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Autore: Carmen Black    20/03/2013    6 recensioni
E' estate. Una vacanza. Una ragazza.
Un festival del 'nonsoche' organizzato in una Riserva. Un ragazzo che cade da una scogliera.
Un appuntamento. Un bacio. Un'avventura.
E... il giorno della partenza che arriva troppo in fretta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun libro/film
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Attimi




Era piena estate.
Un sole dorato brillava nel cielo terso e la temperatura era intorno ai venticinque gradi, nonostante mi trovassi a La Push. Era un miracolo.
Appena terminai di formulare quel pensiero, in lontananza sentii l’eco di un tuono.
Storsi le labbra in una smorfia e uscii dall’Hotel in cui alloggiavo, dirigendomi verso un vicino sentiero che mi avrebbe portato in spiaggia.
Era inutile, ma ogni anno i miei genitori riuscivano sempre a incastrarmi ed io accettavo di seguirli in quel posto sperduto senza fare storie. Stavolta avevano usato un modo davvero subdolo per convincermi, giocando la carta della vita breve: e se dovessimo morire giovani? Magari il prossimo anno non ci saremo più e tu ti pentirai amaramente di averci lasciato andare in vacanza da soli.
Quindi a ventuno anni e dopo aver rifiutato la proposta delle mie amiche di una settimana di mare sulle coste della California, mi trovavo in quel posto sperduto a fare il gioco del silenzio. Fico.
Ma la notizia bomba era che non ci recavamo lì perché c’era qualcosa da vedere o peggio ancora da fare, no.
Trascorrevamo quindici giorni di noia completa solo per partecipare al festival del nonsoche. Fico, sul serio.
Stesi il mio telo da mare sulla sabbia e mi sedetti poggiando i gomiti sulle ginocchia a osservare ciò che mi circondava. A dire il vero cercavo qualche faccia conosciuta, nel corso degli anni mi ero fatta qualche amico – se così si può chiamare visto il breve periodo in cui ci vedevamo – ma per lo meno avrei scambiato quattro chiacchiere.
C’era qualche famigliola felice con bambini al seguito, ragazze che armeggiavano con delle racchette, altri che giocavano a riva e dei surfisti che si tuffavano in acqua. Nessun viso familiare. Mi stavo già annoiando.
Decisi allora di fare un bagno, dovevo pur far passare il tempo in qualche modo e poi si sa che in acqua ci si abbronza prima. Ben presto e grazie anche ai miei capelli scuri, sarei sembrata una del posto.
Tolsi l’elastico dai capelli e sfilai maglietta e short di jeans e andai a tuffarmi in quell’acqua gelida. Beh, almeno rassodava.
Non è che mi ispirasse tanta fiducia stare lì, senza vedere il fondo, con l’acqua che si gonfiava quando un’onda stava per scaricarsi a riva. Ma se i surfisti lo facevano, perché io non potevo?
Nuotai per un po’ orizzontalmente alla spiaggia, finché non sentii i muscoli bruciare per lo sforzo, poi mi fermai a riposare e fu allora che notai qualcosa di strano. Inorridii quando a distanza di un centinaio di metri vidi qualcuno cadere da una scogliera.
«Oh mio Dio!», urlai scioccata.
Nuotai più veloce che potei in quella direzione, stando attenta a non avvicinarmi troppo altrimenti la corrente mi avrebbe schiantato contro le rocce e cercai di vedere qualcosa, magari un corpo galleggiare? Oppure era andato a fondo?
«Ehi! Ehi!», urlai stupidamente in quella direzione.
Non era possibile sopravvivere a quell’altezza, l’impatto doveva essere stato fortissimo e devastante. Forse era meglio tornare indietro e avvisare i soccorsi, loro avrebbero potuto fare più di me, sicuramente.
Con il cuore che batteva a mille mi girai e mi ritrovai a urlare di nuovo per lo spavento.
«Non sono uno squalo, puoi stare tranquilla».
«Sei tu… che sei caduto dalla scogliera?».
Il ragazzo sorrise. «Ti sembrava una caduta? Quello era un tuffo».
«Un tuffo? Di schiena?», la mia mandibola cadde verso il basso.
«Certo, mi piace sperimentare cose nuove».
La gente era fuori di testa, non avevo più dubbi. Mi era quasi preso un colpo a vederlo cadere e invece lui se ne stava di fronte a me, col viso rilassato e un sorriso quasi divertito, come se volesse farmi capire qualcosa del tipo: ehi baby rilassati, non ho fatto niente di eclatante.
