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Autore: Cabiria Minerva    18/03/2013    2 recensioni
Londra, periodo imprecisato tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo.
Il Blanc Fauve, teatro molto noto, assume una giovane promettente - Miss Potter - per affiancare Mr. Piton, l'esigente cantante. Con la sua innocenza e la sua voce affascinante, la giovane Potter scombussola la vita di Piton quasi senza accorgersene, costringendolo a far luce su un passato misterioso e insinuandosi nei suoi pensieri...
[AU]
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Severus Piton, Un po' tutti | Coppie: Lily Luna/Severus
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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I.

 

 

Gli avevano affibbiato quello stupido nome da talmente tanto tempo, e quando non lo usavano lo chiamavano semplicemente per cognome, che ormai quasi nessuno – forse nemmeno lui – ricordava quale fosse stato il suo vero nome. Non che a qualcuno importasse, ormai: con gli anni, se possibile, era diventato ancora più intrattabile e scontroso, usciva di casa solo per recarsi a teatro, dove comunicava il meno possibili con il resto della compagnia. Molti, sebbene non l'avrebbero mai ammesso, avevano sviluppato nei suoi confronti una strana ammirazione mista a soggezione, perciò erano ben contenti di non doversi trovare spesso soggetti a quello sguardo cupo che li metteva a disagio. Voci di corridoio sussurravano che fosse stata la guerra a renderlo così, ma nessuno osava appurare alla fonte quell'informazione.

«Buongiorno Mr. Piton.» Fanny Finnigan, l'anziana madre del portinaio, si appoggiò un istante alla scopa in saggina per rivolgergli il suo solito, caloroso saluto. Era una delle poche persone a non aver timore del primo cantante del Blanc Fauve; persino gli ospiti del teatro, pur rapiti dalla sua voce e dal suo talento, sembravano sentirsi a disagio in sua presenza.

«Mrs. Finnigan.» Chinò il capo in un cenno di saluto, forse un po' impettito, ma sufficiente per l'anziana donna, che tornò alla sua occupazione canticchiando una nenia sottovoce.

Attraversò il corridoio con lo sguardo perso in un punto distante davanti a sé, incurante delle persone che, nel vederlo, mormoravano i propri saluti con voce talmente sottile che non li avrebbe uditi nemmeno se avesse prestato attenzione a ciò che accadeva attorno a sé.

E certo chiunque, nel vederlo avanzare con quel portamento così rigido e lo sguardo fisso, lo avrebbe pensato un arrogante manichino impettito, troppo preso da sé e dalle sue doti per accorgersi della frenesia che lo circondava. E chiunque, così pensando, avrebbe completamente errato, poiché non erano le sue doti, ne il suo essere a distrarlo dal mondo, quanto un'innata avversione – dovuta forse ad una naturale incapacità – per quei contatti umani necessari per intrattenere quella che viene generalmente chiamata una sana vita sociale.

S'infilò nello stanzino che gli fungeva da camerino e solo quando la porta fu chiusa dietro di lui concesse ai suoi muscoli di rilassarsi un poco sotto la pelle tirata e pallida. L'ombra di un sorriso gli si formò sulle labbra al ricordo di sua madre che lo rimproverava per essere sempre così teso. «Non ti fa bene!» era solita ripetergli. «Prima o poi ti cederanno i nervi, e allora vedrai...» Non aveva mai scoperto che cosa avrebbe dovuto vedere: sua madre era morta quando lui era in collegio, uccisa di botte dal marito alcolizzato e violento da cui non era mai riuscita a fuggire, e il tanto temuto cedimento non era mai arrivato.

Si stava sbottonando la camicia, il colletto alzato che gli sfiorava i capelli ad ogni movimento, quando qualcuno bussò, chiamandolo con voce pacata. Nel riconoscerla, l'uomo alzò gli occhi neri al cielo. Abbandonò i bottoni, lasciando scoperto il petto fino a poco sotto lo sterno, ed aprì al direttore, chiedendosi per quale motivo avesse bisogno di parlargli con così tanta urgenza da non poter attendere l'inizio delle prove.

«Oh, Severus, che fortuna trovarti qui!» Un tempo quel dannato nome lo infastidiva – era stato battezzato con un nome, possibile che nessuno lo usasse? – ma ormai non lo toccava più.

Alzò un sopracciglio, irritato. Erano anni che arrivava a teatro alle 9, sempre puntuale, puntando dritto al camerino, da cui usciva alle 9.25, così da poter essere sul palco alle 9.30 spaccate, giusto in tempo per l'inizio delle prove.

«Ti va una tazza di tè?» continuò sorridendo l'anziano direttore mentre gli porgeva una delle due tazze che aveva portato con sé.

«Grazie.» Prese la tazza e la roteò gentilmente sotto il naso aquilino, assaporandone l'aroma. Earl Grey. Sorbì un sorso senza distogliere gli occhi dall'uomo che, per quanto naturalmente incline alla gentilezza, doveva sicuramente avere un motivo più che valido per disturbarlo che una mera tazza di tè. «Posso chiederle cosa l'ha spinta a cercarmi, Mr. Silente?»

