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Autore: Trick    16/03/2013    12 recensioni
"«Dimmi qualcosa in gaelico» propose improvvisamente lei.
Remus arrangiò un mezzo sorriso imbarazzato e ci pensò su qualche secondo. Quando parlò, la sua voce era poco più alta di un sussurro.
«Tá brón orm».
«Cosa significa?».
«Perdonami».
"
Prima classificata al contest Paddy's Day indetto da Ferao.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alastor Moody, Fenrir Greyback, Nimphadora Tonks, Nuovo personaggio, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Note di Trick - e stavolta, fossi in voi, le leggerei davvero, perché c'è un sacco di casino in questa mini-long.
Sì, è una mini-long e per la prima volta nella mia vita è già finita, quindi conto di pubblicare in fretta gli altri due capitoli. Squilleranno gli angeli, insomma, ma sono destinata a finire la prima storia a capitoli. Urrà. Questa storia è un po' strana - e qui torniamo al fatto che vi ho suggerito di leggere le note - perché partecipa al contest "Paddy's Day - Festeggiamo San Patrizio" indetto da Ferao. Un contest vagamente allucinante, in cui veniva richiesto di... beh, San Patrizio, gente. Bisognava infilare l'Irlanda dove si poteva. E io l'ho infilata nelle tasche di Remus Lupin, poveretto, come se non avesse già abbastanza sfighe.
Suppongo sia una What-If, ma mi sa che non lo è sul serio... ho semplicemente aggiunto dettagli all'infanzia e all'adolescenza di Remus che non conosciamo. In effetti, no, ehi, non lo è per niente.
Ehm... no, okay, mi sa che ho finito. No, invece no, un attimo.
1. Le citazioni tratte dalla Bibbia o dal Vangelo non sono sempre letterali. È stata una scelta stilistica che mi auguro non arrechi offesa agli Evangelisti.
2. Non sono un'esperta d'Irlanda e irlandese, ma "och" sembrerebbe un'esclamazione gergale piuttosto dipica. Tipo il "socc'mell" dei bolognesi, ma  più nordico.
3. Il Fianna Fàil è il più importante partito repubblicano irlandese. Non mi sono informata oltre perché faccio già abbastanza fatica a capire la politica italiana, figurarsi quella irlandese.
E stavolta direi che no, non ho più altro su cui fare bla-bla-bla.


*

Santi di cartastraccia

Capitolo Uno
San Tommaso – Fui l'unico a dubitare



«Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi
e non metto il dito nel posto dei chiodi
e non metto la mano nel suo costato,
non crederò».
Giovanni, 20, 24


Branna O'Buckley era l'ultima di quattro sorelle, ma a sedici anni pesava dieci chili in meno di Edna, era alta quindici centimetri in più di Maire ed era venti volte più graziosa di Fiona.
Quando frequentavano la Saint Anthony – due piani, una latrina in un angolo del cortile di cemento e le finestre rotte – Branna spiccava fra tutte loro per sagacia e intelligenza. Eppure la madre che le aveva messe al mondo era la stessa: Gormlaith O'Buckley, la donna dal nome più assurdo e dalla fede più inviolabile di tutto il villaggio di Kinsale – la chiamavano Gora, ma mai in sua presenza.
Gora aveva gli scuri e penetranti occhi delle figlie, ma il suo viso era sempre tirato in una smorfia seria. Rigida e orgogliosa come una statua greca, rimaneva con l'enorme petto in avanti per tutta la durata della funzione domenicale, lo sguardo duro fisso su padre Conor e le figlie allineate al fianco come le mele del mercato.
Il posto immediatamente alla sua destra era riservato a Edna, la maggiore, la ragazza con la lingua biforcuta più avvelenata di Kinsale; poi c'era Maire, piccola, rotondetta e con le guance rosse e paffute come due gonfie ciliegie; subito dopo c'era Fiona, con quel suo problema di pronuncia che tutti fingevano sempre di ignorare; l'ultimo posto della panca, quello più distante dall'altare, era sempre quello di Branna.
Branna ridacchiava nel bavero del cappotto e si divertiva a scambiare mezzi sorrisi con Liam O'Keefee, il garzone del lattaio. Se Liam non era in chiesa, eccola spostare la sua attenzione su Brian Flanagan, il figlio del calzolaio, o magari sui fratelli Sheehan – ed era difficile stabilire a chi di loro stesse dedicando il proprio tempo.
Le donne di Kinsale dicevano che sarebbe finita in pasto al diavolo, e difatti Branna finì per sposare un inglese di nome John Lupin. L'assurdo avvenimento sconvolse il villaggio al punto tale che per mesi non si parlo che di lei, della sua fuga senza senno e di quell'inglese, santo cielo, che si scoprì essere perfino londinese.
Lo scalpore durò fin quando rimasero voci ad alimentarlo, ma proprio come prima o poi si spegne ogni barzelletta, anche quello venne dimenticato. Fu solo quando la videro tornare dodici anni più tardi con un ragazzino magro come uno sputo e con i capelli biondicci appiccicati alla fronte che Kinsale riprese a parlottare della sventure della povera vedova O'Buckley, di quanto grama e triste fosse stata la sua esistenza e di come avesse potuto il Signore essere tanto crudele da affibbiarle una figlia tanto incosciente da farsi ingravidare da un inglese.

