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Autore: Nightrun    12/03/2013    1 recensioni
I Beati sono oramai divenuti il chiodo fisso di Paperinik. Si muovono nell’ombra, cospirano… Si sono trasformati in poco tempo in una vera e propria piaga per la città di Paperopoli… Una piaga che l’eroe vorrebbe definitivamente debellare. Ma come stanarli? Sia lui che Uno non hanno la benché minima idea di dove scovarli, a meno di non utilizzare le doti di Zheron per rintracciarne le emozioni. Ma ecco che un’opportunità assai ghiotta viene offerta al vecchio mantello tarlato: una fonte attendibile gli fornisce delle prove concrete contro la Ducklair Enterprise. Che sia quello il covo segreto dell’Entità? Paperinik ha un solo modo per appurarlo: dare un’occhiata all’interno della struttura, stando bene attento a non farsi scoprire…
Note: Una storia fatta di accenni. Penso che potrei riassumerla in questa frase. Si scopre sempre più riguardo alla DE, ma forse parecchie ipotesi verranno messe in discussione. In ogni caso, ho voluto svelare qualche arcano, così da rendere il tutto più intrigante. Fatemi sapere che ne pensate con un commento, mi raccomando! ;)
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'PKNA - Shattered Dimensions'
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Prologo:
 
“…Pertanto è con immenso piacere che qui alla Ducklair Enterprise, la società che rappresento, accogliamo i nostri nuovi trenta dipendenti.”
Lieve sorriso sul becco, ovviamente ben recitato: mostrare un atteggiamento ottimista, portare chi ascolta dalla propria parte…
“E non è che l’inizio! Stileremo un’altra lista di concorsi non appena possibile, pratiche burocratiche permettendo…”
Tono di voce ragionato e parole ben scandite: aveva lavorato molto sulla resa.
“La nostra ascesa comincia proprio con nuove assunzioni. Tengo a precisare questo punto: la Ducklair Enterprise è sin da ora orgogliosa di poter offrire ai cittadini paperopolesi nuovi posti di lavoro ben retribuiti.”
La gestualità, seppur ridotta al minimo, era ben presente: voleva mostrarsi a suo agio con l’intervista, e al contempo ben rimarcare la sua serietà in merito agli argomenti trattati.
Un dirigente amministrativo non poteva permettersi tentennamenti, in special modo di fronte alla stampa.
“Dunque, c’è sempre un posto disponibile per tutti alla DE?” Un’altra domanda. Da quando era iniziata quell’intervista, gliene avevano posto parecchie.
Comunque, questa volta si trattava di una domanda retorica… Serviva una riposta rapida, secca.
“E’ esatto.”
Tacque di nuovo. Nessuno dei giornalisti parlò. Contò nella propria mente fino a cinque, quindi…
“Se non ci sono altre domande, dichiaro chiusa la conferenza stampa.”
Due paperi ben robusti si misero al suo fianco, scansando i giornalisti di fronte alla papera e permettendole quindi il passaggio in mezzo alla calca.
Era andato tutto secondo previsione: nessuna grana, niente che non avesse già preventivamente calcolato.
Meditò sulla resa del suo discorso, ipotizzandone l’impatto sui media: sì, senz’altro aveva sortito un certo effetto…
“Eccellente…” Pensò.
Già, tutto era andato alla perfezione… E allora perché si sentiva in qualche modo turbata… Come se fosse in pericolo?
Era istinto, il suo, o semplice paranoia?
-Flash! Flash! Flash!-
I flash delle macchine fotografiche la riportarono alla realtà. Si limitò a camminare, tenendo lo sguardo ben fisso di fronte a sé, anche se un paio di volte lo sguardo finì inavvertitamente sugli obiettivi fotografici.
Foto… Una sensazione fastidiosa.
Aveva sempre odiato le macchine fotografiche. Anche prima di… cambiare.
Lampi scintillanti improvvisi, che disturbavano il campo visivo. Immagini di sé impresse su carta, sottratte al lento incedere del tempo: come se minuscoli frammenti della sua anima le fossero stati strappati via e imprigionati per sempre all’interno di una foto.
Avrebbe voluto coprirsi il capo, impedire ai giornalisti di continuare… Ma non poteva sottrarsi a quella tortura: il suo ruolo le imponeva di fare dei sacrifici.
L’immagine nel suo caso era tutto: perché lei, Birgit Q, rappresentava una società di spicco.
E dunque il suo comportamento, così come la sua condotta, doveva apparire estremamente impeccabile…
Era quasi uscita dall’edificio. Fece le scale con estrema calma, mantenendo lo sguardo ben fisso di fronte a sé.
Non aveva tempo di trattenersi oltre… E quasi ringraziò il suo superiore per averle affidato un incarico tanto importante da costringerla a recarsi alla sede principale e sfuggire dunque a quel tormento.
Ancora pochi metri… Pochi metri e la luce del sole le scaldò la pelle.
Questa era invece una sensazione che in passato aveva sempre amato, ma che ora odiava.
Tuttavia, non si dannava neppure di quel sacrificio: era un prezzo da pagare più che ragionevole per ciò che aveva ottenuto…
Qualcosa dentro di lei prese a ruggire, costringendola ad aumentare il passo.
Di nuovo turbamento?! Cos’era a scatenarlo?
Si guardò attorno, ma non vide altro che giornalisti intenti a scattarle delle foto.
L’automobile era lì all’esterno, ad aspettarla.
Uno dei due energumeni aprì lo sportello con un fluido movimento del braccio, mentre con l’altro teneva a bada i giornalisti più molesti.
Prese posto sul sedile posteriore ed attese che l’autista mettesse in moto la macchina. Prima di partire, quest’ultimo proferì, con poco entusiasmo: “La riporto a casa, Dottoressa Q?”
“No. Ho delle mansioni da svolgere. Andiamo alla sede principale...” Disse lei, con voce inflessibile.
Il papero alla guida non batté ciglio, girando il volante e facendo manovra.
-Click!-
L’otturatore di una macchina fotografica si chiuse sull’auto aziendale, mentre l’immagine della stessa s’imprimeva indissolubilmente su pellicola.
Il disagio s’impossessò di Birgit in quel momento. I lineamenti del viso si corrugarono, il becco si aprì appena.
“E’ tutto ok?” Chiese l’autista, scrutandola dallo specchietto retrovisore.
“Pensa a guidare!” Rispose la donna, con fare autoritario. Tornò seria, vigile.
Poggiò il gomito sullo sportello, massaggiandosi una tempia con la mano: “Sono giorni che provo una strana sensazione… Come se…”
Guardò fuori dal finestrino, scrutando la folla di gente che si muoveva sul marciapiede: ognuna verso un luogo diverso, ognuna verso una meta differente.
“Come se qualcuno mi stesse tenendo d’occhio…” Rifletté Birgit, con lo sguardo perso nel vuoto.
L’auto si allontanò, sparendo nel groviglio di caotico tran-tran della vita cittadina quotidiana.
Pochi secondi dopo, la zampa di un papero si poggiò sul marciapiede dove appena prima si era posato lo sguardo della donna.
Il tipo in questione teneva stretta tra le mani una macchina fotografica a pellicola, in ottime condizioni.
“Mmmh…” Mugugnò.
Prese a camminare nella direzione opposta, superando la calca di giornalisti ed avviandosi verso un vicolo.
Lo imboccò con decisione, mettendo le mani nelle tasche dell’impermeabile che indossava.
 
-Ducklair Tower, parecchie ore dopo-
 
La sede di 00 News era come al solito teatro di vivaci scenette. In particolare, qualcuno sembrava piuttosto fuori dai gangheri per un qualche motivo…
“Terribili! Orrende! Inguardabili! E tu hai il coraggio di definirti un cameraman?” Sbraitò una voce, con timbro aspro.
“Che succede?” Domandò Paperino, girando la testa verso l’origine del battibecco. Bloccò il carrello pieno di pacchi, spinto dalla curiosità.
-Swisssh-
“Ugh!” Una cassetta gli passò rasente alla tempia.
Menomale che, essendo un supereroe, aveva sempre i riflessi pronti!
Incassò la testa tra le spalle, evitando miracolosamente di venir colpito. Lo stesso non si poté dire per il cappello da marinaio, che fu centrato in pieno.
Si chinò a raccoglierlo, prima di avvicinarsi al luogo della discussione.
“Te l’ho detto, Angus… Questo è il meglio che sono riuscito a fare. -Esclamò un papero piuttosto alto in divisa da cameraman, che teneva sotto il braccio destro il voluminoso casco hi-tech completo di telecamera incorporata:- Non puoi chiedermi di scendere nelle foglie senza l’attrezzatura adatta!”
“Se questo è il tuo meglio, non oso immaginare il tuo peggio!” Rispose il kiwi, agitando i pugni.
Afferrò un’altra cassetta, scagliandola direttamente nel secchio pieno di cartacce.
-Sfrash!-
“E’ tutto da cestinare… TUTTO!!!” Sembrava proprio di pessimo umore. Il che, per Angus Fangus, era in un certo senso la normalità.
Una piccola folla si era radunata attorno ai due contendenti, anche se probabilmente la discussione era arrivata alle battute finali…
“Adesso basta!!!” Sbraitò il cameraman, rosso di rabbia.
Volse le spalle al kiwi, agitando la mano libera sopra la testa e gesticolando con essa: “Sono arcistufo del modo in cui mi tratti, Angus! E non ho più intenzione di sottostare ai tuoi capricci! Cercati un altro cameraman! Tu ed io abbiamo chiuso! Capito bene? Chiuso!!!”
Il gruppetto di persone si allargò, così da permettere al papero di passare in mezzo a loro. Quello poggiò il casco munito di telecamera su di una scrivania.
Si fermò vicino al Direttore, scrutandolo con rabbia e poi urlandogli in faccia: “CHIUSO!!!”
Si mosse verso la porta d’uscita trascinando ogni passo. Dopo averla attraversata, la sbatté con vigore dietro di lui.
-SBAM!-
“Sgrunt!” Grugnì Angus, poggiando i piedi sulla sua scrivania ed incrociando le braccia al petto, con fare indignato.
 
Paperino portò il dorso della mano vicino al becco, sussurrando a Ziggy, che si trovava lì vicino: “Era da parecchio tempo che non vedevo il “buon” Angus dare in escandescenze in questa maniera…”
“Già… -Rispose l’altro:- Ha sempre da ridire su chiunque, e non tutti sono disposti a sottostare agli incarichi denigranti cui li sottopone. Sembra che non si riesca a trovare un altro cameraman che gli vada a genio.”
“Eh?! Camera 9 non è ancora tornato?” Disse il papero in blusa da marinaio, passandosi una mano dietro alla testa.
“Pare proprio di no… E, in un certo senso… credo che il comportamento di Angus sia dovuto proprio a questo.”
“Che intendi dire?”
 
“Allora? Avete finito d’impicciarvi? Tornate al vostro lavoro! Le notizie non si commenteranno di certo da sole!” Esclamò il kiwi, alzandosi in piedi.
“E ora dove vai?” Gli domandò con stupore Dan Woodstein, vedendo che l’inviato stava indossando impermeabile e cappello.
“Sgrunt!” -Grugnì nuovamente:- “Vado a vedere se riesco ad arrangiarmi da solo, come facevo un tempo!”
Abbandonò a sua volta la stanza.
-SBAM!-
 
Paperino e Ziggy rimasero a guardare la porta vibrare per qualche secondo, quindi il papero coi rasta proseguì: “Non vuole darlo a vedere, ma credo che Camera 9 gli manchi… Il che ha un senso: penso che solo quel papero abbia la pazienza necessaria per assecondare le volontà di uno come Angus.”
Il Nostro scrutò l’amico con fare scettico.
 
