Storie originali > Thriller
Ricorda la storia  |      
Autore: __21century    11/03/2013    5 recensioni
Lana ha lasciato perdere la carriera da avvocato, ha lasciato perdere la sua famiglia, ha lasciato perdere la sua vita perfetta.
Ha deciso che sarà una di quelle che fa la differenza, anche usando la violenza.
Uccide. Uccide chiunque fa del male agli altri, chiunque diventa pericoloso. Aiuta le donne.
Ha imparato a difendersi, è a uno dei gradi più alti.
Tutto andrebbe sempre meglio se non fosse per Conall.
Lana decide che sarà la femmina alfa e che, in qualche modo, farà crollare chi da suo amico è diventato nemico.
Genere: Introspettivo, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Donne che uccidono gli uomini.



“Sai cosa rende una storia una bella storia?”
“No. Cosa?”
“Le cattive decisioni.”
“Sì?”
“Sì.”





Sentiva le urla provenire dall’appartamento accanto e ogni tanto sentiva anche qualcosa schiantarsi contro la parete. Aveva gli occhi chiusi, le dita attaccate a una sigaretta. Ogni trenta secondi la portava alla bocca, inspirava e poi buttava fuori tutto il fumo che riusciva. Ogni tanto tossicchiava.
Aprì gli occhi. La prima cosa che vide fu il suo corpo magro, che le fece storcere il naso. La stanza era troppo piccola per fumarci. Non c’era molto: quattro pareti, un letto e una poltrona sfondati, un tavolino e una porta. Era il primo posto che aveva trovato. Era seduta con la schiena rivolta al muro, per terra.
Aveva indosso una canotta verde marcio, che non si cambiava da un paio di giorni, e pantaloncini di jeans. Aveva lasciato i piedi nudi, più tardi avrebbe recuperato le infradito che aveva dimenticato chissà dove. Era felice e rilassata, nonostante tutto. Nonostante l’aria viziata di quel posto, nonostante i vicini che urlavano, nonostante i casini che aveva combinato, nonostante i suoi vestiti puzzassero di vecchio e il trucco probabilmente era sbavato. Si sentiva bene. Non sapeva quando esattamente aveva cominciato a sentirsi così bene. Forse quando aveva abbandonato tutta quella vita schifosa che non faceva per lei. Stava addirittura per prendere la seconda laurea. Rise al pensiero.
«Che stupida.» bofonchiò, la voce rauca.
Allungò la mano verso il suo fianco e tastò alla ricerca del suo cellulare. Lo trovò più lontano di quanto pensasse. Lo sollevò, rendendosi conto di essere stanchissima. Aveva sette chiamate perse, tutte dalla stessa persona. Sorrise e spense la sigaretta su quella che doveva essere una moquette.
Si alzò e si mise alla ricerca delle ciabatte, che trovo tra le coperte del letto.
Si assicurò di non aver lasciato nulla nella stanza che potesse far pensare che qualcuno era stato lì e poi, con calma, la lasciò. Si rese conto che in quella accanto nessuno stava più urlando, si sentiva solo una donna piangere. Senza pensarci due volte si tuffò nella camera e vide una donna bionda, sulla trentina, con il naso spaccato e fin troppo sangue sulle lenzuola giallastre del letto.
«Se lo vuoi morto basta una chiamata.” » le disse, lanciandole un biglietto con il suo numero scritto sopra che aveva trovato, fortuitamente, in tasca.
La donna alzò lo guardo e tirò su con il naso, confusa.
«Grazie.» Singhiozzò, mentre il sangue le scorreva sul mento. Era uno spettacolo raccapricciante.
Se ne andò, come era arrivata. A volte si chiedeva se quello che faceva era così giusto come credeva. Aveva avuto la possibilità di vivere una bella vita, di diventare avvocato –perché era abbastanza intelligente per arrivare dove voleva–, di avere una bella casa e fare tutte quelle cose che i suoi genitori facevano.