*

«Och, questo ragazzino è pallido come un inglese».
Remus affondò il cucchiaio nel brodo di pecora. Non aveva un aspetto particolarmente invitante, ma il trascorrere dei mesi a Kinsale gli aveva insegnato due importantissime verità: la prima era che il pane secco riusciva ad addolcire il sapore amarognolo di tutto ciò che finiva sulla tavola; la seconda era che che non si doveva supporre che il brodo di pecora non fosse buono. Il brodo di pecora era sempre buono, a Kinsale, e ci mancava poco che sua zia Maire non ci fondasse attorno una nuova religione.
«E c'ha pure i capelli da inglese». Zia Edna aveva alzato di un'ottava il tono di voce – Remus pensò volesse essere certa di farsi sentire dai vicini.
«Anche i piedi, zia Edna?».
Le narici della donna si dilatarono e il suo labbro inferiore iniziò a tremolare. Remus alzò lo sguardo dalla colazione, si scostò la frangia dalla fronte e le regalò un sorriso innocente.
«Lo sapevi che inglesi hanno cinque dita?».
Zia Fiona si affrettò a soffocare una vaga risatina in un angolo della tovaglia. Il mestolo di zia Maire si abbatté sulla testa di Remus e il ragazzo si piegò in avanti con un'esclamazione di dolorosa sorpresa, massaggiando la parte lesa con una smorfia. I piccoli occhietti di Maire lo scrutavano severi, ma a Remus non sfuggì il sorrisetto che tentava di celare alla sorella maggiore.
«Non posso credere che questa famiglia sia giunta a questo!» sbraitò zia Edna con ammirevole dramma.
Zia Maire la liquidò con un gesto frettoloso della mano grassoccia.
«Oh, cielo, Edna, dacci un taglio. E tu finisci di mangiare in fretta o arriverai in ritardo per la Messa».
Remus ingoiò in silenzio un'altra cucchiaiata.
Prima di morire, John Lupin era stato uno dei tanti protestanti che avevano sempre rivolto molti più pensieri al lavoro, alla famiglia e al Quidditch che non a Dio. Ci pensava così poco, in effetti, che non si era mai disturbato a cercare il tempo di battezzare Remus – e di chiese e santi Branna Lupin sembrava averne avuto abbastanza da camparci per tutta la vita.
Infilare la testa nell'acquasantiera non rende per forza buoni cristiani” gli ripeteva spesso suo padre. “Vuoi cercare Dio? Cercalo dove la gente è felice”.
A Remus quel concetto schietto di religione era sempre bastato, ma quando Gora O'Buckley e le sue tre figlie avevano scoperto che non aveva ricevuto il Santo Battesimo, gli parve di essere testimone del disastro di Sodoma e Gomorra. Sua madre era rimasta appoggiata al davanzale del balcone a fumare stancamente una Rothmans senza filtro. Era stata un'altra tragedia familiare, quella: Branna di ritorno dalla Gran Bretagna con un ragazzino britannico e un pacchetto di sigarette britanniche.
Suo padre era metodista” aveva spiegato annoiata alle sorelle.
Un comunista!”.
E-Edna, p-per te t-tutti i n-non c-c-cattolici s-sono c-c-c-comunisti” aveva balbettato a fatica Fiona.
Branna aveva schioccato la lingua.
In verità in verità vi dico... chiunque non sia di Kinsale è un comunista”.
Non deridere la parola di Gesù!”.
C'era stato bisogno dell'intervento pratico e determinato di zia Maire per spegnere sul nascere il clima bellicoso che stava per divampare nella cucina. Remus era rimasto immobile sulla sua sedia ad aspettare che decidessero dove immergergli la testa, con in mano il cucchiaio e una brodaglia di pecora sotto al naso – nella cucina delle sorelle O'Buckley si entrava solo per tre motivi: mangiare, cucinare o litigare, con l'eccezione di Branna che ci andava pure a fumare le sue sigarette inglesi.
Il suo battesimo da fiero cattolico irlandese era stato un inferno: Remus era quasi affogato e aveva sputacchiato dentro l'acqua santa. Per zia Edna era stato un segno del demonio; per zia Maire la perdonabile bestemmia di un ragazzino; per zia Fiona una storiella divertente da raccontare alle amiche; per sua madre non era mai neanche capitato, perché era rimasta seduta sul sagrato della piccola chiesa a fumare; e sua nonna, Gora O'Buckley, non riusciva più ad alzarsi dal letto a causa dell'artrite alle gambe, così Remus si era potuto risparmiare i suoi sordi brontolii scontenti.
Per Remus era stato proprio come sua padre gli aveva raccontato: un po' di acqua in testa senza alcuna consapevolezza di essere in qualche modo diverso. Quella sera aveva scritto una lettera a James e Peter – gli dispiaceva tanto non poter scrivere anche a Sirius, ma Grimmauld Place era una dimora inaccessibile per ognuno dei gufi dei Malandrini. Oltretutto, Remus era obbligato a usare le poste Babbane, perché a Kinsale non c'erano Guferie e alle sue zie sarebbe venuto un infarto nel vedere l'allocco di James andare e venire dall'Inghilterra.


