Nulla Più Di Te
Just like the air I breathe you
Era mia. Mia, mia, mia, soltanto
mia, e avrei voluto tatuarglielo in fronte, scriverglielo sulla pelle con mille
baci, fino a far sì che il suo corpo sapesse solo di me, e che chiunque la
vedesse lo capisse subito: Quella è la
ragazza di N.
Le accarezzai piano la guancia,
sfiorandola appena con le nocche e tracciando il profilo del suo viso. Mentre
assaporavo la morbidezza e il calore della sua pelle, mi chiesi che cos’avessi
mai fatto di tanto buono e meraviglioso da meritarla.
Perché era mia, quella ragazza che
poteva essere solo un dono del cielo era
mia.
Scesi con le dita lungo il collo
delicato, assecondando il movimento profondo e regolare del suo respiro.
Toccarla mi rilassava. Forse
dipendeva dal fatto che non avevo avuto molti contatti umani prima d’allora;
mio padre era sempre stato selettivo riguardo alle persone che potevano o meno
entrare nel mio spazio vitale. E anche tra quelli a cui era permesso... oh,
nessuno era come lei. Nessuno aveva quella pelle morbida e candida, nessuno
profumava come lei, nessuno era così propenso a ridere per il solletico al
minimo tocco, nessuno...
Si mosse piano, tirandosi le
braccia un po’ più vicine al petto, e una ciocca di capelli le cadde sul viso.
Sempre muovendomi delicatamente, come avrei fatto di fronte a un cucciolo di
pochi giorni, la rimisi a posto.
Anche mentre dormiva, era così
bella. Durante il mio viaggio avevo visto molte ragazze; alcune oggettivamente
più graziose, raffinate o femminili, ma nessuna mi era parsa più bella di lei.
Non ero mai riuscito a spiegarmelo. Che cosa la rendeva migliore di tutte le
altre? Non erano né le forme, né le spalle, né il mento... né tantomeno gli
zigomi, il naso o le orecchie: che cosa, allora?
Sapevo solo di trovarla bellissima,
da qualunque parte la guardassi. E sarei rimasto ad osservarla per ore, senza
dormire, solo ad osservarla respirare... ma, in qualche modo, non mi bastava.
Per quanto la sua vista mi rilassasse, mancava qualcosa.
Non era di certo solo il suo corpo
ad essere mio. Lo erano anche l’allegria nei suoi occhi, la sua voce, il suo
sorriso, e ora come ora sentivo la loro mancanza terribilmente.
Puntellando il gomito sul
materasso, mi sporsi verso di lei e la baciai.
Niente da fare: la mia bella
addormentata rimase tale, non si mosse di un millimetro. Sentii uno strano
senso di frustrazione crescere all’altezza dello stomaco.
Forse non mi ero impegnato
abbastanza.
Mi chinai di nuovo su di lei e mi
fermai a pochi centimetri di distanza, sentendo il suo respiro accarezzarmi il
viso. Semplice anidride carbonica, filtrata con cura dal suo apparato
respiratorio, eppure come faceva ad attrarmi così tanto?
Posai le labbra sulle sue, facendo
attenzione che nessun’altra parte del mio corpo la toccasse. Volevo che a
svegliarla non fosse altro che il mio bacio.
Le succhiai piano il labbro
inferiore, tenero e carnoso come la prima volta che l’avevo toccato,
combattendo contro l’istinto quasi irresistibile di metterle una mano tra i
capelli, o su un fianco, o da qualsiasi parte che sapesse di lei. Lei, che
continuava a dormire beata, ignara del mio desiderio che aprisse gli occhi
anche solo per un istante. Rischiavo di impazzire.
Delicatamente le dischiusi le
labbra, quel poco che bastava per farvi scivolare la mia lingua e andare ad
accarezzare la sua, calda e umida come la ricordavo da poche ore prima.
Pensandoci, a che ora eravamo
andati a dormire? Poco importava: la volevo, la volevo adesso.
Finalmente, sentii le sue ciglia
solleticarmi le palpebre e un respiro un po’ più forte degli altri scaldarmi il
viso. Aprii gli occhi per trovarli specchiati nei suoi, poco cordiali ed
appannati dal sonno.
