Anime & Manga > Evangelion
Ricorda la storia  |      
Autore: CaskaLangley    11/03/2013    7 recensioni
"Io sono rossa, si disse Asuka, fiera di essere rossa. E subito dopo un pensiero fugace, come un soffio di vento: però vorrei essere azzurra." [Asuka Soryu e Asuka Shikinami che si intrecciano. Eggià.]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Asuka Soryou Langley, Rei Ayanami, Shinji Ikari
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

But fire though she’d really rather be water instead.

 
Dell’ospedale si ricordava il silenzio. Le labbra mute di sua madre, che si muovevano aldilà del vetro. E i sussurri, giunti da lontano, dalla riva. Un mondo acquatico.
Asuka voleva urlare. Scuoterla, svegliarla, anche spezzarla. Strapparle la freddezza e sprofondare nel calore. Voleva essere abbracciata. Stretta forte, e a lungo, per non andare in mille pezzi. Sognava che qualcuno la tenesse insieme, che la contenesse, ma tutti erano sordi, tutti sussurravano. E sua madre era troppo lontana per sentirla, non importava quanto forte urlasse. E allora aspettava, e non parlava. Non piangeva, per non aumentare di una sola goccia il mare in cui lei si trovava. Nemmeno una volta. Nemmeno la volta in cui era arrivata correndo, spintonando, passando anche sotto le gambe, e la gente che la guardava e diceva: povera bambina. Ancora sussurri. Asuka odiava i sussurri. E odiava anche essere una povera bambina. Era una pilota d’élite, la speranza del mondo. La sua voce era forte, ora ne era sicura, e poteva raggiungerla. Un grido acutissimo la poteva salvare. Asuka avrebbe nuotato per tutte e due verso la riva. Siamo vive, pensava. E mi piace essere viva. Lo sapeva con certezza, per la prima volta dopo tanto tempo. Ma in quella stanza non c’era sua madre, solo il suo guscio. Appesa alla corda sembrava che avesse provato da sola a tirarsi fuori dal mare. Anche la bambola era insieme a lei. Asuka pensò: nel luogo in cui sei adesso non mi troverai, perché non ero lì.
Ma allora dove sono?
Asuka scoprì il vero silenzio, e quel silenzio le entrò dentro. Si abbandonò a esso, i primi tempi, e lo trovò piacevole, infinitamente naturale. Poi capì che quel silenzio era la morte, e che la stava prendendo. Cominciò a urlare per scacciarlo. Urlò tantissimo e si consumò la gola. Continuò a urlare lo stesso. Urlava senza idea di come fare a smettere.
 

*

 
Se glielo avessero chiesto, Asuka avrebbe detto che per lei era necessario avere due cognomi. Il suo nome era l’unica cosa di cui era sicura, al punto che lo ripeteva nella notte, sibilando: Asuka Soryu Langley. Asuka Soryu Langley. Doveva essere lungo e musicale, forte come un elastico che si tende all’infinito e che non può spezzarsi. Ma se si deconcentrava, a volte, lo dimenticava. Per questo era importante che anche gli altri lo dicessero, e che glielo ricordassero. Che le ricordassero che era vera e viva. Avrebbe detto questo, se gliel’avessero chiesto. Ma nessuno glielo chiedeva.
«E cosa può dirti? Lo insulti appena apre bocca.»
Misato stava bevendo caffè freddo. Asuka lo aveva assaggiato: un sapore scialbo, terribile.
«Guarda che hai capito male, non voglio certo che mi parli per piacere, è solo che quando siamo soli mi annoio a morte, e in più mi lancia occhiate da maniaco!»
Lei fece un sorriso, per prenderla in giro: «Eddai, in fondo ti fa piacere che lui ti guardi, non è così?»
Asuka arrossì: «Che cosa?! Che assurdità mi tocca sentire, ma ti rendi conto di quello che dici, e tu saresti un’adulta?! Non farmi ridere!» Prese il succo dal vano del distributore e se ne andò con un passo pesante, lasciandosi indietro le scuse poco convinte di Misato, quelle che si farebbero a un bambino. Strappò la plastica della cannuccia e in quel momento, all’incrocio dei due corridoi, li vide. Stupishinji e la First.
 
