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Autore: Kodamy    08/10/2007    6 recensioni
Nei primi mesi di permanenza all’Ordine, Yuu Kanda aveva ostinatamente seguito Komui chiedendogli che 'diavolo' fosse Dio.
Inutile dire che Lavi, nell’apprendere questo aneddoto, era rimasto decisamente divertito; ed inutile aggiungere che,in speranza di riuscire a raccogliere tanti aneddoti come quello che gli era stato raccontato, Lavi aveva imparato a tendere le trappole giuste per catturare la curiosità del giapponese. E ci riusciva.
Sempre.
[Tematiche religiose sparse] [Shounen Ai se recitate tre volte Ambarabbà ciccì coccò al contrario] [Lavi&Kanda centric, pre-serie.] [Sono in astinenza da Kanda.]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rabi/Lavi, Yu Kanda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo stolto pensa: “Non c’è Dio”

In questo mondo vi sono solo due categorie di persone:

coloro che - consapevoli di vivere nell’ipocrisia – disinvoltamente, francamente, sfacciatamente lo ammettono;

e coloro che - consapevoli di vivere nell’ipocrisia - ostinatamente, strenuamente, tenacemente lo negano.

 

 

Why do you Believe?

 

 

“Tu lo sai?”

“Cosa?”

Le luci dell’alba – le rosee dita dell’alba, avrebbero detto parecchi di quegli scrittori ormai morti da secoli – facevano pigramente capolino al di sopra delle cime degli alberi, spingendo via le ultime tracce della notte trascorsa. L’atmosfera era tranquilla e rarefatta. Qui e lì si poteva tranquillamente percepire gli ultimi sprazzi di sonno gettati via dalla natura ormai in risveglio.

Il primo ragazzino ad aver parlato, dai disordinati capelli rossi, sollevò lo sguardo al di sopra del libro aperto sulle ginocchia. Non poteva aver più di quattordici anni. Quell’occhio verde che mostrava al mondo era vagamente crucciato, come in un vano tentativo di afferrare un concetto che fino a quel momento era stato troppo grande affinché lo comprendesse del tutto.

“… se Dio esiste ed ha creato lui il mondo, perché esiste il male?”

L’altro ragazzino, asiatico e lievemente più minuto di costituzione, sbuffò abbassando la spada – che lui fieramente sosteneva essere una katana – e asciugandosi la fronte già madida di sudore con il dorso della mano. Evidentemente esasperato e colto alla sprovvista.

“… che razza di domande sono, di prima mattina? Lavi, dannazione, dammi tregua. Perché diavolo mi hai seguito fin qui, poi?” Fu la risposta caustica che, senza ritegno, accantonò quella domanda in un angolino con tutta l’intenzione di dimenticarla.

A quella, seguì il silenzio. I primi uccellini, destati dal loro sonno, ebbero la magnanima idea di riempirlo con i loro canti mattutini. Tuttavia, il giovane lettore non desistette.

“Tu lo sai, Yuu?” insistette, mutando il tono da serio a canzonatorio.

“Piantala.” Fu la replica prevedibilmente ottenuta da quel tono e dal nome utilizzato. “Lasciami in pace. Va’ a dormire. Non ho testa di starti ad ascoltare.”

L’altro ragazzino aveva ridacchiato controvoglia, sollevando ancora una volta il libro e immergendovi ancora una volta lo sguardo. Dopo un lieve ripensamento, schioccò anche la lingua.

Tuttavia l’asiatico, con quello sguardo truce, continuava a fissarlo. Insistentemente.

Consapevole, l’altro continuò ad ignorarlo amabilmente finchè non finse di sollevar ‘inavvertitamente’ lo sguardo per incontrare il suo.

“Uh?” mormorò intelligentemente, accennando un sorriso non troppo sentito. Ritratto dell’innocenza.

Yuu aveva crucciato ancor più le sopracciglia, ormai quasi unite sul naso. “Allora?” sbottò, immobile, piantando con un cenno brusco Mugen nel terreno.

“… allora cosa?”

“Beh, tu lo sai, no?” fu la laconica replica del giapponese, scortesemente buttata lì con quel tono seccato da ‘devo-spiegarti-tutto-io’. “Non verresti a farmi domande di cui neanche tu sai la risposta, idiota.”

