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Autore: Keyla99    18/03/2013    2 recensioni
Ecco.
La storia mia e del mio cucciolotto.
Il primo incontro, il primo bacio...
E altro.
Keyla
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Feitan, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Io e il (mio) Ragno'
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Non potevo crederci. 
Un uomo era appena stato ucciso davanti ai miei occhi. 
L’assassino mi dava le spalle, ma potevo benissimo vedere le mani insanguinate che tenevano il corpo morto della vittima. 

Era vestito di nero da capo a piedi, e si confondeva con l’oscurità della strada. 
Ero paralizzata dalla paura, non riuscivo proprio a muovermi. 
Lui tornò in posizione eretta, lasciando cadere il cadavere a terra, e si voltò leggermente verso di me. 
Un bagliore dorato catturò il mio sguardo. Meno di un secondo dopo mi era davanti, e mi osservava coi suoi freddi occhi gialli. 
Sobbalzai: non l’avevo visto muoversi. 
Stette in silenzio per un po’, poi allungò la mano e mi sfiorò la gola, scostando una ciocca bionda dal collo.
–Ma non hai paura?- chiese pacato. 
Mi resi conto di non averne più, così scossi la testa negativamente. L’ombra di un sorriso increspò le sue labbra sottili. 
–Sei davvero strana, ragazzina.- 
Feci “sì” col capo. 
–Me lo dicono tutti- 
Sembrava quasi una giustificazione. Mi guardò allibito per un po’, poi scoppiò a ridere di gusto. 
–Ahahah! Sei... particolare!- esclamò. 
Lo squadrai un po’ meglio. Anche se nella strada c’era la penombra riuscivo a distinguere bene il vestito scuro che lo copriva fino al mento (il bavero era abbassato) e gli occhi dorati che brillavano come due piccole stelle. 
–Tu sei... un membro del Genei Ryodan... Vero?- chiesi. 
Smise di ridere. 
–Sono Feitan.- disse solo. 
Stette a guardarmi, aspettando la mia risposta alla domanda sottointesa. 
–Keyla. Mi chiamo Keyla.- feci impacciata. 
Sorrise.

Da quel giorno iniziai ad incontrarlo dappertutto. 
Me lo ritrovavo qualche volta fuori dalla scuola, qualche volta mi salutava mentre ero con le amiche, in centro, qualche volta persino dentro casa. Di lui conoscevo solo il nome ed il fatto che era un assassino. 
–Ma non hai paura a starmi vicina?- mi chiese una volta. 
Io lo avevo guardato e avevo scosso la testa, guadagnandomi uno sguardo interrogativo da parte sua. 
–Se avessi voluto uccidermi o farmi del male l’avresti già fatto, no?- 
Aveva sgranato quei suoi bei occhioni dorati e aveva riso. 
–Sei di un’ingenuità disarmante, sai?- mi aveva detto. 
Quando avevo bisogno di una mano, lui c’era sempre. 
Sembrava non avesse niente di meglio da fare che badare ad una ragazzina sbadata e perennemente nei guai. Non dovevo neanche chiamarlo – poche volte ho pronunciato il suo nome, all’inizio – perché subito mi raggiungeva e mi “salvava”. Lui mi chiamava sempre “ragazzina”, ma sapeva dare a quel nomignolo un affetto che era strano ed innaturale, per un assassino provetto. 
Fu sempre lui a prendere l’iniziativa: io ero troppo timida. 
Un giorno, appena entrata a casa dopo la scuola, lo trovai dentro. 
Mi afferrò per un polso e mi tirò a sé, con una presa delicata ma ferrea. Io lo guardai confusa, almeno fino a che non si chinò per baciarmi. 
Con l’altro braccio i cinse la vita, avvicinandomi ancora di più al suo petto. 
Ero emozionatissima, tremavo, e lui fraintese quell’emozione. 
Si allontanò immediatamente, e mi lasciò. 
–Mi dispiace- si scusò –Non avrei dovuto essere così sfacciato...- 
Non lo lasciai continuare: lo raggiunsi e gli poggiai le mani sulle spalle, per poi baciarlo ancora. 
Sgranò gli occhi ed io li chiusi, cercando per non svenire per l’emozione. 
Quando ci staccammo mi girava la testa. Le sue braccia mi sorressero subito, prontamente. 
–Ehi, come va?- chiese preoccupato. 
Biascicai qualcosa di incomprensibile. 
Lo vidi sorridere e un istante dopo mi ritrovai sospesa nell’aria, in braccio a lui. 
Mi portò fino alla mia camera e mi appoggiò sul letto con delicatezza. 
–Non lo faccio più, se poi ti fa questo effetto...- disse divertito. 
Mi affrettai a riprendermi. 
–No! Non mi fa nessunissimo effetto negativo!- mentii scattando a sedere. 
Rise. 
–Ehi, ragazzina, stai tranquilla che se no hai una ricaduta!- mi avvertì. 
Divenni rossa fino alle orecchie, capendo che l’aveva detto solo per stuzzicarmi. 
Appoggiai le spalle al muro e lo guardai pensierosa. 
–Come puoi interessarti ad una come me? insomma, tu sei...- iniziai, ma mi interruppe: -Un assassino?- completò incupendosi. 
Mi affrettai a correggermi. 
–No! Cioè, sì, ma non è questo che intendevo! Io volevo dire che tu sei speciale, mentre io sono una comune ragazzina...- mormorai con la voce sempre più flebile. Mi prese il mento e lo sollevò, catturando il mio sguardo coi suoi occhi d’oro. 
–Sei tu ad avere un bel coraggio. Non sono un tipo che si può definire “raccomandabile”.- fece ghignando. 
Senza pensare lo abbracciai. Lo sentii irrigidirsi un poco, sorpreso. 
–Ti voglio bene. Tanto.- sussurrai mentre i suoi capelli neri mi facevano il solletico al viso. 
–Sei strana- ridacchiò. 
–Lo so.-