Asuka li osservava da lontano, con il videogioco ancora in mano. Il rettangolo di luce azzurra sfumava nella sera. Si era cambiata in fretta, per essere lì quando Shinji sarebbe uscito. Se ne era resa conto solo mentre, aspettando, si era dovuta riallacciare la camicia sotto la casacca perché aveva saltato un bottone. Che stupida idea.
Stupishinji e la cocca del comandante non camminavano vicini, lei lo precedeva. Però rallentava, perché lui non rimanesse indietro, e quando succedeva Shinji subito accorciava la distanza e sorrideva. Sentiva le loro voci basse, come un eco che striscia nel tempo. Come all’acquario. Anche quella volta, Asuka era rimasta in disparte da tutti. Ancora un mondo acquatico, aveva pensato. In che senso? A volte non capiva i suoi stessi pensieri. C’era un caos profondo, in lei, un baule chiuso con mille catene in fondo a un mare troppo scuro, troppo spaventoso perché volesse immergersi. Rei Ayanami era come quel mare. E Shinji Ikari era attratto da quel mare. Asuka Shikinami Langley, invece…Asuka Shikinami Langley era come l’onda, che costante si infrange contro la riva per cercare inutilmente di scappare.
 
 

And I’ve heard every word that you said…

 
 
Shinji stava cucinando. Il vapore che saliva dal bollitore a volte copriva la sua figura, che lei osservava tenendosi a distanza, sulla soglia. I capelli umidi le bagnavano il collo e le spalle. Tamponava le punte con l’asciugamano. Lui mormorava tra sé e sé un motivetto, senza nemmeno un modello in mente, soltanto così, un po’ a caso. Asuka aveva voglia di andare a infastidirlo e nello stesso tempo voleva restare in silenzio, come per imporre a se stessa di fare l’abitudine a quella strana pace. Però era impossibile. Il silenzio non faceva belle cose, al suo cervello. Il rumore, invece…
«Ehi, Stupishinji» disse entrando nella stanza «Si può sapere quanto tempo hai intenzione di metterci?»
Lui stava per risponderle, ma girandosi la vide e ad Asuka sembrò che arrossisse. Distolse lo sguardo e iniziò a balbettare: «Ho-ho quasi finito, quindi…»
Asuka a volte riusciva a vedersi attraverso i suoi occhi. Le gambe nude sotto i pantaloncini corti, le gocce che attaccavano la maglietta al seno. C’erano giorni in cui Asuka diventava reale soltanto attraverso quello sguardo. Si chiedeva cosa avrebbe provato se lui l’avesse toccata, se le avesse anche soltanto stretto la mano come aveva fatto nel vulcano. In quella circostanza le era apparso come un uomo, ma il miracolo non si era ripetuto; era soltanto un ragazzino.
Ti piaccio?pensò, ma si sarebbe infuriata a qualsiasi risposta.
Asuka era piena di rabbia, e di rosso. Shinji temeva il suo rosso. Asuka era una ragazza da torrida estate. Shinji preferiva le ragazze d’inverno. Si sentiva come il fiore nel deserto – a cosa servono le spine? Sei già irraggiungibile, nessuno proverà a toccarti. Di certo lui non ci proverà. Ma Asuka avrebbe voluto. Se solo fosse riuscita a…che cosa? Provare meno rabbia? Essere meno rossa? Oppure a urlare più forte, finché lui non l’avrebbe vista. E allora si sarebbe accorto di quanto era profonda la paura che si rivoltava in lei, e avrebbe scoperto che era identica alla sua.
Ma quello che Shinji vedeva, l’unica cosa di lei che vedeva, era il suo corpo. 
Io sono rossa, si disse Asuka, fiera di essere rossa. E subito dopo un pensiero fugace, come un soffio di vento: però vorrei essere azzurra.
 