«Bene, ci vediamo», borbottai nuotando di nuovo nella direzione opposta.
«Io sono Jacob», si presentò affiancandomi.
«… Lexi», dissi dopo un po’.
«Lexi, sai che è pericoloso nuotare da sola in queste acque?».
Mi accigliai. «Più che buttarsi da una scogliera?».
«Decisamente. Le correnti cambiano all’improvviso e potrebbero portarti a largo nel giro di pochi minuti».
«Ah, vedrò di seguire il tuo consiglio». Figuriamoci.
Jacob continuò a nuotare con me, finché non tornai a riva.
«Stasera verrai al festival?», mi chiese tranquillo. Mi allontanai dall’acqua proseguendo sulla sabbia asciutta e mi girai per rispondergli.
Certo, avrei potuto non farlo – e forse sarebbe stato meglio – ma come si può parlare a una persona senza guardarla negli occhi? Mica ero una di quelle ragazze che se la tirava e disprezzava un ragazzo che viveva in una riserva indiana.
Quando poco fa mi era apparso alle spalle, vicino alla scogliera, lo avevo trovato carino: mascella larga, occhi scuri e penetranti, capelli neri come l’ebano. Però, adesso, vederlo tutt’interno, faceva un effetto… conturbante.
Sicuramente era uno che attirava parecchi sguardi su di sé e non solo.
Era un colosso. Ma non uno di quelli palestrati al massimo, che si muovono come bambolotti di plastica. No di certo. Era alto, imponente, scolpito. I movimenti fluidi, disinvolto da morire… era davvero bello.
«Emh sì, andrò al festival». Era la prima volta in ventuno anni che ero felice di dirlo e sarei stata felice anche di farlo, ne ero quasi sicura.
«E ci vai con qualcuno?», chiese ancora avvicinandosi di un passo.
«Forse».
Mi obbligai a tenere gli occhi nei suoi, la tentazione di osservare le goccioline d’acqua che gli rigavano il corpo, era forte. Non so se alla fine riuscii nell’intento.
«Beh, in caso dovessi essere da sola… ci vediamo lì».
Annuii quando lui mi passò di fianco, sfiorandomi la spalla e andando via. Nemmeno mi aveva chiesto se mi andava di andarci con lui, che sbruffone. Oppure aveva capito che non ce n’era bisogno… 
Dio, sono patetica.
 
 
Possibile che ci fosse tutta quella gente a quel cavolo di festival? C’erano luci colorate dappertutto, stand di legno con prodotti e oggetti tipici del posto, musica suonata dal vivo e indiani, tantissimi indiani.
Per lo meno in quel marasma non avrei incontrato i miei genitori e la cosa mi rallegrava, visto che il mio intento era trovare Jacob, o possibilmente farmi trovare da lui; ma le mie speranze erano davvero poche, quasi quasi mi dispiaceva.
Quando ero tornata nella mia camera d’Hotel, non avevo fatto altro che pensare a lui e a ciò di cui avremmo parlato quando ci saremmo rivisti.
Ero impazzita, Jacob era solo un ragazzo. Uno di quelli per cui le mie amiche avrebbero ucciso.
Risi fra me e me al pensiero di raccontagli ciò che mi era accaduto e al modo in cui lo avevo incontrato.
«Lexi?». Qualcuno mi toccò la spalla richiamando il mio nome. Mi girai cercando di fare l’espressione spaesata di chi non sa chi può conoscere il suo nome in mezzo a milioni di sconosciuti, ma sorrisi come un'ebete.
«Jacob».
«Sei da sola», affermò. «E ti ho trovato».
«Hai fiuto».
«Puoi dirlo forte», disse fiero prima di fare un sorriso smagliante. Sarebbe bastato solo quello per illuminare tutta la riserva, altro che lampadine.
«Vieni, ti offro qualcosa da bere».
Jacob mi sfiorò appena la schiena, poi mi sospinse appena in avanti, indicandomi il punto che dovevamo raggiungere.
«Allora Lexi, sei qui in vacanza, vero?».
«Sì, esatto».
«Quanto tempo?».
«Poco, due settimane». Poco? Sto impazzendo.
Jacob aveva indossato t-shirt nera e jeans scuri e stava divinamente; io invece avevo un vestitino bianco svasato, il contrasto fra noi due doveva essere evidente.