Caro Prongs,

fa' squillare le trombe e fa' rullare i tamburi, perché da oggi sono ufficialmente un vero cattolico di Kinsale.
Le mie zie ne sarebbero entusiaste, se solo non avessi rischiato di riempire di saliva la sorgente di Dio, condannando me e tutta la mia progenie all'eterno vagabondaggio nel limbo degli inglesi. Testuali parole di mia zia Edna (a Padfoot piacerebbe: hanno in comune lo stesso amore per il palcoscenico). Insomma, a quanto pare non dovevo sputacchiare nell'acquasantiera: avrei dovuto lasciare che il vecchio padre Conor mi ci affogasse dentro, così il Santo Padre mi avrebbe fatto beato e le mie zie sarebbero state fiere di avere il santino del proprio nipote martire accanto a quello di San Giuseppe.

A parte il mio tragicomico esordio nella vita cattolica, mi sono abituato a trovare pezzi di pecora in qualsiasi pietanza cucinata da mia zia Maire e ho affinato il mio modo di pronunciare “och”.
Mi sento sempre più irlandese.
Confido possiate aspettarvi di vedermi raggiungere King's Cross a dorso di un Lepricano e con i capelli tinti di verde.
A ogni modo, Kinsale inizia a piacermi per un sacco di intelligenti motivi.

Primo, nonna Gormlaith (ti riscrivo il suo nome per l'ennesima volta giusto nel caso tu non sia ancora stanco di deriderlo) è ancora tutt'uno con il suo materasso e la sua artrite, così ho smesso di temere che si alzasse in piena notte per salassarmi dal mio infetto sangue britannico.
Secondo, zia Edna è ancora pazza e si diletta ancora in esorcismi, ma inizio ad apprezzare la cucina di zia Maire: ogni tanto cerca di cucinare animali diversi dalla pecora, ma la pecora in salsa di pecora appoggiata su un letto di pecora resta ancora la sua pecora di battaglia (spero sarai felice di vedere quali e quanti passi da gigante sta facendo il mio umorismo irlandese).
Terzo, mia madre sta uscendo con un nuovo tizio di Cork. Questa volta è un meccanico. È un po' come un manutentore di manici di scopa, solo che aggiusta le automobili. E le automobili funzionano più o meno come dei manici di scopa, solo che non volano e tu non puoi guidarne una per nessuna ragione, Prongs.
Non chiedermelo nemmeno.
Quarto, zio Patty è riuscito a raccattarmi un lavoretto al Donegan's Inn. Hanno bisogno di un ragazzo che asciughi i boccali: l'occupazione perfetta per uno con dei polsi ridicolmente ossuti come me. Gli ha detto che sono un po' malaticcio e che ogni tanto dovrò tornare a Londra per farmi delle trasfusioni di sangue al Saint Jack Hospital.
E dire che l'Irlanda dovrebbe essere il paese delle strane creature... se solo le mie zie sapessero che danno da mangiare pecora a un Lupo Mannaro tre volte al giorno, credo cercherebbero sul serio di affogarmi nell'acquasantiera.