Dall’altro lato della porta, contemporaneamente, Angus andò a premere il tasto dell’ascensore. Entrò nella cabina non appena le porte andarono ad aprirsi, battendo appena con la spalla contro il ferro e facendosi un po’ male.
Pigiò sul bottone del pianterreno e si lasciò andare contro la parete alle sue spalle: “Sigh…” Mugugnò, con espressione rattristata.
 
 
-Intanto, giù in strada…-
 
Un tizio in impermeabile e cappello vagava per le vie di Paperopoli, procedendo con un’andatura molto calma.
Il fisico era magrolino, l’altezza piuttosto nella media.
Ma era il suo modo di fare a balzare senz’altro all’occhio: mani in tasca, visiera abbassata a coprire i lineamenti del volto. L’unica parte ben visibile era, ovviamente, solo il becco.
Teneva la testa china, alla maniera di chi è immerso in un turbinio di pensieri. E, in effetti, era proprio così: “Questa faccenda puzza di bruciato. –Si mormorava nella mente:- L’istinto mi dice d’intervenire, ma… Voglio davvero tuffarmi di nuovo a capofitto in una notizia? Ho iniziato a lavorare come cameraman proprio per evitare situazioni del genere…”
La mano scivolò sul petto e quindi scese più in basso, carezzando la scocca della macchina fotografica che teneva appesa al collo per mezzo di una cinghia.
Sospirò, facendo voltare nella sua direzione un ignaro passante. Il tizio lo scrutò per qualche secondo, prima di continuare a procedere per la sua strada: “Bah… Che gente strana che si vede, negli ultimi tempi…” Pensò il tipo, allontanandosi in fretta.
Intanto, il papero proseguiva col suo monologo interiore: “Beh, il signor O’Phitzeyn aveva parlato chiaro: “Il danno alla telecamera è irreparabile. –Aveva detto- Dovrà esser sostituita.” Quindi, grazie alla testaccia dura di Angus, mi è toccato restare “in malattia” per un po’ di tempo… Se non fosse stato per l’incidente al casco, io…” (*PKNA#53: “Piano d’azione”)
Entrò in un motel, attraversandone la hall e giungendo così fino alle scale. Le salì con estrema flemma, giungendo infine ad uno stretto corridoio su cui si stendeva una moquette rosso cremisi.
Si fermò di fronte alla porta di una stanza, estraendo dalla tasca dell’impermeabile un mazzo di chiavi.
“Ma chi voglio prendere in giro? Non è colpa di Angus… Non è colpa di ciò che è successo… Sono stato io a volerlo! Se non mi fossi incaponito a curiosare, non avrei mai scoperto qualcosa di simile…”
Scrutò le chiavi con certosina pazienza, facendole scivolare tra le dita. Ne scelse poi una, infilandola nella serratura ed aprendo quindi la porta del suo appartamento.
Entrando, non accese la luce. Chiuse la porta alle sue spalle.
“Chissà…” Pensò, mentre si toglieva il cappello e lo poggiava con estrema cura sull’appendiabiti subito alla sua sinistra.
“Magari per una volta potrei soddisfare la mia curiosità… potrei proseguire ancora un po’ con le “indagini”… Oppure… potrei semplicemente usare a fin di bene le prove e gli indizi che sto raccogliendo… Mettere sulla buona strada un certo eroe mascherato… Questo e nient’altro!”
Poggiò anche l’impermeabile sul pratico appendiabiti, dirigendosi verso il salone.
Si fermò di nuovo, prendendo a scrutare l’ambiente circostante, come se non l’avesse mai visto prima.
“Questo e nient’altro…” Si ripeté ancora nella mente, spostandosi verso una poltroncina posta a ridosso del minuto salone e lasciandovisi cadere sopra.
Tutt’attorno a lui vi erano diverse cornici di varie dimensioni appese alle pareti. Ognuna di una fattura diversa, ognuna contenente onorificenze o foto di un tempo passato…
Diede un colpo di reni improvviso, sollevando la schiena dalla poltrona ma rimanendo comunque seduto: “E sia! Farò così. –Bisbigliò, con lieve entusiasmo:- Tanto più che questa faccenda va senz’altro chiarita…”
Si lasciò ricadere all’indietro, poggiando il gomito sul bracciolo ed il mento sulla mano: “Passerò tutto il materiale fotografico a Paperinik! Sì… Lui saprà senz’altro farne buon uso. Contattarlo non dovrebbe essere un problema… Mi basterà chiedere al suo migliore amico…” Un sorriso gli si dipinse in volto.
Voltò d’istinto lo sguardo alla sua destra, ammirando una cornice appesa al muro: su di essa, una foto che lo riprendeva circondato da indigeni, in un ambiente che pareva esser quello della foresta pluviale. Si alzò, avvicinandosi all’immagine e portando lentamente le dita a pochi millimetri da essa, quasi a sfiorarla: “Un tempo, ero un tipo molto curioso… e stavolta la curiosità mi ha spinto ben oltre le mie aspettative...”
Mentre ancora sfiorava il quadro, rammentò quel che aveva scoperto giusto qualche giorno prima…
 
Un vicolo buio, appena illuminato dai fasci lunari.
Alzò il bavero dell’impermeabile. Freschetto? Sì, abbastanza.
Si era nascosto dietro ad alcune casse, così da non dare nell’occhio. Non credeva ai suoi occhi… Sentì l’impulso di scattare alcune foto.
-Hiiiissss… Hiiiissss…-
Nelle orecchie avvertiva distintamente lo sciabordio prodotto dalle sagome che aveva scorto, appena a qualche metro da lui.
Fu combattuto se muoversi o meno: cosa gli avrebbero fatto, se lo avessero scoperto?
Mise a tacere il buon senso e alzò la macchina fotografica con estrema lentezza, stando bene attento a tenersi in penombra, così da non far risultare visibile la luce prodotta dalla diffrazione dei raggi lunari sull’obiettivo.
-Click!-
Un singolo scatto. Deglutì, abbassando l’apparecchio a livello del petto. Rimase in attesa per qualche secondo: sì, non l’avevano notato.
Riportò la macchina fotografica sopra al becco e…
-Click! Click! Click!-
Ondulanti fiamme nere andarono a riflettersi sull’obiettivo, mentre il dito del papero premeva incessantemente sul pulsante di scatto, incredulo d’imprimere su pellicola simili immagini.
 
La visione cessò, e la mente tornò alla realtà.
Copiose gocce di sudore gli colavano ora dai lati della fronte per via dell’agitazione che ancora sentiva.
Del resto, non capitava tutti i giorni di trovarsi a tu per tu con qualcosa che veniva comunemente definita “leggenda metropolitana”: come gli autostoppisti fantasma, o gli alligatori nelle fogne… o gli alieni succhia-emozioni!
Chiuse gli occhi, come a convincersi che ciò che aveva vissuto era assolutamente reale: infondo, ne aveva le prove proprio sotto il becco.
Riaprì gli occhi quasi subito, tornando a fissare la cornice: la mirò per un poco, poi lo sguardo andò scendendo sul comodino che si trovava immediatamente al di sotto di essa.
Sul mobile, in ordine sparso, c’erano diverse foto. Ne afferrò tre, portandole vicino al becco.
La qualità delle immagini era sicuramente buona, ma non impeccabile: per ovvi motivi, aveva scattato senza l’ausilio del flash.
Le foto raffiguravano un gruppetto di creature mostruose: avevano il corpo completamente nero e le iridi bianche. Sulla testa di ciascuna di esse divampava una fiamma di colore nerastro. I volti erano corrugati in espressioni feroci.
“Angus ci andrebbe senz’altro a nozze con una notizia simile!”
Osservò la terza foto. Sembrava uguale alle altre, ma ciò che balzava subito all’occhio era senz’altro l’ambientazione: un tombino aperto, proprio di fronte all’entrata posteriore della Ducklair Enterprise.
Una coincidenza?
"... Chissà se Paperinik darà mai credito ad una cosa del genere?..." Si domandò Stefan.
 
-Notte fonda-
 
Paperopoli, la capitale del Calisota: città storica, poi divenuta metropoli industrialmente progredita.
Palazzi e grattacieli occupano il centro, mentre in periferia domina ancora la natura e le case sono molto più rustiche.
 
Fino a qualche tempo fa, una piacevole meta turistica, nonché un luogo assai tranquillo in cui vivere.
-Bzzzap! Tsuuu! Tsuuu!-
Fino a qualche tempo fa…
 