«N...» biascicò, costringendomi a
sciogliere il bacio. Quanto poteva suonare bene il mio nome, pronunciato con la
sua voce? «Che c’è?»
«Niente.» risposi, sorridendo.
«Avevo voglia di vederti.»
Per tutta risposta, lei gonfiò una
guancia e si girò dall’altra parte. «Allora torno a dormire, va bene?»
Ovvio che non mi andava bene.
«Tou~ko~» cantilenai,
avvicinandomi. Le scostai i capelli dietro la spalla e posai un bacio sulla sua
nuca. «Dai, gioca con me.»
«No.» si rifiutò, la voce ovattata
dal cuscino. «Ho sonno, lasciami dormire.»
Le accarezzai la spalla, scesi
lentamente lungo il braccio e andai a intrecciare le dita con le sue. Erano
sottili, e la sua mano così piccola dentro la mia. Mi era difficile pensare che
quelle fossero le stesse mani che aveva usato per combattere le sue battaglie,
sorreggersi, arrampicarsi e prendere a pugni chi si era messo tra lei e il suo
obiettivo. Era paradossale e, al tempo stesso, affascinante.
«Richiesta rifiutata.» le soffiai
sul collo, per incominciare a disseminarlo di piccoli baci. Mi soffermai
all’incrocio con la spalla, che sapevo essere tra i suoi punti più sensibili,
presi un lembo di pelle tra le labbra e lo succhiai con delicatezza.
Touko si lasciò scappare una
risatina e tornò a girarsi verso di me. «Oh, insomma.» disse, le labbra ancora
incurvate. «Sei più insistente di un bambino viziato.»
Avrei voluto prendere quel sorriso
e nasconderlo lontano da tutti, in un posto dove solo io potessi passare il
tempo ad ammirarlo.
Touko mi prese il viso tra le mani
e si sporse a baciarmi, alzando appena la testa dal cuscino. «Ecco.» disse.
«Ora posso tornare a dormire?»
«Con tutta la fatica che ho fatto
per svegliarti? Certo che no.»
Ero a meno di un centimetro dalle
sue labbra, e non aspettai alcun invito per coprirle nuovamente con le mie. Le
sostenni il collo con una mano, mentre si lasciava di nuovo sprofondare nel
cuscino.
Baciarla era senza dubbio una delle
mie attività preferite. Amavo aggredire le sue labbra così come sfiorarle
appena, morderle, accarezzarle... e amavo il modo in cui Touko reagiva ogni
volta con una carezza diversa, o un lieve gemito, o qualche parola imbarazzata.
Mi rendeva impossibile annoiarmi.
«Dai...» mormorò, inclinando la
testa. Il suo tono aveva un che di supplichevole, avvenimento più unico che
raro. «Domani ho l’amichevole con Kamitsure...»
«Non andarci.» proposi
semplicemente, facendo per tornare a baciarla. Finii con le labbra sulla sua
fronte.
«E farmi prendere in giro a vita?
No grazie.» replicò, testarda.
Sapevo che quell’incontro era
importante per lei. Era stato fissato qualche settimana prima, eppure Touko
aveva accuratamente evitato di parlarne per tutto quel tempo, deviando il
discorso ogni volta che qualcuno toccava l’argomento. Non aveva detto una
parola, ma si era allenata con costanza ed impegno giorno dopo giorno, più di
quanto l’avessi mai vista fare.
«Telefoniamo adesso e diciamo che
ti sei sentita male.» Mi accostai ancora al suo viso, ma Touko mi fermò
spingendomi per le spalle.
Arricciò le labbra e rimase a
fissarmi per qualche secondo. Sospirò.
«Non so se sei più stupido tu o
senza speranze io...» Prima che potessi dire alcunché, mi spinse sulla schiena
e salì sopra di me a cavalcioni. Sorrise con un che di smaliziato. «Sei un
cattivo ragazzo, N Harmonia...» disse, mentre mi posava una mano sul petto e si
chinava a baciarmi, togliendomi letteralmente il respiro.