«Aspetta, Asuka!»
Era già lontana dal cancello, dalle voci allegre dei compagni. Bambini che giocavano dentro a un’eterna estate. Lei era diversa. Non sapeva nemmeno perché si trovasse lì. Le lezioni erano insignificanti, soltanto i kanji erano utili, ma sopportare la lentezza di quei ragazzini, la loro goffaggine…e poi nessuno le parlava. La senpai Shikinami era bella, era una mezzosangue, era un’arrogante…era molte cose, ma non una con cui parlare. A parte la capoclasse, lei era gentile, ma Asuka non capiva: nessuno è gentile per niente. Che cosa voleva da lei? Non sentiva di avere niente da dare. Niente che volesse, almeno.
Si voltò con espressione svogliata. Shinji salutò in fretta Aida e quel volgare Suzuhara, poi andò verso di lei. Asuka, senza aspettarlo, ricominciò a camminare.
«Stai andando alla base?»
«E’ ovvio. Ci sono i test, no?»
«Mh, ormai ci sono quasi tutti i giorni…possiamo fare la strada insieme, se ti va.»
Lei lo guardò diffidente. Non disse di sì né di no. A Shinji bastò.
«Ho visto che hai fatto amicizia con la capoclasse, l’altro giorno stavate…»
«Ma chi, Hikari? Non è mia amica, la conosco appena. Ci siamo parlate, tutto qui.»
«Oh, capisco…e ti mancano, invece, gli amici che avevi in Europa?»
«Ascoltami bene, stupido: io non ho amici, ho soltanto colleghi di lavoro, e…” – scosse la testa – «Ma si può sapere perché dovrei dirti queste cose?!»
Shinji sussultò: «Scusa. E’ che, vedi, anche se rischiamo la vita insieme io non so niente di te, o di Ayanami…»
Asuka aggrottò la fronte. Guardò i suoi occhi che cercavano l’immagine di Rei, come facevano in classe, quando lei non c’era e in qualche modo lui colmava coi pensieri la sua assenza. In quei momenti Asuka spariva. Smetteva di essere vera. La sua indifferenza la cancellava.
Perché si sentiva così? Quasi non lo conosceva.
Eppure qualcosa la attirava a lui. Sentiva come se in fondo fossero stati sempre uniti, come figure di carta ritagliate dallo stesso fragile foglio. Sentiva che lui le apparteneva. Come spiegarlo? Era irrazionale. L’intensità di questi sentimenti, così semplici, che non riusciva a trattenere. Come la notte in cui era scivolata mesta nella sua stanza, e solo sentire il suo respiro, il suo calore, l’aveva calmata. Era mai stata così delicata? Lui poteva infrangerla soltanto con un dito. Le faceva paura, e la faceva infuriare. Shinji non sapeva niente, non capiva niente. Era ignaro dell’effetto che aveva su di lei. Asuka, invece…lei era ignara del perché. Perché la sua lontananza le pesasse come un incubo o un ricordo sullo stomaco. Perché lo volesse come una parte di sé che le era stata tolta. Perché guardarlo sorridere a un’altra fosse struggente, mentre se invece sorrideva a lei…era sempre struggente. Ma anche incantevole. E perché lei, l’asso dell’aviazione europea, il capitano Asuka Shikinami Langley, avrebbe rinunciato a tutto solo perché quel momento in cui erano da soli sotto il sole appiccicoso – quell’insignificante momento – durasse per ore.
Gli occhi di Shinji erano grigio-azzurri come il cielo al mattino presto, in Germania.
Lui era casa.
Asuka si accorse che stava per piangere, senza motivo. Si sfregò di nascosto gli occhi. Shinji si guardava intorno come se vedesse i palazzi per la prima volta.
«Anche oggi non è venuta…» disse.
«Senti, se proprio devi venirmi dietro stai almeno zitto! Non ne posso più di sentirvi parlare sempre di quella svampita!»
Aumentò il passo, lasciandolo indietro. Cercò un filo d’aria fresca, ma il caldo era sempre insopportabile, a Neo Tokyo-3.
 

And I know I’ve been
driving like the snow…
 
oh but this is cooling, faster than I can.

 
 