Una strada principale. Porte, serrande, vetrine di negozi, vicoli bui.
Rumore di passi, figure che sembravano comparire dall’ombra… o esser generate da essa.
Fuochi fatui semoventi, Coolflames scoloriti.
Pelle di un nero lucido, lievemente più chiara in prossimità del cavallo e delle zampe. Iridi bianche, fiamme nerastre che divampavano vigorosamente, senza bruciare le teste sulle quali si trovavano.
Le creature erano solo due. I loro volti mostravano come sempre espressioni feroci, tuttavia il comportamento che mostravano lasciava supporre che entrambi fossero in fuga da qualcosa.
Si fermarono, muovendo il capo in ogni dove ed annusando l’aria della notte, come animali braccati.
Non c’era ragione, nelle loro menti. Esseri apparentemente senz’anima, dotati di solo istinto: puro, semplice, primordiale istinto di sopravvivenza.
“Hissss…” Verseggiò una delle due creature, riprendendo la sua fuga. La notte era il suo regno, eppure si sentiva comunque in trappola: non serve a niente giocare in casa, se il nemico che affronti è troppo forte per le tue possibilità.
L’altra creatura decise di concedersi qualche altro secondo prima di rimettersi in moto: mossa sbagliata…
-Bzzzap!-
“Yyyaaargh…”
Un raggio celestino la colpì in pieno, avvolgendone completamente il corpo e facendola gridare di dolore.
L’essere si accasciò al suolo e, dopo poco, la sostanza nerastra che lo ricopriva si vaporizzò all’aria, facendo comparire la figura di un papero normalissimo.
Il papero mugugnò sommessamente, portando poi l’indice al becco e prendendo a succhiarlo: tutto bene, stava solo dormendo!
L’altro essere nemmeno si voltò, a soccorrere il suo compagno caduto. Sapeva bene di averlo perso… In qualche meandro della sua mente, rammentò di aver già assistito ad una scena simile.
Continuò la sua folle corsa.
“Fuggire, fuggire! -Questo gli diceva l’istinto:- “Trova un tombino ed entraci! Fuggi! Fuggi!”
Il Darkflame ora era solo. Solo contro avversari che sapeva di non poter sconfiggere. Se avesse provato qualche altra emozione oltre all’odio ed alla rabbia, probabilmente a quel punto avrebbe avuto paura.
Come se non bastasse, iniziò ad avere il fiatone: “Anf… Anf… Puff! Puff!”
Il corpo che occupava era in effetti lievemente sovrappeso, e ciò non giocò di certo a suo vantaggio in quella situazione…
Non passò molto prima che la strada gli venisse tagliata da un’auto fuori dal comune.
“Ehi, amico. Fai jogging a quest’ora?” Provenne dal personaggio appena entrato in scena.
La creatura sibilò in sua direzione: “Hiiisss…”
Paperinik! Quel tipo lo conosceva bene. In una recondita parte della sua memoria, riaffiorò il ricordo di un periodo nel quale stravedeva per lui: l’eroe della città, il paladino della giustizia…
Aveva persino un suo album di figurine, gettato da qualche parte in casa…
L’istinto prese nuovamente il sopravvento: fuggire, fuggire!
Si volse per scappare, ma non gli fu possibile.
Sgranando gli occhi, notò un’altra sagoma: di quella creatura non possedeva alcuna immagine.
Non c’era alcun ricordo nella sua mente di un essere paperiforme alto più di due metri, con la pelle violacea e gli occhi vitrei.
L’unica cosa che sapeva, l’unico particolare di cui poteva esser in qualche modo certo, era che doveva stare alla larga dalla sua arma: un colpo gli sarebbe stato fatale.
Osservò con astio il colone di bava che scendeva dal becco dell’alieno. E qualcun altro, nella sua mente, iniziò a temere per la propria esistenza.
Forse non era proprio vero che quegli esseri non potevano sentire la paura…
“Mantieni la calma, Zheron. Ricordati per quale motivo siamo qui…” Commentò Paperinik, rivolto all’Evroniano.
Quello ghignò, annuendo lievemente con la testa ma mantenendo l’Evrongun puntata sull’essere.
Il papero mascherato si avvicinò quindi al Darkflame, lentamente.
Nella mano sinistra brandiva una sorta di fucile piuttosto hi-tech: un Paralizzatore bradionico.
Lo teneva a sua volta ben puntato sulla creatura, continuando ad avvicinarsi a piccoli passi.
“Hisss…!!!” Fece quest’ultima, sollevando le mani all’altezza del petto: aveva gli artigli, anche se sembrava incredibile ammetterlo, considerando che si trattava pur sempre di un papero.
“Cuccia, amico… Voglio solamente farti un paio di domande. Niente di più…” Sussurrò l’eroe, oramai ben vicino al Darkflame.
“Hisss…!!!” Sibilò nuovamente quello, mostrando nervosismo.
“Un po’ monotematico negli argomenti, eh? Coraggio, non dirmi che non puoi parlare…” Proseguì il papero, azzardando a tendere la mano in sua direzione.
Pessima scelta.
L’essere avvertì la minaccia e flesse le zampe posteriori, lanciandosi in direzione di Paperinik ad artigli protesi.
Un po’ come un gatto messo all’angolo, si era deciso a sfruttare quell’ultima strategia estrema per provare a salvare la pellaccia.
Il Nostro però si era già portato sulla difensiva, preparandosi ad usare il voluminoso corpo del Paralizzatore bradionico come protezione.
-Bzzzappp!-
Un raggio bluastro si frappose fra i due, e per poco non rischiò d’investire proprio il papero mascherato, che si tuffò all’indietro all’ultimo secondo.
“Quack!” Starnazzò, prima di ricadere pesantemente sul posteriore.
Si rialzò malconcio, massaggiandosi con la mano libera il retropiume: “Ehi, fa attenzione! Stavi per colpirmi!” Sbraitò, rivolto all’Evroniano.
Quello si limitò a sollevare le mani al cielo, ridacchiando: “Scusa… Ihr! Ihr!”
Sì, come no… Se la situazione fosse stata leggermente diversa, gli avrebbe già menato un montante dritto sul grugno! Ma c’era ancora qualcuno da sistemare…
Paperinik si rialzò, prendendo bene la mira.
Il Darkflame aveva sfruttato l’occasione per distanziarsi  già di qualche metro. Correva a perdifiato, provando di tanto in tanto a proseguire su quattro zampe, sperando magari in maggior agilità.
-Shooom!-
Un raggio giallastro gli impedì la fuga. Avrebbe voluto gridare, scalciare… Non riuscì a fare niente di tutto questo. Anzi, in un certo senso, a malapena si accorse di esser stato colpito.
Del resto, come ci si può accorgere del fatto che il proprio tempo è stato interrotto?
Non notò neanche che ora il papero mascherato gli stava praticamente davanti, con una mano sul fianco ed il Paralizzatore che gli tambureggiava sull’altra spalla: “Sigh… Mi sa che quando diventano così non hanno più ragione… O quantomeno il dono della parola.”
L’Evroniano gli si avvicinò subito, scrutando a sua volta l’essere: “Te l’avevo detto. Questo oramai è un guscio vuoto. E’ capace solo di eseguire gli ordini…”
Quelle parole infastidirono non poco Paperinik. In special modo, gli diede il disgusto pensare che a proferirle fosse stato proprio qualcuno cresciuto in una cultura nella quale era lecito ridurre un essere senziente in uno stato molto simile, se non peggiore.
Coolflames, Darkflames… C’era poi molta differenza? I primi non possedevano più emozioni. I secondi ne possedevano solo una parte. Ma, in entrambi i casi, ciò che rimaneva non era altro che un semplice burattino da poter sfruttare a piacimento.
Sospirò: “Un’altra notte sprecata… E non abbiamo ancora scoperto dov’è il loro covo.”
Si volse, iniziando a camminare. Aveva lasciato la Pi-kar dietro ad un vicolo.
“Che ne facciamo di lui?” Domandò Zheron, anche se già conosceva la risposta.
Paperinik strinse i pugni, fermando la marcia. Non si volse: “Fa quel che devi per riportarlo alla normalità.” Sussurrò con un filo di voce, riprendendo a passeggiare. Giacché non aveva potuto carpire alcuna informazione, se non altro poteva farlo tornare la persona che era.
Il papero spaziale annuì e dunque puntò l’Evrongun sulla creatura: “Adoro le ronde notturne…”
-Bzzzappp! Yyyaaaargh…!!!-
Riecheggiò per la città.
 
-Ducklair Tower, mattino-
 
“Dormito bene, socio?” La voce del supercomputer era lievemente più entusiasta del solito.
“Per niente. Non ho chiuso occhio…” Quella di Paperino invece era tutto, fuorché una voce allegra.
Il papero portò la tazza al becco, bevendo avidamente il caldo liquido nero al suo interno: caffè, scuro come il petrolio. Decisamente il modo migliore per mantenersi sveglio.
Certo, avrebbe preferito di gran lunga poltrire a letto e magari cercare di schiacciare un bel pisolino, ma… doveva andare a lavorare a breve.
Non aveva ancora la “licenza del supereroe”, purtroppo. E finché Paperino e Paperinik restavano due entità distinte, lui doveva vivere per entrambi.
Anche se Uno non aveva aggiunto nient’altro, il papero esclamò: “Sono rimasto sveglio tutta la notte a pensare a questa faccenda dei Beati. Voglio dire… Nonostante le ronde notturne, mi sembra che il numero di quelle creature stia crescendo esponenzialmente!”
L’intelligenza artificiale sollevò un sopracciglio: “Beh… E’ plausibile supporre che stiano cercando di aumentare il proprio numero per sopperire alle loro… “perdite”. L’avevamo già messo in conto, se ben ricordi…”
Paperino assottigliò lo sguardo, riducendo gli occhi a due fessure: “Grazie per la brillante analisi, Uno… Ma la cosa non mi aiuta. Non ce la faccio più a passare le notti a…” Non terminò la frase. Bevve dell’altro caffè.
L’intelligenza artificiale non disse niente: sapeva bene che il papero aveva dell’altro da dire. E, in effetti, iniziò a contare quanti secondi ci sarebbero voluti prima che il suo “socio” si fosse deciso a riaprire il becco: “Uno… Due…”
“Insomma, voglio dire…” Riprese il papero, agitando le braccia e facendo dunque schizzare un po’ di caffè fuori dalla tazza.
“Ecco, appunto…” Commentò tra sé e sé Uno, mentre un robottino uscito da un vano andava con pazienza a pulire il pavimento sporcato.
“…è ora di trovare il loro covo. Ne avranno uno, no? Ecco! Devo trovare il loro nascondiglio, in modo da sistemare sia Profunda, sia la “Pupazzona”… e risolvere la questione una volta per tutte!!!”
Una testa verde più piccola della principale uscì da un foro nel pavimento: “Beh… Finora le abbiamo provate un po’ tutte: dal seguire alcune creature di nascosto al cercare d’interrogarne altre…”
L’eroe finì di bere il caffè, poggiando con forza la tazza su di un pratico ripiano.
-Tunk!-
“Già… Il guaio è che, in entrambi i casi, il tutto si è sempre risolto in una perdita di tempo! Quegli esseri sembrano sbucare da qualunque condotto fognario. E come se non bastasse, scucire loro informazioni è praticamente impossibile…”
Uno azzardò: “Aggiungi anche il fatto che conosciamo davvero poco su di loro, a parte i dati raccolti dal frammento che… t’infettò.” Portò lo sguardo verso la parete in cui era sistemato il costume del suo socio.
“Già… E questo se non altro ci ha fatto capire “come” combatterli. Ma fino a che non conosciamo il “dove”, non risolveremo niente…” Rispose Paperino, mettendosi in testa il cappello da marinaio.
Fece per lasciare la stanza con estrema fretta, così da non arrivare in ritardo.
Si fermò dopo pochi passi: “Ah, quasi dimenticavo…”
La testa verde si reclinò di lato, in attesa delle parole del papero: “?”
“Passerò il pomeriggio a casa mia, con i nipoti. Non aspettarmi per pranzo.”
Il Nostro imboccò l’entrata dell’ascensore, premendo il tasto che lo avrebbe portato al piano di Channel 00.
Rimasto solo, Uno volse la testa verso lo schermo gigante spento.
“Uff… Ed ora che faccio?”
Sullo schermo comparve un fiore mutante gigantesco. L’essere in bianco e nero biascicava: “Ho fame!”, mentre il povero fioraio che lo accudiva sembrava farsi in quattro per accontentarlo.
“Guardo un film?” Si domandò Uno.
La pellicola si mise in pausa: “Oppure potrei giocare a dama con Zheron… Mi basterà spiegargli le regole! Hihi!”
Lo schermo cambiò immagine dopo pochi secondi, mostrando una ripresa della telecamera che si trovava nella stanza sotterranea nella quale oramai alloggiava l’Evroniano.
“Ehm… Zheron?” Esclamò Uno, diffondendo l’audio all’interno della stanza.
Il papero spaziale si trovava disteso sulla sua branda a sonnecchiare. Apparentemente, nemmeno si mosse.
“Zzz… Zzz…” Giungeva al super computer dagli altoparlanti.
“ZHERON!” Gridò, con tono di voce più grave. Di solito col “socio” funzionava, quindi perché non provare anche con l’alieno?
Ma stavolta andò diversamente.
L’Evroniano si volse semplicemente sul fianco, stringendosi il cuscino tra le braccia: “Mmmh… Ho fame…Zzz… Zzz…”
Gli occhi del papero virtuale assunsero un’espressione seria: “Uhmpf! E dire che io mi sforzo sempre di ascoltare le sue storie…”
Lo schermo si spense e si riaccese, mostrando ora il logo di uno studio cinematografico.
“Sigh! E film sia…” Commentò rassegnata l’intelligenza artificiale, mentre scorrevano i titoli di testa.
 