Incominciò muovendo semplicemente le labbra sulle mie, in un morbido
massaggio che avevo imparato ad adorare. Lentamente insinuò la lingua nella mia
bocca e iniziò ad esplorarla, dall’arcata dentale al principio del palato
molle, per poi attorcigliarla alla mia.
Conoscevo quel tipo di bacio.
Le presi la testa tra le mani,
infilando la punta delle dita nei suoi capelli castani, e la scostai con
delicatezza.
«Non l’abbiamo già fatto abbastanza,
per oggi?» dissi, un po’ a corto di fiato.
Touko si tirò su di qualche
centimetro, l’espressione stranita. Notai che nei suoi occhi c’erano ancora
evidenti tracce di sonno. «Ma... sei stato tu a svegliarmi...»
Riuscii a stento a trattenere una risatina.
Oh, la mia Touko. «Sì, ma non ti ho svegliata per fare l’amore.»
Il sangue le affluì alle guance
tutto d’un colpo, rendendola perfino più adorabile di quanto fosse già.
«A-allora per cosa?»
Una spallina della camicia da notte
le era ricaduta lungo il braccio, rivelando all’occhio una generosa porzione
del suo seno, e i suoi capelli mi solleticavano il viso. Mi chiesi se davvero
non volessi cogliere l’occasione di riprendere a toccarla, sentirla tremare tra
le mie mani e ascoltare i suoi gemiti deliziosi mentre si aggrappava a me con
tutta la forza che aveva.
«Te l’ho detto, no?» sorrisi,
mettendo da parte quei pensieri. «Volevo vederti.»
Touko rimase a guardarmi con
perplessità per qualche secondo, poi lasciò cadere la testa nell’incavo tra il
mio collo e la spalla. «Basta, mi arrendo.» bofonchiò. «Non ti capisco
proprio.»
Sorrisi e le accarezzai la schiena,
seguendo la traccia della sua spina dorsale. Lei sobbalzò e rise piano. «Mi fai
il solletico...» Senza preoccuparmene, feci scorrere con leggerezza le dita
fino all’ultima vertebra, scatenando una serie di risatine e un divertito:
«Dai, davvero, smettila...»
Riportai la mano alla sua testa e
la baciai, inspirando il profumo dei suoi capelli. «Ti va di parlare un po’?»
chiesi piano, come se non avessi voluto svegliare un ospite invisibile.
Touko alzò il capo. «Di cosa?»
«Non lo so, di quello che vuoi.»
Lei si raddrizzò un poco. Il suo
peso sopra di me mi rendeva un po’ faticoso respirare, ma era una fatica che
accettavo volentieri.
Ci pensò su un attimo, arricciando
le labbra mentre specchiava gli occhi nei miei. «Voglio un camion.» dichiarò,
convinta.
«Come?»
«Per il mio prossimo compleanno,
voglio un camion.»
Sorrisi, intenerito seppur
vagamente perplesso. «E sentiamo, che cosa vorresti metterci, in questo
camion?»
«Niente.» rispose, scostandomi una
ciocca di capelli dal viso.. «Voglio un camion vuoto.»
Le presi la mano e me la premetti
contro la guancia. «Va bene. E cosa ci faresti?»
«Andrei in giro per Unima a vedere
chi ha il coraggio di bloccarmi la strada quando incrocio il suo sguardo.»
Ci vollero un paio di secondi
affinché il mio cervello registrasse ed elaborasse il significato di quella
frase, ma quando ci riuscì non potei fare a meno di scoppiare a ridere.
Strinsi Touko a me con entrambe le
braccia e nascosi per qualche istante il viso nella sua spalla. «Sei... sei
stupenda.» dissi a fatica, cercando disperatamente di smettere di ridere.
«Stupenda e immorale. Sono pazzo di te.» Colto da quella strana euforia, presi
a baciarla in ogni punto che le mie labbra riuscissero a raggiungere: sul
collo, le orecchie, la fronte, il naso, le guance, e infine le labbra, che
riuscii a tenere tra le mie per appena qualche secondo.
«Però non c’è bisogno che tu rida
così...» mormorò Touko, rispondendo timidamente al mio sorriso. Il lieve
rossore delle sue guance mi faceva venire ancora più voglia di mangiarla di
baci dalla testa ai piedi.