«Senti, ma la First ti piace o qualcosa del genere?»
Shinji sgranò inebetito gli occhi. Aveva sempre quella sua stupida faccia ottusa, la faccia di chi soffre di un senso profondo di perplessità davanti a ogni manifestazione del mondo, di inadeguatezza rispetto anche solo alla mera consapevolezza del suo perpetuo girare. «Questi sono gli anni migliori della tua vita», «Non è la fine del mondo», «Domani è un altro giorno»…queste parole, che Misato pronunciava con enorme leggerezza, sembravano terrorizzarlo.
«Cosa…in che senso?»
Asuka subito si infuriò: «Come ‘in che senso’, in che razza di senso ti sembra possibile?!»
Questa volta Shinji rispose immediatamente, lasciando intuire che forse lo aveva capito, in che senso: «Ma che razza di domanda sarebbe, come ti è venuto in mente?!»
«In classe stai sempre a fissarla, no?»
«Sì, ma non vuol dire niente, insomma…» Aveva una specie di broncio imbarazzato. Era arrossito leggermente sulle guance, poi in un impeto di coraggio provò a fronteggiarla, ma come i loro sguardi si incrociarono lui abbassò il suo e arrossì ancora di più. «Non guardo solo Ayanami…» borbottò.
Asuka fece un sorriso per provocarlo: «E che cosa guardi allora? Me, forse?»
Questa volta non vide nemmeno il suo viso, lui lo stava nascondendo dietro un braccio, voltando la testa verso la televisione accesa ma che nessuno dei due stava guardando.
«Beh non è che posso farne a meno, viviamo insieme…»
Asuka sbuffò: «E questo che vuol dire, che sono un disturbo, ti do forse fastidio?»
«Ma no, è che…» si fermò «Con te non si può parlare, Asuka, mi metti sempre in bocca parole che non dico.»
«Per forza, visto che tu non dici niente!»
Lui non rispose, ovviamente. Alle domande serie, o alle accuse dirette, non rispondeva mai.
Perché non me lo dici, pensava Asuka. Perché non mi dici che mi guardi, so benissimo quanto e come lo fai. Perché non riesci a dirmi “sei bella”, sono solo due parole. Afferrami come mi hai afferrata nel vulcano, adesso e qui. Fallo una volta, però fallo bene. Perché devo essere sempre io a bussare e tu quello a non aprire?
«Io, in verità…» cominciò Shinji, incerto, fissando il tavolo con i suoi libri aperti «…il motivo per cui la guardo è che mi chiedo che cosa pensi.»
Asuka non riusciva a crederci. Domandò, con un tono che sottintendeva l’obbligo a rispondere di no: «Stai parlando della First?»
«Mh. Lei è sempre così silenziosa…mi chiedo che cosa le passi per la testa. Per questo a volte la guardo.»
Asuka non disse nulla. Ci provò, ma non le uscì nemmeno un fiato. Se ne andò, umiliata. Si aspettò che Shinji la seguisse, ma non la seguì. Stupida lei che ci sperava. Quando lo incontrò il mattino dopo, per un attimo sembrò che lui volesse dirle qualcosa, ma poi non lo fece. Non disse nemmeno una parola.
 
Aveva guardato a lungo la cocca del Comandante.
Era successo un pomeriggio in cui piovigginava. Asuka aspettava il treno e lei stava faceva lo stesso, ma al binario opposto. Stava leggendo, e questo suscitò in lei una gran rabbia. Nient’altro che questo: che stesse leggendo. L’arroganza del suo essere impalpabile, della sua distanza. Il suo sguardo. Lo sguardo maledetto di Rei Ayanami che ti si piantava dentro, che inchiodava. Asuka avrebbe voluto che urlasse. Riuscire almeno una volta a farla infuriare. Farla a pezzi con le mani nude e mostrare il suo sangue, sapere che dentro era rossa anche lei, infliggerle un’umiliazione tale da non farla più rialzare. E allora anche Asuka avrebbe guardato nel vuoto. Anche lei indifferente, e distante, superiore a questo mondo – ma no, non poteva. Asuka doveva lottare sempre, ogni minuto di ogni giorno. Asuka doveva stringere le unghie e i denti attorno a ogni brandello che strappava, perché era in guerra, doveva guardarsi dagli altri e da se stessa. Una bestia in lei si dimenava come un animale in gabbia. Doveva attaccare, prima di essere attaccata, era troppo pericoloso abbassare la guardia, rischiare di farsi accarezzare.
Allora l’aveva solo guardata. E aveva guardato Shinji arrivare e avvicinarsi a lei.
Aveva visto la sua mano tendersi verso di lei, che non l’avrebbe morso.
 
 

But do I hate what she is?
Or do I want to be her?
 