Una volta rientrai di sera, alle nove passate. 
Ero stata tutto il pomeriggio (compresa la cena) a casa di una compagna di classe, perché dovevamo finire un progetto per la scuola. 
Come al solito lo trovai appoggiato al davanzale, che mi osservava silenzioso mentre entravo, chiudevo la porta alle mie spalle e riponevo le chiavi sopra al mobile nell’ingresso. 
Barcollai fino al divano e mi sedetti: mi sentivo poco bene. 
–Che hai?- mi chiese avvicinandosi. 
–Niente, niente. Sono solo un po’ stanca...- risposi accennando un sorriso. 
Parve non ascoltarmi e si sedette accanto a me, poi mi poggiò una mano dietro la nuca e mi avvicinò, posandomi le labbra sulla fronte. 
–Hai la febbre- constatò lasciandomi. 
Cercai di negare, ma ero perfettamente consapevole che aveva ragione. 
–Domani non esci.- ordinò con fare protettivo, prendendomi in braccio e portandomi in camera. Aspettò (ovviamente voltato) che mi mettessi in pigiama, e quando ebbi finito di cambiarmi mi costrinse ad infilarmi sotto le coperte. 
Mi accarezzò i capelli, scostandomeli da davanti alla fronte, e si lasciò sfuggire un sorriso intenerito. 
–Ma come si fa ad ammalarsi in primavera? Di solito non è d’autunno che succede?- ironizzò. 
Lo guardai con gli occhi socchiusi: la febbre stava agendo sulla mia mente come un tranquillante. 
–Se mi stai troppo vicino ti ammalerai anche tu...- mormorai. 
Scosse la testa. 
–No. Io non mi ammalo mai.- rispose divertito. 
Inclinai la testa da un lato, fissandolo male. Rise di gusto vedendo la mia espressione seccata. 
Doveva trovarmi davvero buffa, per ridere a quel modo. 
–Riposati, ora, se no non guarirai mai.- mi consigliò chiudendomi delicatamente le palpebre facendo una leggera pressione con le dita. 
Mi misi su un fianco e mi rilassai, ma sentivo un freddo pungente che mi invadeva fino alle ossa, facendomi tremare. 
La mia schiena entrò in contatto con qualcosa di caldo, che in un istante scacciò via il gelo. 
Due braccia forti mi cinsero la vita con delicatezza, scaldandomi. 
Feitan sorrise contro la mai nuca e mi baciò il collo. 
–Sogni d’oro, ragazzina...- sussurrò.

