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Autore: FRC Coazze    17/03/2013    0 recensioni
La storia di una bambina molto particolare e del suo viaggio che unirà un'intera terra, dal mare alle montagne bianche.
Genere: Fantasy, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata a tutti gli italiani che, come me,
amano e rispettano e sono orgogliosi della propria Patria.





La bambina e il corbezzolo


 

 

Vorrei raccontarvi una storia. Una semplice storia, nient’altro, se avrete la pazienza di ascoltarla.

É la storia di una bambina.

Una bellissima bambina dai capelli e dagli occhi scuri.

Viveva in una terra bellissima, dove l’oro del grano e l’argento degli ulivi si mescevano al blu del mare. Una terra fantastica, proprio fuori l’uscio della porta.

La bambina amava i fiori, tanto che le sue più care parole erano rivolte a loro soltanto, perché solo loro potevano comprendere la sua purezza ed il suo amore. Amava camminare a piedi nudi nell’erba e ascoltare i canti della natura di cui era diletta.  Eppure, si sentiva triste. E ogni volta che volgeva gli occhi lontano, vedeva quegli alti picchi bianchi e ne provava desiderio. Si chiedeva se mai avesse potuto posare i suoi piedi su di essi. Voleva conoscere quelle terre bianche e oscure, così diverse dal calore del suo mondo.

Un giorno, il desiderio e la curiosità la sopraffecero. Lasciò al sua piccola casa in riva al mare e si mise in cammino verso le montagne brune, che sapeva doveva superare per raggiungere quelle bianche. Vagò a lungo tra quelle forre, ma presto si accorse d’essersi perduta. Senza una guida ad indicarle il cammino, dove poteva andare?

Sbandata e triste, si addormentò sotto i rami d’un pino. Ma quella notte un bagliore sfolgorante ed una voce la destarono. Stupita e impressionata fu la bimba, quando vide dal cielo notturno quella luce rigogliosa di vespero venire a lei e omaggiarla.

«Salute a te, figlia del mare. Io fui guida di Enea», le disse la bianca stella. «Gli fui guida attraverso le onde alle terre d’Esperia. Vanto e fulgore del tramonto».

La bambina era confusa. Perché quella stella era venuta a lei? Perché  il suo chiarore era ora polla d’acqua tra le sue piccole mani di bimba?

«Lascia che illumini il tuo capo, e che possa essere tua guida e luce, bambina» le disse la stella, e la bimba chinò il capo e la prese su di sé, regalando i fremiti dell’argento alla sua chioma nera.

La bimba riprese il suo cammino e la luce chiara della stella ne guidò i passi, uno dopo l’altro, mentre le sponde del mare si allontanavano ed i monti si facevano sempre più prossimi.

Fu allora, quando calò la notte, che la bimba arrestò il suo cammino. Le montagne erano ancora così lontane... e lei era così stanca. La stella brillava sul suo capo, e la sua felicità si spandeva nel mondo mentre salutava le sue sorelle che da lassù, nel cielo notturno, osservavano curiose quella piccola bambina riposare tra l’erba con una scintillante stella bianca sul capo.

La notte trascorse e quando gli occhi della bimba si chiusero all’alba, la rugiada ne benedì le iridi scure. Il chiarore freddo dell’oriente le sorrideva, facendo scintillare le gocce d’acqua sull’erba per il suo solo piacere e diletto.

«Ben svegliata, bambina», la accolse una voce.

La bimba sussultò. Non era la sua stella ad aver parlato, sebbene la sue presenza le scaldasse il cuore con il suo bagliore. Si guardò attorno spaesata e si accorse solo allora di aver riposato sotto la protezione di un grande ulivo. Un vecchio, saggio e possente albero le cui foglie brillavano del colore dell’alba.

La bambina si alzò e si sfregò gli occhi. Era lui che aveva parlato?

Un alito di vento sospirò tra le foglie dell’ulivo, facendone inchinare i rami. Sì, era stato lui a parlare, con quella voce roca come la sua vecchia corteccia.

«Bambina, lungo è il viaggio che ti appresti a percorrere», le disse l’ulivo. «Vieni, prendi uno di questi rami. Che ti sia di speranza e monito, affinché pace e fratellanza sempre accompagnino i tuoi passi. Affinché tu non sia dimentica del loro camminarti a fianco e non le respinga. Che ti sia d’aiuto e supporto nel tuo cammino».

Un ramo allora cadde tra l’erba fresca di rugiada e la bimba si chinò a coglierlo. Non comprendeva le parole del vecchio ulivo, ma tenne il ramo con sé e riprese il cammino poggiando ad esso il suo peso, guidata dalla bianca stella.

Percorse quel giorno le pendici delle montagne brune, annusando i profumi dei rosmarini e ascoltando i canti degli allegri uccelli che con le loro voci allietavano il suo cammino. Ma le grandi montagne bianche erano ancora tanto, tanto lontane e la bimba, scoraggiata, si fermò meditando di tornare indietro. Piccole lacrime di sconforto presero a bagnare le sue ciglia, ma mentre quei pensieri arrendevoli si facevano largo nei suoi occhi, un’altra voce parlò.

