Quando Rayner Dash
bacia per la prima volta un ragazzo – no, non un ragazzo:
Gilbert, un anno più vecchio di lui, tutto muscoli solidi e
borchie e sorrisetti ironici sulle labbra sottili, il suo migliore
amico se solo avere migliori amici non fosse una cosa tanto da ragazze
– non è esattamente un’esperienza
piacevole: è umido e caldo e gli toglie il fiato per
l’emozione e per la paura, e Rayner è orrendamente
consapevole delle sue mani sudate e tremanti sulle spalle
dell’altro e dei suoi occhi serrati. Non riesce ad aprire gli
occhi nemmeno quando il contatto tra le loro labbra si rompe a poco a
poco, lentamente, quando un istante di silenzio diventa
un’eternità di terrore e speranza in cui il cuore
gli batte così forte contro il petto che sembra voglia
squarciarlo e fuggire lontano e lui pensa che forse, forse –
ma poi una mano grande e forte si abbatte sul suo viso e lui barcolla
all’indietro finché la sua schiena sbatte contro
il metallo freddo di un armadietto, e poi apre gli occhi e
può vedere solo l’espressione disgustata,
impaurita di Gilbert.
Quando le
speranze di Rayner che l’incidente rimanga per sempre sepolto
sotto il pavimento di quel corridoio si infrangono contro la
realtà e i pettegolezzi degli altri studenti della Ponyville
High, lui non ha più nemmeno un amico a cui rivolgersi
– ha un sacco di conoscenti, e alcuni ammiratori che adesso
sembrano non ammirarlo più così tanto, e
conosce perfino un paio di ragazzi negli Wonderbolts, la squadra di
football della scuola in cui ora probabilmente non avrà mai
l’opportunità di entrare. Il suo unico vero amico,
però, non c’è più, e solo
perché lui è stato tanto stupido da baciarlo.
Quando Rayner
comincia a pensare che non può farcela, quando i sussurri
diventano troppo rumorosi e gli sguardi una compagnia costante quanto
indesiderata, ecco che nella sua vita entra Patrick Pie, come un raggio
di sole che squarcia il grigio delle nuvole – o come un
tornado dalla forza distruttiva particolarmente elevata. Un giorno,
semplicemente, sbuca dal nulla in un turbine di riccioli neri e si
siede al suo tavolo – ormai vuoto – in mensa, e
comincia a parlargli, blaterando cose senza senso e rivolgendogli un
sorriso abbagliante, e Rayner più di una volta si chiede se
si fermerà mai. Insomma, tutti gli esseri umani hanno
bisogno di respirare, giusto? Quando glielo chiede, Patrick ride di
fronte alle sue sopracciglia aggrottate e al suo tono irritato, ed
è una risata allegra, di cuore. Rayner non può
fare a meno di sorridere a sua volta. Comincia a parlare anche lui e,
per la prima volta dopo tanto tempo, sente che può
finalmente avere una conversazione normale – anche se normale non
è proprio la parola che userebbe per definire se stesso, ora.
Quando un
ragazzo insulta apertamente Rayner per la prima volta in quel corridoio
in cui non avrebbe voluto passare mai più, Patrick
è l’unico tra la piccola folla che si è
radunata intorno a loro che cerca di trattenerlo. –
È solo una parola, Ray! – gli dice, guardandolo
con quei suoi occhi grandi e innocenti, ma Rayner quasi non lo sente,
perché è troppo concentrato ad ascoltare il rombo
del suo sangue, il battito frenetico del suo cuore, il suo respiro
veloce e rotto, il rumore così liberatorio dei
pugni che colpiscono la carne.
Quando
finiscono entrambi in punizione – l’altro ragazzo
è in infermeria, e Rayner prova una soddisfazione sadica e
bruciante nel pensare che è tutto merito suo –
Patrick gli dice che è un idiota e Rayner si rifiuta
categoricamente di rispondergli. Patrick scrolla le spalle, noncurante,
si abbandona contro lo schienale della sedia e incrocia le braccia
dietro la testa. – Una parola ha valore solo se tu le dai valore:
tu sei Rayner Dash, non frocio.
E ti piacciono i ragazzi, ma perché dovrebbe
importare a te o a quel ragazzo? Perché siete due idioti,
ecco perché ... a proposito, ci tengo a dirti che quello
è un idiota. Insomma, non vorrei che pensassi che io pensi
che solo tu sei un idiota, e invece penso che anche lui sia un idiota,
un idiota anche peggiore di te, solo che penso che sia un po’
idiota anche tu – si interrompe per un attimo e sbatte le
palpebre, gonfiando le guance paffute, come se persino lui si fosse
perso cercando di seguire la sua parlantina veloce: - Sì,
insomma, siete entrambi idioti. Duh
-. Rayner scuote la testa, esasperato, e nonostante tutto sorride.
Forse ... forse Pat non ha proprio torto.
E poi, un
giorno – ovviamente, ci vuole molto di più di un
giorno, ma c’è un momento bello e improvviso in
cui tutto diventa chiaro ai suoi occhi e, per lui, quello è il giorno –
Rayner capisce cosa Pat voleva dire quella volta, lo capisce davvero.
Quel giorno, fregandosene di cosa è da ragazza e di
cosa non può
fare e persino di cosa penseranno i suoi genitori e i
suoi compagni di scuola, quando esce per fare la spesa, tra un cartone
di latte e un pacchetto di caramelle gommose, compra anche della tinta
per capelli.
Quando
cominciano a chiamarlo
Rainbow Dash, a ridere alle sue spalle, a dire che
avrebbero dovuto aspettarselo o che questo è troppo anche
per lui, Rayner tiene la testa alta e li guarda negli occhi, tutti, uno
per uno. Pat si limita a ridacchiare e a passare le sue mani scure e
calde tra i suoi capelli, non importa quanto lui provi ad afferrargli i
polsi e a spingerlo via. Pat ride e arrotola una ciocca arancione
intorno al suo dito, poi la lascia e ne accarezza una verde, una viola,
una blu: - Mi piacciono di più così, Rainbow! -.
Quel soprannome suona bene, detto da lui.
Quando Pat si
tinge i capelli, dice che lo ha fatto perché quel colore gli piace, ed
è Rayner a ridere, un bizzarro calore che gli formicola nel
petto. – Tu sei pazzo – gli dice, ammirando il
contrasto tra la sua pelle scura e liscia e i suoi ricci morbidi,
voluminosi e rosa – un rosa acceso, sgargiante, sfacciato.
– Lo so! – sorride Pat, radioso, eccitato come un
bambino in un negozio di caramelle, continuando a toccarsi i capelli.
Quando Pinkie
– i loro simpaticissimi compagni di scuola hanno trovato un
soprannome anche anche a lui, ma Pat non sembra essersela presa
– ricambia il suo bacio e si stringe a lui e gli getta le
braccia al collo, Rainbow sa che questa volta non succederà
nulla di male. Smette di tremare, e lascia che una mano di Pinkie
risalga fino ai suoi capelli, ci passi le dita, stringa. Quando le loro
labbra si separano, sono ancora stretti l’uno
all’altro, e lui guarda negli occhi limpidi e pieni di gioia
del suo ragazzo e sa che questa volta ha scelto la persona giusta.