Se c’era qualcosa che a Lavi piaceva di Yuu, pur non potendo per principio (di Bookman) definirlo un ‘compagno’ o un ‘amico’ (e non si azzardava neppure ad andar oltre con l’elenco di appellativi sotto i quali quella ‘relazione sociale’ avrebbe potuto essere classificata), era proprio l’atteggiamento di quest’ultimo nei confronti del mondo.

Lo trovava decisamente divertente, in un modo o nell’altro.

Yuu non era particolarmente brillante: non era capace di ragionamenti astratti, la matematica gli confondeva le idee e non aveva affatto una cultura solida su cui basare od intavolare discorsi decenti. Lavi lo avrebbe definito, in mancanza di una parola migliore, ‘stupido’. Lento di comprendonio, a volte, ottuso e tenacemente rinchiuso nel piccolo mondo da lui conosciuto.
Sapeva che soltanto adesso, sulla via dei quattordici anni, stava imparando a leggere e a scrivere perché prima nessuno si era evidentemente degnato di insegnargli come fare, né tantomeno aveva ritenuto importante farlo.

Tuttavia, Yuu era curioso in materia di cose che lo interessavano. Anche se non riusciva ad afferrarle del tutto, voleva conoscerle. Tentare di spiegargliele era la sfida più impegnativa ed interessante che Lavi avesse mai tentato.
Chiedendo nell’Ordine informazioni al suo riguardo – un lunedì mattina particolarmente noioso di Settembre – Lavi aveva scoperto che, nei primi mesi di permanenza all’Ordine, Yuu aveva ostinatamente seguito Komui della scientifica (un relativamente nuovo arrivato, il primo che avesse incontrato) chiedendogli che ‘diavolo’ fosse Dio.

Inutile dire che Lavi, nell’apprendere questo aneddoto, era rimasto decisamente divertito.

In speranza di riuscire a raccogliere tanti aneddoti come quello che li era stato raccontato – così, tanto per ravvivare un po’ le giornate facendosi un paio di risate - Lavi aveva imparato a tendere le trappole giuste per catturare la curiosità del giapponese. E ci riusciva.

Sempre.

“No che non lo so.” Aveva replicato, sornione.

E Yuu aveva schioccato la lingua, indignato. “Stai mentendo.”

“A dire il vero non lo so ancora.” Ammise Lavi, facendo spallucce e sollevando il libro. ‘Confessionum Libris’, c’era scritto, in lettere dorate dalla forma vagamente gotica. Yuu crucciò la fronte, chinando il capo d’un lato. Lavi pensò, con una punta di divertimento, che probabilmente era sicuro di aver letto male.

E la ‘confessione’ arrivò qualche attimo di silenzio dopo. “… che roba è?”

“Nee, Yuu, lo dice il titolo stesso!”

Il ragazzino sbuffò, con sguardo vagamente minaccioso. “… l’avessi capito, non te lo chiederei, idiota. Sai che detesto chiederti le cose.”

“Perché ne so molte più di te.” lo punzecchiò il rossino, sorriso da Stregatto sulle labbra. A questo, tuttavia, il giapponese non rispose: pertanto Lavi, un po’ deluso, riprese a parlare. “Certo che non lo capisci, comunque. E’ latino.”

Yuu batté ciglio, e fece finta di capire il punto. Lavi lasciò correre.

“Lo ha scritto Sant’Agostino. Lo sai che è stato il primo filosofo della Chiesa?” tuttavia non attese risposta, facendo spallucce ed abbassando lo sguardo sul libro. “Si pone questa domanda, lui. Io… cioè, non ci avevo mai pensato seriamente… anche perché di solito ho di meglio a cui pensare. Comunque sia,  secondo te perché esiste il male?”

Nella sua semplicità di linea di pensiero, Yuu rispose laconicamente, senza pensarci troppo. “Perché esiste il diavolo.”

A questo Lavi improvvisò una risatina, facendo spallucce. “Ti sfugge il punto della questione. Perché Dio, se è il bene ed è onnipotente, permette al male di continuare ad esistere?”