«Perché piangi, piccola?» domandò il corbezzolo che cresceva lì accanto.

La bimba alzò gli occhi pieni di lacrime verso di lui e indicò le montagne grigie. «Troppo lontani sono quei monti, e i miei passi sono così piccoli», disse lei, ma il corbezzolo le rispose: «Siano benedetti i tuoi piccoli passi di bambina, poiché più piccoli sono i passi, più grande è il viaggio».

La bimba gli sorrise, allora, mentre un dolce ramo si tendeva a sfiorarle la guancia.

«Lungo è ancora il tuo cammino, ma ecco: prendi questo mio ramo, foglie, fiori e bacche. Colorino le tue vesti i suoi colori. Il sangue del prode Pallante sia il primo di molti».

E così la bimba strinse tra le dita anche il ramo di corbezzolo. Dissetata da nuova speranza, riprese il suo cammino. I suoi passi la portarono lungo le basse montagne sino ad un luogo ch’ella non conosceva, ove un fiume scorreva placido tra sette colli e su di essi era costruita una grande città. Lo scintillio di quelle acque la rapì ed ella discese verso il fiume, attratta dall’acqua fresca.

«Vieni», la chiamava la voce del fiume, «vieni». Ed ella venne, soffermandosi nell’ombra su quelle sponde, abbeverandosi e rinfrescandosi. Si ripulì della polvere e si sdraiò sull’erba, guardando il cielo blu, lasciandosi cullare nel sonno dalle dolci ninnananne del fiume.

Si svegliò tuttavia di soprassalto, destata dal rumore delle foglie secche. Si alzò in fretta, e buio del bosco che la circondava emerse un grosso lupo che la osservava curioso e stupito.

«Cosa fai nelle mie terre, bambina?», le domandò duramente il lupo.

«Viaggio verso le montagne bianche, fratello lupo. La stanchezza era tanta e ho ceduto alle lusinghe del fiume», gli disse allora la bambina.

«Ah, vedo», fece allora il lupo. «Mio fratello ama irretire i viandanti e far loro doni spesso inaspettati. Ricordati di questa terra quando sarai lassù, poiché quella stella che tu porti sul capo guidò qui l’uomo la cui figlia donò i suoi figli a questo fiume. Tu ti sei bagnata in queste acque e ne sei uscita ristorata e forte. Lascia ch’io t’accompagni nel tuo viaggio e possa esserti di difesa dai perigli della via».

E la bambina chinò il capo alla regalità e all’umiltà del lupo, e ringraziò il fiume per le sue attenzioni e le sue dolcezze. La stella di nuovo illuminò il suo cammino ed ella viaggiò a lungo con il lupo al suo fianco, sino alle creste delle montagne brune. E allora guardò dabbasso, curiosa di scoprire cosa vi fosse al di là e al di là vide una grande pianura ricoperta da una rigogliosa foresta scura attraversata da un lungo fiume. E più in là, finalmente, le pendici boscose delle alte montagne bianche. Il suo cuore si rallegrò ed i suoi passi si fecero più leggeri nella discesa.

Il bastone d’ulivo la sorreggeva sempre e sempre la stella illuminava i suoi passi, così come il rametto di corbezzolo era sempre nella sua mano e la frescura del fiume del lupo ancora accarezzava la sua pelle. E i passi del lupo accompagnavano i suoi, decisi e combattivi.

Al limitare della foresta, ecco che una vecchia quercia si chinò su di lei a baciarla.

«Piccola figlia del mare, vedo in te la fortezza di un popolo e la sua dignità. Ecco, prendi questo mio ramo, cingi il tuo capo con esso. Sii orgogliosa e forte poiché le acque che ti accingi ad affrontare sono le più possenti e crudeli, e molto avrai bisogno di queste virtù», le disse la quercia e le cinse il capo con le sue foglie.  

Si erse di nuova, retta e forte, e aggiunse poi: «Segui il sentiero sino al fiume, e lascia ch’egli ti mostri la verità e la via. Le acque d’Eridano s’uniscano alle acque d’Albula e la possanza s’unisca allo spirito».  

La bambina allora chinò il capo e seguì ubbidiente le indicazioni della quercia. Giunse allora sulle sponde del fiume e si bagnò nelle sue acque. Ma non venne accolta dal gioire dei flutti, né dalle litanie della frescura. Quando ne uscì più bambina non era, una donna emerse da quelle acque con una grigia corona turrita sul capo. Lacrime scendevano dalle sue guance e la disperazione invase il suo spirito.

Ella cadde in ginocchio sulla sponda pietrosa e disse: «Oh fiume, perché tu mi fai questo? Mi privi dell’innocenza e mi doni visioni di morte e sangue!»

