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Autore: juniper_goblinfly    20/03/2013    1 recensioni
Da classicista mi sono appassionata ai miti greci e romani. Ultimamente mi sono appassionata particolarmente alla storia di Eurialo e Niso, da Virgilio. Perchè non provare a scrivere una storia simile a quella sui miei personaggi preferiti di Sherlock?
" E piegò la testa sul petto, così come fanno i fiori purpurei tagliati dall'aratro al limitare del campo, o così come fanno i papaveri, costretti a piegare la loro testa sotto il peso della pioggia."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim, Moriarty, John, Watson, Mycroft, Holmes, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran, Sherlock, Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Io e te che siamo passati alla storia

 
In cielo la luna splendeva, accompagnata da così tante stelle che era possibile vedere ogni cosa sul campo. John aveva sempre amato osservare cielo e un po’ riusciva a ricordargli casa, ormai tanto lontana e distrutta.
Erano scappati dopo che la sua amata Troia era stata data alle fiamme. Rivedeva ancora davanti agli occhi le donne scappare, mentre i greci levavano alto un grido, così orrendo da far tremare qualsiasi uomo e i corpi di troppe persone giacevano inermi a terra, riversi in larghe pozze di sangue. In poco tempo avevano distrutto ogni cosa e solo per caso, o per volere del fato, era riuscito a salvarsi grazie a Sherlock.
 
-John! John, apri gli occhi, avanti! Dobbiamo andare via!- 
Era una voce conosciuta, così calda e profonda da farlo sciogliere ogni volta che la sentiva, eppure in quel momento gli arrivava ovattata e distante. Se provava a respirare delle fitte gli attraversavano l’intero corpo, ma si costrinse ad aprire gli occhi. Avrebbe fatto tutto per quel ragazzo, quel giovane uomo che amava tanto e che solo lui era riuscito ad avvicinare tanto.
Si prese ancora qualche secondo, le forze lo stavano abbandonando, poi lentamente socchiuse le palpebre e davanti al volto vide due splendidi occhi chiari. Si, era Sherlock, avrebbe riconosciuto ovunque quella preoccupazione mal celata e quei riccioli scuri che ora gli solleticavano la pelle. Vide il bruno tirare un sospiro di sollievo.
-Avanti, devi farti forza. Non puoi morire qui e lasciarmi solo…-
No, in effetti non poteva, non voleva e non lo avrebbe mai fatto. Piano il compagno lo sollevò, aiutandolo ad alzarsi e passandogli una mano attorno alla vita, mentre John gli cingeva il collo per sorreggersi meglio. Un dolore lancinante proveniente dalla spalla sinistra gli troncò il respiro e se Sherlock non lo avesse sostenuto sarebbe caduto ancora.
Zoppicarono fuori dalla città, per quanto veloce potessero. Sherlock guardava dritto davanti a sé, la spada nella mano libera, pronto a scattare al minimo pericolo. John si permise di guardarlo, era così bello e lo amava così tanto… Il bruno lo notò con la coda dell’occhio e si voltò a sua volta, per rubargli un bacio veloce.
-Dobbiamo fare presto, Mycroft ci aspetta sulla nave. Vedrai, presto starai bene.
Poi fu tutto confuso, John non riusciva a capire bene cosa stesse succedendo e presto si trovò steso sul legno della nave e guardava il cielo. Il dolore alla spalla era immenso e solo più tardi seppe che era stato ferito da uno dei nemici. Il viso pallido dell’amante entrò nel suo campo visivo e il suo profumo invase i polmoni di John, brucianti per aver respirato troppo fumo.
-Grazie…-
Riuscì a dire solo questo il biondo e cadde in un sonno profondo, dopo aver accarezzato una guancia sudata del compagno. Riuscì a distinguere anche delle lacrime, raccogliendone una con l’indice, poi più niente.
 