“Sarà arrabbiato. Che vuoi che ne sappia?”

“Dio è misericordioso, no?”

“… non annegò tutto il mondo per ripicca?” ragionò vagamente contrito il giapponese, con il tono di chi si interroga sulla sanità mentale del suo interlocutore.
Lavi inarcò un sopracciglio, apparentemente indignato, schioccando la lingua.

“… è così che il Generale Tiedoll ti fa catechismo?”

“No, ma il succo del discorso era quello.” Borbottò Yuu, con uno sbuffo. “Per lo più si mette a fare disegni.”

Di tutta risposta, anche Lavi sbuffò e scosse il capo. “Era così che nel Medioevo si raccontava la Bibbia agli ignorantoni del popolo, sai, Yuu?”

“Crepa. Che diavolo ci parlo a fare, con te? Lasciami in pace, devo allenarmi.”

Il rossino ridacchiò tranquillamente fra sé e sé, riabbassando lo sguardo sul libro e riprendendo la lettura. Non si aspettava una risposta ragionata, non da Yuu. Tuttavia Lavi non credeva così fermamente in Dio, nonostante l’Innocence lo avesse scelto. Bookman aveva detto che, dal punto di vista del Vaticano, Dio lo aveva chiamato.

Ma Bookman è neutrale; Bookman non può permettersi di star da nessuna parte, neppure da quella di Dio.

“Il male di cui cercavo l’origine non è una sostanza, perché, se fosse una sostanza, sarebbe un bene. E invero o sarebbe una sostanza incorruttibile e perciò senz’altro un bene grande, o una sostanza corruttibile e perciò un bene, chè, altrimenti non potrebbe andare soggetto a corruzione. Perciò vidi chiaramente come Tu facesti buone tutte le cose.” lesse ad alta voce quella che era la risposta del libro, incespicando un po’ sulle virgole.

Tuttavia, Yuu non provò neppure a capire il significato di quelle parole troppo complicate. Parole che, a dire il vero, avevano lasciato Lavi ancora più scettico di quando non lo fosse prima.

 

 

Verrebbe da chiedersi, dopo aver vissuto per un breve periodo in quella filiale del Vaticano che era l’Ordine Oscuro, se ci fosse qualcuno che credeva veramente e ciecamente nel Signore.

Oh, certamente, tutti credevano.
Alcuni piangevano di gioia ogniqualvolta che un nuovo esorcista varcava quelle mura, facevano il segno della croce e mormoravano – come un mantra – che ‘Dio non li aveva ancora abbandonati in balia di quella guerra’.
Sicuramente, credevano.

Eppure li vedeva: vedeva alcuni esorcisti e alcuni finders - che avevano scelto volontariamente quella vita – bestemmiare (anche Yuu era tra questi), ed affogarsi nell’alcool al ritorno da ogni missione, e sprecare commenti sulla metà femminile dell’Ordine; oppure c’era quel ragazzo che spesso si allenava con Yuu, il quale trovava sempre il modo di rubacchiare dalle bancarelle dei mercati di ogni luogo in cui si fermavano ad alloggiare; e, come se non bastasse, leggende narravano che uno dei più grandi Generali che l’Ordine avesse mai avuto fosse un’inguaribile donnaiolo dipendente dal gioco d’azzardo.

Tutte quelle persone portavano lo stemma del Vaticano ricamato sulle loro vesti, disinvolti. Fieri.
Lavi sapeva di far parte di quelle persone. L’Ordine non gli interessava, né gli era mai interessata particolarmente a teologia.

Non poteva fare a meno di essere attratto da ogni scollatura abbondante e da ogni gonna troppo corta, né poteva non ammettere a sé stesso di mentire strenuamente, giorno dopo giorno, di ingannare chiunque parlasse con lui, o di provare un sottile e sadico piacere nel distruggere l’autostima di tutti adulti che loro malgrado si ritrovavano a parlare con lui.

Questo, ovviamente, quando non era troppo occupato a fare l’allegro ed amichevole finto tonto.