La ribaltai senza fatica e mi misi
sopra di lei, raddrizzando la schiena per poterla osservare meglio.
Diamine, era meravigliosa. Forse il
requisito chiave per ottenerla era comportarsi incredibilmente male, perché io
di certo non avevo fatto abbastanza cose buone da meritarla. «Tu non hai idea
dell’effetto che mi fai...» mormorai, diretto più a me stesso che a lei.
Le presi la mano destra e la
sollevai. Tenendo lo sguardo fisso su suoi occhi, le sfiorai il dito mignolo
con le labbra. Ne leccai la punta, lo succhiai all’interno della bocca appena
fino alla fine dell’unghia. Accarezzai il polpastrello con gli incisivi, lo
spinsi un poco indietro con la lingua e ripresi dentro l’intera minuscola
superficie della prima falange. Me la rigirai lentamente per la bocca,
trascinando il dito un po’ più all’interno ad ogni rotazione. Arrivato alla
nocca, dischiusi appena le labbra per arrivare alla base del dito, che chiusi
in un morso gentile.
Riuscivo a sentire il battito
incontrollato del cuore di Touko perfino attraverso il palmo della sua mano, e
il mio non era da meno.
Gustando il sapore leggermente
salato della sua pelle, socchiusi gli occhi e cominciai a muovere circolarmente
la lingua intorno al suo dito, ritraendomi di tanto in tanto per poi
riprenderlo interamente in bocca.
Quando decisi che quel dito sapeva
ormai troppo di me e troppo poco di lei, tornai a guardarla negli occhi e lo
feci scivolare lentamente fuori dalla bocca. Ne feci scorrere la punta sulle
mie labbra umide un paio di volte, prima di ritrarre finalmente la mano.
Touko espirò pesantemente, come se
avesse trattenuto il fiato per tutto il tempo. Mi frenai dal fare lo stesso e
mi chinai piano su di lei, che mi allacciò le braccia attorno al collo
nonappena fui abbastanza vicino. Arrivai a sfiorarle le labbra, ma mi tirai
indietro nel momento in cui Touko cercò di catturare le mie.
Le accarezzai la testa. «Piano...»
sussurrai, nel tono che usavo per calmare i pokémon un po’ troppo aggressivi.
«Piano...»
Tornai ad avvicinarmi, sforzandomi
di non chiudere gli occhi per non perdermi il desiderio e la frustrazione che
si erano accesi nei suoi. Prima ancora che fossi tornato fino alla sua bocca,
Touko mosse la testa per raggiungermi, ma le diedi la fronte.
«Shhh...» feci, socchiudendo gli occhi. «Con
calma, ce la puoi fare...»
Questa volta rimase ferma mentre
tornavo a sfiorarle le labbra e assaporavo la sensazione del suo respiro
irregolare contro il viso. Standole così vicino, il suo profumo mi dava
letteralmente alla testa.
Le accarezzai il viso con le
nocche, dalla tempia alla punta del mento, che presi tra le dita per darle il
bacio che le avevo fatto desiderare fino a quel momento.
Touko assalì le mie labbra come se
avesse voluto mangiarle, stringendomi a sé fino a farmi credere che il suo vero
obiettivo fosse spezzarmi il collo, senza lasciarmi un attimo per respirare
prima di baciarmi ancora, e poi di nuovo, imprigionandomi in una sorta di dolce
tortura.
Sentendo che presto sarei andato in
carenza di ossigeno, portai una mano indietro e accarezzai il retro del suo
ginocchio, provocandole una risatina che mi permise di prendere una boccata
d’aria. Fatto questo, però, ripresi a baciarla che aveva ancora il sorriso
sulle labbra. La feci sprofondare nel cuscino, mentre con una mano le risalii
la coscia fino a infilare le dita sotto l’elastico delle sue mutandine.
Touko aprì gli occhi e mi guardò
con aria divertita. «Credevo che avessi detto che per oggi avevamo finito.»
«Ho palesemente cambiato idea.»
Lasciai perdere la biancheria –
almeno per il momento – e salii ad
accarezzarle la schiena; lasciai scivolare le dita su e giù, divertendomi a
sentirla rabbrividire ogni volta che un movimento troppo leggero le faceva il
solletico.