Och, non vedo l'ora che arrivi il primo settembre.


Moony

*

Il loro camino era l'unico di tutta Kinsale collegato con la Metropolvere. Remus teneva un sacchetto di polvere magica ben nascosta dietro ai cassetti della biancheria, in attesa del giorno in cui qualcuna delle sue zie lo avrebbe scovato e confuso con chissà quale sostanza stupefacente. Lo usava solo il giorno prima del plenilunio, quando riempiva la borsa del misero occorrente per giacere moribondo in un letto dell'infermeria e tornava a Hogwarts.
Era l'unico studente a cui era concesso – era un caso a dir poco eccezionale, lui. Silente aveva lungamente insistito affinché Remus continuasse a sfruttare il passaggio segreto che conduceva alla Stamberga Strillante anche durante il periodo estivo. Sebbene non avesse mai capito niente di magie e sortilegi, Branna gliene era sempre stata grata.
Ogni volta che Remus compariva nell'ufficio della professoressa McGranitt, aveva sempre fra le mani una crostata ancora calda o un vasetto di marmellata fatta in casa.
Era il solo modo che aveva trovato per far parte di quella realtà che tanto assorbiva suo figlio – parlava di incantesimi, di Goblin, pozioni e di quel gruppo tutto matto con cui divideva il dormitorio, e il suo viso si accendeva sempre di gioia. Lei aveva conosciuto quel mondo diversi anni prima, quando John le aveva rivelato di essere un mago e di lavorare per l'Unità di Cattura del Ministero della Magia, e non gli aveva creduto fin quando non aveva visto le magie che sapeva fare. Ed erano vere, erano davvero magie.
Poi aveva scoperto che esistevano anche i Lupi Mannari e, suo malgrado, aveva dovuto accettarlo in fretta. Ma lei era sempre stata una donna forte e indomabile, era cresciuta nel sud dell'Irlanda e l'avevano battezzata come una cattolica d'Irlanda, ed era rimasta in piedi quando John non ce l'aveva fatta. La accusava spesso di sottovalutare la loro drammatica situazione, e probabilmente aveva ragione, perché Branna non aveva mai davvero capito cosa fosse un Lupo Mannaro. Ma capiva chi era suo figlio e tanto le era sempre bastato.
Remus è tuo figlio” gli ripeteva in continuazione, ma gli anni avevano reso John Lupin sempre più sordo ai rimproveri della moglie, fin quando per lei non fu troppo. Acciuffare Remus per una man e la valigia con l'altra era stato facile, ma aspettare nel cortile di casa con la speranza che John si alzasse dalla poltrona per fermare entrambi era stato come ricevere mille pugnalate nei reni in un solo istante.
La stretta di Remus si era fatta più decisa e lei lo aveva guardato di sottecchi. Era la copia di suo padre: aveva gli stessi capelli chiari un po' mossi, gli stessi occhi nocciola, il naso lungo e sottile e il viso minuto.
Ho sempre voluto vedere l'Irlanda” aveva detto Remus con un sorriso tirato.
Non avevano più parlato per tutto il viaggio fino alla stazione di Harrow. Fu solo quando il loro treno si fu lasciato alla spalle anche le ultime colline dell'Hertfordshire che Branna aveva trovato la forza di dire qualcosa.
Non è colpa tua”.
Remus aveva sollevato il capo dalla vecchia edizione tascabile di Cuore di tenebra e l'aveva fissata a lungo con espressione imperscrutabile. Poi aveva abbozzato una smorfia triste e aveva fatto la spallucce.
Nemmeno tua, mamma”.
E nemmeno di tuo padre”.
A quella parole Remus aveva sgranato stupito gli occhi.
Non devi pensarlo mai, Remus” aveva continuato Branna con più forza, appoggiando la propria mano sul polso del figlio. “Tuo padre è un brav'uomo... ma non tutti i bravi uomini riescono ad affrontare i calci in culo della vita”.
Io lo devo fare”.