And don’t we love something fresh?
Anything new, virgin…

 
«Basta, non ne posso più di stare in quella casa! Misato è disordinata e sporca, continua a bere e se ne va in giro conciata in modo indecente, è una vergogna! Ma non lo sa che dovrebbe essere lei a occuparsi di noi e non il contrario? Invece quell’idiota di Shinji le sta sempre dietro a pulire il casino che lascia, e mai che le dica qualcosa!»
Il signor Kaji rise, appoggiandosi allo schienale, e il suo ginocchio sbatté contro il tavolino del bar, sollevandolo appena.
«Questo è solo perché Shinji è di natura gentile.»
«E’ di natura imbecille, ecco cosa. Ma che gusto c’è a fare tutto per gli altri, mi viene voglia di dargli un mucchio di lavoro soltanto per vedere se mi dice di smetterla! Ma quando mai, lui è fatto così, si comporta in questo modo solo perché spera di guadagnarsi il favore delle altre persone, così nessuno lo sgriderà.»
Lui sfilò una sigaretta dal pacchetto, anche se la tenne in bocca spenta, e sorrise divertito.
«Asuka, credo che tu già lo sgridi abbastanza per tutti.»
«Per forza, se non lo faccio io…! Quello non è gentile, signor Kaji, è solo un ipocrita!»
«Certo, magari all’inizio era come dici tu, voleva solo essere apprezzato, ma credo che in fondo a lui piaccia fare le cose per gli altri, forse lo diverte addirittura. Sembra che cucinare per te e Misato lo renda felice, o mi sbaglio?»
Asuka sentì che stava arrossendo. Non sapeva perché. Cercò di nasconderlo, ma il signor Kaji fece un altro di quei suoi sorrisi, come se per lui fosse tutto poco serio e così incredibilmente serio insieme. «E poi, Asuka, io ti conosco» disse«In fondo anche tu sei una ragazza gentile. Non dovresti avere paura di dimostrarlo.»
 
 
Quel mattino fecero colazione insieme. Misato aveva passato la notte alla base insieme alla dottoressa Akagi, ed era rientrata trascinandosi col peso di dieci uomini, andando a sbattere contro i mobili per la stanchezza. Asuka raccontò a Shinji di essersi svegliata nel cuore della notte, per colpa di quella scema che non sapeva nemmeno camminare, e poi chissà se stava lavorando veramente e non era piuttosto impegnata con quel tizio, l’ispettore, come si chiamava? «Intendi il signor Kaji?» rispose Shinji, e poi rise dicendo che sì, l’aveva sentita anche lui.  Asuka pensò che era carino, e che avrebbe voluto baciarlo. Un bacio semplice, come non sospettava di credere che i baci potessero essere, come quello stesso pensiero, leggero come il pulviscolo in quella luce luminosa del mattino. Aveva qualcosa in sospeso, con lui. Come se avesse dovuto tornare sulle sue labbra per riprendersi qualcosa, anziché andarci per la prima volta. Era così chiaro, in certi giorni. In quei brevi momenti tranquilli. Il nitore dei suoi sentimenti per lui le spezzava il cuore. Avrebbe voluto piangere e non sapeva neanche perché. Pensò che presto lui sarebbe stato al pranzo di Rei, e si chiese cosa si sarebbero detti. Si chiese anche se sarebbe diventata brava abbastanza da preparare la cena almeno una volta, e se a lui sarebbe piaciuta. Guardò i cerotti sulle sue dita, nascoste sotto il tavolo. Avrebbe voluto che lui li vedesse, e che le chiedesse come si era fatta quei tagli, come aveva fatto con Rei. A quel punto, lei sarebbe stata capace di dirgli la verità? 
«Sarai emozionata, Asuka.»
«Per cosa?”
«Per l’attivazione, è ovvio. Io sarei preoccupato, a salire su un’unità che nemmeno conosco, ma tu devi essere molto eccitata, vero?»
«Oh beh, in fin dei conti è un test come un altro, e poi di chi altri si potevano fidare? Di voi incapaci no di certo.»
Anziché restarci male, Shinji sorrise. Era davvero di buon umore. Asuka si sentì un po’ male, capendo perché. Continuò a guardare in basso, la sua mano aperta con il palmo su, e di nascosto strappò i cerotti.
 
 

So then love walked up to like
I said I know that you don’t like me much…
let’s go for a ride.

 
 
C’era una cosa che Asuka non avrebbe mai detto. Qualcosa che aveva capito, anche se era troppo orgogliosa per ammetterlo. Quando le sue labbra si erano calcate su quelle asciutte e tremanti di Shinji, e si era stupita di come la sua bocca fosse calda, e viva, esistente dentro di lui e adesso anche dentro di lei, in quel breve momento, nell’attimo in cui ancora credeva che si stessero baciando, e non che lei stesse baciando e lui subendo, in quel momento…ecco, in quel momento, Asuka era stata quasi così-tanto felice.
 

And is your place in Heaven worth giving up for these kisses?
These kisses…
 
And I know I have been driven like the snow
But this is cooling, faster than I can
Hey, faster than I can…cooling.