-Qualche ora dopo-
 
“Aah… E’ proprio vero che il tempo è relativo! La giornata lavorativa di oggi è passata rapidamente.” Commentò Paperino, gongolando.
Era appena uscito dall’ascensore, ed ora si dirigeva verso l’uscita della torre: “Merito del fatto che Angus oggi era troppo impegnato a torturare l’ennesimo cameraman, suppongo… Ihih!” L’espressione sul suo viso era decisamente solare: gli occhi erano chiusi e rilassati, mentre gli angoli del becco erano rivolti all’insù.
Oramai era giunto quasi alle porte scorrevoli. I vetri gli apparvero brillanti e perfetti: del resto, erano stati cambiati da poco… (*Vedere numero precedente)
Il guardiano, dietro al bancone, notò il papero. La sua espressione mutò, mentre lo sguardo si posava su una cartellina riposta sul ripiano della sua scrivania. Sollevò di nuovo la testa, esclamando: “Ehm… Mi scusi…”
Il Nostro voltò la testa verso l’uomo in uniforme, arrestando la sua marcia: “Dice a me?”
“Lei è il signor Paolino Paperino?”
“Sì, sono io.”
L’uomo reclinò il capo in basso, afferrando la cartellina. Gliela porse: “Mi è stato detto di consegnarle questa.”
“Uh? E da chi?” Mormorò Paperino, rigirandosi l’oggetto tra le mani. Niente, nessun mittente.
“Un papero con l’impermeabile e la visiera del cappello ben tirata in basso. Non mi ha fatto sapere il suo nome, a dire il vero.”
“Non importa… Grazie lo stesso.” Si congedò Paperino, muovendosi verso la zona relax della hall: dalla descrizione, non gli ci volle molto per supporre chi fosse il “misterioso mittente”.
Giunto alle poltroncine, si mise bello comodo su una di esse, cominciando ad ispezionare l’esterno della busta. La agitò un poco, rigirandosela diverse volte tra le mani.
“Beh… Non fa “tic-tac”, il che è senz’altro un bene.” Esclamò, portando la cartellina vicino all’orecchio.
Andò quindi ad aprirla per visionarne il contenuto: “Uhm…”
Scrutò nella busta, per poi rovesciarla di lato: “Ma che-“ Commentò, vedendo diverse foto cadergli sulle gambe.
Ne afferrò alcune, portandole vicino al becco. I suoi occhi andarono lentamente ad aprirsi sempre più. Era ben sorpreso da ciò che stava vedendo: “Non… è… possibile…” Biascicò, senza fiato.
Ricacciò tutto nella cartellina, schizzando rapidamente in strada e puntando la prima cabina telefonica che riuscì a trovare.
 
Pochi secondi e…
 
“Purtroppo devo restare qui tutto il giorno. Sì… Scongelate qualcosa o ordinate una pizza. …Va bene, Quo… Ci vediamo domani. …Eheh! Anch’io… Ciao.”
-Ta-clunk-
Appese la cornetta, ritornando serio. Carezzò l’esterno della busta col pollice: “Non so in che modo Stefan sia stato capace di scattare foto simili, ma… è senz’altro manna dal cielo.”
 
-Da un’altra parte, nello stesso momento…-
 
“Puah!”
L’angusto corridoio nel quale si trovava era molto più sudicio di quanto potesse aspettarsi! Vi era polvere ovunque, e si respirava aria di chiuso. Pensò che se avesse provato a passare un dito su una delle pareti, di sicuro l’avrebbe ritirato nero.
Del resto, sarebbe stato peggio trovare l’ambiente lindo e pulito: in quel caso, avrebbe potuto significare che anche il precedente proprietario, tale Paperon de’ Paperoni, era a conoscenza di ciò che si nascondeva in quel livello della struttura. Il che sarebbe stato un vero guaio, poiché il suo superiore le aveva impartito ordini precisi rispetto a quel luogo.
Avanzò con passo costante, lievemente accelerato rispetto al normale. I tacchi delle scarpe battevano sul duro pavimento, producendo secchi rumori che andavano diffondendosi fino alle pareti, risuonando come una tenue eco.
-Tok! Tok! Tok! Tok! Tok!-
Il corridoio era immerso quasi del tutto nell’oscurità. Difficile scorgere nitidamente l’ambiente circostante.
In verità, sul soffitto erano presenti diverse lampade al neon, ma per qualche strano motivo erano tutte spente.
Nessun problema, in ogni caso. La sua vista al buio era pressoché perfetta, dovuta forse al fatto che la papera aveva dato tempo ai suoi occhi di abituarsi all’ambiente, prima di lanciarsi in quella “marcia veloce”.
Una biforcazione, poi un’altra. Quel posto era un vero e proprio labirinto! C’era da perdersi, in mezzo a tutti quei tunnel… Ma lei si era studiata a menadito la planimetria proprio per evitar simili scocciature: un Dirigente dev’esser sempre pronto a tutto… o, almeno, lei la vedeva così.
Svoltò un angolo, trovandosi a tu per tu con un operaio. Il tipo le puntò contro la luce molto tenue di una torcia: anche lui sembrava non apprezzare  le illuminazioni.
Lo sguardo di Birgit si fece accigliato, i pugni andarono a chiudersi: “Cosa ci fai, qui? Dovresti essere a lavoro con gli altri!” Tuonò, fredda.
L’uomo si fece piccolo, cercando di spiegarsi: era un tipo basso, sulla quarantina. La barba era incolta ed i capelli sembravano in qualche maniera spettinati: “Io… Mi perdoni. Mi ero perso: questo posto è un labirinto...”
“Uhmpf!” Sbuffò la papera, procedendo per la sua strada: “Sto andando a controllare come procedono i lavori. Seguimi!” Una vera scocciatura! Non poteva neanche contare su sottoposti adeguati: questo il suo pensiero, in quel momento.
L’operaio non se lo fece ripetere. Si caricò una borsa piena di attrezzi, ingobbendosi per lo sforzo. Seguì la donna a grandi passi, cercando di starle dietro: “Puff! Puff!”
 
Poche biforcazioni, ed il duo si ritrovò di fronte ad una zona apparentemente illuminata. Beh, i fasci di luce erano piuttosto tenui: se non altro ora era possibile scorgere quantomeno alcuni dettagli, nell’oscurità.
In primo luogo, la larghezza del tunnel era aumentata. Quel breve corridoio era tanto largo da occupare uno spazio doppio rispetto al precedente.
Al suo termine, una gigantesca porta pressurizzata bloccava l’accesso all’area successiva: la serratura magnetica era bloccata.
Diversi bracci di metallo tenevano saldato il colossale ingresso alle pareti laterali, mentre spessi rinforzi, posti in alto e in basso, assicuravano la resistenza della struttura contro eventuali tentativi di manomissione della sua immane serratura. Serratura composta di ben quattro colossali tubi pieni in acciaio, che andavano inserendosi nella parete di sinistra.
Ciò nonostante, nemmeno una struttura tanto perfetta poteva dirsi inviolabile.
La porta era stata infatti lievemente forzata, anche se sembrava ancora ben lontana dall’aprirsi: era stata spostata dal suo alloggio di appena pochi centimetri.
Diversi operai lavoravano incessantemente attorno alla minuta apertura. A giudicare dalle loro occhiaie, nonché dai loro sguardi spenti, dovevano trovarsi lì sotto a lavorare da diversi giorni.
Lo sguardo di Birgit si accigliò non appena raggiunse l’area di lavoro.
Lì, con la schiena appoggiata alla parete di destra e le braccia incrociate al petto, un’altra papera osservava con interesse il lento procedere di quella follia.
Indossava un soprabito azzurrino che le arrivava sin sotto le ginocchia. Il cappuccio era abbassato dietro le spalle.
Come se in qualche modo ne avesse intuita la presenza, si volse proprio in direzione di Birgit. La squadrò per qualche secondo, dicendo con voce calma: “Questo non è contemplato nei piani del Maestro. Perché lo stai facendo?”
“Tsk!” La donna emise un mugugno stizzito, avvicinandosi rapidamente all’altra. Mentre faceva ciò, i tacchi battevano con ritmo costante sul pavimento metallico, producendo lo stesso suono di prima.
-Tok! Tok! Tok! Tok!-
“Profunda! Cosa accidenti ci fa lei, qui?” Domandò con estrema irritazione, rivolta ai presenti.
Nessuno rispose, né si azzardò a dire altro. Semplicemente, ogni operaio tornò al suo lavoro.
La papera in tunica si staccò dal muro, muovendosi lentamente in direzione della dirigente: “Non è cortese rispondere ad una domanda con un’altra domanda. -Esclamò, con un sorrisino dipinto sul becco. Scomparve dopo poco:- Allora, mia cara… Che hai intenzione di fare?” Lo sguardo tornò ad esser torvo come al solito.
Birgit ricambiò senz’altro l’occhiataccia, gonfiando il petto: “Niente che ti riguardi! Ho solo bisogno di alcuni di loro per portare a termine un incarico della massima importanza…”
Il volto dell’altra papera si spostò verso la zona dei lavori: “Ah… Lo vedo. Sei così incapace da non poter neanche aprire una semplice porta pressurizzata con le tue sole forze?”
Questo era troppo! La stava ridicolizzando di fronte ai suoi sottoposti!
“Modera i termini, ragazzina! Ti rammento che questo edificio apparteneva ad Everett Ducklair! Quindi non è facile come credi…” Sbraitò.
Profunda si stiracchiò, reclinando il capo e sospirando, come fosse annoiata. Volse le spalle a Birgit e s’incamminò verso la porta pressurizzata. Scansò senza la minima fatica uno degli operai, arrivando ad un terminale posto nei pressi della gigantesca struttura. Le dita iniziarono a digitare sulla tastiera.
“Ahahah! Tempo sprecato! Pensi che non ci abbia già provato? La matrice è complicatissima! Quel sistema di sicurezza è inviolabil…”
-Ssssshoooo… Vrrrrr!!!-
Beh… Ci sono momenti in cui si vorrebbe semplicemente sprofondare. Seppellirsi da sé per l’umiliazione. In quel momento, mentre sotto ai suoi occhi attoniti la grande porta andava aprendosi rapidamente, Birgit provò esattamente quella sensazione. Cercò tuttavia di mascherarlo…
Sorrise. Un sorriso falso, proprio in direzione di chi l’aveva “aiutata”: “Dimenticavo che sei un genio, quando si parla di queste cose. Se ti aspetti un grazie, stai fresca.”
Profunda scosse la testa, facendo cenno agli operai di seguirla: “No. Mi basta poter portare via con me i sottoposti. Non dovresti usarli per simili mansioni…“
“E perché no? Sono così servizievoli…”
Quel commento da parte di Birgit le diede il voltastomaco. Squadrò con una rapida occhiata i presenti, continuando: “Hai dimenticato che più li sfrutti, più la loro ragione viene meno? Ti ricordo che sono così… “servizievoli”… –Il solo dirlo le diede la nausea:-... proprio perché quel che gli abbiamo dato priva lentamente il loro corpo di ciò che li rende umili. Una volta divenuti dei “gusci senz’anima”, saranno niente più che semplici cani da guardia…”
La donna ghignò, azzardandosi a battere le mani: “E allora? Li preferisco quando diventano così: non fanno domande… Non hanno esitazioni…”
-Snap!-
Profunda schioccò le dita. In pochi attimi, dal buio del condotto comparve un gruppetto di creature. Darkflames all’ultimo stadio, incapaci di parlare o d’invertire la trasformazione.
La papera aggrottò la fronte, esclamando: “Questi qui li ho trovati che gironzolavano attorno all’edificio. Sono diverse notti che ne trovo, Birgit…”
Spostò lo sguardo su una delle creature, fissando senza timore la sua espressione terrificante: “…non fanno che obbedire all’ordine che tu gli avevi dato, nonostante ora non ti siano più di alcuna utilità. E’ a questo che mi riferivo!”
La donna fece spallucce, mantenendo un comportamento altezzoso: “Non avevo alternative. Figureranno nella documentazione tra i “tagli al personale”…”
Le due si scambiarono uno sguardo ricolmo d’odio: certamente non sarebbe mai corso buon sangue tra di loro.
Con un cenno del capo, Profunda richiamò a sé l’attenzione di tutti gli operai presenti, che si misero velocemente in fila dietro di lei. Ognuno di loro aveva un’espressione gioviale dipinta in viso: un’allegria fin troppo insana, quella che sembrava averli presi: “Ciò che hai fatto è stato estremamente imprudente. Qualcuno potrebbe aver notato uno di loro entrare qui dentro.” Ponderò la papera.
Birgit incrociò le braccia: “Bisogna rischiare per accaparrarsi i migliori risultati. E poi, se anche qualcuno avesse visto qualcosa, chi mai potrebbe credere ad una faccenda del genere?”
“Paperinik…” Sussurrò Profunda, aggrottando lo sguardo.
“Tsk!... Se sarà tanto pazzo da venire fino a qui, avrà l’accoglienza che merita. E stavolta non lo lascerò scappare…”
-Bam!-
Il pugno di Profunda batté con forza sulla parete alle sue spalle, producendo una lieve eco che andò propagandosi per la zona. Gli operai si misero tutti istintivamente sull’attenti. I Darkflames non batterono ciglio.
“Non sottovalutarlo! Sarebbe un gravissimo errore…”
“Già… Tu lo sai bene, vero?”
Non rispose a quell’ennesima frecciatina. Del resto, non ne valeva la pena.
Quanto a Birgit, adorava vedere la ragazza che dava in escandescenze: un piacere perverso che non si stancava mai di provare.
Profunda, dalla sua, decise che era il momento di dare un taglio alla conversazione.
Passò di fianco alla donna, senza degnarla di uno sguardo. Si fermò dopo pochi passi, proseguendo a dire: “Un’ultima cosa. Non so chi sia il tuo capo, né m’interessa saperlo… ma la tecnologia di Everett Ducklair è pericolosa e terribile. Fai estrema attenzione quando la maneggi, o dovrai patirne le conseguenze.” Scomparve nel buio dopo pochi passi, seguita dal gruppo di Beati e Darkflames.
“Uhuh! Quanta premura…” Commentò Birgit, oramai rimasta da sola. Volse gli occhi verso la stanza che Profunda le aveva “gentilmente” aperto, piegando i lati del becco in un sorriso di molto soddisfatto.
 
