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Autore: M e g a m i    19/03/2013    8 recensioni
« Cosa diavolo stai facendo?! »
Grimmjow si voltò di scatto, allentando appena la presa sulla camicia del ragazzo, senza però abbassare la mano che era pronta a sferrargli un pugno in piena faccia.
Ecco, ci risiamo...
« Lascialo andare. », la udì scandire lentamente, guardandolo con aria minacciosa.
Lui ricambiò il suo sguardo, con orgoglio.
« ... E se non lo facessi? », sibilò a denti stretti.
« Provaci. Ti prego, provaci. Ho solo bisogno di una scusa per prenderti a calci nel sedere. »
Andava sempre a finire così. In un secondo, si era trasformata in una lotta di sguardi. Il povero ragazzo che non si sa neanche cosa avesse fatto per scatenare le ire di Grimmjow, aveva approfittato della sua distrazione per scappare.
Sì, perché ormai la sua attenzione era totalmente catturata.
Tatsuki Arisawa, diciassette anni.
Capelli: neri.
Occhi: castani.
Abilità speciali... incredibilmente brava a rompere i cosiddetti al re Grimmjow Jaegerjaques, attualmente costretto nei panni dello... studente delle superiori.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Arisawa Tatsuki, Jaggerjack Grimmjow
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NDA: Credo che sia il capitolo più lungo che abbia mai scritto. Spero che questo mi faccia perdonare almeno in parte per il mostruoso ritardo! xD
Davvero, ringrazio di cuore tutti quelli che continuano a seguirmi nonostante sia così lenta. E con una piccola lacrimuccia, vi informo che ormai stiamo volgendo al termine di questa storia. Ancora due/tre capitoli e intendo concludere. Quindi grazie, grazie davvero per avermi seguita con questa long un po’ tanto particolare, che tratta di un pairing ancor più particolare! :°)
Detto questo... ho deciso di trattare ormai alla fine di quello che è stato l’inizio. Ovvero... /rullo di tamburi/ ... come Grimmjow e Tatsuki si sono conosciuti!
Perché farlo ora? Perché voglio farvi capire quanto il loro rapporto si sia evoluto rispetto alla prima impressione. Ora in confronto si amano talmente tanto che mi fanno venire il diabete, puah.
E ora delle piccole precisazioni!
Giusto per essere chiari, visto che magari non tutti voi che seguite questa long siete Tatsumaniaci come la sottoscritta:
– la scena in cui Tatsuki vede il fragolo e il Grimmicio combattere esiste davvero, non è un parto della mia mente malata –come tutto il resto. Per essere precisi... capitolo 211, ultime pagine, potete controllare se siete diffidenti. Chissà che magari Kubo abbia disegnato quella scena proprio in previsione di un incontro tra i miei due adorati...! Sì, questo invece è un puro parto della mia mente malata.
– Tatsuki è davvero più minuta di Orihime. Oltre che ad essere di qualche centimetro più bassa, pesa pure una decina di chili in meno. Saranno le tette a far questa differenza?
– Tatsuki fa davvero parte del Comitato Disciplinare della Karakura Ichikō. C’è scritto chiaro e tondo sulla sua scheda. Ma come può farne parte se metà dei casini li combina lei quando si incazza? /schiva banco volante/
Vi ricordo anche che in Giappone non ci sono gli sms, bensì è possibile comunicare via mail attraverso il cellulare.
Infine, vi ricordo anche che quando ho iniziato questa long, Bleach non era ancora arrivato al punto in cui è adesso, quindi non potevo sapere che piega avrebbero preso gli eventi. Alcune cose sono inevitabilmente inesatte, anche se ho cercato di incastrare tutti i pezzi. Nella mia storia, Ichigo ha riacquisito i poteri da Shinigami prima dell’inizio della terza superiore, così come il ritorno di Grimmjow è avvenuto nella pausa tra la seconda e la terza. E ora, i nostri eroi non sono costretti ad affrontare dei nazi-Quincy, ma i soliti Hollow più un gruppo di Arrancar ribellatisi dopo la sconfitta di Aizen.
Concludo dicendo... AMATE URAHARA. AMATELO E BASTA. Lui shippa GrimmTatsu, date retta a me.
Beh, buona lettura! ♥
 
 
 
LA BELVA IN GABBIA.
 
 
 
 
 
 
   Tatsuki Arisawa fissò intensamente il termometro appeso al muro mentre usciva dalla sala professori.
   Trentatré gradi centigradi. Trentatré.
   Ed era solo un martedì mattina di fine giugno, appena l’inizio dell’estate.
   Certo, presto le vacanze sarebbero iniziate, ma avrebbe ancora dovuto sopportare qualche settimana prima di poter passare le giornate in casa, seduta a gambe incrociate davanti al ventilatore, con un ghiacciolo alla menta tra i denti.
   Furtivamente, si lanciò un’occhiata intorno, verificando che il corridoio fosse effettivamente deserto come sembrava. Le lezioni non erano ancora iniziate, mancavano ancora una ventina di minuti prima del suono della campanella. Quella mattina, si era dovuta recare a scuola in anticipo rispetto al solito per consegnare dei moduli all’insegnante che si occupava di amministrare il Comitato Disciplinare, ma non avendolo trovato, aveva preferito lasciarglieli sulla sua scrivania.
   Avrebbe anche preferito sostare qualche minuto di più nell’aula professori fornita di condizionatori, ma purtroppo agli studenti non era permesso desiderare un po’ d’aria in quell’afa asfissiante, come le avevano ricordato le occhiatacce degli insegnati lì dentro.
   Con una smorfia irritata mandò a quel paese le regole a cui tanto teneva, e si sfilò dal collo il nastro rosso, sbottonandosi la camicetta bianca a maniche corte fino all’incavo del seno. Ma subito abbassò lo sguardo su di sé con aria critica. Se si fosse trovata a parlare con un ragazzo più alto di lei, gli avrebbe offerto una discreta visuale. Arrossendo di colpo mentre si rendeva conto di chi fosse il ragazzo a cui aveva pensato involontariamente, si riallacciò i bottoni fino ad un’altezza più accettabile, per poi tentare di riassumere un’aria dignitosa lisciandosi le pieghe della gonna.
   Il caldo e l’estate le piacevano, ma in momenti come quello si ritrovava proprio a rimpiangere il freddo dell’inverno.
   O meglio, la freschezza della primavera.
   Riprendendo a camminare, non poté fare a meno di pensare a quanto diversa, quanto effettivamente fredda fosse la sua vita solo tre mesi prima.
   Per essere precisi, esattamente tre mesi prima...
 
 
 
