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Autore: ClarinetteM    18/03/2013    4 recensioni
Gli piaceva guardare il suo cibo morire, esalare l'ultimo, breve respiro. Adorava vedere il terrore negli occhi delle sue vittime, quello stesso terrore che lasciava spazio prima all'odio, quindi alla supplica, infine alla quieta rassegnazione. Il più delle volte, almeno.
Era, sempre, una meravigliosa scarica di adrenalina. Il sangue che sgorgava dalla tenerezza del collo, che si portava via la vita. Così caldo. Così dolce.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminava lentamente. Un passo cadenzato, pesante e sbilenco. Il passo degli ubriachi.
La luce lattiginosa del lampione ne illuminava la figura emaciata. Gli occhi, acquosi, semichiusi, erano immobili, intenti a fissare un punto non meglio precisato sull'asfalto.
L'uomo, perché nonostante tutto, almeno nelle fattezze era un uomo, si fermò. Alla sua destra, nello specchio buio del fiume, scintillava una falce di luna.
«Vecchio mio, stai proprio messo male.» Era una voce baritonale, impastata, ad aver parlato. La sua voce. E questo suono parve coglierlo di sorpresa.
Non aveva mangiato. Nulla. In compenso aveva bevuto. Troppo. La testa bionda gli girava così tanto, leggera com'era, che la debolezza del corpo passava in secondo piano.
Sedette sulla riva del corso d'acqua, ginocchia piegate e braccia sottili a stringere le gambe al petto. Una ciocca gli cadde sulla fronte. L'ignorò.
Come si chiamava la donna di quel pomeriggio? Mara, Sara, Lara... forse Carlotta, per quel che gli poteva importare al momento. L'aveva persa. Ne ricordava ancora l'odore, il profumo costoso di qualche boutique parigina cui lui non poteva nemmeno avvicinarsi, di sicuro. Rivide mentalmente l'invitante curva del seno. Ripassò i contorni del collo bianco e delicato. Pulsante.
Strinse i pugni, unghie nere nella carne, alla fitta che gli attraversò lo stomaco risvegliato dall'aria notturna e dal ricordo. Aveva commesso un errore a distrarsi, a lasciarla sfuggire.
Gli piaceva guardare il suo cibo morire, esalare l'ultimo, breve respiro. Adorava vedere il terrore negli occhi delle sue vittime, quello stesso terrore che lasciava spazio prima all'odio, quindi alla supplica, infine alla quieta rassegnazione. Il più delle volte, almeno.
Era, sempre, una meravigliosa scarica di adrenalina. Il sangue che sgorgava dalla tenerezza del collo, che si portava via la vita. Così caldo. Così dolce.
E poi nascondere i corpi. Prepararli. Per lui, solo per lui. Come potevano rifiutargli attenzioni le donne, da morte? Gli dedicavano serate intere. Notti macabre, le avrebbe definite la gente. Abominio, avrebbero detto. Meraviglia, diceva lui.
Il sapore della carne umana non ha eguali. «Maledettamente vero», rispose al suo stesso pensiero.
Poi sorrise. Si alzò. In lontananza vedeva danzare una mantellina rossa.
Era giunto il momento di tornare a caccia.

   
 
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