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Autore: miseichan    20/03/2013    2 recensioni
“Sono sicuro che lei e Artù andrete d’accordissimo.”
“Artù?” balbettò Aurora, giocherellando nervosa con l’orecchino “Mi prende per il culo?”
“Non mi permetterei mai, signorina.”
Genere: Comico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questione di  frizione



“Sei fradicia.”

“Non mi dire.”

“Perché?”
Aurora si girò appena, le sopracciglia inarcate:

“Perché?” ripeté, sfilandosi la giacca e gettandola sul sedile posteriore “Perché?”

Accese la macchina e attivò il riscaldamento al massimo; quindi, con calma, si immise nel traffico senza degnarlo di uno sguardo:

“Sono fradicia perché sta diluviando, ecco perché.” sibilò, scalando di marcia “Perché il pullman non è passato e io non avevo l’ombrello. Perché nessuno mi poteva dare un passaggio e io non avevo l’ombrello. Perché ho dovuto prendere il motorino, quel fottutissimo mezzo, il tutto sempre senza che io avessi un dannatissimo ombrello. Ecco perché sono fradicia, okay? Ecco perché sto perdendo acqua sul sedile. Tutto perché non avevo uno straccio di...”

“Ombrello.” concluse per lei Arturo, indirizzando meglio il getto di aria calda verso la ragazza.

“Esatto.” approvò Aurora, dirigendosi verso il centro cittadino.
“Sembri arrabbiata.” mormorò lui, tentennante “Davvero tanto.”

“Sono seccata.”

“Seccata.”

“E infastidita.”

“Infastidita.”

“E oltremodo bagnata.”

“Potevi non venire.” si strinse nelle spalle Arturo “Bastava una chiamata.”

Capì di aver fatto un passo falso non appena gli occhi della ragazza incrociarono furibondi i suoi. 

“Ho provato.” soffiò lei, le mani che stringevano con maggiore forza il volante.

“Hai...”

“Provato, Arturo. Provato.”

“Io...”

“Il signor Carlo mi aveva dato il tuo numero e io ci ho provato. Ti ho chiamato. Due, tre, quattro volte. Cinque, forse. E sai cosa succedeva ogni volta?”

Arturo rimpicciolì nel sedile, gli occhi improvvisamente totalmente interessati ai lacci delle scarpe. 

“La tua maledettissima segreteria telefonica.”

“Mi dispiace.”

“Ti dispiace?”

“Metto sempre in modalità silenziosa e il più delle volte mi dimentico di toglierla, scusami.”

“A te dispiace.” ripeté Aurora, fermandosi a un semaforo rosso.

“Senti, non potevo certo immaginare che...”

“Ho l’acqua persino nelle mutande, Artù.”

“Stai cercando di sedurmi?” tentò un sorriso lui, le dita che tamburellavano nervose sul vetro.

Aurora aprì bocca per rispondere, ma il suono di un clacson la interruppe:

“E’ verde.” mormorò Arturo con un filo di voce. 

“Sto andando.”

Un piede sull’acceleratore e l’altro sulla frizione; ce la poteva fare.
Alternò come lui le aveva detto di fare, il respiro che usciva lento dalla bocca, ma niente.
Con un patetico e inopportuno singulto la macchina si spense di colpo, lasciandola basita. 

“Non è possibile.”

Il clacson si fece sentire di nuovo. Insopportabile.

“Non è niente, non ti preoccupare.” mormorò Arturo, raddrizzandosi svelto sul sedile e facendo per muovere i piedi.

“Non ti azzardare.” sibilò Aurora, accendendo la macchina “Devo riuscirci io a far partire questa bastarda.”

Il clacson suonò ancora, estenuante. 

Arturo si guardò ansioso alle spalle e biascicò qualcosa, completamente ignorato da lei e, non appena la macchina si spense sotto gli occhi increduli di Aurora, la situazione degenerò. 

“Si può sapere cosa cazzo hai da suonare?!” sbottò la ragazza, scendendo come una furia dall’auto.

“Perché diavolo non mi superi e basta, eh?! Si può sapere? La vedi la P, sì o no?!” sbraitò Aurora, le mani che gesticolavano forsennatamente in direzione dello sconosciuto dietro di lei.

Incurante della pioggia continuò a inveire, picchiettando con le nocche pallide contro il vetro dell’altra macchina; quando la portiera della sconosciuto si schiuse, lasciando intravedere un omaccione sulla cinquantina, Aurora arretrò di colpo, la voce che le moriva in gola.
Arretrò, le palpebre che sbattevano veloci, e sbatté contro qualcuno. 

“Le chiedo scusa, signore.” disse Arturo, il tono deferente, mettendole una mano dietro la schiena.

E con quella stessa mano la sospinse, gentilmente, verso la loro auto. 

Aurora si lasciò guidare, il respiro affannoso, e prese velocemente posto: 

“Riprovo?” balbettò, accendendo il motore con dita tremanti. 

