Era un giorno diverso, quello.
Quando mi svegliai mi accorsi che c’era qualcosa di diverso, che qualcosa avrebbe sconvolto la mia vita.
In quel giorno, quel dannato giorno, successe tutto così in fretta, eppure, mi sembra di ricordarlo perfettamente. E ogni giorno, quando rimango sola a guardarmi in quello specchio, ad osservare quello che sono diventata ora, quella figura che una volta era anche una parte di lei, di mia madre, mi sembra di riviverlo, fino ad ogni istante, minuto, secondo.. tutto quello che ha potuto rivoltare tutte le cose belle di una volta.
E in quella stanza d’ospedale, la solita stanza che a guardarla in un ospedale qualsiasi ti metterebbe comunque angoscia, di quel colore spento, che ogni volta sembra voglia ricordarti che lì si sono spente molte persone e così come loro anche lei, l’avevo vista andare via, senza parlare, senza neanche salutarmi.
E poi, quanto ti sorprendi quando pensi al giorno prima che accadesse, quando pensi che poche ore prima stavate soltanto bevendo un cioccolata calda insieme, magari ridendo e scherzando d’avanti al focolare,
ti sembrava tutto così normale che non pensavi altro che a quell’istante, al presente, a goderti la famiglia e la cioccolata e quel calore così intenso come le sue braccia. 
Andavi a dormire consapevole che il giorno dopo sarebbe stato un nuovo giorno e invece per me fu diverso, io non avevo gustato nessuna cioccolata, non avevo riso con lei. Avevamo litigato, si.. per la prima volta era un litigio serio. Non le avevo chiesto nemmeno scusa.
-Andiamo Serena! Alzati e vestiti, e fai presto.
Notai una piccola lacrima scendergli fino alle narici, c’era tristezza in lui, disperazione. Eppure ancora mi chiedevo perché.
-Cosa c-cosa succede, pà?
-Niente, non preoccuparti piccola, te lo racconterò dopo in macchina, ora preparati.
Infilai un maglione e un jeans e lo seguii in macchina.
Mi aspettavo una qualsiasi parola, invece ci furono solo una serie di sospiri e esitazioni.
-Perché all’ospedale?! Dov’è la mamma!? Che succede Papà?!
-Non agitarti, tranquilla.
Scendemmo dall’auto e corremmo alla reception.
-Stanza 5, secondo piano- Annunciò la segretaria.
Prendemmo l’ascensore e raggiungemmo quella stanza.
-Mamma! Mamma! Sono io, Serena! Mamma!- I dottori mi tenevano per le braccia, mentre io mi dimenavo disperata. 
-Signorina, stia calma, la prego..
-No! Come posso stare calma! Ridatemi mia mamma… ridatemela..
Mi accasciai a terra, con gli occhi oscurati dalle lacrime. Lei, quella donna che mi aveva insegnato a vivere, me l’avevano strappata via come se fosse un vecchio giocattolo rotto.
¬Dopo che mi fui calmata, mi fecero sedere accanto a lei.
La guardavo con volto disperso. E lei era sempre così bella. E così mi ricordai di quando usciva con papà, io avevo solo 6 anni. Era così bella, così piena di eleganza. Sembrava un angelo. E adesso, volevo immaginarla così, lassù. Le lacrime erano tornate di nuovo, i miei occhi si spensero e si chiusero. Mi trascinai sulla sua mano e strinsi i denti più forte che potevo continuando a chiedermi perché. Perché a noi?