   Era un martedì mattina di fine marzo.
   L’aria era ancora fresca, e il cielo non esattamente limpido. Un vento leggero soffiava smuovendo le verdi foglie neonate degli alberi, trasportando pigramente i petali dei ciliegi che fioriscono in primavera, per cui il Giappone è tanto famoso in tutto il mondo.
   Tatsuki Arisawa si strinse nella giacca, incrociando le braccia al petto, mentre osservava con aria critica i kanji su sfondo bianco che componevano la scritta Urahara Shōten. Il grigio delle nuvole rifletteva il suo umore.
   Nonostante fossero le undici passate, non c’era anima viva in giro. Non c’era traccia neanche dei due ragazzini, quello dalla chioma rossa spettinata e quella coi capelli legati in due codini, che erano soliti giocare davanti al negozio. Tutto le sembrava incredibilmente vuoto e triste. O forse era semplicemente lei che in quel periodo vedeva ogni cosa in quel modo, a partire da sé stessa. Pensieri e preoccupazioni che tutti si trovano ad avere alla soglia dell’ultimo anno di superiori, si diceva, senza riuscire a convincersi del tutto. La verità era che Tatsuki era veramente preoccupata per il proprio futuro, e non solo per il fatto che non avesse ancora deciso cosa fare della sua vita dopo il diploma. Vita che, ad essere sinceri, aveva cominciato a sembrarle solo un’enorme presa in giro da quando aveva appreso come stavano veramente le cose.
   Con un sospiro, si decise finalmente ad aprire lo shōji di legno e ad entrare.
   « Gomen nasai, siamo chiusi, ritorni un altro giorno, arrivederci! », la accolse la voce melliflua, modulata e noncurante di Kisuke Urahara non appena ebbe messo piede all’interno del negozio. Ma Tatsuki non si fece scoraggiare, sospettava che usasse sempre quella scusa coi clienti che riteneva “indesiderati”. Allentandosi la sciarpa che le teneva caldo il collo, avanzò tra gli scaffali colmi di liquori, candele aromatizzate e spezie, che con tutta probabilità servivano solo come parte dell’arredamento fittizio, oppure erano a uso e consumo del proprietario. Proprietario che non vide da nessuna parte, nonostante la sua voce l’avesse raggiunta. Ma le fu chiaro dove si trovasse non appena una piccola e scura figura dal passo felpato sbucò fuori dalla porta che dava sul retro, correndole incontro. Tatsuki rimase per un secondo interdetta, osservando la gatta dal pelo nero come la notte strusciarsi contro le sue gambe e regalarle una consistente dose di fusa. Prima di apprendere che in realtà quella gatta fosse una donna formosa dalla pelle del colore del caffè e gli occhi dorati, ogni volta che l’aveva vista le aveva sempre riservato una carezza affettuosa. Ora, invece, non aveva idea di come comportarsi. Fortuna che non l’avesse mai sentita parlare con la sua voce mascolina...
   « Yoruichi-san, deve proprio correre incontro a ogni signorina che viene a farci visita...? », finalmente Urahara si mostrò, facendo capolino dallo stipite e sollevando le tendine che separavano il negozio dal retro, usando la mano in cui teneva un ventaglio bianco. Yoruichi Shihōin rispose con un miagolio che a Tatsuki parve quasi canzonatorio, mentre si allontanava lei e tornava ondeggiando sinuosamente da Urahara, al fianco del quale si sedette, leccandosi una zampa e iniziando a pulirsi il muso.
   « Arisawa-san, buongiorno. Non mi ero accorto che si trattasse di lei, mi perdoni. », l’uomo le fece un leggero cenno del capo, tenendosi il cappello bianco e verde per evitare che cadesse. Tatsuki rispose con una scrollata di spalle, sviando lo sguardo prima che gli occhi di lui potessero posarlesi addosso. Quell’uomo la metteva sempre incredibilmente a disagio quando la scrutava col suo sguardo affilato.
   Fu in quel momento che si accorse che, oltre a quella strana coppia di ex Shinigami sul cui tipo di relazione preferiva non interrogarsi, c’era qualcun altro nell’edificio. Pian piano, aveva imparato ad individuare le reiatsu delle persone e a riconoscere quelle dei suoi amici. Dopotutto quella di Ichigo era... beh, inconfondibile.
   Così come quella di Orihime Inoue, che poteva percepire forte e chiara a dispetto dei muri di legno dell’Urahara Shōten.

   Allora ecco perché quella mattina Orihime non si era fatta sentire, come era solita fare. O meglio, in realtà nelle ultime settimane non si era fatta viva così di sovente come sua abitudine, ma Tatsuki non si era preoccupata. Sapeva che ce la stava mettendo tutta. E forse, anche in quel momento si stava allenando. Ultimamente passava parecchio tempo nella sala sotterranea del negozio, punteggiata di rocce brulle e col cielo di un finto azzurro. Qualche volta, Tatsuki era pure scesa a guardarla, in silenzio, senza farsi notare, per paura di disturbarla. E quello che aveva visto, aveva fatto nascere in lei un misto di orgoglio e stupore.
   Orihime era... davvero in gamba.
   Quello che le fece corrugare la fronte, quindi, fu un altro tipo di reiatsu, che non conosceva. Allora perché qualcosa dentro di lei continuava a ripeterle che non era affatto così, che sapeva bene a chi appartenesse? Non riusciva a ricordare, e la cosa la irritava, ma non solo. La sensazione di quella reiatsu le lasciava un retrogusto... intenso, quasi graffiante, l’avrebbe definito. Ma no, non era possibile. Con tutta probabilità doveva essere di qualche Shinigami in cui si era imbattuta una sola volta, ed era quello il motivo per cui non riusciva a rievocare il suo proprietario. Il disagio che provava era semplicemente causato dal fatto di aver dimenticato.
   Eppure c’era qualcosa che non andava, un pensiero che aveva preso a martellarle nella testa e non voleva saperne di lasciarle tirare un sospiro di sollievo. Perché quella reiatsu le sembrava incredibilmente simile a quella di un-...
   « In che cosa posso aiutarla? », la riscosse Urahara, interrompendo il filo dei suoi pensieri e facendola tornare alla realtà. Tatsuki sbatté le palpebre più volte, dimenticandosi per un attimo del suo proposito di non lasciare che gli occhi di Urahara si fissassero nei suoi. Distolse immediatamente lo sguardo. Odiava sentirsi così in soggezione, ma era più forte di lei.
   « Avrei bisogno di... di quelle pillole dell’altra volta. Le ho finite. »
   Con un gesto frettoloso, tirò fuori dalla tasca della giacca a vento quella che era molto simile a una confezione ormai vuota di caramelle, e la porse ad Urahara che se la rigirò tra le mani.
   Senza, le sembrava di impazzire. Ora capiva come doveva essersi sentito Ichigo da bambino, e perché si fosse rifiutato di dirle la verità, sul fatto che fosse davvero in grado di vedere i fantasmi. Era decisamente meglio fare finta di niente. Fingere che nulla di tutto quello che vedeva a differenza degli altri fosse reale. Eppure era ben difficile quando ad ogni angolo spuntava fuori un fantasma nuovo pronto a lagnarsi e a raccontarle vita, morte e miracoli del periodo che aveva trascorso sulla Terra.
   Era per questo che la prima volta si era recata al negozio di Urahara, accompagnata da Karin, la sorella minore di Ichigo. Con lui non aveva trovato il coraggio di parlare, e nemmeno con Orihime. Dopotutto, le lamentele che era costretta a dover sopportare ogni giorno erano niente in confronto a quello che dovevano affrontare loro, con un genere più... “rabbioso” di fantasmi. Si sarebbe sentita stupida ad esternare davanti ai suoi due migliori amici qualcosa che non poteva neanche essere definito un problema vero e proprio, ma solo una scocciatura. Karin, invece... era stata lei stessa a tirare fuori quell’argomento, con noncuranza, dandole il benvenuto nel club degli “psicologi dell’oltretomba”, come l’aveva definito lei. Tatsuki le era stata immensamente grata. Quella ragazzina che aveva visto nascere e a cui aveva fatto più volte da baby-sitter le era sempre stata simpatica. Non che non provasse un forte affetto anche nei confronti di Yuzu. Ma a volte, Karin le ricordava un po’ se stessa.
   « Signorina, lo sa che questo prodotto non è efficace al cento per cento, vero? », disse Urahara porgendole una nuova confezione, mentre un miagolio di Yoruichi Shihōin lo spinse a lanciare una breve occhiata alle sue spalle, verso il retro del negozio. « Un Hollow di rango superiore sarebbe perfettamente in grado di capire quanto lei sia... speciale. »
   Tatsuki aggrottò le sopracciglia osservando il flebile sorriso che a tali parole si era dipinto sulle labbra dell’uomo di fonte a lei, ma decise di lasciar perdere quella che le era suonata come una presa in giro bella e buona.
   Gli “Hollow di rango superiore” non venivano certo a cercare lei, e questo lo sapeva bene. Non era per scampare a loro che aveva preso il vizio di assumere regolarmente quelle piccole pastiglie colorate in grado di mascherare temporaneamente e almeno in parte la sua reiatsu. In questo modo, almeno, poteva scampare al suo ruolo di “psicologa”, visto che i fantasmi sembravano non accorgersi di quell’eccesso di forza spirituale che possedeva e che le permetteva di vederli. Nonché di sentirli blaterare cose incomprensibili.
   « Sempre meglio di niente. Quanto le devo? », domandò inutilmente come ogni volta, tirando fuori il portafogli, che come ogni volta Kisuke Urahara le impedì di aprire premendoci una mano sopra. Eppure, questa volte fece anche un secondo gesto che la ragazza non si aspettava, posandole l’altra mano sulla sua spalla, quasi come a volerla sospingere verso l’uscita.
   « Oh, non si disturbi, davvero... »
   Anzi, fu quello che fece, e neanche troppo celatamente.
   Tatsuki piantò i piedi per terra, contrariata. Spesso e volentieri non le andavano molto a genio gli atteggiamenti di quell’uomo fin troppo misterioso per i suoi gusti, ma mai l’avevano sconcertata come in quel momento. Sembrava quasi che la volesse cacciare via per nasconderle qualcosa. E contando il fatto che da qualche parte nel suo negozio ci doveva essere Orihime, la cosa non le piacque per niente. Che le fosse successo qualcosa durante l’allenamento?
   « Insisto. », si intestardì, decidendosi finalmente a guardarlo negli occhi. Urahara sembrò esitare un attimo, colto alla sprovvista. Ma poi si lasciò andare a un sospiro, facendo cadere la mano dalla sua spalla, come se si fosse rassegnato.
   « Anche io. », le sorrise con accondiscendenza, parendole quasi dispiaciuto per qualcosa. « Lei è un’amica di Kurosaki-san, dopotutto. E questo vuol dire che è anche una mia amica. »
   Tatsuki corrugò nuovamente la fronte. Ma questa volta non ebbe minimamente il tempo di interrogarsi sul perché il tono di Urahara, fattosi improvvisamente più alto e risoluto, le fosse sembrato quasi d’ammonimento.
   Successe tutto in fretta. Troppo in fretta per i suoi occhi castani, meramente umani. Un attimo prima, di fronte a lei c’era Kisuke Urahara, quello dopo, lui era stato spinto in malo modo di lato da una massa spettinata di capelli azzurri. Azzurri come il paio di occhi dal taglio affilato dai quali si sentì trafiggere. Ci mise una frazione di secondo di troppo per rendersi conto di chi si era prepotentemente impadronito del suo campo visivo, chinandosi su di lei con tutta la sua stazza, per poterla scrutare col suo sguardo indagatore. E il tentativo di Urahara di sdrammatizzare la situazione facendo le presentazioni fu totalmente inutile.
   « Arisawa-san, forse lei non conosce il signor Grimmjow Jaegerjaques-... », iniziò a dire, ma non appena si accorse della consapevolezza che prese a lampeggiare negli occhi della ragazza che aveva cercato di far uscire prima che fosse troppo tardi, si corresse con perplessità. « ... O forse invece sì. »
   In un attimo, ogni tassello era andato al suo posto nella mente di Tatsuki, e i ricordi mancanti le erano tornati alla memoria come un fulmine a ciel sereno.
   Lo conosceva, certo che lo conosceva. Conosceva i suoi capelli azzurri, il suo profilo marcato, l’espressione colma di odio e i suoi occhi glaciali traboccanti sete di sangue. E soprattutto, riconosceva la reiatsu che aveva sentito esplodere nel buio del cielo notturno quando quasi due anni prima aveva assistito a uno scontro tra lui e Ichigo, nel quale il suo amico di infanzia era stato ridotto a uno stato pietoso.
   Lo conosceva, e conosceva anche il suo nome.
 