Arturo si limitò ad annuire, i piedi ben lontani dai pedali secondari. 

Poi, accompagnata dal sospiro che entrambi si lasciarono sfuggire, la macchina partì dolcemente. 

Aurora proseguì diritto, le dita ancorate al volante, finché non colse un cenno del capo da parte del ragazzo:

“Accosta qui, c’è tanto spazio.” lo sentì mormorare. 

Mise la freccia e, con tutta la calma possibile, si appoggiò al limitare della strada:

“Qui va bene?”

“Ottimo.”

Tolse la marcia, mise il freno a mano e spense tutto, reclinando il capo contro il sedile. 

“Stai bene?”

“Certo.” accennò un sorriso lei “Solo un po’ più bagnata di prima.”

“Ti sei emozionata.” sussurrò ancora lui, sfilandosi la giacca bagnata. 

“No! No, che non mi sono emozionata.” borbottò Aurora “E’ questa macchina, okay? Sono certa che mi odi profondamente, per qualche motivo oscuro che ancora mi sfugge. Sei d’accordo?”

“Sicuro. Non ci sono altre spiegazioni.”

Aurora sorrise e si mordicchiò il labbro inferiore:

“Non escludo che anche il clacson di quel cafone abbia avuto un qualche effetto.”

“Non è stato educato, bisogna ammetterlo.”

“Meritava un calcio nei gioielli.”

“Ho temuto che scendesse e...”

“Non avrebbe avuto il tempo di far nulla.”

“Ah, no?”

“Sono velocissima nel tirare calci e ho un’ottima mira.”

“Era grande e grosso.”

“Tu, comunque, lo hai spaventato.”

“Era il doppio di me.”

“Sì, ma tu lo hai ad ogni modo spaventato.”

“Gli ho solo chiesto scusa.” scosse il capo Arturo “E io non spavento la gente.”

“Al primo acchito sì, lo fai.”

“Non è vero.”

“Sei altro.”

“Un metro e novantadue non è essere alti.”

“Sì, che lo è. E sei pieno di piercing.”

“Gli orecchini non...”

“Gli orecchini contano. E hai un tatuaggio.”

“Chi non ce l’ha, andiamo?”

“Io non ce l’ho.” inarcò un sopracciglio lei, continuando “E quel ciuffo rosso, poi.”

Arturo si passò le dita fra i capelli neri, indugiando sui pochi rossi:

“Che ha il mio ciuffo che non va?”

“Non è il ciuffo, ma l’insieme.”

“Che ha il mio insieme che non va?”

“Niente, per quanto mi riguarda.” si strinse nelle spalle Aurora “E’ un insieme molto affascinante, anzi, a mio parere. In generale, però, tende a risultare minaccioso.”

“Non sono minaccioso, io.”

“Oh, signore. Mi ascolti quando parlo o cogli solo una parola ogni due?”

“Parli molto, in effetti. Non è facile starti dietro.”

“Non sto dicendo che sei minaccioso, sto dicendo che lo sembri.”

“Ah.”

Arturo si massaggiò le tempie con due dita e la guardò di sbieco, inclinando il capo:

“E’ difficile.”
“Cosa?”

“Tenere il tuo passo.”

Aurora inarcò le sopracciglia e fece per parlare, prontamente preceduta dal ragazzo:

“Cambi idea continuamente, dici cose senza senso in continuazione, e poi... sei imprevedibile, ecco. Non riesco mai a capire cosa tu voglia, cosa tu stia per fare, il diavolo di modo in cui pensi. Niente. Senza contare le malsane idee che ti vengono saltuariamente e...”

“E’ la tua vendetta, vero?”

“Come?”

“Ti stai vendicando per il minaccioso. Lo capisco, eh?”

“Non mi sto vendicando!”

“Me lo dici il perché della spada, allora?”

“Sei impossibile. Vedi? Cosa c’entra ora la spada?”

“Niente. Sono curiosa, però. Voglio saperlo.”

“Siamo in ritardo.”

“Svicoli sempre, non è giusto.”

“Io non ti faccio domande inappropriate.”

“Potresti.”

“Dobbiamo ripartire, forza.”

Aurora accese la macchina e, senza problemi, si portò al centro della corsia.

“Fammene una.”

“No.”

“Fammi una domanda inappropriata, Artù.”

“No.”

“Non te ne viene in mente nemmeno una? Non ci credo.”

Arturo sospirò, roteando gli occhi. Poi, con un filo di voce sussurrò:

“Come te la sei fatta?”

“Che cosa?” si stupì lei, agitandosi sul sedile.

“Questa.” rispose il ragazzo, sfiorando con un dito la sottile cicatrice bianca sulla guancia di lei.

“Oh. Sono cinque punti.” sorrise Aurora “Strano che tu l’abbia notata, di solito nessuno ci fa caso.”

“Come te la sei fatta?”

“Volando fuori da una finestra.”