«Tu invece vivi qui, giusto?».
«Sì, qui vicino», disse sorridente.
Magari, se uno di quei giorni mi fossi ritrovata ad annoiarmi, potevo fare un giro nei paraggi, così avrei trascorso del tempo con lui.
Prendemmo da bere e poi ci sedemmo su un tronco d’albero ai limiti della foresta, un po’ in disparte dalla confusione del festival.
Nonostante non lo conoscessi affatto, eravamo in sintonia. Non c’erano stati silenzi tra noi e chiacchieravamo a ruota libera su qualsiasi argomento. Mi disse che adorava smontare e rimontare auto, amava i lupi e la sua famiglia di cui considerava parte anche i suoi amici.
Mentre parlava non so quante volte mi ero incantata alle sue labbra divinamente perfette. Non riuscivo a trovare un difetto in lui, era impossibile.
Anche io gli raccontai di me. Gli dissi che giocavo a tennis, che mi piaceva la neve ed ero ossessionata da un telefilm americano chiamato The Vampire Diaries, ma appena sentì il nome, non ne volle sapere più nulla. Immaginavo che la sua reazione sarebbe stata quella, tutti i maschi hanno una specie di repulsione verso queste cose.
Il tempo trascorse così in fretta che nemmeno mi accorsi che il festival si era spopolato e le lancette del mio orologio segnavano l’una e mezza della notte.
«Devi andare?», mi chiese quando se ne accorse.
«Sì», mentii senza un motivo.
«Bene», si alzò dal tronco e mi porse una mano per aiutarmi a tirarmi su e io l’afferrai. «Ti accompagno, dove alloggi?».
Ci impiegai qualche istante a parlare, perché mi ero persa a immaginare di invitarlo nella mia camera per fare… altre quattro chiacchiere.
«Se non vuoi dirmelo…».
«Al Garden Hotel», mi affrettai a rispondere con un sorriso.
Mi accompagnò, e anche quel percorso, come l’intera serata sembrò troppo corto. Avrei voluto stare un altro po’ in sua compagnia.
«Bene, eccoci arrivati», esordii girandomi verso di lui.
Jacob si infilò le mani in tasca e guardò l’edificio di fronte a lui, poi fece un sorriso malizioso.
«Ora che so dove alloggi potrei venire a importunarti spesso».
«Ho preso lezioni di autodifesa», scherzai.
«Questa cosa mi farà desistere, sicuramente».
Si chinò su di me, avvicinando il viso al mio e prendendo una mia ciocca di capelli tra le dita. Mi ritrovai a trattenere il respiro.
«Quindi ci vediamo», soffiò sulla mia bocca. Il suo respirò era così vicino che riuscivo a individuarne le note di pesca del cocktail che avevamo bevuto.
Lo fissai negli occhi e come un’imbecille non risposi e lui incalzò. Mi prese il mento fra le dita avvicinandosi ancora di più, la punta dei nostri nasi si toccava.
«Va bene?».
«Sì», dissi appena.
E lui mi lasciò, allontanandosi di colpo e limitandosi solo a una carezza fugace sul fianco.
«Buonanotte Lexi», disse con voce roca.
«Buonanotte», farfugliai sbarrando gli occhi, poi corsi in camera mia incapace di intendere e di volere.
 
 
Erano passati quattro giorni da allora e Jacob non si era fatto più vedere.
Avevo pensato più volte di fare un giro nei dintorni della sua abitazione, ma il mio orgoglio era troppo per permettermi di farlo e poi la mia soglia di pateticità era già stata superata alla grande, parliamoci chiaro.
Anche quella mattina decisi di andarmene in spiaggia a prendere un po’ di colore. Di andare a svaligiare negozietti di souvenir ne avevo piene le scatole.
I miei genitori invece, quella mattina erano usciti all’alba per andare a fare un’escursione nella foresta, alla ricerca di una specie rara di fungo.
Stesi il mio telo e poi mi tolsi i vestiti. Mi sdraiai chiudendo gli occhi e beandomi della sensazione del tepore del sole che mi riscaldava la pelle.
Quella sera avrei telefonato alla mia migliore amica per raccontarle qualcosa, anzi per farmi raccontare qualcosa. Sicuramente lei aveva cose più interessanti da dirmi e moltissimi pettegolezzi.
«Sai che sta per arrivare un temporale?».
