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Autore: _Candy_    21/03/2013    5 recensioni
Il vero titolo di questa fanfiction sarebbe 'Letters to my Died Boyfriend', ovvero 'Lettere al mio fidanzato morto.', ma visto che questa storia è ispirata ad una canzone, My Bonnie, mi è sembrato giusto menzionarlo nel titolo. Per scrivere questa fanfiction ho spostato le lancette avanti di tre anni, e mi sono vista sulla panchina del gatto rosso, con un quaderno ed una penna, a scrivere al mio Bonnie personale, al ricordo del mio fidanzato. Bhè, quel che resta di lui. Di questo parla questa storia: una diciassettenne che si perde nei ricordi di giorni felici.
AVVERTENZA: mentre la scrivevo ho pianto, tanto. Potreste rischiare di piangere anche voi C:
L'ho scritta per la scuola, è assolutamente CASTA lol :D
Vi mando un bacio, e auguro a tutte quelle che hanno perso il loro Bonnie di ritrovarlo il prima possibile.
Ila
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Lettera n° 1094_

Caro amico, ciao.
Ormai non so neppure più scrivere il tuo nome. Forse non lo ricordo nemmeno, o forse non lo voglio ricordare. I ricordi sono come ciliegie: te ne salta uno in mente, e se ne porta una cinquantina appresso. Ecco, ricordare il tuo nome mi farebbe ricordare tanti momenti che sto cercando di cancellare dal mio 'personal hard disk', sì, dalla mia memoria. Tu parlavi sempre così, con qualche termine specifico in inglese, e mi facevi sempre sorridere perché ne capivo il 13,2%, così dicevi. E quando non sorridevo, cominciavi a farmi il solletico. Ecco, l'ho detto io, che i ricordi non riescono a fermarsi, corrono veloci e nessun carabiniere o nessun autovelox li ostacola. Ecco un altro ricordo: gli autovelox. Per andare dal paese al fiume impiegavamo almeno un'oretta con la tua Vespa rossa, risalente al secondo dopoguerra come minimo. Nelle strade con i limiti di 80 km/h, tu andavi sempre ai 50 mk/h per paura di prendere una multa, che, con la precarietà economica che c'è ora in Italia, significa quattro sabati in casa senza cinema o discoteca. E poi, i tuoi commenti al telegiornale, i tuoi insulti verso i politici, totalmente incapaci. Le tue parole, che continuano anche adesso a vibrare nell'aria: "Per questo sto studiando legge, voglio capire se è l'aria che respirano che li rende così egoisti, o se qualcuno si può salvare.", ma sono rimaste soltanto parole. Peccato. Saresti stato un ottimo politico. Già immaginavo i manifesti elettorali, con quel tuo bel viso, invecchiato di qualche anno, con la barba corta un po' brizzolata, i capelli corti e gli stessi occhioni azzurri che mi hanno fatta innamorare di te. Ecco, l'ennesimo ricordo, l'ennesima pugnalata al petto. Il sangue sta piano piano colando, le ferite si aprono, i ricordi sgorgano dalla mente, sempre più veloci, così come il sangue che sta sgorgando dal mio cuore. L'azzurro dei tuoi occhi, dello stesso colore dei sogni delle sirene, che rifletteva il colore della piscina e del fiume. Quel fiume. Quel maledetto, sporco fiume, macchiato del sangue di un ragazzo che era felice. Forse sei ancora felice, forse non hai mai smesso di essere felice, forse sogni ancora, nuoti e ti tuffi. Ti tuffi. Sogni. Nuoti. Ti tuffi.
Il sole sta calando, e la pietra della panchina del gatto rosso sulla quale sono seduta si sta raffreddando. C'è Fulvio, il gatto rosso dal quale ha perso il nome questo blocco di pietra fredda, vicino a me. Ti ricordi quando lo trovammo? Certo che ti ricordi. Era appena un cucciolo, si reggeva a malapena sulle sue gracili zampette. Miagolava disperato, aveva una zampina graffiata. Lo raccogliemmo e lo curammo. Non se n'è mai andato da casa mia. Ora sono passati quattro anni da quando lo trovammo. Eravamo appena tredicenni, ci conoscevamo da poco. Quella fu una delle nostre prime passeggiate. Eravamo poco più che bambini, e, per quanto cercassimo di fare i grandi, avevamo ancora tanta voglia di giocare, correre innocentemente nell'erba a piedi nudi fino al tramonto, intrecciare coroncine di fiori, come quella che mi regalasti al mio compleanno. Faceva caldo, eravamo stesi sul prato a guardare le nuvole. Questo delle nuvole era uno dei tuoi aspetti che mi stregò per primo. Passavamo ore e ore a guardare il cielo, con il sole che baciava i nostri occhi e invogliava le palpebre a chiudersi. Poi, quel giorno di quel mio compleanno, quella coroncina di fiori, quel profumo, quel piccolo bacio appoggiato con delicatezza sul mio naso. Fu così che cominciò tutto. Ma non sarò un po' monotona?! Sono 1084 giorni che ti scrivo sempre le stesse cose: il nostro primo incontro, la panchina, il gatto, le corse, i gelati, l'autovelox, il cinema, il fiume, i tuffi... No, questa volta niente tuffi. E niente ospedale. Piuttosto, ti ricordi