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Autore: Lisa_Pan    12/03/2013    1 recensioni
Abigail racconta sensazioni mai provate attraverso impercettibili sussurri, Imre sopravvive cercando il ritmo nel silenzio, Emike raccoglie ricordi dentro delle note suonate su una chitarra color miele ed Aaron gioca al gatto e il topo con il diavolo; quattro vite, quattro anime che vagano sotto una pioggia complice alla ricerca di loro stessi.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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abigail 14

A-b-i-g-a-i-l

Alla cannella
perchè è un modo originale di dirti grazie;
Alle cadute libere
perchè ti sorprendono;
Alla grafomania
perchè è un modo tutto personale di capire se stessi;
Ai gufi sul libro di storia
perchè sapevo che prima o poi mi sarebbero stati utili;
Alle onde di un oceano che non ho ancora visto,
alla Kostova che non sa che cosa mi combina,
alle esperienze di un'estate passata dietro un obbiettivo,
a Vitaris e che i suoi capelli bianchi restino sempre incollati a quella capoccia quadra;
E alla musica;
perchè è quello che è e non serve dire altro.

I giorni passati, come cambiano velocemente 
Sei perduta e andata da lungo tempo ormai 
Voglio ricordare qualunque cosa 
Muovendomi alla velocità del suono 
Alla

 

Sono Abigail, Abigail e basta. Non ho cognome, non ora. L’uomo a cui appartenevo, l’uomo che mi ha cresciuta, l’uomo che tiene ancora stretta in pugno la mia infanzia e il mio cavallo a dondolo insieme alle costruzioni, è morto sul ciglio della strada, quella sera, al posto mio, nella mente e forse anche nel corpo.

Sono Abigail senza cognome, Abigail senza casa, Abigail senza famiglia. Sono Abigail e questa consapevolezza non è mai stata così rassicurante. Avere un nome è essere qualcuno per questo buco di mondo; avere un nome permette alle persone di fermarti per strada, farti girare verso di loro e concedergli attenzione. Avere un nome significa poter essere trovati, ovunque, nel mondo, da chiunque, al mondo.

Il mio è Abigail e non è il mio vero nome. E’ il nome della consapevolezza di essere qualcosa, di essere qualcuno. E’ la consapevolezza di un corpo che cerca la sua anima e che poi ad un certo punto, sul ciglio della strada, sotto un sole che picchia ma con il gelo nelle ossa, la ritrova. La ritrova nell’esatto istante in cui non la cerca più ed Abigail è il nome della consapevolezza di non aver mai cercato nel posto giusto, seguendo il silenzio e non il rumore, seguendo la voglia di svuotarsi che si coniuga con la voglia della sua anima persa di riempirsi.

Abigail è quella storia dei vasi comunicanti, riempio e mi svuoto nel mio simile che a sua volta si riempie e si svuota in quel vaso che è il mio corpo, che cerca un’anima e poi la trova. Ci ho versato un po’ di tutto in quei vasi, sperando di riuscire a colmare in breve tempo la distanza che mi separa dal tunnel che li collega, goccia dopo goccia, sasso dopo sasso, sensazioni che si arrampicano e stringono i denti fino a consumarsi anche le gengive. Persevera, dico a quella sensazione che scivola sulla parete liscia del vaso, persevera, le ripeto. E lei persevera, si arrampica sull’odore del tabacco e affonda le mani nel battito di un cuore. Persevera, arrampicati, aggrappati e scavalca.

Abigail è quel controsenso della sensazione che non è sufficiente per arrivare a quel gradino poco prima del ponte, per svuotarsi in quel vaso diventato ormai pura ed effimera ambizione. E’ la contraddizione di vuotare il vuoto nel vuoto. Un gioco di parole cacofonico che fa eco e si rispecchia contro il vetro. Abigail è il desiderio puro e semplice di volersi condividere. Non ho nulla, non ho che me stessa e anche in quel caso ho poco e niente, posso offrire un iride di colore intorno ad una pupilla ampia, nera e profonda. Ed è la condivisione di se stessi che fa paura, è quel guardarsi, ma guardarsi per davvero, negli occhi e nell’anima in un modo da poter persino vedere il colore delle mutande, fino in fondo ai calzini, senza davvero che tu sia nudo davanti a me. Abigail è pisciare a porte aperte.

Abigail è la sincera paura di restare a secco, senza nemmeno la riserva, al centro perfetto di una strada senza luci, di una strada senza insegne. Di una strada senza neanche una strada. Priva di un luogo, priva di un suono, priva di sensazioni a cui aggrapparsi. Priva di ricordi da dimenticare ed errori da perdonare.

 

Posso perdonare quello che 
non posso dimenticare e vivere una bugia? 

Abigail è nulla da giustificare, nulla da dimenticare né da perdonare. Abigail è una fotografia di cui si son persi i negativi. E’ un positivo fragile, cenere tra le ceneri, fuoco al fuoco, patina opaca che sbiadisce anno per anno. Abigail è “e ancora mi sto aggrappando forte a questo sogno di una luce lontana”. C’è ancora quella sensazione che scava il vetro, c’è ancora quel persevera rotto dal pianto, rotto dalla stanchezza, come una puntina che indugia sul graffio petrolio di un vinile impolverato al centro di una stanza che aspetta immobile di essere scoperta e svuotata. Di fianco al giradischi, sopra al cartone di un disco del ’77 degli allora Warsaw, appeso tra il nulla e la curvatura perfetta dell’emulsione secca e dura, un negativo. Sei scatti: il primo a metà, come se la tendina si fosse piantata al centro, incapace di andare avanti, troppo lenta, troppo stanca, troppo rotta; l’ultimo troppo contrastato, troppo denso, troppo bianco e troppo nero da far male agli occhi e al cuore.