-Ducklair Tower, stanza segreta-
 
“Pazzesco, Uno! Ci siamo… Questa è la svolta che aspettavo!” Commentò Paperino, mentre scrutava con avidità le immagini riportate su carta fotografica.
“Quello può anche non voler dire niente, socio. Magari le creature erano lì solo per puro caso. Non è assolutamente detto che la Ducklair Enterprise sia immischiata in tutto questo.” Il ragionamento di Uno non faceva una piega: delle foto non provavano niente… Non a caso Vladuck si era curato di farle avere a Paperinik, invece che direttamente alla polizia!
Il papero si passò una mano sotto al becco, cogitabondo: “Mmm… Potresti aver ragione. Beh, dare un’occhiata in giro non costa niente, no?” Disse, coi palmi sollevati al cielo ed un sorrisino dipinto sul becco.
“Veramente, costerebbe la galera. Si chiama “violazione di proprietà privata”… E considerando che, da quel che deduco, entrerai anche all’interno della struttura… ci aggiungerei pure “effrazione”.” Commentò il supercomputer, con fare sufficiente.
“Sgrunt… Comunque sia… Hai controllato come ti ho chiesto se è stato proprio il “nostro amico” a darci la dritta? Voglio dire: la cartellina è identica a quella dell’altra volta, così come la calligrafia… però, chiunque potrebbe-”
Lo schermo gigante andò ad accendersi, mostrando le immagini delle telecamere di sicurezza poste nella Hall.
La sagoma del tizio che consegnava la cartellina all’addetto alla sorveglianza, estrapolata dal contesto ed elaborata dal supercomputer, fugò ogni dubbio al papero: “Altezza, colore dell’impermeabile, forma del becco. E’ senz’altro lui.” Terminò Uno, spiccio.
Paperino espirò: “Ok, mi hai convinto.”
Si volse nuovamente verso le foto, portando una mano sul fianco: “Uhm… Come pensi dovrei muovermi?”
Una testolina verde più piccola rispetto all’originale gli comparve di fianco: “Intanto, conviene aspettare la notte. Se vuoi investigare, sarà bene farlo senza dare troppo nell’occhio…”
“Mh, fantastico… Nel frattempo che facciamo?”
Uno ammiccò a Paperino: “Ti va una partita a dama? Ihih!”
 
-Esterno della Ducklair Enterprise, notte-
 
Era davvero un cielo strano quello che apparve agli occhi dell’eroe non appena quest’ultimo lasciò la torre: banchi di nuvole coprivano infatti la falce di luna, limitandone lo splendore e rendendo quindi il paesaggio molto cupo. Le stelle, se c’erano, apparivano a loro volta in modo assai fugace.
Il clima, poi… Tirava una brezza gelata assolutamente anormale per quel periodo dell’anno: decisamente una notte da lupi quella che attendeva il papero mascherato.
Non c’era alcun Disco individuale a seguirlo: dato che si trattava di una semplice missione di spionaggio, Uno pensò che Zheron non gli sarebbe stato utile.
In un certo senso, Pikappa appoggiò la scelta.
Cercò di mantenersi lucido, ripetendo mentalmente le parole dette dal supercomputer, mentre quest’ultimo gli illustrava il piano da seguire.
 
“Non appena farà buio, lascerai la Torre e ti dirigerai nel punto segnato sulla mappa: questo dovrebbe darti modo di parcheggiare la Pi-kar lontano da sguardi indiscreti…”
La Pi-kar sfrecciava sopra ai palazzi, in cui probabilmente ignari cittadini si stavano concedendo il loro meritato riposo notturno.
Il mezzo atterrò proprio nei pressi di un cantiere , in un’area sgombra da eventuali materiali.
Il papero balzò agilmente fuori dall’abitacolo, attivando il comando di occultamento: la Pi-kar si trasformò in una pila di sacchi di cemento.
“Beh, fino all’alba non ci dovrebbero esser problemi… Ma mi conviene ritornare un po’ prima, se non voglio rischiare di andare a riprendere la Pi-kar dentro a qualche betoniera.” Pensò, sarcastico.
Lasciò il cantiere con estrema fretta, diretto verso l’edificio sede della sua indagine.
 
Lo guardò a lungo: era molto più basso della Torre, tuttavia la sua forma non era dissimile, a parte il tetto rettangolare e piano che questo aveva.
Ricordò che l’edificio, infondo, era appartenuto proprio al medesimo scienziato, quindi era plausibile capire il motivo della somiglianza.
Si concentrò nuovamente su ciò che era venuto a fare: “Meglio non perder troppo tempo in simili pensieri… Ora arriva la parte difficile.”
 
“Raggiunta la Ducklair Enterprise, mi assicurerò di disabilitare le telecamere al tuo passaggio. Pur essendo un edificio costruito dal mio padrone, ne conosco tutti i codici di accesso.…”
Il papero notò un paio di telecamere immediatamente all’entrata del palazzo. La spia rossa su di esse si spense nel momento esatto in cui andarono a puntarsi su di lui. Sogghignò.
“…Eheh! Padron Ducklair è sempre stato un tipo abitudinario, con le password…”
Paperinik raggiunse l’entrata principale, scrutandola con sguardo serio. Entrare da lì sarebbe stato veramente difficile e sicuramente non raccomandabile: non se voleva agire senza rischiare di esser scoperto subito!
Sollevò gli occhi verso l’alto, puntando i finestroni degli uffici.
“Non è consigliabile entrare dall’ingresso: troppo rumore… Dobbiamo esser cauti. Ecco perché entrerai da uno dei finestroni dei piani superiori: quello del magazzino degli attrezzi, al dodicesimo piano, direi che sia il più consono…”
“Dodicesimo piano?! Come farò ad arrivarci?”
L’eroe chinò lo sguardo sul suo braccio destro, mormorando: “Scudo…”
“Semplice, sfruttando il propulsore dell’Extransformer!”
“Eh?! Posso finalmente tornare ad usarlo?”
Il metallo mutageno che componeva lo scudo andò plasmandosi attorno al braccio destro dell’eroe, prendendo in breve tempo la forma di sempre.
Paperinik lo sollevò al cielo, iniziando a volare verso l’alto.
“Già… L’Extransformer ha ripreso le sue piene funzioni. Purtroppo non ho avuto modo di completare tutti i test sulla nuova arma, ma non dovrebbero esserci problemi. T’illustrerò come funziona non appena avrai necessità di usarla.”
“Questa sì che è una bella notizia!”
 
Arrivato al dodicesimo piano, Paperinik sollevò le gambe, poggiandole poi sul bordo della finestra. Per forzarla gli bastò esercitare una leggera pressione con la mano che calzava lo scudo.
-Crack!-
La finestra si aprì con un lieve crepitio, mentre minuscole schegge di plastica ricadevano sul davanzale.
Si mise seduto su di esso, rimpicciolendo lo scudo così da rendere più confortevole l’ingresso all’interno della struttura.
Richiuse il tutto alle sue spalle, assicurandosi di non impigliare il mantello nella serratura.
Parlando della serratura, il danno era stato minimo: probabilmente nessuno si sarebbe mai accorto del fatto che qualcuno aveva forzato la finestra dall’esterno. Infondo, nessuno si sarebbe mai scomodato a guardare dall’altro versante, rischiando per altro di cadere di sotto.
Guardò in giro: sì, era assolutamente un magazzino. Menomale che Uno aveva la planimetria del posto. E menomale che a suo zio non piaceva cambiare spesso gli interni come invece adorava fare un certo papero digitale…
Ad ogni modo, attorno all’eroe c’erano solo prodotti per l’igiene e la pulizia degli interni, nonché un paio di carrelli ricolmi di stracci e scope varie.
Uno scomparto dello scudo andò aprendosi, ed il papero ne tirò fuori una comoda auricolare.
“Ok, Uno… Sono dentro.” Commentò infine.
 