Och, puoi giurarci” sbottò con finta allegria lei, appoggiando la nuca al sedile e socchiudendo affranta le palpebre. Si era ripetuta che forse John aveva ragione a sostenere che lei non capiva quanto davvero fosse tragica e insuperabile la situazione in cui erano precipitati. Forse era realmente lei ad essere in torto, perché di Lupi Mannari, maghi e restrizioni del Ministero della Magia non sapeva davvero nulla; ma quando aveva parlato, la sua voce era piena di forza e sicurezza. “Ma tu non sarai un brav'uomo, Remus”. Gli aveva carezzato la guancia con un sorriso di timida nostalgia. “Tu sarai un uomo straordinario”.
Erano già trascorsi quattro anni da quel giorno, e Remus era davvero diventato un piccolo ometto assennato di cui poteva dirsi ben fiera. Edna continuava a chiamarlo il ragazzo inglese, ma a vederlo camminare per le strade di Kinsale, con i capelli troppo lunghi e spettinati e le toppe cucite sui gomiti dei maglioni sformati, non lo si sarebbe distinto dagli altri adolescenti della sua età.
E Gormlaith O'Buckley giaceva nel proprio letto senza più la forza di muoversi, con il volto grigio, la pelle cadente e le dita gonfie e tremanti. La luce che filtrava dalla finestrella impolverata nella sua stanza disegnava pesanti ombre sulla sua faccia stanca, ma gli occhi neri brillavano ancora risoluti mentre fissava l'espressione rapita con cui Remus recitava i passi della Bibbia.
Sedeva sempre sul solito sgabello malmesso, ma quel giorno il caldo dell'estate soffocava più del solito e Remus indossava solo una vecchia canottiera bianca dall'aspetto frusto. Portava ancora i calzoncini corti, ma zia Maire aveva già preso qualcuno dei vecchi pantaloni di zio Patty e li stava stringendo in vista dell'autunno.
Sei tutto ossa, ragazzo” aveva dichiarato mentre prendeva la misura del suo girovita. “Och, ma in quel collegio cattolico della Scozia vi danno da mangiare?”.
«E Gesù disse loro; ‘In verità vi dico: voi che mi avete seguito nella nuova creazione, quando il figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele’». Remus sollevò appena un sopracciglio, rivolse alla nonna un’occhiata divertita e aggiunse: «Sembra un proclamo dei conservatori». Ridacchiò nel vedere l’espressione offesa lampeggiare nelle pupille di Gora e riprese la lettura. «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi. Mmh, adesso invece fa il comiziante laburista».
Le narici di Gora si dilatano appena. Remus scoppiò in una risata fragorosa e appoggiò la propria mano su quella dell’anziana donna.
«Och, nonna, stavo solo scherzando» si scusò sinceramente con un lesto sorriso innocente. «So perfettamente che Gesù vota per il Fianna Fàil».
«All'Inferno c'è un sacco di gente che scherzava troppo» borbottò stentatamente Gora. La sua voce era bassa e pastosa, e la mancanza dei denti rendeva quasi impossibile afferrare il senso di ognuna delle sue parole, ma Remus ci aveva fatto l'abitudine. Era l'unico, in effetti, capace di comprendere i suoi vaghi lamenti senza costringerla a ripetere ogni frase almeno tre volte.
Gora non glielo aveva mai confessato apertamente, ma Remus aveva l'impressione che avesse iniziato a trarre piacere dalla sua compagnia. Sfogliò nuovamente la vecchia copia della Bibbia e le domandò se ci fosse qualche brano in particolare che desiderasse ascoltare, ma lei scosse leggermente la testa e Remus si sentì libero di scegliere il suo preferito.
«Una serva si avvicinò a Pietro e gli disse: ‘Anche tu eri con Gesù il Galileo!’. Ed egli negò davanti a tutti: ‘Non conosco quell'uomo’. Giunse un'altra serva e disse: ‘Costui era con Gesù il Nazareno!’. Ma egli negò ancora: ‘’Non conosco quell'uomo’. Infine gli si accostarono altri presenti e dissero a Pietro: ‘Anche tu sei uno di loro. La tua parlata di tradisce’. Allora Pietro imprecò e giurò una terza volta: ‘Non conosco quell'uomo!’. E subito un gallo cantò». Remus tacque, d'un tratto pensieroso. «Tu hai sempre creduto in Dio, nonna?».