«Non sei mai stato particolarmente paziente, non è vero, ragazzo?» Gli parlava ancora come quando l'aveva assunto, quasi trent'anni prima. «Sono venuto qui perché volevo comunicarti personalmente che, tra pochi giorni, ci saranno alcune aggiunte alla nostra compagnia.»

Se possibile, il sopracciglio di Mr. Piton s'alzò ancora di più. «La ringrazio per la premura, ma non vedo come ciò possa riguardarmi.» In molti erano arrivati e se n'erano andati durante la sua lunga carriera, e quasi tutti senza che lui se ne accorgesse.

«Oh, non è per le due nuove ballerine che sono qui, quanto per la nuova cantante.»

Mr. Piton appoggiò la tazza sul tavolino di noce, accanto ai trucchi di scena. «Una nuova cantante?» Scandì le parole – segno inequivocabile della sua crescente irritazione – ed assottigliò gli occhi. Silente aveva assunto una nuova cantante senza chiedergli un parere?

«Esatto.»

«Per quale motivo abbiamo bisogno una nuova cantante? Ms. Brown è più che sufficiente per i nostri bisogni.»

«Ms. Brown è diventata Mrs. Davies, ed è incinta.» disse Mr. Silente con condiscendenza – trovava fin divertente quella specie di indifferenza che Mr. Piton provava nei confronti del mondo e che gli faceva quindi sfuggire qualsiasi novità che non fosse più che eclatante. «E questa ragazza è un giovane talento, con ottime raccomandazioni.» Sorrise. «Talmente buone che appena ne ho avuto l'occasione non potevo lasciarmela scappare, perciò non ho avuto tempo di discuterne con te, e mi scuso per questo.»

«Spero non si sbagli riguardo il suo talento» gli disse in tono rancoroso, incapace di nascondere la stizza. Non gli importava di attori e ballerini, che lavoravano in ambiti dove Silente era sicuramente più esperto di lui, ma i (pochi) cantanti che salivano sul palco accanto a lui dovevano soddisfare i suoi alti standard.

«Sentirai con le tue orecchie, Severus. Una voce così non la si sente spesso. Sembra un uccellino e non diresti mai, a guardarla, che possa contenere tutta quella forza, quella passione...»

«Vedremo.» rispose a denti stretti.

«Inizierà giovedì, per cui ho posticipato le prove alle 13, così da darle il tempo di sistemarsi, di dare un'occhiata in giro e, se lo vuoi, per darti la possibilità di verificarne le capacità in anteprima» buttò là, sicuro che l'uomo non avrebbe rifiutato l'opportunità di studiare il fantomatico talento della giovane senza l'inevitabile rumore di fondo onnipresente durante le prove.

Dopo aver ricevuto un cenno d'assenso da parte del cantante, Silente si rilassò in un sorriso soddisfatto – aveva ottenuto ciò per cui era andato lì. «Perfetto! Le dirò di presentarsi sul palco diciamo alle... 12?»

«D'accordo.»

«Benissimo! Non voglio trattenerti oltre.» Indietreggiò fino alla porta. «Buona giornata!» Scomparve nel corridoio, lasciando un Severus irritato e, per di più, in ritardo. Ridacchiando tra sé e sé chiese mentalmente perdono a chi avrebbe dovuto passare le prossime ore accanto al cantante furente.


 

* * *


 

«Mama1, ti prego...» La ragazza abbassò lo sguardo, leggermente imbarazzata dal comportamento della donna che, con un tono melodrammatico e le lacrime agli occhi, le stava facendo mille raccomandazioni d'ogni genere. Guardò i fratelli in cerca d'aiuto, ma entrambi stavano godendosi la scena, lo stesso ghigno sulle labbra. «Me la pagherete.» sillabò in silenzio. Certo comprendeva, in parte, la paura di quella donna: poco dopo la nascita della loro ultimogenita, Mr. Potter e sua moglie Ginevra, la figlia di Mrs. Weasley, erano partiti per lo –shire e non erano mai tornati: un incendio aveva inghiottito la locanda in cui alloggiavano. Non si era salvato nessuno. Quell'ennesima perdita – aveva già perso un figlio durante l'ultima guerra contro gli scozzesi e uno in un incidente di caccia – era stata molto pesante per Mrs. Weasley che, improvvisamente, si era anche ritrovata a fare da madre a tre bambini piccoli, il più grande avendo solo quattro anni.

«Su, su, Molly,» intervenne Arthur Weasley, appoggiando una mano sulla spalla della moglie. «sarà in buone mani; conosco Mr. Silente da molti anni, ed è una brava persona.» La staccò con delicatezza dalla nipote. «Oltretutto conosceva anche...» le parole gli morirono in bocca nel vedere lo sguardo della moglie, ancora incapace di parlare della figlia e del genero, deceduti da ormai sedici anni. «E poi non la stiamo mandando al fronte.» riparò, sperando di non aver fatto troppi danni.

«No, la mandiamo a Londra, da sola!, e non so cosa sia peggio.»

Mr. Weasley e la nipote alzarono gli occhi al cielo. «Suvvia, non esagerare.»

