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Autore: Iceberg    20/03/2013    0 recensioni
"Sogno o son desto?"
Jillian Key è costretta a fare i conti con la sua razionalità per poter credere che ciò che le accade non è frutto della sua immaginazione, ma che il mondo dei sogni esiste per davvero.
Vielen Dank, "Lullì" c:
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
 
Din, don, dan. Questo suono mi sembra familiare.
Din, don, dan. Perché?
Din, don, dan. Apro gli occhi; all’inizio non riesco a distinguere nulla intorno a me. È tutto nero, buio.
Din, don, dan. I miei occhi iniziano ad abituarsi all’oscurità: dove mi trovo? Sembrerebbe una stanza. Si, è decisamente una stanza: metto a fuoco un armadio alla mia destra, una piccola porta di fronte a me, un tavolo piccolo e quadrato alla mia sinistra e una lampada su di esso. Mi metto seduta e mi accorgo che sotto di me c’è un letto singolo. Ma dove sono? Come sono arrivata fin qui?
Din, don, dan. Sobbalzo. Qui dentro fa molto freddo e sento un odore strano: somiglia all’odore di miele misto a quello… delle patate. Sento un rumore fuori la porta: sono dei passi. Merda. Mi giro intorno spaesata, pensando a cosa fare; mi alzo in piedi e per poco non urlo per il dolore che sento alla caviglia. Cado a terra e noto che ho la caviglia destra fasciata. Inizio a ricordare e immagini confuse mi si affacciano nella testa: una strada, il buio, un suono di campane, una chiesa, un corpo in una bara e… dei manichini. Mi tengo la testa con le mani. Che succede? Devo essere sicuramente nello stesso posto dell’altra volta, ma perché non sono in strada? E dall’”altra volta” quanto tempo è trascorso? E i vestiti… c’è qualcosa che non va: dov’è finito il mio vestito da funerale? Cosa è questa specie di…di camicia da notte a pois? 
Sento la porta aprirsi e vengo immediatamente abbagliata da una luce proveniente dall’esterno. Mi rannicchio col cuore che batte a mille, pregando che colui o colei che abbia aperto la porta non si sia accorto di me. Tengo gli occhi chiusi fin quando non sento la porta richiudersi e una voce melodiosa chiedere: -Ehi? Tutto bene?-
Rialzo lentamente la testa, confusa e trovo inginocchiato di fronte a me un ragazzo più o meno della mia stessa statura; le prime cose che mi saltano all’occhio sono il suo abbigliamento decisamente molto fuori dal normale, i suoi occhi grandi e le sue orecchie a punta. A primo impatto, mi viene da ridere, ma guardandolo bene in viso mi accorgo che è molto preoccupato e non posso fare a meno di arrossire: ringrazio il cielo per l’oscurità della stanza che impedisce allo sconosciuto di notarlo. Annuisco, mi rialzo a fatica e mi metto nuovamente a sedere sul letto mentre il ragazzino va ad accendere l’unica fonte di luce della stanza, la lampada, che emana una luce bianca e soffusa. Non so sinceramente quale parte del mio corpo o della mia mente mi spinga a fidarmi di lui, fatto sta che da quando è entrato nella stanza sono stata pervasa da una certa tranquillità, come se fosse una persona che conosco da tempo e di cui mi fido. Continuo a guardare lo sconosciuto mentre apre l’armadio, preleva da un cassetto una fascia bianca e torna da me; è allora che rimango stupita da ciò che la luce aveva nascosto: ha degli occhi di un colore misto tra il castano e il verde, una frangetta che sembra quasi accarezzargli la fronte fino alle sopracciglia, dei capelli rossicci, ondulati e lunghi fino alle spalle e una specie di piccolo tatuaggio sulla guancia sinistra, che a primo impatto sembra un insieme confuso di rami, ma osservandolo meglio, si nota la forma di una “j”. Il suo abbigliamento è a dir poco… stravagante: porta una salopette a strisce marrone chiaro e scuro con sotto una maglietta a maniche corte grigia e delle scarpe chiuse marroni con i lacci neri.
-Vediamo un po’ come va..- dice tra sé e sé.
Mi toglie la fascia che avevo attorcigliata intorno al piede e noto uno strano rigonfiamento violaceo all’altezza della caviglia. Alzo lo sguardo spaventata sul viso dello sconosciuto, quasi non avessi mai visto una cosa simile; torno a guardare la mia caviglia e ho davvero la nausea. 
-Allora, io sono Johna… Tu?- mi domanda con la sua voce melodiosa.
Rialzo lo sguardo sul suo viso: è ancora concentrato a stringere la fascia. In quel momento, ho la sensazione che lui sappia già tutto di me e che stia soltanto cercando di distrarmi, ma rispondo comunque: - J-Jillian…- sussurro.
-Jillian…- riprende lui -bel nome. Quanti anni hai?-
-Venti tra un mese-
-Wow- esclama. 
Mi schiarisco la voce: -E tu?-
Lo vedo irrigidirsi: si blocca, letteralmente. Resta immobile per un attimo, quasi non si aspettasse una domanda simile. Poi, come se niente fosse, ritorna normale e finisce di fasciarmi il piede. 
-Su, non è nulla di grave.- dice, tentando di sviare il discorso mentre ripone il resto della fascia al suo posto.
-Io te ne do intorno ai 18-20- riprendo io, imperterrita.
Johna si gira verso di me con aria confusa.
-Di anni, intendo…- aggiungo sottovoce.
Sospira tornando verso di me.
-Si, ho 20 anni…Ora ti puoi alzare, per favore? Voglio vedere se riesci a camminare- Mi tende le mani e io, ancora spossata, mi aggrappo a lui e mi tiro su. Mi sfugge un gemito di dolore mentre sposto tutto il peso del mio corpo sulla gamba sana.
-Prova a muovere un passo.-mi suggerisce Johna.
Senza pensarci due volte, provo a zoppicare per arrivare al tavolino con la lampada che ora ho di fronte. Un passo, due passi.. 
-Jillian…- 
Tre passi; non faccio caso a quella strana voce che mi chiama. Quattro passi…
-Jill, siamo arrivati…-
Cinque passi; cosa? Mi volto indietro e vedo Johna che mi guarda con un’aria quasi soddisfatta; non è sua la voce, non è melodiosa…
-Jill…-
Non ho nemmeno il tempo di compiere il sesto passo, che cado a terra e l’oscurità mi avvolge.
  
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