Era scappata, l’unica cosa che aveva lasciato era una specie di lettera in cui diceva di aver trovato un’occupazione a Roma. Ogni tanto mamma e papà la chiamavano perché erano evidentemente preoccupati. Non la vedevano da due anni, ormai. Le era sembrato strano che non l’avessero cercata. Aveva deciso di vivere di espedienti, facendo qualcosa di buono, in un certo senso. Le piaceva, davvero. All’inizio era strano e non le assegnavano mai l’azione in campo. Era sempre una di quelle dietro le quinte. Lei trovava gente, spargeva la voce da sotto il tavolo. Sussurrava alle orecchie di chi sapeva avrebbe accettato. Non ci guadagnava niente, come tutti in quel posto. Era riuscita a trovarsi un posto come cameriera in un bar fatiscente alla periferia di Milano, andava avanti con quello. Ogni tanto il proprietario le concedeva di dormire lì. Le prime volte una volta alla settimana, anche meno. Negli ultimi tempi dormiva sempre in quel posto, tranne qualche eccezione.
Quel giorno era un eccezione. Era finita in un motel con la moquette dall’odor di tabacco, per colpa di quel cretino di Conall. Erano sue tutte e sette le chiamate perse. Doveva lasciarla in pace, non ne poteva più di lui. Non sapeva neanche più perché si ostinava a chiamarlo ancora Conall, non era il suo nome, quello. Aveva deciso di chiamarlo così, una notte in cui si erano ubriacati. Una delle tante notti. Le piaceva Conall, sapeva che in lingua celtica significava Lupo Coraggioso. Avevano riso tanto quella notte e si erano detti cose che non pensavano. Tant’è.
Sarebbe dovuta andare da lui, chiedere umilmente scusa per il suo comportamento stupido e ritornare a fare la subordinata. Il problema era che non accettava di non fare il vero e proprio lavoro, di venire retrocessa. Voleva sporcarsi le mani di sangue come sempre. D’istinto, pensando a lui, le venne da portare la mano al fianco, dove teneva nascosto un coltellino. Lasciò perdere il suo impulso primordiale, per concentrarsi sulla fuga da quel posto. Non aveva pagato, ovviamente, e si era appropriata solo momentaneamente della camera di un ragazzo portoricano che spacciava. Non ci era voluto molto a capirlo. Gliene aveva rubata un po’, mentre non c’era. Non si sentiva in colpa, per niente. Aveva percorso tutto il corridoio lungo, le pareti erano bordeax e bianche e facevano davvero schifo. Alla fine del corridoio si andava o a destra o a sinistra. Controllò prima a destra, che non ci fosse nessuno, poi tornò a sinistra e si calò dalla stessa finestra da cui era entrata. Fu facile, era solo al primo piano e la camera sotto aveva il balcone.
Si ritrovò nel parcheggio del motel e, una volta lì, riuscì a tornare al campo base in dieci minuti scarsi.
Sbuffò alla vista dell’auto di Conall parcheggiata fuori dal capannone. Era ora di affrontarlo. Era più che intenzionata a non perdere quello che in un anno e mezzo si era guadagnata stringendo i denti e assestando calci e pugni a chiunque ne volesse. Non era più tornata da quando era successo quel casino, da quando Lu aveva dato ragione a Conall e lui l’aveva insultata. Si era sentita offesa e aveva preferito andarsene a pensare altrove. Era stato un bene per tutti, in fondo. Più tempo per pensare e decidere quali sarebbero state le conseguenze di tutti quegli sbagli e di quelle grida. Non era proprio vestita in modo adatto per affrontare la situazione, ma non aveva voglia di cambiarsi. Sperava, almeno, che il resto del gruppo non si fosse vestito a lutto come era solito fare quando succedeva qualcosa. Non aveva mai capito il perché, tra l’altro.
Si fece forza e si diresse verso il luogo dove sarebbe morta, un giorno. Era deserto, fuori e sembrava abbandonato. Aprì la porta della recinzione sbilenca, scocciata, ed entrò a mento alto. La stanza non era piena quanto si aspettava. C’era Lu, seduta sul divanetto rosa sbiadito, Conall si dondolava su una sedia –ma smise quando entrò– e altra gente era seduta in giro, o sdraiata. Solo un ragazzo era in piedi, guardava fuori dalla finestra, verso il cielo grigio. Quando sentì la porta aprirsi, si girò. Stava fumando, come quasi tutti gli altri. Conall, stranamente, non lo stava facendo.
La stavano guardando, curiosi di sapere come sarebbe andata a finire. Sapevano tutti che Conall non avrebbe alzato le mani e che se qualcuno fosse morto non lo sarebbe stato per mano sua. Non si poteva dire lo stesso di Lu, che aveva preso a cuore la causa e l’aveva ingigantita fino a provocare disastri.