Era passato davvero tanto tempo da quell’episodio ed erano molto lontani da casa. Anche questa volta il viso pallido, incorniciato da riccioli neri gli comparve davanti. John era seduto sull’erba e Sherlock lo sovrastava da dietro, piegato su di lui, quasi a testa in giù. Entrambi sorrisero e si concessero un piccolo bacio.
-Allora…?-
Conosceva già la risposta, ma voleva sentirla dalle labbra di Sherlock, sperando che fosse meno dolorosa da sopportare. Sapevano entrambi di tornare sani e salvi al loro accampamento, ma tutti e due provavano una strana sensazione, dovevano essere cauti.
Il bruno sospirò e lo guardò negli occhi.
-Ci hanno accordato il permesso, ma solo dopo varie insistenze. Si raccomandano di essere cauti e non farci scoprire… Hanno anche detto che non potremmo usare alcuna armatura, solo qualche arma o faremmo troppo rumore…-
John riusciva a leggere perfettamente la preoccupazione nella voce dell’amico, solitamente calma e misurata, ora era appena incrinata e solo il biondo poteva dire con certezza che qualcosa lo turbava. John scosse impercettibilmente la testa e spostò lo sguardo dagli occhi del bruno alle stelle. Sorrise. Ecco a cosa erano simili. Non era mai riuscito a trovare una similitudine adatta per quei due pozzi chiarissimi. Due stelle. Oh, si sarebbe perso volentieri a guardarli per ore, ci sarebbe annegato volentieri in quei due pezzi di cielo.
Sherlock arcuò l’angolo destro della bocca, intuendo i suoi pensieri e si sedette di fronte a lui, allacciando le gambe attorno alla vita di John e posando la testa sul suo petto. Percorreva con i polpastrelli la cicatrice sulla spalla del biondo, mentre questo posava le labbra in mezzo a quell’intrico di ricci scuri. Spesso rimanevano in silenzio, abbracciati così, perché non avevano mai avuto bisogno di troppe parole, a loro bastava un gesto o una semplice occhiata per capirsi ed era quello che stava accadendo.
Ti amo… Era quello che pensava John.
Anche io, più della mia vita… rispondeva con un cenno del capo Sherlock.
Rimasero così finché non li chiamarono per partire. Sciolsero a malincuore quell’abbraccio e dopo aver preso le armi si incamminarono verso l’accampamento nemico. Ci misero poco a raggiungerlo, ma dovevano fare piano e rimanere bassi perché la luna avrebbe potuto tradirli.
Si appostarono vicino alle tende e constatarono che erano tutti addormentati, non una sentinella né una guardia. Si sentivano sicuri e pensavano di averli in pugno quindi. Sherlock si voltò verso il biondo e sorrise.
-Ora, dobbiamo farlo o loro uccideranno noi, possiamo farcela…-
John lo guardò stupito. Notò lo sguardo, quasi euforico dell’amico. Si fidava ciecamente di lui, ma come avrebbero potuto farcela? Sospirò.
-Va bene, andiamo…-
Sguainarono la spada e si divisero. Sherlock si guardava attorno, attento ad ogni più piccolo movimento o rumore. Sembrava un leone e di lì a poco avrebbe attaccato le sue prede, uccidendole una a una, senza provare il minimo rimorso o il minimo ripensamento. Si, perché Sherlock era così, non provava nulla se non per John. Al contrario il biondo si aggirava circospetto e basso, rubando la vita silenziosamente a quelli che si trovava davanti.
Morirono tutti in pochi istanti, senza che nessuno potesse gridare o dare l’allarme. John si guardava attorno e vedeva solo macchie scarlatte che a poco a poco venivano inghiottite dalla terra. Gli sembrava un sacrificio inutile, davvero non si poteva evitare? Si guardò le mani, anche quelle macchiate dal sangue di tutti quegli uomini.
Vero, se non li avessero uccisi loro probabilmente il giorno seguente avrebbero raso al suolo il loro accampamento, ma John non riusciva a sopportarlo, non dopo tutto quello che aveva visto. Lasciò cadere la spada che si conficco nel terreno umido, poi, accanto ad essa, si lasciò scivolare in ginocchio, sfregandosi convulsamente le mani per eliminare quella colpa. Sapeva che non sarebbe mai sparita e ciò lo tormentava ancora di più. Continuava a vedere corpi esanimi e sangue, tanto sangue. Presto cominciò a respirare affannosamente, continuando a sfregarsi le mani, cercando di pulirle.
Sherlock lo vide da lontano. Doveva pensarci prima, non doveva trascinarlo in quel gesto impulsivo. Conosceva bene la riluttanza di John per la morte, perché lui l’aveva provata e sapeva cosa voleva dire. Una volta il biondo gli aveva urlato in faccia, dopo aver litigato e con tutta la rabbia in corpo, che non avrebbe più ucciso, mai più e che quella era una promessa. Era solo colpa sua, colpa di Sherlock se ora la promessa si era frantumata, sciolta come neve al sole e tutto per causa sua.
Gli corse accanto, inginocchiandosi  e prendendogli il viso tra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi. Appena John alzò gli occhi il bruno potè vedere tutta la paura e l’agitazione che stava provando, perché John, il suo John, era per lui come un libro aperto. Sherlock poteva sfogliarlo a piacimento, ma ora quelle pagine, prima così belle e candide erano state macchiate ed erano quasi illeggibili. Come aveva potuto compiere un simile errore? Non aveva mai visto gli occhi blu come il mare, di John, attraversati da tanta paura.
 