   Non ti scordare il mio nome.
   Grimmjow Jaegerjaques.

   La prossima volta che lo sentirai, sarà la tua fine.
 
   E anche se quando le aveva sentite quelle parole non erano state rivolte a lei, ora quella minaccia le sembrò tangibile.
   « COSA DIAVOLO CI FA LUI QUI?! »
   Quasi non la riconobbe come la propria voce. Tutto le sembrava talmente surreale che non si rese conto di aver urlato con tutto il fiato e la collera che aveva in corpo finché non si ritrovò ad ansimare, cercando una risposta che non ottenne nello sguardo sfuggente di Urahara. Tutto quello che riusciva a pensare era...
   « Tatsuki-chan! »
   Orihime.
   L’abbraccio della sua amica quasi la travolse, e ancora una volta Tatsuki non riuscì a seguire il corso troppo veloce degli eventi, e forse neanche Grimmjow, che a sua volta si trovò bloccato da dietro dalla presa ferrea di Kisuke Urahara. Ai suoi piedi, Yoruichi Shihōin soffiava col pelo ritto sulla schiena e la coda.
   « Dov’è Kurosaki?! », l’Hollow urlò a sua volta a pieni polmoni. « Riesco a sentire la sua reiatsu addosso a te! Dimmi dove-...! », ma Urahara lo strattonò indietro, impedendogli di completare la frase.
   « Suvvia, signor Jaegerjaques, faccia il bravo, non mi spaventi i clienti... »
   Eppure Tatsuki non era spaventata, o almeno, non lo era più. Le era bastato sentirsi avvolgere dal calore delle braccia della sua amica per far scemare via la preoccupazione che le aveva attanagliato lo stomaco al pensiero che potesse esserle successo qualcosa. Ora, tutto quello che provava era un’incredibile rabbia.

   « Orihime, che diamine sta succedendo?! », le domandò, posandole le mani sulle spalle, quasi come se avesse bisogno di sentire ancora di più che la sua presenza era tangibile, e che stesse veramente bene. La scosse appena, fissandola intensamente, mentre lei si limitò a guardarla piena di dispiacere, prendendole le mani e stringendole nelle sue.
   « Vieni con me, ti spiegherò tutto, ma ti prego, calmati... »
   Mentre si lasciava guidare fuori dal negozio, Tatsuki non poté fare a meno di incrociare lo sguardo di Grimmjow, trattenuto quasi come un animale in gabbia. L’odio e la furia che trasmettevano i suoi occhi azzurri era quanto di più profondo avesse mai visto, e la scossero in un modo che non avrebbe neanche lontanamente creduto possibile.
   Orihime poteva chiederle tutto. Tutto, all’infuori di calmarsi.
 
 
 