La mattina dopo mi svegliai che non avevo idea di che ore fossero, e tutto quello che riuscivo a vedere era un tessuto nero a mezzo centimetro dal mio naso. La testa pulsava, a quanto pareva stavo ancora male. 
–Ehi, ragazzina, come stai? Ti sei agitata parecchio, nel sonno...- fece una voce familiare. 
Quasi mi prese un infarto quando mi resi conto che Feitan era steso di fronte a me, e che io poggiavo la testa sul suo petto. 
Mi diede un bacio sulla fronte bollente. 
–Niente, la febbre non ti è passata né ti è scesa.- constatò. 
–Che ore sono?- mormorai. 
Non riuscivo a vederlo in faccia, ma immaginai che avesse gettato un’occhiata all’orologio dietro al letto. 
–Le nove e tre quarti, dormigliona.- rispose con tono scherzoso. 
Ok, ero decisamente in ritardo per la scuola. Feci per alzarmi, ma lui mi abbracciò le spalle impedendomi di muovermi. 
–Dove credi di andare? Sei malata.- mi rimproverò. 
Sospirai e tornai rilassata. 
–Sei rimasto sempre qui? Tutto il tempo?- chiesi con voce flebile. 
–Certo. Cos’è, ti lascio sola?- 
Sbuffai. 
–Sarei sopravvissuta.- replicai seccamente. 
Rise. 
–Non ho dubbi su questo. E magari saresti anche andata a nuotare nell’acqua gelida, per poi farti un giro in bicicletta coi capelli completamente zuppi.- mi prese in giro. 
Finsi di offendermi. 
–Non sono così irresponsabile!- esclamai stizzita. 
–Sì che lo sei. Peggio di Phinks.- ribatté divertito. 
–Chi è Phinks?- domandai perplessa. 
Sembrò rendersi conto solo in quel momento di aver pronunciato un nome che forse era “non opportuno”. 
–Allora? Chi è Phinks?- ripetei. –Un mio amico.- 
Sorrisi. –Un tuo amico assassino, intendi?- ironizzai. 
–Già. Un giorno ti faccio conoscere gli altri del Ragno.- decise. 
–Non so...- Incrociai le sue iridi gialle, trovandole fin troppo determinate per i miei gusti. 
–E invece sì. Così ti conoscono.- insistette. 
Poi mi abbracciò stretto e mi guardò negli occhi, sfiorandomi le labbra con le sue. 
–Ora però riposati. Appena stai meglio ti porto dagli altri. Contenta?- 
Stavo per ribattere qualcosa, ma mi zittì con un bacio. 
–Se ci sei tu mi va bene qualunque cosa.- risposi. 
Sorrise teneramente.

Poco tempo dopo mi ritrovai nel covo di quei pazzi, ma riuscii a sopravvivere. Nonostante tutto. 
Feci immediatamente amicizia con le ragazze, ed iniziai a rispettare Kuroro. 
Phinks era simpaticissimo ma mi metteva spesso in imbarazzo, dato che era il più malizioso di tutti. 
Comunque, avrebbero dovuto stilare una classifica per la “pervertitaggine”, in quell’organizzazione, non solo per il braccio di ferro. Certe volte, più che un gruppo di ladri ed assassini famosissimi, mi parevano seriamente delle suocere pettegole e ficcanaso. 
Coerente, no? 
Dopo un po’ di “esperienze” con loro, mi abituai agli amici di Fei, che ormai consideravo miei cognati e mie cognate.  
In fondo, io e Fei eravamo fidanzati... O sbaglio? Cioè, lui non mi ha mai chiesto esplicitamente “Vuoi essere la mia fidanzata?”, penso non gli sia nemmeno passato per la testa, per come è fatto, ma un certo qualcosa ci doveva pur essere, tra noi! No? Non ho ragione? 
Ok, io lo amavo (e lo amo) più di qualunque altra cosa o persona, ed ero (sono) certa che anche per lui fosse (sia) così. 
Anche se non me l’ha mai detto... Non mancava occasione per dimostrarmi quanto fossi importante per lui, ogni volta. 
Come quando aveva litigato con Phinks perché quest’ultimo aveva osato fare il Don Giovanni con me (pure lui però se le va a cercare!). Io, in quel momento, ero diventata rossa fino alle orecchie, e Fei era intervenuto. Appena uscii dalla sala scoppiò un casino spaventoso: urla, grida, rumore di cose che si rompono... Non volli sapere cosa stesse succedendo, ma il giorno seguente il castano aveva la spalla destra slogata e un livido all’altezza dello zigomo, oltre che una faccia da paura. 
Feitan lo inceneriva con lo sguardo ogni istante. 
Che banda di matti!