Nonostante il mio piano fosse di
tenerla imprigionata tra me e il materasso finché quest’ultimo non avesse preso
la sua forma, Touko mi spinse con la testa per farmi capire che voleva alzarsi,
e io assecondai il suo movimento sostenendola con la mano. Anche averla in
braccio non era affatto male.
Mi prese il volto tra le mani –
quelle mani così piccole e calde, esattamente come lo era lei – e seguì col
pollice la linea delle mie labbra, fissandole come se fosse stata indecisa su
cosa farci. Avrei volentieri deciso io per lei, ma sapevo che le piaceva essere
a capo della situazione. L’attesi pazientemente finché non riprese a baciarmi;
prima la bocca, lasciandomi assaporare la sua per appena qualche secondo, poi
la guancia, la mandibola e infine il collo, appena sotto l’orecchio. Mi
sembrava di andare in fiamme ovunque mi toccasse. Socchiusi gli occhi, sentendo
la coscienza scivolare via per riempirmi la testa di lei, solo di lei, del suo
profumo e del calore squisito del suo corpo.
«Touko...»
Chinai la testa per baciarla a mia
volta, poco sopra la clavicola, dove la pelle era più morbida. La morsi piano,
la presi tra le labbra e la succhiai, godendomi il suo respiro pesante e il
battito del suo cuore, chiaramente udibile a quella distanza.
Touko gemette, con quella sua
vocina adorabile, perfettamente adatta all’essere minuscolo e delicato che era
quando si trovava tra le mie braccia. Volevo sentirla di più, toccarla di
più...
«N... N, aspetta un secondo.»
Alzai il capo, perplesso. «Scusa,
ti ho fatto male?»
«No, solo...» Touko distolse lo
sguardo. Mi chiesi a che cosa stesse pensando, ma la mia attenzione fu quasi
subito catturata dall’incredibile rossore delle sue guance. Sembravano
chiamarmi, e non potei negar loro di accostarmi a riempirne una di baci. Touko
non fece resistenza ma nemmeno mi assecondò, ancora assorta nei suoi pensieri.
«Solo... non mi piace quando fai così.»
La sua guancia era così tenera che
quasi temevo che si sarebbe sciolta tra le mie labbra. «Così come?» chiesi,
distrattamente.
Touko voltò la testa,
costringendomi a staccarmi. Senza aprir bocca, si indicò il petto.
Mi venne quasi da ridere.
«Bugiarda.» le soffiai in un orecchio. Forse stava solo cercando di provocarmi,
sarebbe stato da lei. «Fino a un secondo fa stavi miagolando come un Purrloin.»
«D-dico sul serio!» esclamò, ma
tornò subito ad abbassare lo sguardo, imbarazzata. «Cioè... non è che mi
dispiaccia come cosa in sé, però...» Sospirò. «Mi lasci segni rossi addosso
tutto il tempo e... la gente parla.»
«E tu lasciali parlare.» dissi,
accostandomi a mordicchiarle l’orecchio. Davvero non capivo dove stesse il
problema.
«Non è così semplice.»
«Lo è.» obiettai. «Qualche segnetto
qua e là non significa certo che tu abbia fatto qualcosa di male, no?» Al
contrario, si trattava dell’unica prova tangibile del fatto che fosse mia. Mia,
non disponibile ad essere toccata da nessun altro.
Touko scosse la testa. «È
imbarazzante. Una volta Natsuki mi ha chiesto quale pokémon insetto mi avesse
punto, è stato...»
Mi sentii irrigidire, come se una
debole scarica elettrica mi avesse attraversato. Raddrizzai la testa per
guardarla negli occhi.
«Ti vedi ancora con quel tipo?»
«Ogni tanto capita.» Touko alzò le
spalle, come se non fosse stata una cosa importante. «Ma non è questo il punto.
Il punto è che non voglio che-»
«Non mi piace.»
Touko sbatté le palpebre, stranita.
«Chi, Natsuki?»
Mi trovai quasi inconsciamente a
cercare di nuovo le sue labbra, forse nel tentativo di seppellirvi la mia
inquietudine. Erano calde come sempre, morbide come sempre, eppure quel
pensiero non riuscì a tranquillizzarmi.