«Non esagerare, dice lui! Come se non avessimo tutti sentito le notizie di cronaca degli ultimi mesi, come se non sapessimo dei criminali, delle donnacce o non avessimo mai sentito di giovani ragazze per bene deviate, corrotte da qualche avvenente quanto spregiudicato truffatore!» A queste parole i due ragazzi, ormai talmente scossi dalle risate da aver mal di stomaco, ripararono in salotto, ma non prima di aver fatto alla sorella un cenno di saluto.

«Sono solo leggende metropolitane, mia cara.» la rassicurò. «Sono stato a Londra spesso, e qualche volta ci sei stata anche tu, e mi sembra di non aver mai visto nulla di particolarmente deplorevole.» concluse, allontanandola ancora un poco dalla nipote e lanciando un'occhiata al pendolo accanto alle scale. «Temo proprio che sia ora di salutarsi. Lily deve partire al più presto se vuole raggiungere –field2 prima che sia buio.»

«Arrivederci papa, a presto mama.» Diede un bacio a ciascuno. «Dite a Al e James che scriverò loro non appena sarò arrivata a Londra!» Inspirò profondamente, come a volersi far forza, poi girò su sé stessa e uscì di casa, dove la carrozza – sulla quale erano già stati caricati i suoi bagagli – era pronta per partire. Si lasciò aiutare dal cocchiere, Mr. Chimney, a salire i due scalini traballanti e si sistemò proprio accanto alla finestrella che dava sul portico.

Solo quando la casa dove era cresciuta iniziò a sparire dietro agli alberi si concesse di togliere la maschera di tranquillità che aveva indossato davanti alla sua famiglia in quei giorni e di lasciarsi inondare dalle mille sensazioni provocatele dal grande cambiamento che stava per vivere.

Certo, era stata a Londra altre volte, ma in quelle occasioni era sempre stata accompagnata dai suoi genitori e dai fratelli. Oltretutto, non si erano mai fermati per più di un mese – il tempo di visitare qualche parente o conoscente, di fare qualche spesa particolare. Ora, invece, sarebbe stata da sola – o quasi, dato che avrebbe alloggiato, almeno per i primi tempi, da suo zio Ronald, praticamente obbligato ad ospitarla dalle lettere minatorie speditegli da sua madre – e, come se questo non bastasse, a Londra l'attendeva un teatro pieno di persone che ancora non conosceva e che, sicuramente, avevano molta più esperienza di lei.

Si stropicciò nervosamente il bordo del vestito, agitata e al contempo ansiosa di iniziare quella vita a lei completamente estranea.

 


1 Dato che Lily Luna è stata cresciuta dai nonni (e dei genitori probabilmente non ha nessun ricordo) credo non sia così strano che li chiami mama e papa (leggermente influenzata da Pride and Prejudice, ho deciso di usare questi termini piuttosto che i più severi madre e padre).

2 La pratica di «censurare» in questo modo i luoghi era abbastanza comune nei romanzi gotici e nelle novelle ottocentesche.


Buonsalve! Ve l'avevo detto che sarebbe arrivata una nuova Repayment, giusto? ;) Ebbene, eccola qui!

Essendo questo il primo capitolo, ci terrei a specificare alcune cose... Innanzitutto, non sono una grande esperta di opera, teatro e via dicendo, quindi non offendetevi se ci sono inesattezze riguardanti questi ambiti. In secondo luogo, dato che non sono un'esperta ma mi piacciono lo stesso, nei prossimi capitoli inserirò canzoni provenienti da opere (e non.. sono quasi sicura che a un certo punto ci infilerò anche le canzoni de Les Misérables.. Versione 2012, dato che l'ho vista da poco - sì, le canzoni son sempre quelle, ma nella mia mente le cantano Crowe, Hathaway, Jackman, etc.), e probabilmente sbaglierò contesto, oppure qualcos'altro, e quindi vi pregherei già di non insultarmi, darmi dell'ignorante o mandarmi Gufi-bomba: faccio le mie ricerche, ma non posso promettere la perfezione in un campo in cui non sono particolarmente esperta :)

Fatta questa piiiiiccola premessa, torniamo alla storia per sé. Non so bene perché mi è venuto in mente di farla AU - genere in cui, tra l'altro, non mi sono mai cimentata prima d'ora - però mi era sembrata un'idea carina inserire questi personaggi in un contesto totalmente diverso (e poi sono influenzata dalle letture che sto facendo e da questo mio periodo ottocentesco - se mi seguite su facebook o avete letto le mie ultime storie sapete di cosa parlo :D). Spero quindi di incontrare il vostro consenso e ora, dopo questa.. ehm.. notina logorroica, vi saluto e ringrazio sia per aver letto che, eventualmente, per aver lasciato una recensione/commento/quel che vi pare ^^

Un ringraziamento speciale va a Unbreakable_Vow e a Blankette Girl, a cui ho rotto le scatole per un bel po' tra lettura della storia e ricerca di un titolo. Grazie per sopportarmi ❤

A presto,
Cabiria Minerva

   
 
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