«Ho creduto in Dio da sempre» mormorò la donna. «Ma non sempre».
Remus alzò il viso dalla Bibbia e aggrottò confuso la fronte.
«C'è differenza?».
Parve quasi che le labbra bluastre e screpolate di Gora si fossero piegate in un lievissimo sorriso.
«Dio conosce i limiti del proprio Creato. La fede è come l'amore, come la vita, come l'uomo... e come talvolta se ne vanno loro, talvolta se ne va anche lei. Talvolta tornano, talvolta no».
«E la tua quand'è tornata?».
«La domanda più furba sarebbe stata “quando l'ho perduta”, ma tu resti sempre un inglese, e di furbizia siete sempre stati magri».
Remus schioccò la lingua come sua madre.
«Och, nonna, quanto hai ragione».
Gora rimase in silenzio per un lunghissimo momento. Dalla finestra aperta salivano i cori dei bambini che giocavano a pallone nella strada di sotto e gli strepiti delle donne che stavano stendendo il bucato fresco. Remus si godette un improvviso alito di vento che gli accarezzò la nuca sudata.
«Ho perduto la fede quando ho perduto tuo nonno» raccontò dopo un attimo di esitazione Gora. «Noi irlandesi non volevamo fare quella dannata guerra. E sai che ti dico, ragazzo? Se l'avessimo fatta fin da subito, och, saremmo stati dalla parte dei tedeschi solo per fare un torto agli inglesi». Si fermò e si schiarì la voce in un fiacco suono gutturale. «Ma poi i loro aerei hanno beccato Dublino e gli animi si sono infiammati. Tuo nonno era un vero irlandese, un vero irlandese nato a Kinsale... ed è andato a morirsene nelle dannate coste danesi, och».
Remus era a conoscenza della storia di Malachy O'Buckley, ma non l'aveva mai sentita raccontata dalla bocca sdentata di sua nonna – non l'aveva mai sentita raccontata davvero, in effetti.
È inutile che tu mi chieda di lui” era stata la risposta di sua madre. “Io non avevo nemmeno un anno, Remus, che vuoi che ricordi? Prova a chiedere a tua zia Fiona: non ha mai scordato un torto in vita sua, lei”.
Che torto, mamma?”.
Branna aveva schioccato la lingua con la sua espressione più spavalda e aveva liquidato la questione con un gesto scocciato della mano.
Och, hai quattro figlie, una moglie da sfamare e che fai, te? Vai a farti sparare dai fottuti nazisti. Bell'affare”.
Il tono della voce di Gora non suonava risentito quanto quello della figlia minore. Era più debole e incerto, ma le sue parole erano scandite da tiepida nostalgia. Remus richiuse la Bibbia, appoggiò il mento fra le mani e le rivolse un'occhiata curiosa.
«Deve essere stato crudo come l'Inferno, nonna».
Gora emise uno strano soffio ironico. La sua risata uscì dalla bocca sdentata come un vago colpo di tosse grassa.
«Per lui che è andato a morire nel culo d'Europa? Och, puoi giurarci che lo è stato. Io ero a casa a patire la fame con quattro bimbe, sì, ma l'Irlanda era piena di fame e bambini pure prima della guerra, ragazzo. E qua avevano tutti paura che Kinsale diventasse come Dublino, che passasse un caccia a farci esplodere mentre stavamo a Messa... ma non era l'Inferno, no. Tuo nonno, lui sì, che c'è andato a morire. Io no. Io ci sono solo passata accanto».
«Credevo che la fede servisse a farsi forza nei momenti più difficili» commentò seriamente Remus.
«Ed è nei momenti più difficili che ti molla».
«E ti ha mollato».
La donna annuì con blanda fiacchezza.
«Perché se ne è andato?» le chiese dopo un po'. «L'Irlanda non scese in guerra. Chi partì lo fece come volontario. Aveva quattro bambine piccole e te... perché l'ha fatto?».