Quando sentii la voce di Jacob così vicino mi venne un crampo allo stomaco. Mi sforzai di mantenere un atteggiamento indifferente.
«In tal caso tornerò in Hotel».
«Non farai in tempo ad arrivare se rimani ancora qui».
La sua voce aveva cambiato angolazione adesso ed era ancora più vicino, forse era seduto di fianco a me.
A ogni modo che stava blaterando? C’era il sole!
«Che sarà mai un po’ di pioggia?».
Okay, ero acida. Stupida me! Dovevo fare l’indifferente. Eppure mi dava fastidio che non si era fatto vedere per quattro interminabili giorni, io contavo su di lui per divertirmi. E invece mi aveva ingannato, incantato è il termine più esatto.
«Un po’ di pioggia?», ridacchiò.
A quel punto aprii gli occhi e mi sollevai sui gomiti. Proprio come avevo immaginato Jacob era a fianco a me, nella mia stessa posizione. Indossava solo dei calzoncini di jeans e avevo un velo di occhiaie sotto gli occhi, sembrava stanco.
«Finalmente mi guardi… buongiorno».
«Ciao», risposi tornando a sdraiarmi. Oh Dio, com’era bello, anche il suo tatuaggio mi piaceva.
«Sei di cattivo umore?».
«No».
Mi misi una mano davanti agli occhi per coprirmi dai raggi del sole e gli sorrisi.
Mica era obbligato a venirmi a cercare, che me la prendevo a fare?
Lui ricambiò più rilassato. «Oggi hai seguito il mio consiglio di non nuotare, mi fa piacere».
«A dire il vero non avevo voglia».
«Femmine», sussurrò.
«Maschilista».
Un tuono echeggiò da lontano e dei grossi nuvoloni scuri riempirono il cielo a una velocità inaudita.
«Nemmeno la fine del mondo arriva con questa velocità».
Jacob rise, la sua risata era piena e contagiosa. «Qui a La Push sì, io te l’avevo detto».
Si alzò con agilità e mi afferrò la mano trascinandomi con lui. Le prime goccioline di pioggia avevano cominciato a scendere e a macchiare la sabbia.
«Dove stiamo andando?», chiesi correndo per mantenere il suo passo.
«Al riparo».
Arrivò a ridosso della scogliera e poi si infilò in un’insenatura tra le rocce, una specie di minuscola caverna che ci avrebbe riparato dal temporale.
«Devi conoscere a memoria questo posto eh?», chiesi spostandomi i capelli dietro le spalle.
«Abbastanza».
«E dimmi, quante ragazze ci hai portato qui?».
Jacob sporse il labbro inferiore in una smorfia di pura perplessità. «Ti sembra il posto per portare una ragazza questo?».
Che cosa? Ma era romantico! Una caverna sulla spiaggia di fronte al mare… A me sarebbe piaciuto.
«Forse ci sono posti migliori, è vero».
Ci sedemmo sulla sabbia, uno di fianco all’altro, abbastanza vicini da sfiorarci. Ero un tantino a disagio in quel silenzio, poi però mi toccò il gomito col suo. «Che cosa hai fatto in questi giorni?».
«Cruciverba, passeggiate… non c’è un granché da fare qui, per fortuna fra qualche giorno riparto».
Jacob si leccò le labbra e piegò il busto verso di me, come se dovesse prepararsi a fare una lunga conversazione e di riflesso feci lo stesso.
Non aveva una grinza di pancia, anche da seduto. Il petto largo e definito, fasci di vene scure che partivano dal polso e gli percorrevano il braccio.
Mi venne l’impeto di toccarlo, ero certa che sarebbe stato più che piacevole.
«Per fortuna oggi ci sono io e ti farò divertire», disse sollevando un sopracciglio, pieno di sé.
Ridacchiai donandogli una piccola pacca sulla guancia. «Io non mi diverto con poco sai?».
Jacob si toccò il petto con la bocca tirata per il finto disappunto. «Questa è un’offesa, Lexi. Ti sembro poco?».
Oddio… lì ce n’era per un esercito intero.
«Non saprei dirti con certezza».
«Forse non hai visto bene…».
Deglutii ma non persi il sorriso divertito mentre lui arricciava una ciocca dei miei capelli al suo dito.
«Mi sei di fronte… ti vedo più che bene». Alla faccia.