   La seconda volta che si trovò ad affrontarlo faccia a faccia dopo quell’episodio, a proprio favore Tatsuki almeno poté dire di essersi sentita più preparata, e soprattutto, di non essersi lasciata andare a una reazione isterica. Anzi, forse reagì con più calma di quanto lei stessa si sarebbe aspettata, dopo aver passato più di una settimana a rimuginare sulle parole di Ichigo e le spiegazioni che lui e Orihime avevano cercato di darle.
   A quanto pareva, l’Arrancar Grimmjow Jaegerjaques, che una volta era stato al servizio di Sōsuke Aizen e aveva contribuito a tenere segregata Orihime Inoue nel cosiddetto Hueco Mundo, aveva accettato di stipulare un patto di collaborazione con gli Shinigami che tanto odiava, rinunciando alla sua posizione da Sexta Espada e a una sua eventuale, anche se non necessaria, dieta a base di anime umane.
   Tatsuki Arisawa non aveva creduto a una sola parola.
   Per questo aveva preso l’abitudine, o forse è meglio dire il vizio, di diventare l’ombra di Orihime ogni volta che, per un motivo o per l’altro, la ragazza si recava al negozio di Urahara, anche se spesso e volentieri quel motivo si riassumeva nel compito di controllare come l’irascibile nuovo inquilino di Urahara si stesse comportando. Ichigo le aveva chiesto di fargli questo favore quando lui non poteva, e Orihime non aveva potuto far altro che accettare di aiutarlo, nonostante Tatsuki avesse tentato più e più volte di convincerla a rifiutare. C’era anche da dire che, al contrario del suo atteggiamento quando si presentava Ichigo, davanti all’incarnazione della bontà d’animo che era la migliore amica di Tatsuki, nemmeno Grimmjow riusciva a rispondere con più cattiveria di qualche grugnito e smorfia infastidita, nonostante fosse evidente che era esasperato dai suoi tentativi di comportarsi in modo gentile. Era anche palese, infatti, che Orihime per prima si sforzasse non poco di sorridere come niente fosse ogni volta che andava a accertarsi che tutto stesse andando per il verso giusto. La presenza di Grimmjow la metteva a disagio. Le faceva rivivere cose che aveva deciso di celare per sempre nel suo cuore.
   Ma Tatsuki, forse, era quella che stava vivendo con maggiore tensione quella situazione. A volte si rendeva conto da sola di essere fin troppo apprensiva nei confronti di Orihime, e soprattutto, che la sua presenza non fosse davvero più utile che di quella di un’ombra. Eppure non era capace di mettersi l’anima in pace e lasciare che la sua amica si gettasse da sola tra le fauci di quella belva affamata e assetata di sangue – e no, il paragone non le sembrava affatto troppo esagerato. Nonostante questo, però, non si azzardava praticamente mai ad entrare con lei nel negozio, e quando raramente lo faceva, tendeva a tenersi in disparte, con le braccia conserte e lo sguardo vigile. Si sentiva una sorta di guardia del corpo. Scherzando, Orihime le aveva addirittura proposto di indossare un auricolare e paio di occhiali da sole.
   A dirla tutta, se non fosse stato che si sarebbe sentita ridicola, Tatsuki avrebbe preso volentieri in considerazione l’idea degli occhiali da sole. In questo modo, almeno, avrebbe evitato in parte le occhiate affilate che ogni volta Grimmjow le riservava, quando la sorprendeva a fissarlo con diffidenza. Perché la verità era che, per qualche motivo che trascendeva la sua già di per sé non trascurabile natura di Hollow... lo trovava insopportabile, a pelle.
   Era questo che stava pensando, osservando Ururu – la ragazzina coi capelli neri che lavorava e viveva nell’Urahara Shōten – sbocconcellare con calma esasperante un tramezzino, seduta su una cassa di legno girata al contrario. Anche lei tendeva a ritirarsi fuori dal negozio quando Grimmjow decideva di farsi vivo al piano terra, lasciando il campo sotterraneo dove passava la maggior parte del suo tempo ad allenarsi. Urahara le aveva spiegato che era perché la reiatsu di Ururu era particolarmente sensibile a quella degli Arrancar, che istintivamente considerava nemici naturali da eliminare, e che quindi sarebbe potuta diventare un problema non indifferente per il suo ospite, come gli piaceva definirlo, se fosse stata esposta ad un contatto prolungato con lui. Tatsuki non riusciva a concepire come una ragazzina che le sembrava così timida e indifesa potesse addirittura rappresentare un problema per un Arrancar di livello Espada, ma ormai aveva imparato a non stupirsi più di nulla, e soprattutto, a non giudicare dalle apparenze. Beh, Arrancar di Livello Espada coi capelli azzurri e occhi in tinta a parte.
   Dentro al negozio, intanto, si poteva udire forte e chiara la voce di Orihime che con una risatina nervosa cercava di ristabilire la pace, e di far capire a Grimmjow che non era bello comportarsi ed esprimersi come spesso e volentieri faceva quando perdeva la pazienza, cosa che era appena successa. Urahara aveva tentato di mettergli in mano una scopa in modo che aiutasse a tenere pulito il negozio in cui viveva “a scrocco”, ma lui, in tutta risposta, aveva spezzato in due il manico, minacciandolo di infilarne le estremità dove non gli avrebbe fatto piacere sentirle. Suo malgrado, lo stesso ex Shinigami dai capelli color paglia si era visto costretto a desistere di fronte alla sua parlantina regale, e concedergli il privilegio di oziare in casa sua. Perché quelli di casa sua, al momento, erano i confini della gabbia in cui Grimmjow era obbligato a restare, a meno che Urahara in persona o un altro Shinigami non si fosse preso il disturbo di fargli da baby-sitter e accompagnarlo fuori. Cosa che non accadeva mai se non quando spuntava da qualche parte un Hollow che doveva essere eliminato.
   Tatsuki si chiese cosa diavolo stesse facendo lì.
   Grimmjow Jaegerjaques era tenuto più che sotto controllo. E in ogni caso, a suo discapito, c’era da dire che oltre a quelle minacce sboccate non si era mai azzardato ad alzare un dito su nessuno... a parte Ichigo, ovviamente, che ogni volta che si faceva vivo veniva letteralmente trascinato nella sala sotterranea e costretto a fargli da sparring partner. Lo starsene lì fuori ad ascoltare quelle stupide conversazioni, aveva il potere di fare sentire Tatsuki solo inutilmente apprensiva. E infreddolita, visto che in quei giorni l’inverno sembrava non ancora disposto a ritirarsi del tutto.
   Sistemandosi dietro un orecchio una ciocca ribelle smossa dal vento, considerò l’idea di entrare ed avvisare Orihime che se ne stava andando. Ma il solo vedere Grimmjow le avrebbe fatto venire un incredibile prurito alle mani, così si limitò a fare un cenno del capo a Ururu, che rispose educatamente, e ad incamminarsi verso la villetta in cui viveva con la sua famiglia, distante non più di cinque minuti a piedi da dove si trovava. Spesso si era chiesta come fosse possibile che fino a pochi anni prima non avesse mai notato l’Urahara Shōten, nonostante conoscesse i dintorni di casa sua come le proprie tasche. Quando l’aveva fatto notare al proprietario, lui aveva aperto con uno schiocco il ventaglio bianco e le aveva risposto che il suo negozio era sempre stato lì, ma che forse lei non aveva mai guardato con attenzione.
   Scuotendo la testa, decise di mandare comunque una mail ad Orihime, per non farla stare in pensiero nel caso fosse uscita e non l’avesse trovata.  Stava giusto tirando fuori il cellulare, sperando che la batteria quasi scarica non l’avesse abbandonata del tutto, che questo si mise a vibrarle in mano.
 
   Orihime:                                                                                                                                                                              03:36 pm
Tatsuki-chan, senti... non è che per caso hai incontrato Grimmjow, lì fuori?
Aveva detto che sarebbe uscito a prendere una boccata d’aria, ma non è ancora rientrato in negozio. (^_^;)
 