Le labbra di Gora si piegarono nel primo vero sorriso che Remus le avesse mai visto fare.
«Perché era un irlandese con le palle, ragazzo. Partì dalla stazione di Cork. Quel giorno c'erano un sacco di irlandesi con le palle a prendere il treno. “Non me ne frega un accidente se quelli sparano agli inglesi” mi ha detto. “Ma che facciamo se poi perdono e i tedeschi pensano di venire pure qua? C'è mezza Dublino che brucia per colpa loro. Che facciamo, se dovesse bruciare tutta l'Irlanda?”».
«Non hai cercato di fermarlo?».
Gora schioccò la lingua contro il palato con la stessa identica arroganza con cui era solito farlo sua figlia. Remus sorrise d'istinto nel guardare gli occhi neri di sua nonna brillare fieri sul suo volto scavato. Una piacevole sensazione di calore gli inondò il petto.
«Se Dio non m'avesse fatto le tette, sarei andata con lui. Di', ragazzo, te che studi così tanto... che sarebbe successo, se avessero vinto i tedeschi? Se fossero arrivati anche qua, che ne sarebbe rimasta dell'Irlanda?».
Remus si umettò le labbra e ingoiò un fastidioso groppo di saliva.
«Niente».
«Och, niente. E lo sapevamo tutti» aggiunse con asprezza. «Te non saresti andato?».
Lui chinò la testa e sfiorò distrattamente la croce sulla copertina di pelle rovinata della Bibbia. Aveva la mente rivolta altrove, a immaginarsi il fango della Danimarca della Seconda Guerra Mondiale, l'eco delle cannonate tedesche nelle orecchie e il puzzo stantio del sudore di mille uomini terrorizzati. E poi un ricordo ben più crudo si affacciò nella sua testa.
Queste su Lord Voldemort non sono stronzate” riecheggiò la voce di Sirius. “Il Ministero può continuare a dirci che è solo un momento passeggero tutte le volte che vuole, ma questo non lo è per niente. Diavolo, dovreste sentire le cose che dice mia cugina Bellatrix a cena. Meglio prepararsi, ragazzi, perché quelli che stanno arrivando sono davvero tempi di merda”.
«Sì» sussurrò fra sé e sé.
Gora assottigliò le palpebre e scosse appena la testa. Remus alzò lo sguardo su di lei e fece un respiro profondo.
«Och, nonna, certo che sarei andato anch'io».
Le dita artritiche della vecchia si allungarono deboli fra le coperte e lui appoggiò la propria mano sulla sua. Nonostante la malattia se la stesse mangiando giorno dopo giorno con foga sempre più crescente, la stretta di Gora era salda e decisa – era quella di una donna di Kinsale.
«Hai la faccia da inglese, ma parli come un irlandese». Nei suoi occhi si era accesa un'inaspettata luce orgogliosa. «E ora va' a farti un giro, voglio riposare».
Remus annuì, si alzò in piedi e si chinò verso il comodino per riporre la Bibbia, ma Gora lo interruppe con aria seccato.
«Prendila te».
Lui si bloccò stupito. Sua nonna non era quel tipo di persona particolarmente propensa a elargire lodi e regali. E a quella Bibbia era sempre stata particolarmente affezionata. Era vecchia e puzzava di muffa, l'inchiostro era scolorito e qualche pagina si era addirittura staccata. La copertina di pelle esibiva i segni del tempo, dei tarli e di infiniti passaggi di mano in mano.
«Ma domani tornerò alla solita ora a leggertela, nonna».
«Och, certo che sì. E sarà meglio che te ne ricordi».
Remus accennò un sorriso gentile e aprì la bocca con l'intenzione di declinare l'offerta, ma Gora parve leggergli nella mente.
«Ti ho detto di prenderla. Non si sputa mai nel brodo che ti viene offerto. Io non riesco più a leggere un dannato accidente, ma tu sì» si fermò, socchiuse le palpebre con aria stremata e aggiunse al soffitto: «E ne avrai bisogno. Och, ragazzo, fidati di me. Te non ci vuoi credere, ma un giorno ne avrai più bisogno di me».

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