-Intanto, parecchi piani più in basso…-
 
Mentre Paperinik faceva la sua entrata in scena, al pianterreno la situazione appariva essere assai tranquilla. La porta dell’ingresso posteriore, residuo di un tempo in cui quell’edificio appartenuto a Paperon de’ Paperoni era adibito a semplice centro analisi, era ben chiusa.
Certo, sarebbe bastato un piede di porco per forzarla, ma al momento nessuno aveva pensato di sostituirla con qualcosa di più robusto e sicuro. Del resto, non erano passate che poche settimane da quando la Eastern aveva acquisito e tramutato l’intera struttura nella sua principale sede paperopolese.
Ad ogni modo, il vicolo su cui la porta si affacciava era oramai ben cupo: nessun rumore, se non quello prodotto da qualche cartaccia che veniva trasportata dalla tenue brezza notturna.
Non vi era nulla che lasciasse presagire la presenza di qualcuno nel vicolo… A parte quella di un certo papero in impermeabile, ben nascosto dietro ad una pila d’immondizia.
“Che strano… Questa sera non si vede proprio nessuno. Eppure l’orario è quello giusto!” Si domandò. Non pensò minimamente a muoversi: una di quelle creature sarebbe potuta spuntare di punto in bianco, e allora sarebbero stati guai.
Rimase immobile in attesa per diversi secondi, finché…
“Bah, io dico che questa società di buono ha soltanto il nome…” Udì provenire ad un certo punto da dietro la porta.
La macchina fotografica ricadde sul petto di Stefan, mentre il papero copriva con attenzione l’obiettivo, così da evitare che il suo eventuale riflesso fosse visibile in lontananza.
-Tp! Tp! Tp!-
Rumore di passi! Poteva coglierne l’eco. Qualcuno si stava avvicinando…
“Non dovresti parlare in questo modo. Se ti sentissero, potrebbero licenziarti…” Rispose un’altra voce.
-T-clank! Gneeek!-
La porta si spalancò e comparvero due addetti alla vigilanza.
Il papero con l’impermeabile si fece ancor più piccolo, sollevando appena la visiera per scorgere, seppur sommariamente, i lineamenti delle figure che si trovavano a qualche metro da lui. Per sua fortuna, i due erano troppo impegnati a parlare per riuscire anche lontanamente a supporre qualcuno li stesse spiando da dietro la pila di rifiuti.
Erano due uomini sulla trentina, ed indossavano entrambi una divisa grigia.
Vladuck costatò che, in un certo senso, essi erano uno l’antitesi dell’altro: il primo a parlare era piuttosto muscoloso e pareva sprizzar rabbia e agitazione da tutti i pori; l’altro era invece secco come un chiodo ed appariva assai flemmatico nei movimenti.
“…E poi la paga non è affatto male: perciò, di che ti lamenti?” Esclamò il tizio magro, concludendo il suo ragionamento.
I due uomini si disposero di fianco alla porta, rivolti entrambi verso la strada. In pratica, Vladuck li scorgeva di profilo.
Aveva visto e sentito abbastanza. Quei due erano ben presi a discutere, perciò…
Stefan iniziò a muoversi lentamente nel buio. Per sua fortuna, l’oscurità lo avvolgeva come un manto.
Rumori? Tsk! Aveva imparato a camminare senza produrre il minimo scricchiolio nella vegetazione della foresta pluviale, figurarsi in un vicolo di una metropoli!
Alcune immagini gli tornarono alla mente, mentre si muoveva furtivo in direzione della porta, compiendo una mezza circonferenza.
E così, il papero riuscì ad aggirare le due guardie. Si fermò non appena raggiunse il cono di luce prodotto dai raggi lunari. Attese…
“Bah… Sei proprio un tipo strano. Comunque, ora me ne vado a dormire... Ci vediamo domani!” Disse l’uomo muscoloso, sollevando il gigantesco braccio e facendo un cenno con la mano in segno di saluto al suo collega.
“A domani…” Rispose l’altro, con poca foga.
Si era girato per seguire l’altro con lo sguardo… Era il momento giusto!
“ORA!!!” Pensò Stefan, muovendosi rapidamente. I suoi passi erano più che felpati, ma in quel frangente la sua immagine era ben visibile a chiunque! Sperò che nessuno dei due si fosse azzardato a voltarsi…
La porta semiaperta era sempre più vicina: pochi metri… pochi centimetri…
Il papero muscoloso torse indietro il busto.
Non era il momento di pensare: dentro! Dentro!!!
S’infilò all’interno della struttura, nascondendosi nella prima intercapedine che riuscì a trovare.
“Ehi, aspetta un momento…” Udirono le sue orecchie.
Era stato visto? Si era forse fatto già scoprire?
Notò l’ombra prodotta dai vigilanti allungarsi sempre più, e quindi il piede di uno dei due.
Smise di respirare, rimanendo in attesa. Non ragionò, né ipotizzò cosa fare: nel caso l’avessero scoperto, avrebbe agito d’istinto!
La situazione rimase in stallo per un tempo indefinito, quindi…
“Qua non c’è niente… Secondo me sei un po’ paranoico.”
“Uhmpf! Ero sicuro di aver visto qualcuno entrare…”
Il piede scomparve. Le ombre si allontanarono.
“Devo decisamente andare a dormire…Buonanotte.”
“Buonanotte!”
Ascoltò i loro discorsi, sentendo poi la porta chiudersi.
-T-Clang! Tap! Tap! Tap!-
Passi. Il tizio magro gli sfilò praticamente di fianco, senza però notarlo. Lo sguardo assonnato era perso nel vuoto.
Attese. Attese che il vigilante fosse ben lontano e che l’eco dei suoi passi si fosse persa nei meandri della struttura, prima di uscire allo scoperto.
Buttò fuori l’aria.
“E questa è fatta… Sono dentro!” Pensò Vladuck, sollevando con entrambe le mani la fotocamera dal petto e cominciando a scattare qualche foto in giro.
 
-Ducklair Enterprise, piani alti-
 
Paperinik aveva iniziato il suo giro d’ispezione con un’andatura assai lenta, scrutando attorno a sé con attenzione.
L’edificio sembrava comunissimo, fin troppo per gli standard di un certo scienziato: non vi era nulla d’ipertecnologico!
“Uhm… Mi sarei aspettato di vedere qualcosa di più “moderno” in una struttura appartenuta un tempo ad Everett… Che strano…” Costatò nella propria mente il papero mascherato.
Come se gli avesse letto nel pensiero, la voce di Uno gli risuonò nell’orecchio: “Ti vedo perplesso, socio. So cosa ti stai chiedendo… Rammenta che questo edificio è stato per un po’ di tempo proprietà di tuo zio. Credo che, dopo prima bolletta dell’elettricità, abbia pensato bene di smontare un po’ di roba, prediligendo strumenti più…”economici” e facili da mantenere.”
“Già… Sarebbe proprio dallo zione fare qualcosa di simile… Però questo gioca senz’altro a nostro vantaggio: dubito che sarei riuscito a intrufolarmi tanto facilmente, se ci fosse stata ad attendermi qualche diavoleria di robotica avanzata…” Commentò Paperinik, chinando lo sguardo sullo scudo. Sul minischermo era ben visibile la testa verdognola di un papero tridimensionale.
“Déjà vu, socio?”
“Puoi scommetterci la tua CPU!” Esclamò, alzando lievemente il tono di voce.
“Ssssssh!!!” Lo ammonì prontamente Uno.
 
Alla mente del papero tornò il ricordo di quando aveva dovuto recarsi negli ambienti sotterranei della Ducklair Tower, in cerca di un guasto che aveva limitato l’accesso del supercomputer ad alcuni piani.
Rammentò il numero di volte in cui stava per restarci secco… La moltitudine di robot che si era trovato costretto ad affrontare. Rammentò di Angus, che in qualche maniera era arrivato anche lui fin là sotto, e che si era persino impadronito di uno degli aggeggi infernali di Ducklair, minacciando di spifferare tutto quel che aveva scoperto e ottenere così il tanto agognato Pulitzer.
E… ricordò anche la figura del papero che era inaspettatamente comparso a dargli man forte. Forse l’unica memoria lieta di tutta quella faccenda… (*Se invece voi non ricordate affatto, vi consiglio di rinfrescarvi la memoria con PKNA#16: “Manutenzione straordinaria)
 
“Ehi, ti sei appisolato?” La voce di Uno lo riportò al presente.
“!”
Beh, non era il momento per lasciarsi andare ai ricordi. Era lì per svolgere una missione di primaria importanza: scoprire se la Ducklair Enterprise era il covo dei Beati o meno.
Solo che… quegli ambienti erano tutti uguali!
Un tremendo dubbio lo pervase: “Dì, Uno… Sei sicuro che non sto girando in tondo?” Bisbigliò il papero mascherato, con un filo di voce.
La risposta dell’intelligenza artificiale non si fece attendere. Paperinik scorse una puntina di rabbia nel suo tono di voce. Del resto, sapeva bene quanto Uno detestasse il fatto di esser messo in discussione: “Ho in memoria tutta la planimetria dell’edificio, perciò questo rischio SICURAMENTE non esiste. Potrei guidarti con assoluta calma verso l’uscita, nel caso smarrissi la strada.”
Il papero fece spallucce: “Ok, ok… Come non detto…”
Diede un’ennesima occhiata in giro: “Ad ogni modo, questo posto non mi sembra abbia nulla di strano. Voglio dire, è un comune edificio come gli altri. Non che mi aspettassi di trovare Darkflames ad ogni porta, però…” Commentò, grattandosi dietro la testa.
“In verità, restano i piani sotterranei. Ma escludo che qualcuno possa essere arrivato fin laggiù.”
“Piani sotterranei?!” Mormorò Pikappa.
Lo sguardo del supercomputer si accigliò: “Già… Diciamo che padron Ducklair teneva anche qui il suo bel deposito di… invenzioni potenzialmente pericolose. Ovviamente, in scala molto ridotta rispetto a quelle contenute nella Torre.”
L’eroe strabuzzò gli occhi, ed il suo berretto compì un balzo di mezzo metro buono: “Quack! E me lo dici così?”
“Sssssssssh!!! Sta calmo, socio. Il settore che alloggia le invenzioni si trova difeso da un sistema di sicurezza di prim’ordine. Eccetto il padrone stesso, penso che solo io avrei i mezzi per aprire quella porta pressurizzata…”
 
Ne sei proprio sicuro, Uno?
 
-Stesso momento…-
 
“Incredibile! Fatico a credere ad una cosa del genere…”
Birgit era rimasta veramente soddisfatta di ciò che aveva trovato al di là della gigantesca porta pressurizzata.
Dentro a quel minuto spazio c’era tanta di quella tecnologia all’avanguardia da far sembrare il più moderno dei computer un pezzo d’antiquariato.
Scrutò con estremo interesse i vari macchinari addossati alle pareti della stanza nella quale si trovava.
“E’ fantastico… Il genio di Everett non aveva proprio limiti… Non sono una grande esperta in materia, ma sembra proprio materiale di prim’ordine!” Commentò, passando la mano su quello che aveva tutta l’aria di essere una sorta di robottino in miniatura.
Si sorprese di non avvertire polvere sulla punta delle dita: quel luogo sembrava essersi in qualche modo preservato al meglio. Non poteva esserne certa, visto che si vedeva poco e niente, ma la sensazione tattile era bastata a farle supporre che tutto fosse ancora lindo e pulito…
L’ombra dominava l’ambiente circostante, perciò niente aveva contorni ben definiti.
Abbandonò finalmente la stanza, dopo averci passato praticamente tutta la giornata dentro: “E con questo ho finito… Del resto, i miei ordini erano di rendere accessibile l’ingresso alla stanza, e nient’altro! Mi domando cos’abbia in mente, il mio superiore…” Rifletté Birgit. Per un attimo la sfiorò l’idea che l’acquisto dell’edificio fosse dovuto soprattutto al contenuto di quella stanza più che al suo reale impiego come sede principale della Ducklair Enterprise…
Speculazioni, niente di più.
Scacciò quel pensiero: “Bah… Non sono affari miei.”
Raggiunta l’uscita, richiuse la porta pressurizzata alle sue spalle, assicurandosi di adoperare un codice a lei decisamente più congeniale.
Inspirò profondamente, buttando fuori l’aria con uno sbuffo. S’impettì nuovamente: “Bene! E anche questa è fatta. Per oggi, ho concluso… Tra l’altro, dovrebbe già esser notte…” Pensò.
Una sostanza nerastra prese a colare fuori dai vestiti della donna, avvolgendone completamente il corpo al suo interno e modellandolo: comparvero spine sulle spalle, sul petto, sui gomiti e sulle ginocchia… Le iridi si fecero bianche, mentre i capelli andavano ondeggiando al ritmo della fiamma nera che iniziava a divamparle sulla testa.
Bisbigliò qualcosa, ed il suono della sua voce assunse toni sibilanti: “…E’ ora di timbrare il cartellino e dedicarmi al mio… secondo mestiere!...”
S’incamminò per il corridoio buio. La fiamma sulla testa affievolì la sua luce via via che la papera si allontanava dalla porta pressurizzata. Presto, anche l’ultimo chiarore fu inghiottito dall’oscurità del tunnel.
 