Lavi non poteva neppure ignorare – sia come allievo di Bookman che come membro dell’Ordine – quel legame quasi morboso che aveva cominciato a legarlo a Yuu: gli sbalzi d’umore che lo colpivano quando il giapponese era in missione, la mancanza di concentrazione quei giorni passati ad attendere quando sarebbe tornato e se sarebbe tornato, l’istinto insito della sua natura di cercare l’altro ogni volta che non aveva assolutamente nulla da fare. Tutte le volte che – sospeso a metà fra la recita e quello stesso istinto – non riusciva a fare a meno di tormentarlo con abbracci e veri e propri abbracci che non avrebbe mai neppure pensato di provare su Lenalee.

Per uno come lui – che aveva rinnegato ogni legame con gli altri ‘esseri umani’, uno per cui gli altri esseri umani erano diventati ormai solo nomi e date e nient’altro - dare un nome esatto al quel marasma confuso di sentimenti era stato del tutto impossibile. Ma sapeva che era morboso e non del tutto sano: sentimenti così istintivi non possono mai esserlo. Certe cose le capiva anche lui.
Tuttavia, Lavi sapeva perfettamente anche di non credere. Lo ammetteva tranquillamente a sé stesso, perché sapeva di essere un’ipocrita. Sapeva di esserlo e neppure trovava la decenza di pentirsene in modo adeguato.
Aveva visto troppe guerre per potere credere a quel modo: non riusciva ad accettare un punto di vista come quello di Sant’Agostino, che pure era stato uno dei Padri della Chiesa.
Cosa significa che il Male non esiste?

Neanche parlarne con Bookman era servito. Bookman gli aveva semplicemente detto di non pensarci e di continuare a far finta di credere: solo così sarebbero potuti restare ancora nell’Ordine.

Quella scelta di parole lo aveva particolarmente colpito.

Pertanto quella sera, a cena, aveva cercato la sua vittima preferita (leggasi Yuu) in tutto il Refettorio e, una volta trovatolo, si era seduto al suo stesso tavolo.

Era l’unico a sedersi lì, in tutto l’Ordine. Il malumore perenne del giapponese riusciva a far passare facilmente l’appetito a chiunque.

“Perché credi in Dio?” gli aveva chiesto a bruciapelo, ad alta voce, piantando vigorosamente il vassoio sul tavolo con un piccolo tonfo.

A Yuu la soba era andata di traverso. “… come, prego?”

Dal tavolo più vicino, due finders si limitarono a guardarli con lo coda dell’occhio e curiosità nello sguardo.

“Perché credi in Dio?”

Gli occhi chiari di Yuu si erano assottigliati in quell’aura minacciosa responsabile della tenuta alla larga degli scocciatori. Su Lavi, tuttavia, non aveva mai funzionato davvero.

“Spara: qual è la risposta che vuoi sentirti dire e che mi permetterà di levarti dai piedi il più velocemente possibile?”

“La tua.”

Yuu aveva abbassato lo sguardo sulla soba, crucciando appena le sopracciglia e la fronte.

Lavi attese.

Ma, quella sera, Yuu – più contrito e di malumore del solito, poiché poco amava pensare - non rispose.

 

La risposta era arrivata di soppiatto, infine, durante una missione di alcuni mesi dopo.

 

Più precisamene otto mesi, due settimane e tre giorni dopo (era la sua memoria ad essere buona, non è che stesse tenendo il conto, davvero), quando erano stati assegnati alla stessa missione, insieme a Marie e Daisya.

Venezia.

La Venezia di fine ottobre, con la sua pioggia ed i suoi gonfi canali. La deserta Serenissima dove, nell’ultima settimana, la gente non faceva che perdere il senno.

“E’ solo una storia di fantasmi” aveva borbottato Daisya, in treno, sfogliando distrattamente le pagine dei documenti relativi alla missione. “La chiamano la Dama Bianca – che fantasia! – e pare che girovaghi in Piazza San Marco o sul Ponte della Paglia, da dove si vede il Ponte dei Sospiri. Colpisce solo uomini, apparentemente – perfetto, non potevano mandarci Lenalee, allora? – e c’è stata solo una testimone. Apparentemente…” qui si era interrotto, voltando pagine e lasciando scorrere pigramente lo sguardo fra le righe “… passeggiava con il fratello in ritorno dalla casa dei nonni, quando hanno visto la Dama e… secondo la testimone aveva il volto della defunta moglie di suo fratello. Beh, poi la roba diventa confusa, ma il succo dovrebbe essere che l’ha baciato e… l’uomo è diventato polvere sotto gli occhi della sorella - wow. E’ sicuramente un’Akuma.”

