Abuso di
potere
Lancer era piegato in avanti, con la
faccia contro il
pavimento di quell’abitazione che non conosceva.
Era lì perché il suo Master gli aveva chiesto di
occuparsi
di Archer, tradendo quella che era stata un’alleanza tra i
due nobili maghi.
Ma non si sarebbe mai aspettato che quello fosse così
preparato ad un agguanto, così violento, perverso.
Diarmuid strinse gli occhi, mentre Gilgamesh entrava nel suo
punto più intimo con prepotenza, dopo avergli strappato le
vesti con una spada.
La ripugnanza che provava nei confronti di quel
“Re” gli
faceva sentire il cuore pesante e avvertì quasi un conato di
vomito nel
disprezzare il piacere del proprio corpo.
Pensò al suo Master, alla sconfitta che stava subendo e che
mai gli avrebbe raccontato. Anche se questo voleva dire mentirgli.
“Cavaliere, devi sottostare
al volere di un Re.”
Gilgamesh ghignò, provando una soddisfazione sì
fisica, ma
principalmente egoistica.
Abusava del proprio potere, della propria posizione e del
proprio ruolo.
Eticamente, ciò rientrava nel suo
giusto, e Lancer nel suo concetto del ‘bello’.
Gilgamesh era un esteta e allo stesso tempo voleva consumare la
bellezza quando
l’aveva davanti. Voleva farla appassire come era stato
dell'eternità mai ottenuta, voleva fermarla e coglierla nel
momento in cui essa era tale -come aveva desiderato della sua
giovinezza. Voleva farla culminare nella massima espressione di
interesse e fascino: piacere.
Lancer cercò di allungare le dita verso la sua lancia rossa,
strisciando contro
il pavimento come un cavaliere non dovrebbe mai fare se non per
proteggere il
proprio signore. Per questo non se ne vergognò: salvare se
stesso in quel
momento, avrebbe permesso di difendere Kayneth in futuro.
Sentì il peso del suo piede sulla schiena gravare come un
macigno.
Trattenne lacrime d’onor calpestato.