«Si prende troppe libertà.»
borbottai.
Touko sorrise. Era un sorriso
dolce, tenero, e l’idea che lo potesse rivolgere qualcuno che non fossi io mi
distruggeva. «Mi ha solo preso la mano una volta.» disse, divertita. «Ed è
stata colpa mia, non avrei dovuto spaventarlo in quel modo.» una risatina le
fece tremare le labbra, mentre le accostava di nuovo alle mie.
Touko era con me. Stava toccando
me, stava baciando me, stava sorridendo a
me... tuttavia, non riuscivo a scacciare quello strano senso di fastidio.
Come se avesse voluto distrarmi da
quei pensieri, Touko mi prese per il colletto e iniziò a slacciarmi i bottoni
del pigiama con una mano, senza staccare le labbra dalle mie per un secondo.
Le misi una mano tra i capelli, ne
arrotolai una ciocca attorno alle dita. Andava tutto bene. Non dovevo
preoccuparmi di niente, perché Touko era mia. Era...
Era
inutile, non riuscivo a
togliermi quell’immagine dalla testa.
Mi staccai da lei e la guardai
negli occhi. «Ogni quanto vi vedete?» Mi mancava il fiato, sentivo una strana
ansia stringermi il petto. No, non era ansia... era paura. Erano bastate poche
parole perché la paura di perderla mi assalisse.
Ma poi Touko fece una cosa.
Sospirò, scosse la testa, sorrise.
Non capii il significato di quel gesto finché non sentii le sue labbra
appoggiarsi sul mio collo e cominciare a succhiarlo appena sotto al mento. Mi
accarezzò con la lingua e la punta dei denti, senza fretta ma con una certa
veemenza, fino a lasciarmi addosso – ne ero sicuro anche senza vederlo – un bel
segno rosso.
Mi portai la mano al collo,
stupito, solo per ritrovarmi la punta di due dita umida di saliva.
Touko scostò parte dei suoi capelli
dietro una spalla. «Ora siamo pari.» sorrise. «Se ci tieni così tanto, possiamo
vergognarci insieme.»
Il mio cuore saltò un battito.
Prima di rendermene conto la stavo stringendo a me con tutta la forza che
avevo, perché avevo paura che scappasse, che si accorgesse di quanto ero
stupido ed egoista e scappasse da me, scivolando via come acqua tra le dita.
Come avevo potuto dubitare di lei, anche solo per un istante? E soprattutto, come
avevo potuto arrogarmi il diritto di
farlo, quando il solo averla vicina era un tale miracolo?
«N... così muoio...»
Allentai la stretta, ma tenni la
testa appoggiata sulla sua. «Scusa.»
Ora libera di muovere le braccia,
Touko ricambiò l’abbraccio. Rimase ferma così, lasciandomi godere del suo
respiro mentre le accarezzavo i capelli.
Era così tranquillo e rilassante
che dopo un po’ sentii le mie palpebre farsi pesanti, prese da un sonno che
avevo scordato fino a quel momento. Fu solo quando mi riscossi per evitare di
addormentarmi davvero che mi accorsi che lì, sulla mia spalla, Touko era
partita per il mondo dei sogni.
Ridacchiai tra me. Quella ragazza,
l’amavo come si poteva amare incondizionatamente soltanto l’ossigeno. Ne avevo bisogno.
Attento a non svegliarla, la
distesi sul letto e la coprii di nuovo col lenzuolo. «C’è una cosa su cui mi
sono sempre sbagliato.» sussurrai. «Non sei tu ad essere mia. Sono io ad essere
tuo.»
Note dell’Autrice («Wait,
autrice? Quale autrice?»)
Non c’è molto da dire, è
tipo, la cosa più fluff che abbia mai scritto in tutta la mia vita. E ce l’ho
in lavorazione da quest’estate, giusto perché lo sappiate. Sì, circa da Giugno
2012. Non sono capace di scrivere velocemente, che cosa volete che vi dica
y____y /runs away crying
Spero che vi sia
piaciuta; se sì, lasciate un commentino~ Dai che non vi costa niente~