“Sei seria?” mormorò Arturo, aggrottando la fronte.
“Oh, sì.” ridacchiò lei “Un bel volo. Per fortuna eravamo al pian terreno; il problema restava, però,  visto che la finestra era chiusa.”

“Hai... hai sfondato il vetro?” 

“Non è che mi ci sono buttata contro da sola, eh? Non fare quell’espressione scioccata.”

“Come...?”

“Mi ci ha lanciata mio fratello.” si strinse nelle spalle lei “Non che fosse una cosa intenzionale, per carità. Stavamo solo litigando... un po’ più violentemente del solito, forse.”

“Perché...?”

“Aveva preso l’ultimo Mon Chéri.”

“Prego?”

“Il cioccolatino della Ferrero, hai presente?”

“E per questo avete cominciato a litigare?”

“Sì. Mi piacciono molto i Mon Chéri.”

“E sei volata fuori dalla finestra.”

“Sì.”

“Io non...”

“E’ degenerata un po’ la lotta, ecco tutto. Niente di grave.”

“Sei volata fuori da una finestra.”
“Sì.”

“Oh, mio Dio.”

Aurora ridacchiò, sfiorandosi la cicatrice che lui aveva indicato:

“Non è l’unica, sai? Ne ho una anche qui...” fece, togliendo la mano destra dal volante “sulla spalla, appena sotto...”

“Non lasciare mai il volante!” sbottò lui, afferrandolo di scatto. 

“Ma guarda che con una mano lo tengo ancora, eh.”

“Per l’amor del cielo, Aurora!”

“Voglio solo farti vedere l’altra cicatrice.” sorrise lei, lasciando andare completamente il volante e scoprendosi la spalla destra. 

“Riprendilo. Riprendilo subito.” sibilò Arturo, lo sguardo fisso sulla strada. 

Lei obbedì e gli occhi di lui si spostarono istintivamente sulla spalla denudata:

“Quasi non si vede.” sussurrò il ragazzo, poggiandovi sopra un dito.

“Sono pallida di carnagione.”

“Questa come te la sei fatta?”

“Do ut des?”

“Tu saresti Hannibal o Clarice?”

“C’è da chiedere?” sorrise lei “Hannibal, ovviamente.”

“E io cosa dovrei dirti?”

“Domanda stupida, caro il mio Artù.”

“Lo so.” sospirò lui, carezzandosi il mento con la mano “La lingua è più veloce del cervello.”

“Voglio sapere il perché della spada.”

“Ho detto no.”

“E io non ti racconto della cicatrice sulla spalla.” borbottò Aurora, ricoprendosi.

“Posso sopravvivere.”

“Bugiardo.”

Arturo sorrise, aprendo lievemente il finestrino:

“Guarda.”

“Cosa?”

“Ha smesso di piovere.”

“Grazie al c...”

“Tendi a essere sboccata, ci hai mai fatto caso?” la interruppe lui, arricciando le labbra.

“No, davvero, e io che credevo di...”

“Torna indietro, dai.”

“Come? Ma... guarda che mi hai interrotto sul più bello.”

“Adesso non sta piovendo, no? Ti conviene prendere adesso il motorino e tornare a casa.”

“Non è neanche passata un’ora!”

“Preferisci la prospettiva di un ritorno bagnato?”

“Ti stai preoccupando per la mia salute, Artù?”

“Sono un bravo ragazzo, io.” borbottò lui, sulla difensiva “Nonostante alcuni tratti minacciosi di cui non ero a conoscenza.”

“Oh, che carino.”

“Vuoi farla questa dannata inversione?”

“E poi dai a me della sboccata.” lo rimbeccò lei, affrettandosi a tornare vero l’autoscuola.

“Io non sono sboccato, bensì...”

“Arturo” lo interruppe subito lei “Se dovesse capitare nuovamente una situazione come questa di oggi, ecco, io...”

“Se è una minaccia di morte, preferirei non sentirla. Mi piace dormire tranquillo la notte.”

“Dicevo... se, e dico se dovesse ricapitare, me la offriresti una cioccolata calda?”

“Oh, non ce ne sarà bisogno.”

“No?”

“No. Non succederà ancora, tranquilla.” confermò lui, giocherellando con il cellulare “Ecco! Ora hai una suoneria tutta tua! Contenta?”

Aurora parcheggiò l’auto e sganciò la cintura di sicurezza mentre le prime note cominciavano a farsi sentire:

“E’... è la colonna sonora di Psyco?!” ringhiò, fulminandolo con lo sguardo.

“Oh, dai.” nicchiò lui, l’aria divertita “Dov’è finito il tuo senso dell’umorismo?”

“Alle Bahamas con il tuo ultimo neurone, a quanto pare!” sbottò lei, scendendo dalla macchina.

“Aurora” 

“Ci vediamo domani.”

“Aurora, dai, non mi hai lasciato finire.”

“Cosa?”

Arturo le passò il casco e sorrise, inclinando la testa:

“Per la cioccolata calda possiamo accordarci anche senza la pioggia, sai?”

 

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