-Intanto, da un’altra parte…-
 
-Flash! Flash! Flash!-
La stanza era avvolta nel buio più totale, non fosse stato per la poca luce che filtrava dalle tapparelle semiaperte.
Di tanto in tanto, rapidi flash illuminavano parte della stanza a giorno.
Stefan non ci andò per il sottile: rischiava di venir scoperto, ma quello era sicuramente il solo modo di poter scattare fotografie nitide.
Si trovava in uno degli uffici principali. Del resto, se ne ricordava fin troppo bene: era proprio da lì che era uscita quella papera energica, la volta scorsa… (*Vedere PKNA#53: “Piano d’azione”)
Sul piano della scrivania erano disposti diversi fogli. L’archivio alle spalle del papero era stato aperto, e alcuni fascicoli si trovavano gettati alla rinfusa sopra di esso.
Scattò altre foto: “Mmm… Interessante, anche se speravo di trovare di meglio…”
-Flash! Flash! Frush…-
Il diaframma andava chiudendosi sui documenti, imprimendone in tal modo l’immagine sul rullino. L’obiettivo si spostava quindi avidamente sul foglio successivo, e poi sull’altro…
“Angus pagherebbe oro per indagare su qualcosa di simile… Del resto, credo che anche a lui non sia affatto andato giù il “trattamento” che ci hanno riservato…” Costatò il papero, mentre compiva queste azioni con estrema rapidità.
Doveva sbrigarsi! Aveva richiuso la porta alle sue spalle e si stava sforzando di non fare troppo rumore, ma se qualcuno fosse entrato e l’avesse colto a fare quel che stava facendo…
Non era il massimo della legalità, ecco…
La macchina fotografica ricadde sul petto, mentre il papero andava disponendo con estremo ordine i vari fogli all’interno dei fascicoli, riponendoli infine con cura nell’archivio da cui li aveva estratti.
“Mmm… Quella dirigente è scrupolosa quanto suppongo, sarà bene riporre tutto in ordine…”
-Crrr…-
La porta! Qualcuno stava entrando!
Si chinò a terra, reclinando il capo in avanti e restando perfettamente immobile. La fotocamera, legata col suo laccio, ondulava davanti ai suoi occhi come fosse un pendolo.
Non poteva fare niente, solo restar fermo… e sperare che, chiunque fosse entrato, se ne sarebbe anche andato senza scoprirlo.
Il cuore iniziò a battere leggermente più forte, solo questo. Infondo, si era già trovato in una situazione simile…
 
Alla mente tornò uno scorcio di foresta pluviale notturna.
Lui si trovava tra i cespugli: fermo, immobile…
Quella sera non pioveva, e non c’era un alito di vento ad offrirgli supporto contro eventuali rumori involontari.
Sentiva il proprio respiro nelle orecchie, così forte che gli venne naturale chiedersi se anche il suo aguzzino lo avesse potuto sentire con la medesima intensità.
La scrivania e la stanza scomparvero per qualche secondo, sostituite da mucchi di felci e piante a foglia larga piuttosto umide al tatto.
Persino i passi di chi si avvicinava gli sembrarono per un attimo differenti… Come se ad esser calpestato non fosse stato un pavimento in linoleum, ma… un tappeto di foglie.
-Frump! Frump! Frump!-
Gli risuonò nella mente… Rammentò che in quell’occasione passata si era nascosto assieme ad un gruppo d’indigeni, pronti ad offrire supporto in caso di necessità… Ma stavolta era solo… Completamente solo.
 
La visione scomparve con la stessa rapidità con cui aveva fatto la sua comparsa.
Ora si trovava di nuovo in quella stanza, nascosto dalla scrivania.
Ruotò appena il capo, e gli occhi colsero un’ombra oltre il suo nascondiglio, ad appena pochi centimetri dalla sua mano.
Non c’erano alternative… Farsi prendere sarebbe stato un grave errore, in special modo dopo che era riuscito ad arrivare a quel punto.
“Devo prenderlo di sorpresa ora che non se lo aspetta e poi correre a gambe levate… L’oscurità favorirà la mia fuga…” Ragionò.
Sollevò il pugno destro, e ciò bastò a far oscillare appena la macchina fotografica legata al collo.
La figura era sempre più vicina. Ancora pochi attimi, e di sicuro avrebbe potuto vederne il viso.
Inspirò profondamente e…
“ORA!!!” Si gridò nella mente, alzandosi in piedi e provando a dare una spallata alla sagoma scura che gli si parò davanti.
-Stump!-
Un dolore alla spalla lo colse subito dopo aver colpito, mentre il corpo sbilanciato ricadeva all’indietro.
Ammortizzò l’urto con entrambe le mani, sollevando il becco verso l’alto.
Gli sembrò di aver colpito un muro di mattoni…
Una luce gli illuminò il viso. Portò istintivamente una mano a coprire gli occhi, ma non tentò di scappare: comprese che oramai sarebbe stato inutile.
Era stato scoperto…
Considerando quel poco che aveva scoperto, trovò che nella migliore delle ipotesi avrebbero distrutto la macchina fotografica prima di denunciarlo alla polizia. Nella migliore…
“Maledizione…” Sussurrò con un filo di voce.
“Stefan?!” Domandò la sagoma.
Il fascio di luce smise d’illuminarlo immediatamente. Gli ci volle qualche istante per riprendere a vedere con chiarezza.
E la sua sorpresa a quel punto fu doppia!
In primo luogo… la sua amata fotocamera non rischiava di fare una brutta fine.
Secondo poi, chi aveva davanti era proprio la persona adatta cui parlare di quel che aveva scoperto.
“Paperinik!...” Esclamò soltanto.
L’eroe aggrottò la fronte: “Ok… E le presentazioni le abbiamo fatte. Ora ti dispiace dirmi che accidenti ci fai, qui?” Esclamò, alzando lievemente il tono di voce.
“Sssssssshhh!!!”
“Sssssssshhh!!!”
Fecero all’unisono Stefan ed Uno.
Il papero si mise la mancina sul becco: “Sgrunt…”
Quindi, proseguì: “Comunque ho sistemato solo un paio di addetti alla vigilanza, lungo il cammino… Mi aspettavo che questo posto fosse ben difeso, e invece…”
Mentre lo diceva, gli tornò in mente come aveva bloccato il tempo soggettivo di quelle persone senza che queste se ne potessero render conto per mezzo del suo Paralizzatore bradionico: gli era mancato parecchio lo scudo Extransformer!
Nuovamente fu riportato alla realtà: stavolta a parlare fu Vladuck.
“Ho raccolto un po’ di materiale interessante…” Mormorò il papero con un filo di voce.
“Interessante riguardo a… Ehm… quel che c’era nelle immagini che hai affidato al mio amico?” Disse il Nostro, lievemente imbarazzato: si sentiva sempre un’idiota quando doveva parlare in terza persona della sua identità segreta.
Il papero con l’impermeabile sollevò la macchina fotografica: “No… Di quegli esseri non ho trovato alcuna traccia. In compenso, però, ho scoperto alcune… stranezze riguardo alla documentazione di questa società. Niente di eclatante, ma… forse è quanto basta per solleticare la curiosità di qualcuno di mia conoscenza.”
“Lasciami indovinare: questo “qualcuno” è scorbutico, ha uno scarso senso dell’igiene e soprattutto… mi odia a morte? Eheh!” Commentò Pikappa, pensando ad un certo kiwi che rispondeva perfettamente a quella descrizione.
“Puoi toglierti l’auricolare, socio. Tanto se davvero ci fossero state delle guardie, a questo punto vi avrebbero già scoperto da un pezzo.” Uscì dall’Extransformer.
“Sgrunt!” Grugnì il papero mascherato, togliendosi l’aggeggio dalla testa e riponendolo nel vano dello scudo.
Stefan ci mise qualche secondo a ricordare a chi apparteneva la voce che aveva appena udito: “Ah, già… Il tizio che si nasconde dietro all’immagine di un papero verde digitale…” Ricordava bene che gli era stata data quella spiegazione, quando per la prima volta aveva guardato nel mini-monitor di quella strana arma.
La curiosità lo spinse quasi a chieder di più, tuttavia… c’erano cose più importanti da fare, in quel momento.
Mise una mano sulla spalla dell’eroe, passandogli di fianco: “Il tuo amico ha ragione. Non è il caso di discutere qui. Usciamo da qui, poi ti farò sapere cosa ho scoperto…”
Paperinik scostò il mantello col braccio libero, seguendo a lenti passi Vladuck: “Mmm… Hai ragione. Non posso certo paralizzare tutti gli addetti alla sorveglianza di questo posto…”
Stefan spinse la porta con estrema lentezza: cigolò ugualmente…
-Crrr…-
Cacciò fuori la testa, scrutando nell’oscurità.
“Bene. Nessuno in vista…” Commentò, lasciando la stanza e cominciando a muoversi rapidamente verso la direzione dalla quale era entrato.
“Ehi, dove vai?” Gli domandò Paperinik, con un tono di voce volutamente strozzato.
Stefan si fermò: “Beh… Io sono entrato dalla porta sul retro…”
Il papero si batté il palmo della mano sulla fronte: “Porta sul retro?! Ed io che sono entrato dal dodicesimo piano!!! Se cadevo, sai che frittata?”
La voce dell’intelligenza artificiale sembrava divertita: “Ti chiedo scusa, socio… Ma ho preferito farti percorrere la via più sicura. Non pensavo che le difese della Ducklair Enterprise fossero tanto esigue. Hihi!” Ridacchiò la voce che usciva dallo scudo.
A quell’affermazione, l’eroe avvertì lo stimolo di strozzare il supercomputer…
Ma quel che Uno aveva detto gli fece venire in mente un altro particolare.
Si passò una mano sotto al becco: “Mmm… Effettivamente, c’è molta meno sicurezza di quel che pensassi. E’ strano…”
Vladuck sorrise: “Lo credo bene, visto che la Ducklair Enterprise non è che una comune società come ce ne sono altre. Fin troppo comune, aggiungerei…”
Quelle parole colsero Paperinik alla sprovvista: “Che intende dire? Forse, senza saperlo, ha davvero scoperto qualcosa che potrebbe interessarmi.” Pensò tra sé e sé.
Cercò di esprimere tale pensiero in modo molto generico: non era il caso di entrare nei dettagli di quella faccenda. Dunque, si limitò a dire: “Ehm… Sii più specifico, per favore.”
Stefan rimase in silenzio qualche secondo, come a trovare le parole giuste per esprimere ciò che aveva trovato.
Stava per aprire il becco quando, svoltato l’angolo…
“Ah!” Sussultò, scansandosi nuovamente nella penombra.
Paperinik fece più o meno lo stesso, d’istinto.
“C’è qualcuno?” Domandò a bassa voce.
“Già…” Commentò Vladuck, indeciso se sporgersi o no. Sentì la mano di Paperinik sulla spalla.
“Lascia fare a me…” Commentò l’eroe, muovendosi a passi felpati e scrutando da dietro l’angolo.
Perfetto! L’addetto alla sorveglianza guardava proprio verso di lui!
“Ehi, tu!” Esclamò quest’ultimo, notando la sagoma scura.
“Accidenti… La discrezione non è proprio il mio forte.” Disse in risposta Paperinik.
Sollevò l’Extransformer, ed un raggio giallastro partì da esso.
Quando Vladuck andò a sporgersi, vide il tizio magro di poco prima corrergli incontro. O meglio: sembrava che fosse in procinto di corrergli incontro, ma era perfettamente immobile!
Sembrava una statua di cera, un qualcosa di finto.
“Che gli hai fatto? Sembra pietrificato…” Gli venne da domandare, avvicinandosi.
Il papero mascherato fece spallucce, alzando il pugno metallico verso il cielo: “Niente di grave. Il Paralizzatore bradionico blocca semplicemente il tempo soggettivo dell’essere vivente che colpisce. Ho dosato il raggio perché si riprenda in poco meno di un’ora. E, con un po’ di fortuna, molto probabilmente crederà che si sia trattato solo della sua immaginazione.” Spiegò. In verità ci capiva poco o niente anche lui, ma quelle erano parole estrapolate dalle spiegazioni di Uno sull’argomento… Non ne conosceva di migliori.
In ogni caso, il papero in impermeabile rimase piuttosto stupito: non era una cosa che si vedeva tutti i giorni…
Decise di scattare una foto alla “statua”.
-Flash!-
Solo dopo averlo fatto si accorse di quanto era stato stupido: “Mmm… Un’immagine racchiude già in sé un frammento di tempo: non ho modo di rendere l’effetto di quest’arma su di una foto.” Ragionò.
“Dai, andiamo via da qui.” Gli disse Pikappa, che nel frattempo si era avvicinato alla porta che conduceva all’uscita.
Annuì in silenzio, seguendo l’eroe.
 