-Fei... Posso farti una domanda?- gli chiesi una volta, mentre passeggiavamo per la città deserta. 
Lui mi guardò incuriosito. 
–Certo. Dimmi pure.- mi incoraggiò. 
Allora presi un bel respiro e mi decisi a parlare: -Ti ricordi quando ci siamo incontrati? Ecco, se quella volta non mi avessi considerata “strana” ed “interessante”, cosa sarebbe successo?- 
Si fermò all’improvviso ed io gli rivolsi uno sguardo interrogativo. 
Espose un mezzo sorriso, ma era un sorriso molto, molto tirato. 
Ho sempre odiato quel genere di sorrisi. 
–Be’, se mi avessi risposto che sì, avevi paura, probabilmente ti avrei messa al muro...- rispose costringendomi con le spalle contro la parete di un palazzo. –Poi avrei “giocato” con te come fa il gatto col topo... Così...- continuò bloccandomi entrambi i polsi ai lati della testa e avvicinandosi pericolosamente al mio collo. 
Sentivo il mio cuore che batteva forte, sempre più forte, e probabilmente anche lui riusciva ad udirlo. 
Chiusi gli occhi quando arrivò a sfiorarmi la pelle. 
–Non ti potrei mai fare niente di male...- sussurrò per rassicurarmi. 
–Io mi fido di te.- risposi calcando le parole, però serrando ancora di più le palpebre e imponendomi la calma. 
–Ingenua...- lo sentii mormorare piano.  
Posò un bacio leggero all’altezza della vena giugulare. 
–Ed alla fine ti avrei uccisa, dopo essermi divertito...- ammise senza lasciarmi. Le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro. 
–Hai paura? Ti ho spaventata, vero?- chiese, evitando appositamente  di incrociare i miei occhi, di nuovo aperti. 
–No. Non mi fai mai paura, perché so che non mi farai mai del male...- sussurrai cercando di calmare i battiti accelerati. 
–Ma non sei al sicuro con me accanto...- obiettò incupendosi –Anche se non riesco a farti del male, ti metto in pericolo ogni istante...- 
Sorrisi radiosa. 
–E allora? Finché ci sei tu mi sento al sicuro.- 
Sollevò il capo, incredulo. 
–Certo che sei davvero strana, ragazzina...- mormorò accennando anche lui un sorriso. 
–Me lo dici sempre.- replicai incrociando le braccia al petto e facendo un’espressione penso assolutamente ridicola. 
Riuscii a farlo ridere. 
E quando rideva mi sentivo sempre felice, anche se non ho idea del perché. 
Forse era il veder sciogliere quel cuore di ghiaccio che mi scaldava. 
Mi sfiorò la guancia ed io mi buttai tra le sue braccia. 
–Sei una ragazzina coraggiosissima, Keyla.- sussurrò al mio orecchio, accarezzandomi i capelli.

Ehilà, eccomi tornata con un’altra storiella (lo so, ho rotto con le One-Shout, ma la prossima giuro sarà una Long-Fic!). 
Come state? Vi piace questa cosuccia (che poi non è altro che il completamento di quell’altra mia Fic, “Io e il Ragno”)? 
Ah, nell'immagine è Keyla. 
Come vi pare?
Ditemi tutto ed a presto,

Keyla

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