Jacob sorrise riducendo gli occhi a una piccola fessura. Un luccichio di sfida gli brillò nello sguardo mentre si avvicinava sempre di più, inesorabilmente.
«A te piace scherzare col fuoco».
Quelle furono le ultime parole che disse prima di un lungo, interminabile e meraviglioso silenzio.
Le sue labbra si poggiarono sulle mie bollenti e morbide e la sua mano affondò fra i miei capelli accarezzandomi la nuca, l’altra invece indugiò sul mio fianco.
Lui scandiva il ritmo del bacio, un po’ lento, un po’ veloce. E mordeva, succhiava, leccava…
In poco tempo mi ritrovai felicemente senza fiato, completamente sdraiata sulla sabbia, col suo piacevole peso su di me che mi teneva bloccata al suolo.
Lo circondai con le braccia accarezzando intensamente le sue spalle forti e risalendo verso i capelli.
Quando lui interruppe il bacio rimasi di sasso a maledirmi milioni di volte al secondo.
Pensai che il cuore stesse per collassare per quanto batteva veloce.
Incontrai i suoi occhi lucidi, le pupille leggermente dilatate e vidi la sua bocca un po’ gonfia e rossa.
Mi sfiorò di nuovo, il suo respirò sembrò fresco sulle mie labbra.
«Ha smesso di piovere».
«Ah».
Cercai di sollevarmi e lui si spostò da sopra di me, uscendo dal nostro piccolo rifugio e tendendomi la mano come aveva fatto qualche sera prima, per aiutarmi ad alzarmi.
Ma sembravo una vecchia forse? Ecco che ora cominciavano le paranoie.
Mi scrollai di dosso i granelli di sabbia ed evitai il suo sguardo.
«Io devo tornare», dissi per evitare di fare l’ennesima figura patetica di quella che viene pure scaricata per prima.
«Okay», disse e poi più nulla.
Mi girai di spalle e corsi verso il mio Hotel, sentendomi confusa e cretina, ma terribilmente felice.
La mia vacanza stava volgendo al termine, ma per la prima volta dopo tanti anni, sarei tornata in città con qualcosa di bello da ricordare.
 
 
Era l’ultima sera che trascorrevo a La Push, il giorno dopo io e i miei genitori saremmo tornati al caos della città e all’urbanizzazione. Addio foreste, addio aria pulita, addio mare e… addio Jacob.
Come temevo non si era fatto vedere dopo il nostro bacio, proprio quando invece avrei voluto che venisse a cercarmi per passare del tempo insieme.
Mi piaceva quel ragazzo. Non si era capito eh?
Dio, non sapevo nulla di lui, nemmeno se fosse fidanzato. Era una cosa irrazionale, qualcuno avrebbe detto sbagliata, ma ero fortemente convinta che nella vita si deve cogliere l’attimo.
E Jacob era stato il mio attimo. Chi se ne importava che non l’avessi più rivisto per il resto della mia vita? Se non mi fossi lasciata andare al mio istinto, facendo ciò che il mio corpo e la mia mente desideravano, lo avrei rimpianto.
Che poi era un semplice bacio, mica lo avevo sposato.
Dopo cena ritornai in camera a sistemare le ultime cose in valigia, lasciando fuori solo il cambio per la notte e un paio di infradito viola.
Ragionai sul fatto che forse, per una volta nonché l’ultima, potevo andare al villaggio e provare a cercarlo. Qualcuno doveva pur conoscerlo.
Mi guardai allo specchio, pronta a farmi un discorso esistenziale che mi avrebbe fatto capire che quello era un errore. Perché mai dovevo andare a salutare uno sconosciuto che avevo visto tre o quattro volte?
Sbuffai e mandai al diavolo il mio riflesso e poi mi precipitai fuori dalla stanza. Aprii la porta e sbattei il naso contro… un muro pensai inizialmente.
«Dovresti guardare dove vai».
Jacob parlò a voce bassa con un angolo della bocca sollevato in un piccolo sorriso. Senza lasciarmi rispondere mi sospinse di nuovo all’interno della camera chiudendosi la porta alle spalle. Sentii anche lo scatto della chiave.
«Come sapevi che stanza avevo?».
«Sei nella riserva dove vivo da sempre. Conosco il direttore, è un mio caro amico».
«E che cosa ci fai qui?».
«Non lo sai?».
Mi venne incontro mentre io indietreggiavo, finché non potei più farlo perché incontrai il telaio del letto.
