Attesa
Un
altro giorno di lavoro era volto al termine, mancava soltanto il consueto
viaggio di ritorno a casa.
Il
treno non arrivava.
Solito
ritardo.
Lei
era ferma ad attendere, spalle contro il muro.
Ma
attendeva cosa?
Il
suo sguardo volgeva rapido da un capo all’altro della stazione poi si arrestava
in un punto fisso, vigile ma sfuggente nello stesso tempo.
Lì,
dove terminano le scale mobili e arrivano persone che forse aspetteranno il tuo
stesso treno.
Sembrava
attendesse qualcuno che probabilmente non arrivava.
Nel
frattempo era giunto il treno.
Una
folla si accalcava nella parte laterale della stazione dove si smistano i
passeggeri che scendono dalle carrozze e quelli che invece devono occuparle
nuovamente.
Era
quasi sempre un gran caos, un’impresa salire e
trovare un posto libero.
Lei
era sempre lì, tanto bisognava attendere che il treno si liberasse e forse
“Qualcuno” poteva ancora arrivare.
Infine
delusa, quasi costretta si metteva in fila per salire su quel treno tanto
atteso.
Raggiungeva
sempre il capo del mezzo, sperando di trovare un posto libero o magari più
spazio o magari qualcuno…
Una
volta entrati bisognava attendere la partenza.
Lei
aveva trovato posto, non era poi così affollato quel giorno.
Aveva
ancora viva la speranza che giungesse ancora qualcuno all’ultimo momento.
Ma
chiunque entrasse quel suo sguardo scrutante non cambiava, attendeva sempre
finché le porte non si chiudevano e si partiva in rotta verso casa.
Solo
allora smetteva di sperare in quell’incontro.
Lui
non era venuto, probabile avesse preso il treno precedente o chissà.
L’aveva
visto solo ieri mattina, visto poi. Da lontano l’aveva scorto tra la bolgia che
occupa il treno all’andata, illusa che per un attimo si fossero incontrati
almeno con lo sguardo ma poi come al solito l’aveva perso di vista.
Si
pentiva quando non faceva nulla per stargli accanto, si pentiva quando
succedeva.
Stava
di fatto che quel viaggio non era mai così breve come quando c’era Lui.
Eppure
non avrebbe mai pensato che potesse capitarle una cosa del genere.
Lei,
“donna” tutta d’un pezzo.
Non
avrebbe mai potuto provare certe emozioni così piene e vuote nello stesso
tempo.
Gli
anni delle “cotte”, delle illusioni erano passati ormai.
Lui,
uno sconosciuto, passeggero consuetudinario del suo medesimo treno, suo concittadino,
secondo le sue seghe mentali da quindicenne, provava un certo interesse per
Lei.
L’aveva
seguita a volte e aveva fatto in modo di sedersi accanto a lei.
Detto
così sembra uno di quei maniaci come purtroppo capitano nei trasporti pubblici,
invece no.
Non
aveva mai fatto nulla che l’avesse disturbata, a malincuore doveva confessare
che non c’era stato nemmeno uno scambio di saluti. Niente di niente. Se non
sguardi e qualche azione palese di voler star quanto più possibile vicino a
lei.
Ma
spesso Lei si chiedeva: “ E se è tutto frutto della mia sfacciata
immaginazione?”
Poi
però il ricordo di quegli sguardi, di quei silenzi, di quegli attimi in cui era
stata abbastanza vicina a lui da poterlo osservare, da poter fissare bene in
mente i suoi gesti, i suoi lineamenti la spingevano di nuovo verso quelle vane
speranze e illusioni.
Quel
viaggio sembrava infinito senza quell’incontro, doveva accettare che non
l’avrebbero fatto insieme quel giorno. L’avrebbe rivisto l’ indomani, magari.
Giunta
a casa, nemmeno il tempo di un breve riposo, di mettere qualcosa sotto i denti
che il suo ragazzo la invitava a uscire.
Capitava
di rado.
La
giornata non si era conclusa nel modo migliore, magari prendeva una piega
diversa, ovviamente positiva.
Lavati,
vestiti, sì puntuale.
Una
passeggiata in paese, giusto per stare insieme.
A
Lei andava bene.
Lei
con il suo ragazzo stava bene o forse si accontentava?
Che brutta cosa
solo a pensarla!
Erano
scesi dall’auto e dopo una breve passeggiata si erano fermati e seduti su di
una panchina del lungomare.
Giochetti
da innamorati, abbracci, baci, sorrisi. Lei era in piedi, il suo ragazzo
seduto.
In
quei momenti forse quasi dimenticava tutto il resto.
E
per tutto si intende Tutto.
Solo
per qualche breve istante pensava che Lui abitasse nei dintorni, che forse erano più vicini ma entrambi in
compagnia di qualcun’ altro.
Questi
erano pensieri veloci, fugaci, si esaurivano in un soffio.
La
realtà era un’altra, era davanti a lei.
Aveva
il suo ragazzo, la sua vita da costruire, con lui.
Stava
guardando altrove mentre si rammentava certe cose.
Quando
si guarda ma non si mette a fuoco e poi ad un tratto qualcosa ti spinge a
farlo.
Non
era qualcosa ma qualcuno.
E
non qualcuno, era Lui.
Era
non molto lontano da loro, seduto su un’altra panchina del lungomare.
Non
era solo.
Lui
l’aveva vista, ne era sicura.
In
un attimo non vedeva più nulla e nessuno solo Lui.
Cosa
aspettava?!
Smettila di guardarlo!
Lui
si girò verso la sua direzione come se sapeva bene ciò che avrebbe visto.
Per
un istante pareva uno che era appena stato beccato a fare qualcosa di male.
Evidentemente
non si aspettava di essere stato visto a sua volta.
Poi
lo sguardo divenne più intenso, ormai era successo.
Lei
tentava di leggere i suoi occhi, Lui forse si limitava a percepire la realtà.
Roba
di attimi.
Battiti.
Poi
quel legame si interruppe poiché il suo ragazzo le cinse i fianchi con le mani.
Le
sembrava di essere tornata da un lungo viaggio.
Il
suo corpo si offrì a quell’abbraccio, ma la sua mente era altrove, non molto
lontana da lì.
Alzò
di nuovo il capo e si girò di nuovo verso di Lui.
Non
la stava guardando, anche Lui era evidentemente stato richiamato sul pianeta
terra dalla sua compagna.
Poi
di nuovo si girò verso di Lei.
Di
nuovi occhi neri negli occhi neri.
Questa
volta doveva dire tanto quello sguardo.
Lui
guardava Lei, poi le mani del suo ragazzo sui suoi fianchi e pareva non voler
vedere quella realtà.
Lei
in risposta, abbassava lo sguardo e poi tornava a guardarlo.
L’intensità
dei loro occhi in quel momento, immersi gli uni negli altri era un qualcosa di
unico.
Forse
si stavano dicendo addio, forse si stavano rassegnando al fatto che non si
appartenevano, che non avrebbero mai toccato la sponda dell’altro.
O
forse si sarebbero attesi sempre.
Cercati.
Trovati.