   Tatsuki corrugò la fronte.
   E rilesse il messaggio più e più volte, cercando di trovarci un significato logico, qualcosa che le potesse essere sfuggito, una dannata spiegazione. Orihime l’aveva presa forse per una stupida, scrivendole in quel modo tranquillo, come se non fosse successo niente di importante? Si rese conto che la sua fronte si era imperlata di sudore freddo solo quando l’ennesima folata di vento le fece venire i brividi.
   C’era posto per un unico pensiero nella sua mente: Grimmjow non poteva uscire a prendersi una boccata d’aria. Questo violava tutti i patti.
   Si girò di scatto, tornando con lo sguardo a scrutare il negozio ormai a parecchi metri alle sue spalle. Non c’era anima viva lì nei dintorni, anche Ururu era rientrata, probabilmente richiamata all’interno da Urahara. Tutto le sembrava immobile e calmo. Fin troppo immobile e calmo.
   Era assurdo, impossibile. Quanto tempo poteva essere passato da quando Grimmjow era uscito, violando i suoi confini di restrizione? Non più di quello impiegato da lei stessa per percorrere un centinaio di metri. Solo pochi minuti prima l’aveva sentito sbraitare all’interno del negozio, davanti al quale era rimasta proprio perché così sarebbe stata in grado di sorvegliarne l’uscita. Come aveva potuto distrarsi così? Avrebbe dovuto accorgersene, dannazione, prestare più attenzione alla sua...
   ... Reiatsu.
   Il respiro sembrò quasi morirle in gola, come dopo una brutta caduta. La sua stretta si serrò tanto sul cellulare che quasi avrebbe potuto ridurlo in briciole, mentre ogni suo muscolo si irrigidiva progressivamente. Si sentì un pezzo di legno mentre deglutiva, tornando a voltarsi e a posare lo sguardo di fronte a sé.
   E lui se ne stava lì, in mezzo alla strada, accovacciato, con i gomiti appoggiati sulle gambe piegate. Come se stesse solo attendendo che lei si avvicinasse per attaccarla. Adesso che lo poteva osservare con la mente più lucida rispetto a una settimana prima, si rese conto che non indossava i vestiti bianchi che gli aveva visto la notte in cui aveva combattuto contro Ichigo, abbigliamento che gli aveva conferito un aria ancora più sovrannaturale. Ora, invece, tutto in lui sembrava in un certo senso più... umano. Era questo l’effetto dei gigai, i corpi artificiali realizzati da Kisuke Urahara? La cosa le diede i brividi. Se non avesse saputo chi era, se non avesse avuto l’abilità di percepire la forza schiacciante della sua anima vuota e corrotta, forse sarebbe stata anche capace di avvicinarlo per chiedergli se si fosse perso e avesse bisogno di aiuto. Come una stupida, ingenua umana.
   Ricominciò a camminare.
   Come sperava, il suo passo risoluto non tradì la sua esitazione. Per una volta in vita sua, Tatsuki si scoprì a ringraziare la sua caparbietà, che le infondeva tutto il coraggio necessario a dimostrarsi più sicura di quanto in realtà si sentisse. Con ironia, si ritrovò a pensare che se era proprio così che doveva finire, sarebbe stato meglio andarsene incontro alla morte con una certa dignità piuttosto che cercare di fuggire a gambe levate.
   Anche perché non sarebbe servito a niente, se non a rendere la caccia più divertente per lui.
   Era decisa a superarlo, dargli l’importanza di una formica, di una crepa nell’asfalto, o almeno, di fargli credere che questa fosse la considerazione che gli riservava. Sentiva l’adrenalina scorrere dentro di lei, il cuore martellarle all’impazzata nel petto come se ogni battito potesse essere l’ultimo. Il suo viso però era una maschera di pietra, che non lasciava trasparire nessuna emozione particolare, men che meno l’ansia che diventava più forte ad ogni passo. Voleva dimostrarsi forte, benché non si sentisse affatto così. E voleva dimostrare a lui quanto poco lo temesse, nonostante sapesse quello di cui poteva essere capace.
   Ma evidentemente Grimmjow non aveva affatto intenzione di essere ignorato o sminuito.
   « ... Cerchi di scappare perché hai paura? »
   Il suo tono beffardo la colpì con la violenza di uno schiaffo non appena l’ebbe sorpassato di un passo. Tatsuki si bloccò.
   E ancora prima di rispondergli, si diede della stupida orgogliosa e impulsiva.
   « Non mi sembra di averlo mai detto. », replicò con tono secco e irritato, senza però osare voltarsi. Nonostante ormai il suoi buoni propositi di ignorarlo fossero andati all’aria, voleva mantenere una parvenza di superiorità e indifferenza.
   Cosa che le divenne incredibilmente difficile quando all’improvviso una folata di vento la colpì e avvertì che la vicinanza tra di loro era diventata nulla. Lo sentì alle proprie spalle, che si chinava su di lei, accostando le labbra al suo orecchio. La sua voce uscì in un sussurro, ma non per questo risuonò meno minacciosa o tagliente.
   « Sono le tue azioni che parlano per te. »
   Non lo aveva sentito alzarsi. Né camminare fino a raggiungerla. Com’era possibile che si muovesse così silenziosamente e velocemente anche dentro un gigai che Urahara le aveva assicurato fosse stato costruito appositamente per contenere la sua reiatsu e i suoi poteri da Hollow? Ma non furono solo questi pensieri che la tormentarono in quel momento. Perché Grimmjow era decisamente troppo vicino. E quel contatto flebile tra i loro corpi ebbe la capacità di farla irrigidire all’inverosimile e rabbrividire per un motivo che non aveva niente a che fare con il freddo.
   Ma Tatsuki Arisawa rimaneva Tatsuki Arisawa. E nonostante il suo cuore avesse rischiato di rimanere vittima di un infarto, il suo coraggio, o meglio, la parvenza di coraggio che era abituata a sfoggiare, non vacillò nemmeno un istante. Anzi, prese letteralmente fuoco alle parole provocatorie che Grimmjow aveva riempito di scherno, come a volerla sfidare implicitamente.
   E Tatsuki non si sarebbe di certo tirata indietro davanti a una sfida.
   « Ah, sì? E cosa dicono le mie azioni, sentiamo? », si voltò a fronteggiarlo, incontrando con fierezza il suo sguardo. Non le sfuggì il lampo di sorpresa che fece spalancare i suoi occhi azzurri.
   « ... Che sei davvero stupida, per essere un’umana. », Grimmjow replicò, corrugando la fronte.
   Decisamente, non si era aspettato quella reazione.
   Così come non si era aspettato la reazione che lei aveva avuto quando si erano visti per quella che lui era convinto fosse la prima volta. Si era comportata quasi come se lo conoscesse, come se lo conoscesse bene, e non solo di sentito dire.
   L’essere riconosciuto, l’aver causato quell’attimo di panico, però, in un certo senso gli aveva fatto piacere. Era ormai da troppo tempo che veniva trattato come una presenza naturale da Ichigo Kurosaki, Orihime Inoue e Kisuke Urahara. Quando lo guardavano, loro sembravano non vedere la sua natura. Lui era un Hollow, un Arrancar, un Espada, per la miseria. Un minimo di timore reverenziale era forse chiedere troppo?
   Ma quel piacere che aveva provato era scemato via in fretta. Perché non appena aveva rivisto Tatsuki Arisawa, Grimmjow Jaegerjaques si era reso conto che ciò che aveva causato la sua reazione non era stato affatto timore reverenziale.
   Ogni volta, il modo di comportarsi di lei lo lasciava sconcertato. Non aveva senso. Non sapeva mai cosa aspettarsi quando se la trovava di fronte, perché lei faceva sempre tutto il contrario di quello che lui si aspettava sarebbe successo. Semplicemente, non capiva.
   E il non capire lo faceva infuriare. L’essere messo in discussione, lo faceva infuriare.
   Perciò quel giorno, a differenza di altri, spinto dall’istinto aveva deciso di seguire quell’umana, quell’amica di Orihime Inoue, concetto che lui non afferrava a pieno. E forse era per questo che non aveva mai compreso per quale assurdo motivo quella... come si chiamava, poi?, ogni volta seguiva la sua amichetta dai capelli ramati quando questa si recava al negozio di Urahara per controllare come andassero le cose. Insomma, per assicurarsi che lui stesse facendo il bravo animale da compagnia. Cosa che trovava terribilmente irritante, doveva ammetterlo. Almeno quando si presentava Ichigo poteva sfogare la sua irritazione pestandolo nella sala sotterranea – e ogni tanto, concedendogli l’onore di farsi pestare a sua volta – ma quando si trattava di Inoue... beh, nei suoi confronti aveva qualche piccolo debito. L’aveva guarito più di una volta, e cose così. Era sicuramente per quello che il suo orgoglio gli impediva di trattarla come ogni umano si meritava di essere trattato, né più né meno.