-Sai cosa è la morte, Sherlock? Ti sei mai chiesto cosa si provi o come sia avvicinarsi ad essa..?-
Fissavano entrambi il mare, cullati dal lento dondolare della barca e riscaldati dal sole sopra le loro teste. Sherlock alzò appena le spalle e scosse la testa.
-No, sinceramente no…- Si voltò a guardarlo –Ma potresti… Potresti raccontarmelo?-
John sorrise amaramente e continuò a fissare l’acqua, giù, in basso, mentre il bruno lo osservava curioso.
-Credo sia come annegare… In realtà non te lo so spiegare, ma per me è stato così… -
Sherlock inclinò appena la testa di lato, sfregando poi il naso sul collo del compagno. Non avrebbe fatto altre domande, perché leggeva il dolore in ogni minimo movimento di John e dal fatto che continuasse a fissare L’acqua, lo faceva sempre quando era turbato. Gli posò un bacio delicato sulla clavicola.
-John, non accadrà mai più… Ci sarò sempre io con te, te lo prometto…-
Il biondo annuì senza guardarlo, mentre gli passava un braccio attorno al busto, respirando a pieni polmoni l’odore di salsedine. Sherlock non aveva bisogno di domandare a cosa stesse pensando, aveva già la sua risposta. Da quella notte qualcosa in John si era come incrinato e giorno dopo giorno la crepa andava allargandosi, lasciando cadere ogni tanto qualche pezzo di lui. John si stava perdendo e lui non poteva farci nulla, non riusciva a tenere insieme ogni suo pezzo, non glielo lasciava fare.
 
