nelle camere da letto, e la guerra e la distanza, aveva aggiunto tutto quel poco che mancava affinché loro si odiassero completamente.


Però, da quando era diventato dictator, quante volte era entrato in casa di Tiberio e si era preso comunque quello che lui non voleva dargli? Qualcosa di cui non riusciva più a sopportare la mancanza. Una mancanza così forte che l'età e il potere avevano dovuto combinarsi per colmarla.
Entrava nella sua camera, faceva sfondare la porta dalle sue guardie. Tiberio gli sputava, lui lo riversava sul letto, lo immobilizzava, gli soffiava parole di scherno e di odio, entrava dentro di lui e faceva ancora finta di saper amare.


Come un lampo, i flashback si fermano e Cesare riesce a contare i respiri che gli rimangono. Tiberio ha sempre dieci anni in meno a lui, ma è un uomo adesso. Si china su di lui, gli afferra i capelli insanguinati e li tira. Negli occhi ha delle lacrime congelate, chissà se di rabbia o di gioia.
Di certo non di tristezza.


“Lo vedi, dictator” dice, con voce rotta e mascella tremante, all'orecchio di un uomo che non è più neanche capace di guardarlo. “che il potere non dura per sempre? Ora sei contento della gloria sul campo di battaglia? Sei ancora soddisfatto delle notti in cui mi hai preso facendoti aiutare dalle tue guardie?” fa una risata di scherno, e si scansa, rimanendo sempre inginocchiato accanto al corpo insanguinato che si sta spegnendo.


Attorno al Senato, il silenzio è sceso. Solo il vento e la polvere abitano quei luoghi, li isolano dal resto del mondo e gli offrono rifugio per l'ultimo, drammatico atto della loro storia.


Cesare lo guarda. Deglutisce con uno sforzo enorme, ed annuisce. Non è da lui rimpiangere tutto solo per una fine ingrata.


“Persino tuo figlio ti ha pugnalato. E non ti chiedi neanche il perché? Non ti penti delle tue azioni?” ora è chiaro, quelle lacrime – che ora si stanno liberando lungo le guance, via dagli occhi neri – sono di rabbia. Di rabbia per essere stato l'unico che non ha preso la sua vendetta. Ventidue pugnalate bruciano rosse sul suo corpo, ma ne manca una.


Cesare lo guarda. “Fallo.” rantola.
Tanto è quello che hanno sempre fatto, no?
Sin dall'inizio, pugnalarsi a vicenda è stato sempre il loro scopo. Cosa importa se questa volta la pugnalata sarà concreta? L'imperator, il pontefix, il senatore morirà comunque.


Tiberio ha le labbra che tremano, gli occhi accecati e le viscere che ribollono.
“La cosa che fa più male è che c'è stato un tempo della mia vita in cui ero convinto che avrei potuto andare avanti per sempre ad aspettarti e ad accoppiarci come delle bestie quando saresti tornato.”
Prende un pugnale, ancora caldo e già insanguinato.
“Addio, Gaio Cesare, della Gens Iulia. Vai nell'Ade e paga per i tuoi peccati!” e quasi urla mentre incide la sua ultima, fatale pugnalata, sullo sterno.


La luce si spegne negli occhi chiari del dictator, e il vento smette di soffiare, la polvere cade a terra mentre il petto si ferma e il cuore si spezza per l'ultima volta, o forse per la prima. Magari prima di quel giorno non aveva davvero mai sofferto. Gli occhi diventano velati e non gli rimane più la forza neanche dell'ultimo pensiero, dell'ultimo urlo, dell'ultimo respiro ancora non finito.


Tiberio posa un bacio su quella fronte ormai senza vita e poi si alza, asciugandosi gli occhi. Prende i suoi oggetti e va' via da quel luogo maledetto, pensando che forse era meglio morire quel giorno, accanto al mare, in quel pazzo, pazzo attacco.


Forse sono stati fortunati i ribelli, a morire per le strade di Roma e non a viverci. La sorte non è benevola per i cittadini della città eternamente maledetta, e la sua vita è ancora tanto lunga, da dividere con una moglie che non ama ed un figlio non suo.


Ad una fonte si lava le mani insanguinate e piange ancora, riversando lava sul suo viso. Fiumi ardenti che sgorgano dagli occhi e la bocca è spalancata ed emette singhiozzi. Tutt'attorno Roma freme, le notizie cominciano a giungere, i congiurati sono probabilmente già arrivati al mare.


E lui alza gli occhi al cielo, senza voler sapere più niente. Senza sapere se in realtà aveva mai amato quel dittatore arrogante, senza pensare ad un amico di tanto tempo fa che ha già tradito mille volte. Qualcuno, nella folla dice: “Questo sarà un giorno che passerà alla storia” e lui scuote la testa.
Lui non passerà alla storia.
I dettagli pieni di significato vengono sempre dimenticati.
Nessuno saprà mai di quelle notti, ora quelle giacciono nella ventitreesima pugnalata, finalmente dritte nel cuore dell'uomo che lo aveva pugnalato già molto tempo prima.

   
 
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