Yuu aveva schioccato la lingua all’intero riassunto, mentre Lavi si era ritrovato appena irritato dalla mentalità semplicistica che tutti gli allievi di Tiedoll sembravano possedere.

“Se avessero mandato Lenalee” aveva detto soltanto Marie, con quel suo tono pacato “ovviamente la Dama non sarebbe uscita allo scoperto.”

Tutti gli allievi tranne Marie Noise, apparentemente.
Daisya aveva ridacchiato, in quel momento. Tuttavia, sembrava che adesso non trovasse nulla di cui ridere e molto di cui lamentarsi.

“Ho i laghi dei quattro Cantoni concentrati nelle scarpe, non so se mi spiego. Forse siamo troppo giovani per lei, no? O, almeno, aspettiamo che finisca la pioggia. Magari non le va di bagnarsi. Ci ripariamo in Chiesa e andiamo a caccia della Dama Bianca quando la pioggia è finita. Voglio dire, non è ch…”

Superandolo - apertamente irritato - con uno strattone secco Yuu gli aveva calato il cappuccio fino all’orlo del naso, borbottandogli di stare, di grazia, zitto. Lavi aveva ridacchiato di cuore senza farci neppure caso.

Alla fine Marie, avendo pietà – o meglio, paura – della scarsa pazienza del giapponese, aveva finito per addossarsi l’onere di controllare il Ponte dei Sospiri con Daisya.

Lavi e Yuu avevano atteso due ore sotto la pioggia, optando alla fine per andare a ripararsi sotto il porticato.

Non avevano mosso due passi dal centro della piazza, che una voce – piccola, minuta, triste – aveva abbandonato il suo sussurro nell’aria. “Yuu?”

E lì Yuu si era fermato, congelato sul posto, senza voltarsi per vedere chi fosse stato a chiamarlo. Quasi non avesse bisogno della vista, per capirlo. Tuttavia a questo aveva pensato Lavi per lui, volgendosi con un sussulto.

Una donnina minuta – come solo le asiatiche sanno essere – dalla pelle talmente chiara che sembrava illuminata da un’inesistente luna. Occhi d’inchiostro e capelli d’inchiostro, apparentemente illesi dalla pioggia. Il kimono, candido ed asciutto, era costellato di piccoli fiori scarlatti. “Yuu?” ripeteva con le sue labbra dipinte di rosso, espressione affranta sul viso.

Prima che l’allievo di Bookman, invocata l’innocence, potesse tuttavia cercare di scuotere il giapponese – che ancora non si era mosso di un millimetro – la donna fra le lacrime si era gettata contro il ragazzino, cingendogli le spalle e nascondendo il viso nell’uniforme bagnata.

Yuu non si era mosso, ma Lavi aveva visto la sua mano irrigidirsi in un pugno. Un pugno che, stretto vicino al fianco, sembrava quasi tremare. Lo vide muovere le labbra, senza che alcun suono sfuggisse alle sue labbra.

La donna mormorava qualcosa in giapponese, con quella sua vocina soffocata dalla pioggia. La ripeteva, sempre la stessa, come un mantra. “Gomen, gomen ne… Yuu-chan, watashi wa… gomen…”

Lavi l’aveva colpita non appena l’aveva vista, fra le lacrime di coccodrillo,  affondare i denti nella spalla di Yuu. Il visino di porcellana, una volta colpito dall’allungarsi di Odzuchi Kodzuchi, si era deformato in una smorfia grottesca di maschera che fa in frantumi, una smorfia sospesa a metà fra la follia – in quel disumano ghigno dipinto di rosso – e l’ira più distillata e primitiva – in quegli occhi spalancati privi di pupille, ora rivolti verso l’allievo di Bookman.