«I cani non sono ammessi.» sputò fuori proprio lei, con astio.
«Sta’ zitta.» le rispose già scocciata da quel comportamento infantile. Stava aspettando la reazione di Conall. Sapeva che avrebbe parlato di lì a poco.
«Cosa sei venuta a fare? Pensavo te ne fossi andata.» chiese, infatti.
Si era tinto i capelli di nero, lo faceva sempre quando era arrabbiato. Si ricordava ancora quando li aveva tinti per colpa di Lu, che aveva comprato delle armi con i soldi comuni senza chiedere i permessi necessari.  Era l’ultima volta che l’aveva fatto e da quando quel problema si era risolto era tornato biondo, come le piaceva di più.
 I suoi occhi erano seri e prevedevano tempesta. La ragazza era nervosa, ma era abituata a nasconderlo. Sapeva che una volta uscita da lì o non sarebbe tornata oppure sarebbe scesa di grado. Non lo accettava, ma lo sapeva. Avrebbe lottato comunque.
«Sono tornata per chiarire. Se volete cacciarmi, fatelo. Sapete bene cosa perdete e nessuno vuole convincervi di quanto io sia indispensabile perché, come tutti sanno, non lo sono.» disse, parlando più velocemente di quanto si aspettava. Si maledisse mentalmente: cosa ci faceva lì? Si era piegata, prostrata in ginocchio a chiedere scusa. In ogni caso, troppo tardi.
«Indispensabile.. beh, a dire il vero lo sei e lo sai.»
«Perché? Sentiamo.»
Si era innervosita, non le andava che le leccasse i piedi e poi la fregasse, come con tutti gli altri. Era più intelligente di così.
«Intelligenza, precisione, determinatezza, concentrazione. Sei una delle migliori, qua. Da sempre.» Conall sorrise, un sorriso amaro.
«Ma per favore. Smettila di fare il lecchino e poi se ne riparla. Dov’è Tom? Ho intenzione di risolvere la faccenda sentendo il suo parere e accettando la giusta punizione, basta che tu te ne stia buono e taccia perché delle tue stronzate non ne posso più.» chiese, la voce alterata dalla rabbia.
Sapeva di essere brava come sapeva che solo qualcuno dei suoi superiori –neanche tutti– aveva la sua dedizione, ma questo non bastava. Bisognava essere precisi, mirare giusto e su questo doveva fare ancora pratica. Eppure sperava che fosse davvero come aveva detto Conall, che lei fosse insostituibile.
«Perché non affronti la situazione e risolvi con me, prima? Ti senti tanto una femmina alfa, ma fai ridere.» Conall era ferito nell’orgoglio, le sue difese cadevano come i suoi stupidi trucchetti.
«Affrontiamola. Dimmi ciò di cui vuoi parlare e ne parliamo, dato che quando era il momento di farlo sei solo stato in grado di urlarmi insulti e via dicendo. Parliamone, così abbiamo modo di appurare, per l’ennesima volta, che cretino sei » La rabbia la accecava e si sentiva carica, così carica da poterlo uccidere sul momento, solo con il suo coltellino. In ogni caso non l’avrebbe fatto perché, al contrario suo, sapeva controllarsi.
«Vai a quel paese, Lana.» borbottò Lu, con calma, come se le avesse detto “Ciao”.
Era strano sentirsi chiamare per nome, dopo due giorni che nessuno le parlava neanche.
«Infatti, con voi parlare è impossibile. Aspetterò Tom fuori.» fece per uscire, ma il ragazzo alla finestra, che sembrava muto, finalmente decise che non lo era.
«Tom è sul balcone con Lisa, a dire il vero.»
«Grazie, qualcuno che si rende utile allora c’è.»
 La ragazza sorrise e si avviò per le scale. Nel frattempo si chiese chi diavolo fosse quel ragazzo. Era mancata solo due giorni e già spuntava fuori gente nuova. Tipico di Conall, in effetti. Reclutare gente completamente inetta e inutile solo per il gusto di fare qualcosa, al posto di pensare. Raggiunse il balcone a passo svelto, sembrava quasi saltellasse. La scocciava l’idea di disturbare Tom –che poi l’aveva sempre chiamato Tommy– mentre era con Lisa, ma avevano tutto il tempo del mondo per sussurrarsi stupide smancerie all’orecchio. Come pensava, erano appartati a professarsi il loro amore e a sbaciucchiarsi. Alzò gli occhi al cielo e diede un calcio al muro  –per farsi sentire– prima di uscire sul balcone. Lisa, come sentì il rumore, si staccò da Tommaso e dopo aver visto che era solo Lana, sbuffò.