E il fiume allora le rispose: «Figlia mia, lungo è stato il tuo viaggio. Tu sei cresciuta. Le acque di Albula ti hanno purificato ed ecco, io ti dono la conoscenza e la verità. Molto dolore conoscerai nel tuo viaggio, molti ti feriranno, ti stracceranno le vesti e se le divideranno, ti lasceranno miserevole in un angolo e rideranno di te. Il tuo destino sarà quello di Fetonte che nelle mie acque giacque, qui dove si aprono le porte dell’Ade. La morte ti seguirà e perseguiterà, figlia mia, come il sangue che porti in quel ramo di corbezzolo. Cerca la purezza della neve e la speranza dei verdi pascoli... ma grandi tribolazioni d’attendono».

La donna allora fuggì. Spaventata e addolorata dalle parole del fiume. Fuggì e giacque a lungo tra le sterpi, dimenticata e piangente. Troppo spaventata per proseguire la via. Animali selvaggi ne annusarono le carni e uomini dei boschi le stracciarono le vesti, litigando tra loro per possederla la strattonarono e spezzarono. Nulla poté il lupo che pur continuava a difenderla, sempre fedele e dignitoso e combattivo. Dimenticata era la corona di quercia e il bastone d’ulivo giaceva a terra, sanguinava il corbezzolo bagnato dalla crudeltà degli uomini e dal dolore della donna. Ma la stella... la stella era sempre brillante. Tremula e triste su quel capo sporco e chino. Il suo chiarore ancora e sempre si spandeva nella notte, ancora speranzoso, ancora deciso ad essere guida, ancora deciso a condurre i passi di qualcuno a lei che giaceva lacerata nel buio.

E allora accadde, che dal cielo venne un’aquila. Possente e regale. La luce della stella l’aveva guidata ed i racconti di una bellissima donna che giaceva piangente e deturpata nei boschi più oscuri.

«Guarda», le avea detto il ciclamino una notte, «una luce scintilla laggiù».

«Molti hanno seguito quella luce e per lei hanno varcato i confini degli inferi», gli aveva risposto l’aquila.

«Il viaggio non è finito, sorella aquila», le aveva allora risposto il ciclamino, «ella deve raggiungere questi monti, così deve essere. Il viaggio sarà compiuto e la terra nostra unita. Ricordi? Dal sangue nasceranno speranza e purezza e il corbezzolo sarà piantato su queste balze gelate. Va dunque, conducila qui».

L’aquila s’era allora levata in volo ed aveva sorvolato la grande foresta e seguito il corso del grande fiume, fino a giungere laggiù ove scintillava quella piccola stella. E allora l’aveva trovata. Giaceva piangente in una grotta oscura, incatenata da mani sconosciute che si erano spartite senza pietà le sue vesti e le sue carni. Eppure, così tanta era la dignità che quella figura emanava.

Il grande uccello mise paura alle fiere della notte ed agli uomini selvaggi dei boschi, principi e giullari fuggirono da lei. E allora fu che un lupo si fece avanti e scoprì i denti.

«Pace, fratello lupo», gli disse l’aquila, «veniamo da terre lontane, ma lo stesso sangue c’unisce. Fiumi diversi ci dissetano, ma la stessa acqua ci bagna. Vieni, lascia ch’io curi la tua signora e la conduca lassù dov’era suo desiderio andare».

Il lupo allora si fece da parte e l’aquila medicò la donna con cura e attenzione. Ricucì le sue vesti e ripulì le sue ferite. Colse la quercia da terra e di nuovo con essa cinse il suo capo, le donò nuovamente il bastone d’ulivo e le porse tra le dita il colorato corbezzolo.

«Vieni, figlia mia», le disse poi, «le tue tribolazioni sono finite. Vieni, sali sul mio dorso: vieni con me, sul trono che ti spetta, principessa del mare assisa sul trono dei monti».

La donna che fu bambina salì allora sul grande dorso dell’aquila ed ella la portò lontano, lassù dove la neve più bianca brillava come stelle. E la donna si riscoprì bambina, una bambina nuova, ingenua ancora, ma conscia del dolore del mondo. Finalmente, finalmente poteva toccare quella bianca neve.

L’aquila la posò lievemente su un alto pascolo ed ella si gettò nella neve, bagnandosi il capo e dissetandosi di purezza. Le sua ginocchia affondavano nell’erba più verde. Da lassù poteva vedere tutto. La grande pianura con le sue foreste, le montagne brune che scivolavano pigre verso l’azzurro e caldo mare, profumi di menta e rosmarino salivano dalle valli.

Scavò allora un piccolo buco nella terra e vi piantò il ramo di corbezzolo ed esso crebbe in una splendida pianta verde, rossa e bianca. Il lupo allora, si accucciò ai suoi piedi insieme con l’aquila.

«Ecco», disse lei infine, «la mia casa è una e tante. Il mio sangue ha bagnato questa terra e le mie lacrime l’hanno irrigata. Ho trovato una casa che va dai monti sino al mare; al pari ed in egual misura, è tutta casa mia».

 


 
Lo avrete capito, questa storia è un tributo all'Italia. La nostra Italia.

Oggi è il 17 marzo, come sapete, e per questo ho deciso di fare un regalo a questa donna bambina che è la nostra Patria, che ha superato e continua a subire tante tribolazioni. Spero sia un regalo gradito e possa farle capire che c'è ancora chi la ama, nonostante tutto.

Buon compleanno, Italia!


  
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