Yuu, quasi la tensione del corpo fosse venuta a mancargli del tutto, era ricaduto sulle ginocchia reggendosi la spalla con un tonfo sordo che sapeva di pioggia. L’acqua piovana era schizzata appena lì attorno, con quel ‘ciac ciac’ che, in qualche modo, ricorda sempre l’infanzia passata a saltare di pozzanghera in pozzanghera.

Lavi ricordò distrattamente che il veleno di Akuma era letale.

“Yuu, dannazione, alzati! Si può sapere che cazzo ti prende?!” sbottò, cercando di convincersi che il suo non era né panico ne preoccupazione – cercando di convincersi che fosse soltanto il solito, totale, disintegrante annullamento di sé comportato dal totale calarsi nel personaggio e riuscendo nel suo intento

Yuu aveva tossito, affondando le unghie nella ferita della spalla e portando l’altra mano sull’impugnatura di Mugen. “Chiamami un’altra volta così e giuro che ti uccido!” aveva gridato – tuttavia era stato un grido diverso dai soliti. Più roco, più arrabbiato. Genuinamente furioso.

“… porta il disastro.” aveva sibilato, voltandosi verso l’Akuma e l’allievo di Bookman. Occhi di brace, colmi della stessa furia distillata dell’Akuma. Avendo il vago sentore che la battaglia si sarebbe presto trasformata in una vera e propria lotta territoriale fra demoni – inutile negare che Yuu arrabbiato fosse pericoloso almeno quanto un Akuma - Lavi ebbe il buonsenso di rimanere il silenzio ed allontanarsi con una serie di salti veloci dalla Dama che, con quel ghigno di ceramica, non perse tempo per gettarsi ancora una volta sul giapponese.

Contenta lei.

Al grido di ‘prima illusione!’ – prima volta che aveva udito veramente quel grido con quel tono così liberatorio - Lavi chiuse gli occhi e fece giuramento di evitare di chiamar Yuu con il suo nome per almeno un paio di ore.

Giusto il tempo di far sbollire un po’ le acque.

 

Riparati dalla pioggia sotto il porticato della chiesa di San Marco, a Venezia, in attesa di Daisya e Marie, lasciavano scorrere il silenzio assieme al tempo e alla pioggia. Il ticchettare dall’acqua sull’acqua era ritmico, stabile, regolare e monotono come una ninna nanna. Lavi aveva altro a cui pensare.

Chiedere chi o cosa avesse rappresentato per Yuu l’immagine di quella donna – che Lavi aveva concluso rappresentasse ogni volta l’aspetto di qualcuno particolarmente caro alle sue prede – sembrava un sacrilegio ed un’empietà troppo grande, persino per lui che viveva letteralmente per ficcare il naso nelle storie altrui.

Forse è per questo, che Bookman non dovrebbe avere un cuore – pensò, distrattamente.

Yuu, pallido nella lotta contro il veleno degli Akuma, capelli bagnati legati dietro la nuca e mano serrata sulla ferita ancora – per poco – aperta sulla spalla, aveva lasciato scappare dalle labbra un mormorio.

Solo un mormorio. “Non ci credo, io.”

Un fulmine poco lontano aveva interrotto l’armonia della pioggia, rischiarando la piazza davanti ai loro occhi, appena rovinata dalla battaglia conclusa contro la Dama. Un bagliore fugace che distrasse Lavi dai pensieri lasciati pascolare a briglia sciolta. “A cosa?” aveva domandato Lavi, distrattamente.

“A Dio. Lei ci credeva; è solo per questo che mi ha portato via dal Giappone. Credo ci fosse una specie di legge contro il cristianesimo, lì. Io non ci credo, a dire il vero. Non si è mai degnata di spiegarmi cosa fosse, quello in cui credeva.” Era stata la risposta laconica di Yuu, detta fra spallucce. Tuttavia il movimento della spalla gli tirò dalle labbra una piccola bestemmia, quasi a sottolineare il punto dell’affermazione che l’aveva preceduta. Lavi ridacchiò – senza rendersi conto che, ormai, era totalmente fuori dal copione e fin troppo immerso nel mondo reale – spostando l’occhio verde sul giapponese. Quest’ultimo aveva un’aria talmente contrita e seria che, tuttavia, il riso gli si smorzò in gola.