Pochi attimi, ed entrambi si ritrovarono nuovamente nel vicolo, teatro di quella bizzarra situazione che aveva condotto entrambi in quel luogo. Mancavano gli attori, però: nessuna traccia di Darkflames, né dentro né fuori…
-T-clang!-
Vladuck richiuse la porta alle sue spalle, incamminandosi assieme a Paperinik in direzione della strada.
“Ok, ora se vuoi puoi parlarmi liberamente di quel che hai scoperto…” Mormorò Pikappa, stiracchiandosi.
Stefan per sicurezza si guardò bene attorno, prima di dire: “Sì… Qua va bene.”
Cadde il silenzio.
Paperinik si ritrovava in trepidante attesa che l’altro papero gli rivelasse quel che aveva scoperto riguardo alla Ducklair Enterprise.
Il becco dell’ex-fotoreporter si mosse: aveva trovato le parole giuste…
E Stefan parlò, parlò a lungo di quel poco che era riuscito a trovare, ma che era comunque rimasto impresso sulla sua macchina fotografica.
E via via che ascoltava quelle parole, l’espressione di Paperinik mutò: gli angoli del becco scesero in basso, segno evidente di delusione…
 
Epilogo:
 
“…La Ducklair Enterprise ha acquisito alcuni degli edifici appartenuti a Everett. Inoltre, sembra che parte dei suoi fondi derivi da affari “non proprio leciti”. Informazioni senz’altro interessanti, ma a prova del fatto che quella società c’entri qualcosa coi Beati… Uff…” Concluse Paperino al termine del lungo resoconto, lasciandosi cadere sulla sua poltrona.
Si trovava all’interno del piano segreto, ed il papero verde virtuale che si trovava di fronte a lui lo scrutava con aria di sufficienza dall’interno della sua ampolla: “Beh, ciò non toglie che la DE non è tutta rose e fiori come affermava di essere. Stefan potrà senz’altro sfruttare le foto che ha scattato per fare chiarezza sull’argomento, no?”
“Già. E’ comunque un qualcosa… Ad ogni modo, gli ho fatto promettere di distruggere le foto che aveva fatto ai Darkflames e di lasciar perdere l’argomento…”
Una testa verde minuscola uscì da un vano posto di fianco alla poltrona: “Dunque… Nulla di fatto, eh?”
“Già, nulla di fatto…”
Il papero si alzò in piedi con uno slancio, stiracchiandosi: “Beh, sarà meglio che mi prepari: tra poco devo andare a lavorare. Anche se preferirei di gran lunga dormire…”
 
-Intanto, altrove-
 
Un certo kiwi aprì la porta di casa con estrema fretta, avido di iniziare la sua occupazione giornaliera. No, non scaricare il proprio stress sul prossimo: cercare la notizia, lo scoop che gli avrebbe permesso di avere il Pulitzer!
“Sì, come no… -Ragionò, sbadigliando:- Se continuo di questo passo, il Pulitzer posso anche scordar-“ Il moto dei suoi pensieri s’interruppe bruscamente: sentì qualcosa sfiorargli la zampa, e dunque chinò lo sguardo in basso.
Proprio sotto al suo piede notò quello che appariva come un pacchetto ben confezionato.
Aveva una forma cilindrica, quasi a tubo.
Lo sollevò da terra, scrutandolo con cura: “Mmm… Nessun mittente… E non c’è neanche il francobollo! Chissà chi mai avrà potuto lasciarlo proprio di fronte alla mia porta…” Ragionò Angus.
Si passò il pacco da una mano all’altra, saggiandone il peso più volte e provando ad agitarlo. Lo pose vicino al proprio orecchio: “Bene… Nessun “tic-tac”… -Commentò il kiwi, sorridendo e cominciando a scartare il pacchetto:- “Allora sarà solo la classica bomba col timer al quarzo. Igh! Igh!” Concluse.
Lo aprì, tenendolo leggermente lontano da sé… No, nessun botto.
Controllò l’ora sul suo orologio: era tardissimo!
“Ecco, lo sapevo!” Esclamò, uscendo dal palazzone come un fulmine ed affrettandosi a salire sul bus.
“Puff! Puff!” Riuscì a prendere il mezzo pubblico per un soffio, e per poco le porte non gli schiacciarono quasi una gamba.
Come ogni mattina, il bus era stracolmo di gente, e dunque fu costretto ad appoggiarsi vicino all’entrata. Picchiò contro un’anziana signora per fare questo.
“Ehi!” Esclamò quella.
Non si degnò di chiederle scusa, rammentando in quel momento che stringeva ancora il pacchetto tra le mani: “Mmm… Vediamo che cosa contieni…”
Ne vuotò il contenuto sulla mano libera: “Fogli?! Fogli e… qualche foto.”
Alcune fotografie gli caddero in terra, costringendolo a chinarsi per raccoglierle. Andò a dare una gomitata ad un tizio, per fare ciò.
“Sgrunt…” Grugnì quello, scocciato.
Non diede peso neanche a lui, mentre le iridi sondavano avidamente il materiale che gli era stato misteriosamente recapitato a casa.
Angus sentì l’adrenalina scorrergli nelle vene nel momento stesso in cui comprese di cosa si trattasse. Sgranò gli occhi, allibito: “Oh, questo è un qualcosa fuori dal comune.” Commentò il kiwi, eccitato.
Il tizio a cui era venuto addosso lo guardò in cagnesco: “Cosa? Il fatto che da quando sei salito non hai creato che scompiglio?”
Era troppo contento per litigare, o forse preferì evitare semplicemente perché era oramai giunta alla sua fermata.
Lasciò l’autobus senza staccare gli occhi dai documenti. Stava leggendo…
“Che gran maleducato! Ai giorni nostri, non s’incontra più gente a modo…” Commentò la vecchina, vedendo il giornalista andarsene.
Angus raggiunse la Torre ed entrò al suo interno, imboccando deciso l’ascensore.
Non appena fu al suo interno, staccò gli occhi dai fogli e dalle foto, ricacciandoli all’interno del pacchetto: “E’ fantastico. Ovviamente, questo mi servirà come inizio. Non posso usare da subito questo materiale, o rischio delle denunce… E poi, senza prove più concrete quella società da strapazzo potrebbe insabbiare tutto. No… -Ghignò, mentre le porte dell’ascensore andavano aprendosi:- Mi prenderò tutto il tempo necessario per organizzare la mia vendetta personale…”
Sollevò una delle foto, scrutandola. Era un bel primo piano del Dirigente con cui Angus aveva avuto modo di “conversare”, qualche tempo prima: “…in special modo, contro di lei.”
Raggiunta la stanza della redazione di 00 News, Angus spalancò la porta e si diresse senza guardare in faccia nessuno verso la sua scrivania.
Del resto, nessuno osò rivolgergli la parola: del resto, dopo le recenti scenate che lo avevano visto protagonista, persino il Direttore manteneva riserbo nei suoi confronti.
“Buongiorno, Angus.” Giunse tuttavia alle sue orecchie.
Chi??? Chi era stato a parlare?
“Ecco, mi serviva giusto un bell’incipit perché la giornata iniziasse NEL MIGLIORE DEI MODI…” Pensò.
Stava per spararne una delle sue, ma quando lo sguardo si spostò su chi gli aveva augurato il buon giorno, dal suo becco uscì un incerto: “Camera 9?!”
Sì, era proprio lui: stessa altezza, stesso scafandro. Non poteva sbagliarsi.
Il becco digrignante s’incurvò per qualche secondo verso l’alto: forse la giornata stava davvero iniziando nel migliore dei modi…
Scrollò le spalle, come ad esorcizzare l’intorpidimento che l’aveva preso.
Sbraitò: “Alla buon ora! Ce l’hai fatta a tornare, specie di telecamera ambulante!!!”
“Eggià…” Rispose il papero, flemmatico. Notò che Angus teneva tra le mani un certo pacchetto… Non riuscì a fare a meno di sorridere.
Intanto, il kiwi si diresse dritto verso la porta: “Dai, seguimi! C’è molto lavoro arretrato che ti aspetta!” Esclamò, abbassando il copricapo fino a sfiorarsi il becco.
“Ok…” Rispose flebilmente Camera 9, zampettando a sua volta verso l’uscita della stanza.
 
-Fine-
 
 
 
 
-Coming soon-
 
Dopo un’ennesima zuffa con alcuni Darkflames, Pikappa e Zheron si ritrovano spettatori di fenomeni assai insoliti, al limite del razionale. In alcune zone della città, la fisica sembra cominciare a giocare brutti scherzi. Il parere di Uno è allarmante: se non si porrà rimedio al più presto, l’intero stato del Calisota potrebbe rischiare di scomparire per sempre! A Paperinik non resterà dunque altra scelta, se non quella di farsi coraggio ed affrontare la missione assieme all’Evroniano. Quella in cui si lancerà sarà una situazione insidiosa, dove le sue poche certezze saranno messe in discussione… compresa la scarsa fiducia che ripone nel suo nuovo alleato.
  
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