   E poi c’era quell’umana, quella – evidentemente – stupida umana, coi capelli e gli occhi scuri. Occhi scuri che non mancavano mai di lanciargli occhiate di puro odio e ammonimento, come se tutti i mali dell’universo fossero colpa sua, e come se fosse sul punto di commetterne altri da un momento all’altro. Forse ce l’aveva con lui per la storia del rapimento di Inoue, o forse perché era in perenne sindrome premestruale, Grimmjow non lo sapeva. Sapeva solo che tra tutti, quell’essere insignificante per lui non riusciva ad essere così insignificante. Semplicemente, non la sopportava. E sopportava ancora meno i suoi sguardi penetranti e accusatori. Non aveva nessun diritto di giudicarlo, né di sottovalutarlo. Perché era questo ciò che evidentemente faceva, e che stava facendo anche in quel momento preciso.
   Quella stupida umana non voleva capire, o forse non poteva capire. Doveva essere così, per forza. Perché nessun essere dotato di intelligenza o almeno di un minimo di spirito di osservazione, avrebbe rischiato volontariamente di mettere a repentaglio la propria vita prendendo così alla leggera lui, il re. E osato stargli così vicino, senza indietreggiare e avere la decenza di mostrare un minimo di... paura.
   « Anzi, a pensarci bene, forse è proprio per il fatto che tu sia umana, che sei stupida. », aggiunse, piegando le labbra in una leggera smorfia di arrogante disgusto e affilando lo sguardo, mentre nel vano tentativo di intimidirla si piegava ancora di più su di lei, la cui stazza era irrisoria a confronto. Era ancora più bassa e minuta di Orihime Inoue, e senza nessuno dei suoi poteri per difendersi. Come poteva pretendere di sostenere il suo sguardo con tanto orgoglio?
   « Sai, lo prendo come un complimento. », la sentì sibilare in risposta, evidentemente offesa a dispetto delle sue parole. Quasi gli venne da ridere per l’assurdità di quella situazione. Allo stesso tempo, però, provava un incredibile disprezzo.
   « Perché vieni sempre qui? Ti piace così tanto vedere... la belva in gabbia? »
   Suo malgrado, Tatsuki si sentì sconcertata. Ma non cedette.
   « Mi piace vedere che Orihime sia al sicuro. »
   Grimmjow sbottò in una risata.
   « Quell’umana non rischia niente. Non ho mai alzato un dito su di lei nemmeno nell’Hueco Mundo. », tecnicamente non era esatto, ma quando aveva afferrato la sua gola sollevandola da terra, era ben consapevole che ormai Ichigo si fosse ripreso. L’aveva fatto solo per provocarlo, per così dire. Sapeva che lui l’avrebbe fermato. Quindi lui non era colpevole, no? « ... Anzi, mi hai ricordato che mi deve un favore per averle tolto dai piedi un paio di stronze che l’avevano conciata da buttare. », esatto, lui l’aveva protetta, una volta. Non aveva fatto niente di male. Niente per meritarsi la tacita e perenne accusa negli occhi di Tatsuki.
   Tatsuki che quasi trasalì a sentirgli dire quelle parole, Orihime non le aveva mai accennato di nessun paio di stronze. Mentalmente, si appuntò di rimproverarla a dovere più tardi. Se un “più tardi” per lei ci fosse stato, s’intende.
   « Non le farò del male. Non ci si prova gusto... con una come lei. »
   Perché il sorriso folle di Grimmjow sembrava proprio prometterle che quel “più tardi” non sarebbe mai arrivato.
   Provò a mantenere la freddezza. Urahara e i suoi dipendenti, Orihime, e forse anche Ichigo dovevano essere in stato di allerta. Con tutta probabilità, proprio in quel momento stavano cercando Grimmjow, e ben presto lo avrebbero trovato. Non c’era bisogno di agitarsi per niente.
   Ma non era solo questo. La verità era che Tatsuki non si sarebbe mai perdonata se avesse dimostrato di sentirsi in soggezione e... impaurita.
   Cercò di prendere tempo.
   « ... Però con una come me sì. Perché? », chiese, tenendo sotto controllo il tono di voce.
   Grimmjow non lo sapeva.
   O meglio, la risposta che da quando l’aveva incontrata cercava di darsi, non lo soddisfaceva più. Non era solo odio, quello che provava e che gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Né “astinenza da omicidio”. Per lui non era mai stato un bisogno, un piacere innato, ed erano ormai lontani i tempi in cui era costretto ad uccidere per dimostrare la propria superiorità.
   Lui preferiva... giocare. Divertirsi, in un malato gioco di distruzione. Di altri, di sé stesso. Non era necessario arrivare alla morte. Quella sopraggiungeva solo quando finiva per perdere la pazienza, o l’interesse. Forse ultimamente si stava annoiando, era per questo che quell’umana sembrava rappresentare una sfida così appagante, nonostante la sua evidente inferiorità? Forse era a corto di prede, di rivali.
   Forse il suo ego aveva bisogno di qualcuno con cui confrontarsi, per riuscire a considerarsi superiore sempre e comunque, e non sentire su di sé il giudizio ingiusto di occhi scuri di sorta.
   « Perché le belve combattono solo contro altre belve. », sibilò.
   Io non sono una belva, sono un demone.
   O almeno, prima Tatsuki lo era. Prima che cominciassero a spuntare veri demoni e veri mostri proprio davanti a lei. Prima che cominciasse a sentirsi talmente piccola e insignificante da non incutere timore a nessuno. Per questo non avrebbe ma ceduto. Ne andava del suo orgoglio, lo doveva a sé stessa.
   Le parole di Grimmjow però l’avevano colpita. Una belva, era così che la vedeva? Le sembrava ridicolo. Una presa in giro bella e buona. Dall’alto della sua superiore arroganza di Hollow, per lui doveva essere soltanto una preda. O meglio, uno spuntino.
   Assottigliò a sua volta lo sguardo, incrociando le braccia.
   « Sai, da bambina mi hanno insegnato che non si gioca né si scherza con il cibo. »
   Grimmjow rimase sconcertato. E nonostante tutto, avrebbe quasi riso a quella specie di battuta sarcastica, se non fosse stato che in quello stesso istante qualcosa attirò la sua attenzione, risvegliando tutta la sua ira.
   Qualcosa che attirò anche l’attenzione di Tatsuki, che si voltò nella direzione in cui improvvisamente sentì provenire una reiatsu che conosceva bene.
   « Urahara-san sa che sei qui. », disse, nonostante non ce ne fosse bisogno, cercando di mascherare un certo sollievo, che però scemò via non appena tornò a posare lo sguardo su Grimmjow e sui suoi lineamenti distorti dalla rabbia.
   « Urahara-san non sa niente di niente. », lo udì ringhiare tra i denti, mentre scrutava la strada di fronte a lui, per poi tornare a fissare lei coi suoi occhi pieni di glaciale rancore. « Tu non sai niente di niente. »
   Tatsuki aprì la bocca per replicare, ma non riuscì a dire niente, e non perché la paura l’avesse zittita. Un sentimento diverso l’aveva involontariamente colpita: qualcosa di molto simile alla compassione, che non si sarebbe mai aspettata di provare per un essere come lui.
   Ma non ebbe il tempo di pensarci troppo, perché quell’essere prese a camminare e la superò, prendendo dentro senza tanti complimenti la sua spalla, e andando incontro a Kisuke Urahara che finalmente aveva deciso di degnarli della sua presenza. Girandosi e incontrando il suo sguardo, Tatsuki non poté fare a meno di chiedersi se quell’uomo ambiguo che ora si stava sollevando il cappello e le stava facendo un lieve inchino in segno di riconoscenza, in realtà non avesse saputo fin dall’inizio dove Grimmjow fosse, e avesse usato quella sua breve fuga per verificare come si sarebbe comportato senza “guinzaglio”, davanti a una semplice umana come lei. Con un misto di sconcerto e di disappunto, Tatsuki si rese conto che se era davvero così che stavano le cose, allora Grimmjow aveva superato la prova a pieni voti, visto che non aveva alzato neanche un dito con l’intenzione di farle del male.
   E con ancora più disappunto, si rese conto di non essere in grado di distogliere lo sguardo dalla sua figura che le dava la schiena, con le mani infilate nelle tasche dei jeans, finché non rientrò nel negozio e sparì dalla sua vista.
   Solo a quel punto, e con un po’ di rimorso, si chiese dove fosse Orihime. Probabilmente era andata a cercare da tutt’altra parte. E ancora più probabilmente, era in pensiero perché non aveva ancora ricevuto una risposta alla mail che le aveva mandato.
   Tatsuki rimase a fissare per parecchi secondi la schermata del suo cellulare. Poi, digitando velocemente i tasti, scrisse poche parole.
 
   C Tatsuki :                                                                                                                                                                              03:54 pm
No. Non l’ho visto da nessuna parte.
 
   Si pentì di quella bugia nello stesso istante in cui premette “invio”.
 
 
 