“L’Ordine è sempre meglio di crepare in mezzo alla strada.” Commentò a denti stretti li, tanto che Lavi lo udì a malapena.

Voleva chiedergli se quella lei fosse la stessa a cui l’Akuma aveva rubato il viso. Se fosse la stessa ‘persona’ che, distrattamente, si ritrovava ad accennare tra le righe quando parlavano come persone civili, senza litigare.

Tuttavia, non fu quello che gli sfuggì dalle labbra.

“Fai finta di credere, allora.”

“A dire il vero, penso lo facciano quasi tutti.” Sbottò Yuu, scostando lo sguardo crucciato sulla piazza.

“Io c’ero arrivato mesi fa, Kanda-kun!” cantilenò Lavi, sorriso stampato sulle labbra.

“Chiamami un’altra vol-” tuttavia, rendendosi conto di star rispondendo per pura abitudine senza aver neppure udito il nuovo appellativo, Yuu si crucciò appena. Non aggiunse altro, sebbene quel nome pronunciato dall’allievo di Bookman avesse un che del tutto alieno. “Bah.” Concluse intelligentemente, scostando lo sguardo.

“Allora chi era?” domandò a bruciapelo Lavi, occhio verde fisso su un punto indeterminato del cielo gonfio di pioggia.

“Non sono affari che ti riguardano.” Si limitò a sbadigliare Yuu, poggiando il mento sul palmo della mano libera.

“Ah, prima o poi me lo dirai. Così come prima o poi risponderai a quella domanda che ti feci.”

“Quale?”

“Perché esiste il male, secondo te?”

Anche questa volta, Yuu rimase in silenzio.
Tuttavia, questa volta, non attese otto mesi, due settimane e tre giorni per rispondere.

“Perché in fondo ce lo meritiamo, suppongo.” Replicò, laconico.

E, ancora una volta, Lavi non potè fare a meno di scoppiare a ridere.

 


 

A/N: nient’altro che un’ulteriore studio su Lavi, Kanda, il rapporto tra Lavi e Kanda e il passato di Kanda. Il volto rubato dalla Dama Bianca siete liberi di interpretarlo come volete ma, nella mia testolina, è la mamma di Kanda. La stessa persona che lui deve assolutamente trovare prima di morire (e su tale ipotesi ho basato un’altra oneshot che sarà online a breve :P

Che dire… questa è la mia presa sull’intero fattore religione come viene affrontato in D. Gray.man. Dite quello che volete, ma Kanda e Lavi non ce li vedo molto, come religiosi. Lavi perché deve essere neutrale, Kanda perché… andiamo, è Kanda <_<” E poi, bisogna pensare che in passato – un po’ prima del novecento, a dire il vero – gli ecclesiastici era ecclesiastici solo per ricevere i benefici da parte della Chiesa. Tutto ciò che di opinionismo religioso è presente in questa fic non rappresenta il mio pensiero. Ù_ù

Il riferimento alla legge giapponese contro il cristianesimo: è vera. Alla fine dell’ottocento-primo decennio del novecento in Giappone ci fu la cosiddetta era Meiji, sotto l’imperatore Meiji appunto, durante la quale il cristianesimo fu considerato fuorilegge.  Suppongo sia questo il motivo per cui l’Ordine oscuro asiatico si trova in Cina? °_°

Comunque, è la mia ipotesi per cui Kanda si è ritrovato nell’Ordine Oscuro Europeo e non Asiatico.

Edit.ah, si, la recensione di Duffy mi ha ricordato l'altro punto X°D Yuu, attenendoci a ciò che ci ha detto Hoshino, non è certo tremendamente brillante. O meglio, Hoshino lo mette all'ultimo posto di intelligenza fra Yuu, Lavi, Lenalee ed Allen (se non sbaglio la classifica era Kanda - Allen - Lavi - Lenalee) ed in seguito afferma che Tiky è stupido quanto Kanda, o qualcosa del genere. XD L'idea di uno Yuu un po' lento mi piaceva X°D E poi è un po' bigotto, ammettiamolo XD

 

Ho detto anche troppo <_<” R&R! *_*/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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