«Oh, Lana! Da quanto tempo. Pensavo non saresti tornata, dopo tutto quel casino con Luca. Mi han detto che qualcuno di noi vuole farti retrocedere di grado oppure addirittura cacciarti.» Le disse Tom, sorridendo. Le voleva bene, l’aveva presa sotto la sua ala come se fosse una figlia.
«Già. Non capisco il perché, se avessi fatto le stesse cose con qualcuno di quelli nuovi nessuno avrebbe parlato, anzi. Forse sarebbero stati anche d’accordo con me, non lo so.» e lo pensava davvero. Solo perché l’affronto l’aveva fatto a Conall erano sorti problemi. Non si meritava la retrocessione e nemmeno l’allontanamento, Conall se li meritava. Ovviamente un sacco di gente non era d’accordo, anche solo perché lei era una donna ed era a uno dei gradi più alti, così giovane poi.
«Probabilmente lo sarebbero stati, sì.»
«Già, lo so. Che dicono gli altri?»
«La Santa Trinità? Non molto. Rob e Tia sono d’accordo con Luca, non puoi aspettarti altro, conoscendoli. Leo non ha ancora detto nulla, ma lo vedo incline ad avere un colloquio con te, così sapevo.»
Lana non era soddisfatta. Aveva sperato che sia Leo che Tia fossero dalla sua parte –da Rob non si aspettava niente– e che l’aiutassero a non perdere troppi pezzi per strada. La pena l’avrebbe comunque decisa Conall, ma almeno così avrebbe avuto la possibilità che non fosse approvata. L’avrebbe accettata pur di rimanere lì, ma non voleva rimetterci troppo.
«Va bene. Sai già cos’ha in mente Conall » chiese, sperando che in quei giorni fosse spuntata fuori qualche idea da lui, giusto per sapere.
«Non saprei. Ricordati che Conall ti vuole bene e ha sempre voluto essere di più per te. Non riuscirà a essere cattivo, anche se questa volta l’hai davvero fatto incazzare. Qualsiasi altra persona del suo livello, criticata da te così duramente ti avrebbe buttata fuori.» Tom le fece un sorriso timido, come per consolarla. Non aveva bisogno di consolazioni, sarebbe andata incontro a tutto ciò che doveva.
«Spererò per il meglio. Grazie, Tommy.» gli disse, stringendolo in un abbraccio, incurante delle occhiatacce di Lisa, che se ne stava lì ad ascoltare.
Tom era colui che l’aveva iniziata a quel mondo, era di un grado superiore al suo e di uno posteriore al grado massimo. Era bello parlare con lui, quando non c’era Lisa soprattutto.
Lana scese le scale, quasi correndo, e mentre era sugli ultimi scalini sentì la voce di Tia. Capì subito che la Trinità era già arrivata, probabilmente per lei. Tornò indietro, correndo veloce, e avvisò Tom che si apprestò a scendere le scale per salutare.
Lana si ritrovò nella stanza con gli occhi della Trinità addosso, che la giudicavano. Colpevole o no.
«Buongiorno.» li salutò gentilmente, tenendo il tono di voce pacato.
«Buongiorno, Lana. Sai che Luca ha presentato una richiesta di pena nei tuoi confronti, vero?» Rob rideva, rideva di lei. Non le importava, era migliore di lui come persona.
«Sì.»
Rob fece sventolare un foglio bianco davanti al suo naso, sempre con quel ghigno sulle labbra.
«Spero ti farà piacere sapere che, in seguito a una richiesta, sei retrocessa al primo grado.» la sentenza arrivò secca, all’improvviso, come una pugnalata al petto.
L’aria nella stanza divenne gelida. Tutti stavano pensando a quanto Lana non si meritasse di tornare al primo grado e di ricominciare tutto da capo, questa volta con mille ostacoli in più.
«Vorrei sapere le motivazioni che vi hanno portato a questa decisione, prima di abbandonare le armi.» 
Aveva gli occhi pieni di lacrime, ma si stava facendo forza fisica e mentale per non lasciarle andare.
«Sei stata irrispettosa verso un tuo superiore e lo hai messo in stato d’accusa senza conoscere la vicenda appropriatamente.» spiegò Tia, con calma.