Un sussurro nell'oscurità, 
sei tu o sono solo i miei pensieri? 
Sono completamente sveglia e sto cercando di afferrare qualcosa

 

Abigail non è più qualcosa, Abigail improvvisamente… è.

E’ un ricordo, un suono al centro di una canzone. Nella penultima strofa, seconda parola del primo verso, allitterazione e sibilo. Sensazione che scavalca e si svuota e si consuma ed esplode e schiuma in un infinito finito. Finito con lei, finito in lei. E la seconda parola, primo verso, penultima strofa, lentamente si scolora come mascara dopo un pianto lungo anni, che cola sulle guance e macchia di nero ciò che è pallido. E il suono diventa essenza e da essenza diventa totalità.

Una totalità che inizia nel silenzio della gola e si conclude nel silenzio di uno sguardo.

 

E' diventato tutto così silenzioso ora, 
può essere che sono andata ancora più avanti 
muovendomi alla velocità del suono

 

Non così veloce. Un suono non è abbastanza veloce. Il silenzio sorprende le parole e le frantuma e le consuma.

Sono nata da un impatto, sono scivolata nel mio stesso sangue e mi sono fatta allattare dal calore e dal leggero ruggito di un sussurro. Il primo vagito è stato un gemito e i miei primi passi sono stati quelli verso un pick-up ribaltato al centro della strada. Non conosco il mondo ma lo avverto, non conosco il mio corpo ma lo sostengo, perdo e ritrovo l’anima passo dopo passo, rigettando respiri in mancanza di bile.

Mi muovo nei miei sussurri verso il suono ritmico di un battito. E in un attimo, più veloce del suono, più veloce del silenzio, più veloce dei ricordi, raggiungo il cielo buio in cui decido di perdere la mia anima per forse non ritrovarla mai più.

Abigail sono io, nuda, davanti a te, nudo. E tu, quel buio pesto, tu sei il mio primo ricordo prima che la pioggia cancellasse il dolore, i lividi, il biondo dai miei capelli e le stelle dai tuoi occhi. Prima che tutto si trasformasse in rumore, prima che tutto si trasformasse in un buco nero, così diverso dal tuo, di nero; tu, Imre, eri e sei il mio primo ricordo.

 

Quando i segnali si incrociano, voglio metterli in ordine 
se non c'è amore, voglio provare ad amare nuovamente 
dirò le tue preghiere, starò al tuo fianco 
brucerò, in modo da illuminare tutto quanto 
scaverò la tua tomba 
balleremo e canteremo 
ciò che è rimasto potrebbe essere 
un'ultima possibilità di avere una vita

Fine

***

Non finirà mai questa cosa qui, è sempre in quella parte di cervello che partorisce immagini e sensazioni, martella puntuale e non manca mai un appuntamento. Ho così ben stampati i loro visi sulla retina che nemmeno strappandomi gli occhi riuscirei a schiodarli di lì. E non sono solo i loro visi, sono le loro storie che mi hanno rapita. Non credo abbandonerò mai Imre, nè Emike, nè Aàron che cerca ancora un suo spazio, e tantomeno non abbandonerò Abi, lei è più di quello che uno immagina leggendo queste pagine. Alla fine sono sempre i soliti stronzi di cui si legge da queste parti, non 'è nulla di diverso e ogni autore a fine storia attacca questa stessa pippa su quanto sia legato ai propri personaggi, è sempre così ma averne la consapevolezza non cambia di molto le cose. E' inevitabile.

Comunque le dediche a inizio capitolo sono tutte studiate e chi di dovuto si sentirà ringraziato, intanto dico a Fal che è invitata a pranzo o cena quando vuole, zuppa di patate e delirio sul menù, dico a Chara che ti aspetto qui e ti dico quello che devo a voce, e dico a chiunque si sia avvicinato anche solo per sbaglio a questa storia che anche se non siete comparsi non importa, grazie per aver letto e grazie per aver continuato questo delirio.

Il delirio, nasce tutto da una manifestazione assurda di tradizione dalle mie parti, mi hanno chiamato a far foto e ho avuto modo di conoscere dall'interno un mondo che da piccola avevo modo di osservare solo dall'esterno, ne ero innamorata e le cose non sono cambiate, si sono amplificate. I personaggi sono tipi che per me hanno volti ben diversi da quelli che ho messo lì nel banner, son volti che esistono come anche il loro essere fin nel midollo ungheresi ed il fatto che io abbia fatto sbarcare la mia esperienza in Ungheria è dovuto unicamente alla proposta di riandare nuovamente a fare quelle stesse foto nel paese a noi gemellato, ovvero il gufo sul libro di storia. Quindi la malattia mentale, la terra rossa, l'armeria, l'arco e tutto quel delirio è nato da un pick-up e si è concluso al centro del bersaglio impagliato.

Ed Imre, ovviamente, è il ragazzo di cui mi ero follemente innamorata a quella manifestazione e di cui per assurdo ho solo una foto, anche sfocata.

Le parole in grassetto, alla fine el capitolo, nella parte in corsivo, rimandano ognuno a quei quattro pazzi bruciati, sarebbe bello se qualcuno tentasse d' indovinare quale parola corrisponde a chi.

E quindi basta, le note più lunghe della storia non si possono vedere. Come sempre, tante coccole a tutti voi e ad un futuro prossimo, forse.

Lis

Ps: spesso sotto il grassetto e sotto le parole velocità del suono ci sarà sempre qualcosa da scoprire, basta cliccarci su!

   
 
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