   Dopo quell’episodio, Tatsuki non si recò più all’Urahara Shōten.
   Aveva deciso di accantonare l’Arrancar Grimmjow Jaegerjaques in un angolo remoto della propria mente. In fondo, lui non era qualcosa che la riguardava, né qualcuno di cui avrebbe dovuto preoccuparsi troppo. Ogni giorno, per tranquillizzarsi, non faceva che ripetersi che la situazione era sotto controllo, e che né Orihime, né Ichigo, né nessun’altro correva un pericolo reale.
   La verità era che quella pietà che aveva provato nel vedere Grimmjow farsi ricondurre nella sua “gabbia” senza la minima opposizione, come un feroce animale ammaestrato, l’aveva turbata più di quanto fosse disposta ad ammettere con sé stessa.
   Pure, era anche vero che aveva altre cose più pressanti a cui dover pensare. Cose come comprare i nuovi quaderni e i libri di testo, stirare la propria divisa scolastica, impazzire per cercare di ricordarsi in quale diavolo di cassetto avesse messo il suo fiocco rosso con la spilla della scuola, cercare di domare la propria chioma ribelle per non fare la figura della teppista quando avrebbe dovuto accogliere i nuovi studenti di prima superiore in qualità di membro del Comitato Disciplinare... Inutile dire che, come ogni anno, dopo svariati tentativi si fosse arresa all’evidente irrealizzabilità quell’ultimo obiettivo.
   Così, il primo giorno del suo ultimo anno scolastico, si limitò ad infilare camicia bianca, gonna e giacca grigia, e sul braccio sinistro, la sua fascetta rossa e oro da membro del Comitato.
Guardandosi allo specchio con le mani sui fianchi, non si sentì orgogliosa come la prima volta che l’aveva indossata. Dentro di sé la vedeva un po’ come una presa in giro, una farsa, come quello che ormai la sua vita scolastica era diventata. Ma in fondo, pensò con un alzata di spalle mentre afferrava la propria borsa a tracolla, dopo la cerimonia di apertura non sarebbe stata costretta a mettersela tutti i giorni visto che aveva prontamente rifiutato di ricoprire la carica di presidentessa, alla quale, prima che la percezione della sua vita venisse stravolta, aveva segretamente ambito.
   Fortunatamente, con l’arrivo di aprile anche la temperatura si era alzata, così Tatsuki poté evitare di prendere sciarpa e giubbotto uscendo di casa, nonostante fosse piuttosto presto e l’aria mattutina fosse ancora frizzante. Il tragitto verso la scuola era breve, ma a lei piaceva alzarsi in largo anticipo e fare le cose con calma. Svegliarsi in ritardo per lei era come iniziare male la giornata. E fare le cose di fretta, la rendeva ancora più nervosa di quanto già non fosse normalmente di suo.
   Alzando gli occhi al cielo limpido e promettente una giornata serena, si chiese se Orihime  si fosse già svegliata. Con tutta probabilità, in quel momento si stava lavando pigramente i denti, con i lunghi capelli tutti arruffati e con un piede ancora nel mondo dei sogni. Le scappò un sorriso. Invidiava la spensieratezza con cui la sua amica riusciva a gestire una vita che era dieci volte più complicata della sua.
   Quando infine svoltò sulla strada principale e varcò i cancelli della Karakura Ichikō, Tatsuki la trovò più gremita di studenti di quanto aveva creduto sarebbe stata. Facce nuove e spaesate le dissero che almeno la metà di quegli studenti, se non oltre, doveva appartenere a primini troppo emozionati per rimanersene a casa un minuto di più. Con una punta di fastidio, notò inoltre che alcuni di quei primini erano più alti di lei di una buona spanna, e che sgomitavano a destra e a manca senza alcun riguardo, ostruendole quasi del tutto la visuale, nonché impedendole di avanzare. Sistemandosi sul braccio la fascetta in modo da metterla in bella mostra, concluse che fosse il caso di comunicare la propria presenza con qualche secco: « Permesso. ». Almeno un paio ebbero la compiacenza di lasciarsi intimidire e le cedettero il passo.
   Rinunciando a guardarsi intorno per controllare se ci fosse qualcuno che conosceva, visto che sarebbe stata costretta ad alzarsi in punta di piedi per farlo, decise di dirigersi verso la palestra, in modo da verificare come stessero andando i preparativi per la cerimonia di apertura, e nel caso, dare una mano a sistemare quello che poteva.
   Fu in quel momento che un colore di capelli stranamente vivace catturò la sua attenzione.
   Perché tra la folla intravide una chioma ramata che conosceva più che bene, ma che non apparteneva ad Orihime.
   Era strano che Ichigo si fosse recato lì così presto. Tatsuki aveva pensato che, essendo quello il primo giorno come studentesse delle medie per Yuzu e Karin, avrebbe accompagnato le sue sorelle a scuola, almeno per frenare la smania di fare foto a manetta che avrebbe sicuramente preso il controllo del corpo di Isshin Kurosaki. Con una smorfia, Tatsuki ricordò quando era stata lei stessa insieme ad Ichigo ad essere costretta a prestarsi come soggetto per quelle foto, nella sua seifuku nuova di zecca.
   Sistemandosi la tracolla sulla spalla decise che, visto e considerato non aveva tutta questa fretta di mettersi a spostare sedie e appendere cartelloni di benvenuto in palestra, fosse il caso di andar a rimproverare Ichigo per i suoi mancati doveri di fratello maggiore, e sentire quale scusa avrebbe campato per aria in sua discolpa.
   Cercando di farsi nuovamente strada tra gli studenti, quindi, si incamminò verso il lato ovest dell’edificio scolastico, dove lo aveva visto di sfuggita. Lì c’era meno gente, per lo meno. Infatti le fu possibile notare solo in quel momento, mentre si avvicinava, che Ichigo sembrava intento a discutere animatamente con qualcuno.
   Qualcuno che indossava un paio pantaloni grigi, una camicia bianca sbottonata quasi fino al petto, e una giacca altrettanto grigia appoggiata sulle spalle con noncuranza. [NDA 2: Un modello, insomma.]
   « ... Dimmi che è uno scherzo. »
   Ma purtroppo non lo era.
   E per Tatsuki fu chiaro come il sole che splendeva in quel cielo d’aprile non appena gli occhi azzurri di Grimmjow, dilatati per la sorpresa e l’irritazione di essere stato interrotto, si posarono su di lei, investendola con la stessa delicatezza di una doccia fredda. Tutti i pensieri e le preoccupazioni che Tatsuki aveva cercato di mettere da parte in quelle ultime settimane, tornarono ad affollare la sua mente, e per un lungo istante si sentì sopraffatta.
   Quasi sobbalzò quando sentì la mano di Ichigo posarsi sulla sua spalla.
   « Tatsuki, aspetta prima di saltare a conclu-... »
   « Aspetta un accidente! », sbottò, costringendosi a spostare lo sguardo su di lui. « Cosa diavolo ti passa per la testa, eh, Ichigo?! », si scostò, spingendogli via la mano con un gesto scontroso.
   Lui ammutolì. Davanti alla rabbia e all’apprensione nel tono della sua amica di infanzia gli era sempre stato difficile reagire con eguale forza. Chiuse gli occhi, trattenendo un sospiro mentre si ravviava capelli già abbastanza spettinati. Era proprio questo che avrebbe voluto evitare. Tatsuki non era il tipo da accettare di buona grazia una situazione scomoda. Aveva messo in conto di prenderla da parte, spiegarle tutto con calma, fare in modo che vedesse le cose nel loro insieme, presentandogliele sotto la luce migliore possibile. Già una volta aveva sbagliato, tagliandola fuori dalla sua vita anche se con il solo scopo di proteggerla, ma l’averle mentito e voltato le spalle era qualcosa per cui ancora faceva fatica a perdonarsi. Lui e Tatsuki avevano sempre condiviso tutto, fin da bambini. Per di più, solo poche settimane prima aveva fatto un altro errore di calcolo, permettendo che quei due si incontrassero all’improvviso, senza il tempo di metabolizzare la presenza dell’altro, e si era ripromesso che non sarebbe più capitato. Perché il carattere incredibilmente impulsivo di entrambi era una bomba ad orologeria che sembrava sul punto di esplodere ogni volta che si trovavano a meno di due metri di distanza. Orihime Inoue non aveva affatto esagerato quando aveva utilizzato quelle parole per descrivere il loro incontro nel negozio di Urahara, e questo Ichigo ora lo poteva percepire più che bene, semplicemente dallo sguardo di puro odio che aveva acceso le loro espressioni non appena si erano guardati.
   « Tu non ti devi preoccupare. Lo terrò d’occhio io. », cercò di dire nel tono più calmo possibile, che ovviamente gli servì solo a guadagnarsi un’occhiataccia scettica da parte di Tatsuki.
   « Ah davvero? E come pensi di fare, sentiamo? »
   Ancora una volta, Ichigo preferì non rispondere, o forse è meglio dire che non sapeva bene come rispondere. Lui per primo era incredibilmente diffidente rispetto a quella “soluzione alternativa” presentatagli da Kisuke Urahara in persona, di punto in bianco. Certo, l’ex Shinigami aveva ragione dicendo che non avrebbero potuto continuare ancora per molto a tenere Grimmjow confinato come un criminale di guerra o peggio, col rischio così di provocare una sua ribellione, però era anche vero che la Karakura Ichikō non era una dannata località di villeggiatura per Shinigami e Hollow. Ma davanti sua opposizione, Urahara si era limitato ad agitare il ventaglio con un sorriso indecifrabile, come a sottolineare che per lui le sue parole avevano la stessa consistenza dell’aria, e che alla fine, in un modo o nell’altro, avrebbero fatto come aveva deciso. Dopotutto, in segno di una fiducia ritrovata, la Soul Society aveva affidato a lui, il vecchio capitano della Dodicesima Divisione, il compito di sorvegliare l’Arrancar Grimmjow Jaegerjaques. In poche parole, Ichigo non aveva voce in capitolo.
   Stessa cosa però non si poteva dire di Grimmjow stesso, ovvero il diretto interessato, che quando era stato interpellato da Urahara su quale fosse la sua opinione in merito al diventare uno studente fittizio e in questo modo riottenere un minimo di libertà, lo aveva sorpreso non poco rispondendo con un categorico rifiuto. Inutili erano stati i suoi tentativi di presentargli i vantaggi della cosa: Grimmjow non ne aveva voluto sapere. E sottilmente, Ichigo aveva sperato che vista e considerata quella reazione che aveva un po’ stupito anche lui, alla fine di quel cosiddetto “piano di integrazione” non se ne sarebbe fatto niente. Sia lui che Grimmjow però non avevano ancora fatto i conti con l’inattaccabile caparbietà di Kisuke Urahara, che quando si metteva in testa una cosa, diventava cortesemente irremovibile. E in tutto questo, Yoruichi Shihōin si era limitata a rotolarsi sul pavimento e a giocare con un topolino di plastica.
   « Ti rendi conto, vero, che è come mettere un bambino in una stanza piena di caramelle e dirgli di non toccarle? », la voce perentoria di Tatsuki lo riscosse, riportandolo alla realtà dei fatti. « Questa è una scuola, Ichigo. Ed è piena di... di studenti! Sai, persone. Commestibili. »
   Suo malgrado, Grimmjow dovette sforzarsi per trattenere una risata, al contrario di Ichigo che mandò giù l’ennesimo sospiro. Le sue labbra si distesero, mentre incrociava le braccia al petto e appoggiava una spalla al muro.
   Il tono isterico con cui quell’umana aveva parlato, lo aveva divertito. Beh, se doveva essere sincero, le poche cose che lo avevano divertito da quando era arrivato a Karakura, erano state proprio fare quattro amichevoli chiacchiere con lei e usare Ichigo come un sacco da boxe, il che era diventato la sua unica consolazione da ormai qualche settimana a quella parte. Perché non l’aveva più incontrata da quando le aveva fatto capire che l’avrebbe volentieri vista morta, o anche solo con qualche arto di meno. Chissà che le sue minacce fossero andate in porto...?, si chiese, celando una sottile soddisfazione all’idea.
   « L’umana ha ragione, Kurosaki. Questo non è il posto per me. Facciamola finita con ‘sta cazzata e-... »
   « ... L’umana ha un nome. L’umana si chiama TATSUKI ARISAWA, e ti conviene tenerlo bene a mente. »
   Il sorriso di Grimmjow si congelò.
   E il divertimento lasciò il posto all’incredulità non appena si rese conto del significato delle parole che quell’uman-... che Tatsuki Arisawa gli aveva ringhiato in faccia, puntandogli un dito contro: le sue minacce le avevano fatto il solletico.
   Ichigo, che era rimasto a bocca aperta, si riscosse non appena vide gli occhi di Grimmjow, spalancati per lo stupore, assottigliarsi fino a diventare due fessure colme di furia cieca.
   « Tatsuki, piantala di provocarlo. Non ti ci mettere anche tu. », fece un passo avanti, verso di lei, cercando di mettersi tra di loro e di interrompere la loro lotta di sguardi, che altrimenti aveva il sentore sarebbe durata in eterno.
   « Certo, perché adesso è colpa mia. », la sua amica replicò, mettendosi le mani sui fianchi con fare offeso. Almeno però aveva smesso di esprimere con gli occhi il desiderio di prendere Grimmjow a pugni sui denti.
    « Non sto dicendo questo. »
   « A me sembra proprio di sì. »
   Ichigo sospirò esasperato. Quanto a cocciutaggine, era peggio di una bambina.
   « Senti, Tatsuki, io sto solo cercando di-... »
   Ma non riuscì a finire la frase. Perché in quel momento anche Grimmjow si comportò peggio di un bambino.
   Successe talmente in fretta che Ichigo si rese conto di cosa avesse fatto solo quando lo vide ritrarre le dita che aveva appena allungato per tirare la fascetta che Tatsuki portava sul braccio sinistro, richiamando così la sua attenzione. Dalla sua espressione, si poteva ben intuire che quel gesto infantile gli era venuto spontaneo, istintivo, non appena si era sentito ignorato e messo da parte. Cioè non appena Ichigo aveva distratto Tatsuki da lui.
   Tatsuki che lo guardò sconcertata, senza sapere come reagire. Ma bene presto si riscosse, e la rabbia tornò ad infuriare dentro di lei.
   « Sai che cos’è questa? », gli chiese, superando un allarmato Ichigo senza tanti complimenti, fino ad arrivare a mettergli braccio e fascetta sotto il naso. Gli occhi chiari di Grimmjow si alternarono per un istante dai kanji dorati – che non sapeva leggere – impressi sulla stoffa, agli occhi più scuri di Tatsuki, nei quali poteva interpretare chiaramente una muta sfida. E da essi non riuscì più a distogliere lo sguardo quando si fecero più vicini, mentre lei gli sussurrava una dolce promessa a pochi centimetri dalla faccia.
   « Questa è la tua rovina. »
   Quasi i lunghi capelli di lei gli schiaffeggiarono la faccia quando si voltò per allontanarsi, lasciandolo lì, come imbambolato a fissarla. Stava per vederla sparire tra il branco di insignificanti umani nel cortile della scuola, quando qualcosa dentro di lui scattò.
   « Ehi! A-... Arisawa! », la chiamò a pieni polmoni.
   Tatsuki si girò a guardarlo. Grimmjow avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa, “lo vedremo”, “potrei dire la stessa cosa a te” o un’altra vuota minaccia. Ma non lo fece.
   Si limitò a sorridere, sorridere veramente, compiaciuto ed euforico al tempo stesso, come non gli capitava da secoli.
   Tatsuki si sentì avvampare. Per un attimo provò l’irrefrenabile desiderio di tornare sui suoi passi e togliergli a suon di pugni quel ghigno odioso dalla faccia, ma il suono della campanella arrivò ad interrompere i suoi pensieri. Non aveva ancora perso del tutto la testa al punto di ignorare l’inizio delle lezioni.
   Di una cosa però era sicura. Non sarebbe finita lì. E soprattutto, da quel momento in poi avrebbe dovuto farsi valere per quella che era veramente. Perché non avrebbe certo potuto fidarsi di quell’imbranato di Ichigo e dei suoi “non preoccuparti”.
   « Sarò io quella a tenerti d’occhio... Jaegerjaques! » gli urlò dietro in risposta, con tutto il fiato che aveva in gola.
   Stranamente, quell’umana non aveva sbagliato la pronuncia del suo cognome.
 