«Con tutto il rispetto, ma trovo incredibile il fatto che ora sia io la persona condannata, quando Luca ha ucciso una persona a sangue freddo, usando le armi comuni, per scopi personali. E’ sbagliato.» 
Lana credeva fermamente in ciò che stava dicendo e non aveva intenzione di farsi calpestare, né in quel momento né mai.
«Lana, chiedi scusa a Luca e la faccenda avrà fine qui. Le tue ragioni le hai spiegate e ci fa piacere, ma la nostra decisione è stata presa.» disse Rob in tono autoritario, che non accettava repliche.
«Non chiederò scusa.» affermò la ragazza, sicura di sé.
Le persone nella stanza erano sorprese, si aspettavano tutti che la vicenda finisse con la retrocessione di Lana e qualche applauso a Luca.
«Non chiederò scusa per qualcosa di cui non mi pento e senza aver potuto spiegare ciò che è successo, non quando quello su cui vi basate per giudicarmi è il racconto di una singola persona. Luca ha ucciso a sangue freddo quella che era la sua amante, andando contro tutti i principi morali su cui si basa questo posto. É contro persone come lui che lottiamo tutti i giorni e non riusciamo a vederlo. La faccenda la conosco fin troppo bene, dato che Luca me la descrisse nei particolari e sono sicura quando dico che non stava mentendo. Ho mancato di rispetto a un superiore, è vero, ma mi sento giustificata considerando che il superiore in questione è inferiore a qualsiasi persona in questa stanza, sul piano morale.» Aveva finito l’aria nei polmoni, ma ce l’aveva fatta. Aveva detto tutto ciò che pensava, si era presa la sua rivincita. Sarebbe stata responsabile delle conseguenze, ma non era importante perché lei era una femmina alfa, questa volta davvero, e si era fatta valere. Era quello uno degli scopi del gruppo, far capire a ogni donna che vale e che alcuni uomini sono solo degli stupidi.
A Leo era piaciuto il suo discorso, lo vedeva sorridere compiaciuto.
«Tom, è brava questa ragazza, con le armi?» chiese.
«Una delle migliori.» 
Lana si sentiva rincuorata da quelle parole. Sentiva che il suo sforzo era valso la pena.
«Ragazzi miei, io non sono d’accordo con la pena. L’avete visto anche voi che ragazza forte è. Rimani dove sei, nessun primo grado. E lotta per il grado superiore, che hai le carte per farcela, quando vuoi.» 
Lana sorrise, e una lacrima le scese sulla guancia. Era felice di avercela fatta. Sarebbe stato difficile continuare sotto lo sguardo inviperito di Conall e Lu, ma sarebbe andata avanti comunque.  
«Vogliamo lasciar perdere il fatto che abbia insultato un superiore? C’è un ordine qui dentro.» ribatté Rob, contrariato.
«Beh, forse ha fatto bene! La prossima volta lui non fa cavolate e nessuno dirà nulla, te lo garantisco.»rispose prontamente Leo.
Lana osservava con la coda dell’occhio Conall e lo vedeva stringere i pugni, la fronte corrugata e i denti stretti. In ogni caso non poteva farci nulla. Avrebbe dovuto star zitto.
«Va bene, ma la prossima volta, Lana, per favore presentati da noi quando c’è in ballo qualcosa e spiegaci tutto. Ci era stato riferito che eri sparita dalla circolazione.»sospirò Tia, come annoiato dall’intera vicenda. E probabilmente lo era, a loro di quelle stupide litigate non interessavano. A loro interessava il business che c’era dietro l’organizzazione e basta. Non interessava a nessuno dei tre se moriva qualcuno di loro o se disubbidiva, volevano solo che tutto filasse dritto. E in quel caso era meglio non perdere Lana perché era una delle tiratrici migliori che avevano mai avuto. La lasciarono andare, mentre stringevano qualche mano e parlavano con i vari superiori e si assicurassero che tutto stesse andando bene lì dentro.
La prima cosa che Lana fece fu andare nella sala delle armi a lucidare le sue bambine, quelle che le permettevano di far capire a tutti che era una femmina alfa. Quelle che l’aiutavano a sparare a chi se lo meritava, a chi abusava di altri. Era ora di tornare sul campo, per combattere.









Grazie a tutti quelli che hanno letto. Critiche e consigli sono sempre ben accetti! ♥
  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: __21century