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Autore: Eris Gendei    01/10/2007    0 recensioni
Un piccolo sproloquio contro la società di oggi e il consumismo pieno zeppo di metafore (se non le capite fate un fiskiiiio):la mia prima nonsense che più che altro sembra il comizio politico di una glammona depressa...e non prendetemi per tale!!!XD
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’erano volte in cui mi ritrovavo non so nemmeno io come a passeggiare per il Paese delle Meraviglie, quello di Alice, battendo a tempo perso le strade di stoffa rossa che puntualmente venivano cancellate da qualche cane spazzino con la coda di saggina dopo il mio passaggio: mi perdevo nei meandri di quel mondo che si ampliava ogni volta di un po’ e cambiava completamente assetto.
Mi ci smarrivo senza problemi, camminando a testa bassa, osservando la striscia rossa che calpestavo e chiedendomi dove mi avrebbe portato…anzi, fin dove visto che ogni tanto rimanevo in mezzo al niente sopra un quadratino rosso, residuo della strada cancellata come se fosse di polvere, e mi toccava aspettare che qualche animale strano venisse da me e mi portasse via da lì o una stradina gentile si stendesse sotto i miei piedi e mi facesse passare altrove.
Non potevo decidere dove andare quando ero lì, mi toccava seguire la strada che già trovavo, le strade a volte, e ogni tanto mi imbattevo in qualche coniglio frettoloso e bianco, creature che mi facevano venire voglia di prendere a calci loro e i loro stupidi orologi e la loro patetica razionalità, o mi trovavo appresso un odioso gatto a strisce capace di sparire, chissà perché, sempre quando avevo bisogno d’aiuto, con un odioso ghigno che ostentava un’ipocrisia che si sarebbe vista a chilometri di distanza.
Insomma, gira che ti rigira, mi ritrovavo sempre sola alla fine, mezza, anzi completamente alienata da tutto ciò che mi circondava: sembrava che tra me e il mondo calasse uno strato di cellophane, o una qualsiasi cosa che mi separasse dagli altri come se fossi un’appestata, sempre un velo artificiale e artificioso, e io non riuscivo a romperlo: non ci riuscivo perché non potevo.
Maledetto quel mondo allora, dove io non ero niente: fossi stata uno strumento nelle mani di Dio, come diceva qualcuno, qualche santo forse o che ne so, mi sarei sentita meno manovrata, meno bambolotta scema agli ordini di qualcuno.
E invece mi ritrovavo come un ciccio-bello, apatica nel mezzo della giungla che era la mia città, persa senza possibilità di ritorno in quel paese delle meraviglie che ogni ossessionante cartellone pubblicitario prometteva.
E intanto qualcuno dall’alto osservava me, me e tutti gli altri alienati che componevano il mondo come mattoncini Lego, trascinare i piedi senza meta tra un centro commerciale e l’altro, senza niente da fare, senza la benché minima idea di cosa stare facendo: tante formiche stupide che portavano soldi alla regina insaziabile.
Formiche private alla nascita del cervello, rimbambite dalla pubblicità, azzerate, annullate, manipolate e ricostruite come tanti Gormiti di plastica come volevano quelli al vertice di questa piramide, anzi di questa spirale di cui non si trovava ne capo ne coda, dalla quale non si usciva e non si saliva: eri nato a terra e a terra rimanevi.
Quasi tutti prima o poi si rendevano conto di questo e per fare prima si lasciavano abbindolare dalla pubblicità, obbligandosi a credere nel Paese delle Meraviglie fino a far diventare questa violenza mentale una condizione di vita quotidiana e indispensabile.
Mi chiedevo se qualcun altro oltre a me fosse rimasto sano di mente: era impossibile riconoscere chi era stato già bello che azzerato e chi no: anche io guardandomi allo specchio mi vedevo uguale a tutti gli altri.
Mi chiedevo cosa recepissero da tutto questo i bambini: questa dominazione psicologica ai tempi della mia infanzia era già cominciata ma non ricordo granché, tranne il tragico episodio del tonno.
La pubblicità del suddetto articolo alimentare mostrava una scatoletta tonda posata su un piatto, una mano che la sollevava delicatamente e un bel pezzo di tonno perfettamente rotondo, sodo e roseo che rimaneva fermo e appetitoso nel piattino.
Non sapete quante volte ho tentato anche io questa cosa: prendevo un piatto, una scatoletta di tonno, la mettevo capovolta sul piattino e poi la tiravo su piano dopo un minuto.
E il tonno non usciva mai.
Quando mi spiegarono che dovevo prima aprire la scatoletta risposi che nella pubblicità nessuno la apriva.
Per non parlare di quando anche io tentai di tagliarlo con un grissino: rimasi delusa già dal fatto che il tonno si spiaccicava sul piatto invece che rimanere tondo come la scatoletta ma quando poi vidi il grissino affondare in quella massa umidiccia e filacciosa sventrandola invece che tagliarla precisamente scoppiai a piangere.
E perché, quei poveri bambini innocenti che credono che la mucca viva in frigorifero, in un vasetto di fruttolo?
O peggio ancora, quelli che come me credevano che il tonno fosse un pesce rotondo perché rotonda era la scatoletta?
Ecco a cosa era ridotta la vita di noi comuni mortali: una giungla di cemento che viveva di politica sterile.
Credo che anche i Guns’n’Roses l’avessero capito: sennò a che pro cantare a squarciagola Welcome to the Jungle con quella voce da glammettoni gay del tipo:”visto che siamo gli unici che dimostrano di aver capito qualcosa sulla vita uniamoci per la conservazione della specie”?
Ma che siamo noi al giorno d’oggi?
Ancora più bestie dei nostri cari e pelosi antenati preistorici: ci siamo bevuti il cervello e adesso ci ritroviamo i maschi tutti uguali a Big Jim e noi donne tutte copie della Barbie.
Alle ortiche tutti i sogni di libertà dei figli dei fiori: oggi al massimo possiamo chiamarci figli della Mattel!
  
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