quando mi cadde il gelato su un passeggino?! Che risate. La madre, una ragazza giovane, si divertì più di noi, e anche la sua bambina, che era ricoperta di gelato al puffo. Lo stesso giorno andammo al cinema, e presi i pop corn al caramello. Caddero alla prima risata, e caddero adosso alla vecchietta che sedeva davanti a me. Fu fermato il film per far calmare la signora. Non avrei mai pensato che una donna così consumata dal tempo, così carica di passato e di storie da raccontare, possedesse un corredo di parolacce e insulti così vasto e colorito. Poi, me lì sputò tutti in faccia, uno dopo l'altro, alla stessa velocità con la quale tu ti tuffasti. No, non quel ricordo. Tutto, ma non quello. Eppure, ricordo ogni schizzo d'acqua, ogni incrinatura della tua voce. Ricordo solo quel maledetto tuffo. Ma non ricordo perché ti tuffasti proprio da quella roccia in alto, dalla quale non ti eri mai tuffato. Ricordo il sangue che si sciolse e corse via con l'acqua, una vena più scura che andò a sporcare l'immacolata limpidezza trasparente dell'acqua. Successe tutto così in fretta, che non capii subito cosa stava succedendo, nemmeno quando ero affianco a te nell'ambulanza, mentre vaneggiavi e snocciolavi sillabe a caso. Non piangevo neppure, non capivo che non ti avrei baciato mai più. Poi, quei minuti interminabili nella sala d'attesa, gli occhi fissi sul pavimento a contare i secondi che stavo perdendo lì seduta invece di esserti accanto. Poi, l'infermiera in lacrime, visibilmente dispiaciuta, mi disse di entrare nella stanza. Alle radici del suo caschetto rosso fuoco, una piccola ricrescita castana rivelava la dipendenza dalla parrucchiera. Mi concentrai sui capelli di un'altra infermiera, biondo platino, che stonavano incredibilmente con le sopracciglia nere e la ricrescita dello stesso color corvino. Poi, quel lenzuolo. Sotto quel tessuto bianco, il tuo corpo. Mi dissero che non ce l'avevi fatta, ti sarebbe servito un trapianto di midollo istantaneamente. Dissi che te l'avrei donato io, anche tutto te l'avrei dato. Ti avrei dato la mia vita. Scostai il lenzuolo, incapace di voler ascoltare ciò che gli infermieri mi stavano dicendo. Baciai la tua fronte gelida, e capii che era troppo tardi. Avevamo quattordici anni. Ora ne ho diciassette. Domani saranno passati tre anni da quando non riuscii a donarti il midollo osseo in tempo. Quella di domani sarà la lettera numero 1095. Poi ce ne sarà una numero 1096, e una numero 1097, e un'altra, la 1098. E tante altre, finché vivrò di questi ricordi. Non vivo che di ricordi, e, forse, non arriverò mai alla lettera numero 2000. Forse i ricordi mi soffocheranno prima. Forse andrò in tutti i posti in cui sono stata con te, poi basta. Forse andrò, infine, sul ponte sul fiume, lo stesso fiume che lavò il tuo sangue, e farò in modo che quel fiume lavi anche il mio. Ma, forse, il mio istinto di sopravvivenza, ciò che non riuscì a fermarti, riuscirà a fermare me. Forse vivrò ancora tanto, vivrò anche per te, mi innamorerò di nuovo, mi sposerò, avrò dei figli, vivrò una vita normale, ma il mio cuore continuerà per sempre a sgorgare sangue e ricordi in abbondanza. Non ricordi qualsiasi, ma i tuoi ricordi. O forse mi fermerò, ti raggiungerò, se c'è qualcosa oltre la morte, e vivremo per sempre insieme, tu eterno quattordicenne sorridente, io diciassettenne che vive di ricordi e che ritrova il ragazzo con gli occhi del colore dei sogni delle sirene. E se ti fossi trovato una ragazza tra i morti?! Ma io credo nell'aldilà?! Penso che sarebbe bello credere in qualcosa, avere una fede alla quale aggrapparsi. Ma io non credo in nulla di sovrumano, e non posso neppure affidarmi a preghiere o riti religiosi. E tu che cercavi di convertirmi, di portarmi in chiesa. 'Atea sono nata e atea morirò!', ti rispondevo. Non lo so se continuerò a vivere nel dolore o se fermerò tutto questo. Domani vedremo, vedremo se sarò ancora in grado di ricordare serenamente o se dovrò dire basta, salutare tutto questo grigio e... fa male dirlo, ma è così. Morire, così come sei morto tu.
Ciao. Ti mando un bacio attraverso quella lapide grigia.
La tua migliore amica.



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Spazio Autrice
Arrivo, mi asciugo le lacrime poi continuo a scrivere..
Mamma mia. Non ci posso credere di aver scritto una storia così triste!!
Ma è comprensibile?? Nella mia testolina è spuntata un'immagine, io diciassettenne vicino ad un corpo coperto da un lenzuolo, un ragazzo senza identità che amavo tanto. E poi, da quell'immagine, questa lettera. Ma io so cos'è successo, voi l'avete capito?? Vi prego ditemi di sii :3
Vabbè... Se vi è piaciuto ditelo che pubblico anche altre esercitazioni per gli esami..
Ciaa'
Ila C:
  
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