 
 
   Grimmjow Jaegerjaques non poté fare a meno di sorridere divertito.
   Scostandosi i ciuffi di capelli azzurri e passandosi l’indice tra il collo e il bavero della camicia, soppesò quei ricordi che l’odio per il caldo gli aveva involontariamente riportato alla memoria. Alcune cose erano cambiate un bel po’ da quei giorni di marzo e aprile, ma altre affatto.
   Tatsuki era rimasta Tatsuki, nonostante tutto.
   Rimase ad osservarla ancora per qualche secondo, in silenzio, appoggiato con i gomiti al davanzale della finestra a muro della classe in cui si trovava, che si affacciava sul corridoio. Presto Tatsuki sarebbe passata davanti a lui, e nonostante sembrasse totalmente persa nei suoi pensieri, l’avrebbe sicuramente notato. E Grimmjow non avrebbe più potuto studiare i suoi movimenti con la stessa attenzione, divorandola con lo sguardo mentre camminava e si scostava i capelli di lato facendosi aria, o sbadigliava stirandosi le braccia sopra la testa e inarcando la schiena.
   In mano teneva il fiocco rosso che solitamente portava annodato intorno al collo, ora lasciato scoperto dalla camicetta sbottonata. Solo il giorno prima, Grimmjow aveva sentito due umane spettegolare durante l’intervallo, parlando del “filo rosso del destino” che univa le cosiddette anime gemelle, senza capire a pieno cosa intendessero con quel termine, nella sua ignoranza da Hollow immemore delle cose terrene.
   Perciò, tutto quello di cui si era reso conto era che, decisamente, parecchie cose erano cambiate rispetto a tre mesi prima. Lui stesso era cambiato. Un tempo avrebbe definito quella credenza popolare una stronzata bella e buona.
   Adesso, senza la minima esitazione, si tese oltre il davanzale e afferrò il nastro rosso nella mano di Tatsuki, tirandola a lui.
   Inconsapevole di come stessero veramente le cose, Grimmjow non aveva dubbi che la sua anima e quella di Tatsuki fossero gemelle, praticamente separate alla nascita. E aveva senso che quello che li univa dovesse essere più spesso di un sottile “filo”, perché le loro non erano anime qualunque. Erano anime forti, con un legame ancora più forte.
   « Ma che diavolo-...?! », Tatsuki iniziò a dire, sentendosi improvvisamente tirare da un lato, e interrompendosi solo quando i suoi occhi incontrarono quelli di fronte a lei, accesi di un azzurro vivo.
   Grimmjow le regalò un sorriso furbo, avvolgendosi il nastro attorno a un dito.
   « Se cammini con il naso per le nuvole prima o poi finirai contro un muro. »
   Tatsuki ammutolì, mentre la sorpresa che aveva provato pian piano scemava via. Rimase a guardare la sua espressione ingenuamente infantile per diversi istanti.
   Non riuscì a trattenersi.
   « ... Si dice “camminare con il naso per aria” o “camminare con la testa fra le nuvole”, Grimmjow. », replicò, costringendosi a mandar giù la risata che sicuramente lo avrebbe fatto infuriare. Divertita, osservò il suo sorriso trasformarsi in una smorfia infastidita, mentre si rendeva conto della gaffe appena fatta. Grimmjow distolse lo sguardo da lei, probabilmente preda di una vergogna che non avrebbe mai riconosciuto di provare.
   « Beh? A che stavi pensando di tanto importante da non guardare neanche dove metti i piedi? », le chiese quindi, simulando indifferenza.
   Tatsuki si zittì ancora una volta. E aspettò finché lui non si girò nuovamente a guardarla, aggrottando le sopracciglia, chiedendosi quale fosse il motivo del suo silenzio.
   Gli sorrise.
   E a sua volta si appoggiò al davanzale con le mani, tendendosi sulle punte dei piedi per avvicinarsi a lui. Aumentò la stretta attorno al fiocco rosso che non gli avrebbe mai ceduto, a costo di fare un tiro alla fune.
   « Stavo pensando a te, ovviamente. »
 
   Grimmjow rimuginò per tutto il giorno se considerare le sue parole solo come una presa in giro o come qualcosa di più.
   Frustrato con sé stesso, non ammise neanche per un secondo di sperare nella seconda opzione.
  
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