-John! Muoviti, dobbiamo andare via, ora!-
John scosse la testa, guardandolo confuso, come se si fosse appena svegliato da un incubo. Osserva il ragazzo davanti a lui e nota che in mano ha le armi e la corazza del comandante dell’accampamento. Avrebbe voluto dirgli di lasciarla lì, li avrebbe fatti scoprire sicuramente, ma dei rumori lo fanno alzare di scatto, improvvisamente lucido. Prende la mano del compagno e lo trascina via da quel posto, mentre Sherlock cerca di stargli dietro come può.
Delle urla li raggiungono, mentre corrono verso il bosco lì vicino. Era stato il bagliore della corazza colpita dai raggi della luna. Entrambi avevano avuto un brutto presentimento fin dall’inizio, ma speravano di sbagliarsi. A quanto pareva il destino aveva voluto giocargli un terribile scherzo.
Si rifugiarono sotto le fronde alte degli alberi, correndo senza sapere quale fosse la strada e cercando di farsi strada tra arbusti e rovi. Sherlock lasciò la mano del compagno senza che questi se ne accorgesse. John continuò a correre, poi improvvisamente si fermò. Silenzio. Sherlock non c’era. Stupido! Come aveva potuto lasciarlo indietro? Tese le orecchie e gli giunse un urlo. Era la sua voce. Corse a ritroso, fino a ritrovarlo. Era stata tutta colpa di quelle maledette armi che lo avevano intralciato e ora rischiava di essere ucciso. Sarebbe stata l’ennesima crepa, l’ultima, perché poi John sarebbe caduto in frantumi se Sherlock fosse morto. Lo raggiunse finalmente e si acquattò dietro dei cespugli.  Riconobbe subito i due uomini che lo sovrastavano, li avevano messi in guardia contro di loro. Jim e Sebastian si chiamavano, erano i migliori del loro esercito e non esitavano davanti a nulla. Jim sorrideva, mentre con un piede premeva sullo stomaco e levava la spada sul capo di Sherlock, mentre Sebastian osservava la scena divertito. John si levò ed estrasse una delle lance che aveva portato con sé, scagliandola contro Sebastian. Non la vide nemmeno. Attraversò il corpo dell’uomo, infrangendosi poi a terra. Sebastian guardò per pochi secondi la ferita in mezzo al ventre, così come il suo compagno. Cadde in ginocchio, tossendo sangue sul terreno. In pochi istanti era steso sull’erba, sotto di lui si spandeva una macchia rossa e viscosa che brillava appena per colpa della luce che filtrava tra le foglie. Fortunatamente John era nascosto e Jim non poteva vederlo.
-Chi?! Chi ha osato tanto?! Vieni fuori cane! Non nasconderti e accetta la morte come dovresti!-
John non si mosse, aspettando il momento giusto per colpirlo e sperando che anche Sherlock ne approfittasse per scappare, ma così non fu. Prontamente jim lo prese, tirandolo in piedi per i capelli, cosa che fece gemere di dolore il bruno. Gli puntò la spada alla gola e sorrise.
-Se non vieni fuori allora mi sfogherò su di lui!-
A quel punto john si alzo e si fece avanti.
-Sono qui, lascialo! Sono stato io! Lui mi ha solo amato troppo, è questa la sua unica colpa!-
Il biondo guardava quella scena con occhi sbarrati. Ormai era troppo tardi, la spada aveva già trafitto il petto candido dei Sherlock e piano il sangue cominciò a scendere giù per il petto, fino a cadere in piccole goccioline rosse tra i fili d’erba, andando a macchiare alcuni fiori bianchi sparsi ai suoi piedi.
Sherlock sollevò appena la testa, per guardarlo e sorridergli. John lo guardava con le lacrime agli occhi, senza trovare il coraggio di muoversi. Lentamente il corpo del bruno scivolò a terra. Sembrava un fiore purpureo che, reciso dall’aratro, langue morendo, o come i papaveri che chinano il capo sul collo stanco, quando la pioggia li opprime.
Jim rideva accanto al corpo senza vita di Sherlock. John allora, pieno di rabbia si lancia contro di lui, lanciando un grido di disperazione, perché con il bruno era morto anche lui, con il bruno se ne era andata l’ultima parte della sua anima. Entrambi, Jim e John, tendono la spada e si trafiggono a vicenda. Il nemico si avvicina all’orecchio di john e sussurra.
-Bravo, hai vinto me, ma il tuo amore non può vincere la morte…-
Un rivolo di sangue gli segna il mento e gocciola sulla spalla del biondo, fino a quando Jim non estrae la spada e si allontana, cadendo senza vita contro il tronco di un albero vicino.
A john tremano le gambe, non sarebbe mai sopravvissuto ad una ferita del genere. Si lascia cadere accanto al corpo di Sherlock, rivolgendogli un sorriso come poco prima aveva fatto lui. Sembrava che stesse solo dormendo, ma la ferita al centro del petto era la prova tangibile della sua morte. John lo guarda, ancora per qualche istante, prendendogli la mano e stringendola mentre con le ultime forze si avvicinava al suo corpo ormai freddo.
-Tra poco saremo ancora insieme, amore mio…-
Sospira, mentre chiude gli occhi. Il suo ultimo sospiro, il suo modo per dire tutto quello che non aveva mai detto al compagno.
 
 
Note: Ok, si sono pazza. Non so come mi sia passata per l’anticamera del cervello una cosa del genere, ma Eurialo e Niso, i protagonisti di questo episodio nell’Eneide di Virgilio, Mi ricordano davvero John e Sherlock.
Spero non faccia troppo schifo e come ultima cosa vi consiglio di andare a leggere la storia originale perché è davvero meravigliosa. Detto questo vorrei anche precisare che alcune similitudini le ho prese da Virgilio ( infatti sono l’unica cosa bella di questo papiro).
 
  
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