«No, non lo sapevo. Tu sparisci e appari quando ti fa più comodo».
Ecco di nuovo il tono acido, dovevo darci un taglio.
«Domani vai via. Sono venuto a salutarti, visto che tu non ti sei sprecata a venire».
Mi mordicchiai le labbra con nervosismo, mentre lui sembrava tranquillo e a essere sincera, anche un po’ divertito. Sicuro di se stesso e del suo effetto sul di me.
«Non ho avuto tempo».
«Già», soffiò afferrandomi dai fianchi. «Vedo quanto sei occupata a far niente».
«Mi stavo prendendo una pausa».
Lui annuì ancora, si vedeva proprio che non mi credeva, ma mi leggeva nella mente?
Mi prese il viso con una mano, stringendomi le guance. Riconobbi il suo odore, un qualcosa come il legno di sandalo mescolato al muschio.
«Anche io sono in pausa», mormorò prima di baciarmi. Ci aveva preso gusto? Chi gliela dava tutta questa confidenza? Comunque nemmeno ci pensai ad allontanarmi e a troncare qualsiasi cosa stavamo facendo o stavamo per fare.
L’ultima sera. Bene, ultima ma indimenticabile.
Fui io a sdraiarmi sul materasso e a tirargli la maglia affinché mi raggiungesse.
La sua bocca scorreva sul mio collo insieme alla sua lingua, il mio stomaco protestò.
Gli tolsi i vestiti senza rendermi conto, impaziente di toccare quel suo corpo perfetto, come avrei voluto fare sin dalla prima volta che lo avevo incontrato.
Anche i miei vestiti svanirono nel nulla insieme alla mia ragione.
La sua bocca e le sue mani erano ovunque, non mi dava tregua, mai. Ci sapeva fare.
Quando sentii il suo peso più deciso su di me, gli morsi la bocca e mossi i fianchi verso i suoi, volevo di più. Lo sentii sorridere, un mugolio sommesso intrappolato in fondo alla gola che mi fece rizzare i peli su tutto il corpo e poi entrò in me. In fondo. Sempre più in fondo.
Mi ansimava contro l’orecchio e il mio piacere aumentava a dismisura.
I suoi movimenti erano intensi e passionali, forti.
Raggiungemmo il piccolo del piacere insieme e poi rimanemmo lì, vicini. La mia testa poggiata sul suo braccio e la sua mano mollemente poggiata su una mia coscia. Poi il sonno mi portò via con sé.
 
 
Sul retro dell’auto dei miei genitori guardavo le foreste verdeggianti che passavano veloci dietro al finestrino.
Sorridevo.
Stavo ritornando in città dopo due settimane trascorse a La Push per partecipare al festival del nonsoche.
C’erano stati giorni noiosi, come accadeva sempre e poi c’era stato Jacob. Lui era il mio attimo positivo.
Quando mi ero svegliata dopo aver trascorso la notte con lui, non lo avevo più trovato, era andato via.
Non un biglietto né un messaggio alla reception, niente. Che cosa mi aspettavo?
Solo quando avevo sistemato le ultime cose, mi ero accorta che sul comodino c’era un oggettino.
Lo avevo preso fra le dita accorgendomi che era un piccolo lupo intagliato nel legno. Non l’avevo mai visto fino a quella mattina, quindi doveva averlo lasciato per forza Jacob. Me lo infilai in tasca col cuore un po’ leggero… quel lupo aveva il suo stesso buon’odore.
Non sarei più tornata a La Push e non avrei più rivisto Jacob. D’altronde lo sapevo già, quella era la solita avventura estiva, che si dimenticava non appena la vacanza terminava.
Sinceramente, in un’altra circostanza avrei provato ad avere di più con lui, non solo un qualcosa di fisico. Ma era inutile pensare a un eventuale se.
Mentre continuavo a rimuginare senza tregua il mio cellulare squillò. Sbarrai gli occhi quando sul display apparve il nome Jacob. Io non avevo nessuno nella mia rubrica con quel nome, a meno che…
«Se mi prometti di indossare quel reggiseno nero, potrei anche invitarti a cena una volta o due».
Mi sbattei una mano sulla fronte e risi fra me e me. Forse quell’attimo  era destinato a diventare qualcosa in più.


Angolino Autrice

Questa shot è scritta per partecipare a un contest su facebook indetto da postergirl84. 
Spero che vi piaccia <3
A presto <3
-Carmen

  
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