 
 
Era piena di spifferi, quell’assurda nave tenuta insieme da molte buone intenzioni e dalla follia di Misato, piena di crepe, di cigolii, di zone morte o quasi dove se guardavi giù incontravi lo strapiombo del vuoto e l’inizio del cielo. Un cielo così ampio, impossibile da contenere tra le braccia per fermarne la caduta. Un cielo così pesante. E un mare rosso così terrificante e profondo.
Le riparazioni di fortuna del plug suit non bastavano più, Asuka aveva freddo. A volte grattava il nastro adesivo speciale con le dita, dove si stava scollando, e le sembrava che la sua stessa pelle si stesse staccando, che sotto la superficie si celasse una Asuka più vera, o soltanto diversa. La Asuka che era una volta, forse. La ragazzina coi cerotti alle dita, che si era avviata al test succhiando i taglietti perché non erano ancora guariti. Prima che la verità e le battaglie la indurissero.  
Scosse la testa, indossando la felpa, ma delle parole la fecero sussultare: «Sarai emozionata».
Mari era dietro di lei e non l’aveva sentita. La trovava sempre nei punti più impensabili, dov’era giunta senza fare il minimo rumore, come un gatto. Questo quando voleva, era ovvio. Quando non voleva – ossia la maggior parte delle volte – quella scema di una quattrocchi di rumore ne faceva eccome, in particolare quando cantava ciondolando con la testa, come se fosse stata in gita.
«Emozionata per che cosa?» rispose seccata.
«Per l’operazione. Era il momento che aspettavi, no?» – un sorriso sornione, che era proprio un aggettivo adatto a lei e forse solo a lei, “sornione” – «Quant’è romantico, sembra quasi una fiaba, La principessa e il cagnolino addormentato. Che cosa farai, quando lo rivedrai?»
«Non è detto che l’operazione riesca.»
«Oh povera me, e che cosa sarebbe, autocritica? Mancanza di fiducia nei tuoi mezzi, Principessa?»
«Nei tuoi mezzi, non c’è una volta che tu ti renda utile.»
«Oh, quante storie. In qualche modo faremo, no?»
Asuka rispose una specie di “tsk” e andò oltre. Mari la seguì.
«Sul serio, che cosa farai?» – finse un’espressione romantica, prendendola in giro – «Gli correrai incontro in lacrime? Vorrei proprio vederlo.»
«Ma quali lacrime…»
«E a quel punto ci sarà un graaaande smack
«Che cosa sarebbe lo smack, il rumore di un pugno?»
«Di un bacio, no? Beh, anche di un pugno, se preferisci.»
«Non gli darò né un bacio né un pugno, Quattrocchi. Smettila di dire assurdità.»
«Mmmh» fece lei, come se fosse una risposta, e guardò fuori «Sopra di noi c’è proprio tanto azzurro, vero?»
«Già» rispose Asuka «Anche troppo azzurro.»
Né un bacio né un pugno, si disse.
Si era raffreddata, ormai.

This is cooling.
This is cooling.

 

***

Note incoerenti dell'autrice: oh, accidenti. Non è che possa dire molto, sulla sensazione che mi dà tornare a scrivere di questo fandom, qualsiasi spiegazione credo che sarebbe riduttiva, quindi niente, lascio stare. Certo, quando ho pubblicato Luce da una stella morta dieci anni fa non avrei mai immaginato che un giorno avrei visto in libreria il mio romanzo con Rei in copertina, ma se invece mi avessero detto che avrei scritto ancora fanfiction, beh, non mi sarei stupita molto. Fanfiction su Evangelion, poi. Come si può abbandonare Evangelion?
La storia non è un granché, lo so, è molto semplice. Ma Shikinami mi dà questa idea, sapete, di semplicità e fragilità, di tenerezza, direi. Vedere quanto soffre per Shinji senza quasi capire lei stessa il perché mi spezza il cuore. Mi piaceva l'idea di contrapporla a Soryu e considerare i loro sentimenti come interdipendenti. In quanto alla canzone...vabbé, mi conoscete, cosa parlo a fare. E' Cooling di Tori Amos, mi ha fatta pensare a Shikinami quella frase: "But fire though she’d really rather be water instead".
In quanto alle mie altre storie, nel caso ve lo steste chiedendo, beh...arrivano. Sotto forme inaspettate, ma arrivano.
Ok, adesso vado, prima di diventare emotional e quindi tsundere.

  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Evangelion / Vai alla pagina dell'autore: CaskaLangley