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Autore: LovelyFrog    22/03/2013    5 recensioni
Mi infilai sotto le coperte: anche se ormai non lo vedevo più, sentivo che mi cercava con gli occhi nell’oscurità, come io stavo facendo con lui.
O mi stavo solo immaginando tutto?
Non importava. No, avevo deciso che era irrilevante se lui provava un trasporto per me o se era semplice amicizia: avrei lasciato andare le cose al suo corso, senza più farmi domande. Godendomi la sua compagnia, perché dalla morte di Vincenzo era stato l’unico da cui mi fossi mai sentita capita.
Oooook, se vi interessa dovete solo aprire, buona lettura ;)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Ora ascolta: ovunque io sia, riconoscerò le tue risate,
vedrò il sorriso nei tuoi occhi,
sentirò la tua voce.
Il semplice fatto di sapere che tu sei da qualche parte su questa terra sarà,
nell’inferno, il mio angolo di paradiso»
—  Marc Levy.

 
*Sette anni dopo*
 
La ragazza dormiva profondamente accanto a me, mentre appena due ore prima gemeva di piacere fra le lenzuola della sua camera. Le sfiorai una guancia, delicatamente. Aveva i capelli dell’esatta tonalità e forma di quelli di Cass, ma più lunghi di come li teneva lei ora. Poco male, erano sempre molto simili.
Gli occhi però erano diversi.
E anche le labbra: queste erano più grandi, più larghe e decisamente più impudiche. Sospirai, prima di sfilarmi le coperte di dosso senza preoccuparmi molto se la svegliavo oppure no. Con solo i boxer, girai per la stanza, in cercai dei vestiti. Non avevo più dormito con una ragazza senza i boxer da quando io e Cass c’eravamo lasciati: appena finito, mi scostavo e andavo a metterli. Poi mi voltavo dall’altra parte nel letto e aspettavo che la ragazza di turno si addormentasse.
Mi infilai in fretta e furia i jeans e la maglietta un po’ sgualcita, prima di sgattaiolare fuori con le scarpe in mano. L’aria gelida delle quattro di mattina mi prese alla sprovvista. Eravamo a fine marzo, ma ancora il freddo era pungente.
O forse ero io che sentivo freddo dentro.
Come molte altre sera prima di questa mi ero soffermato a pensare a lei: mi capitava nei momenti meno opportuni, quando meno me lo aspettavo. Semplicemente, saltava fuori. Bastava poco per farmela ricordare. Un sorriso di un passante. Una foglia appena germogliata. Una voce nei nostri concerti. Una battuta di Louis.
A volte invece, erano riferimenti diretti: un suo film, una sua intervista. Spesso lei e Liam si sentivano. Erano rimasti molto in contatto, dopo la nostra rottura, e più di una volta avevo chiesto a Liam sue notizie. Mi piaceva immaginare che lei facesse altrettanto.
Quella sera, mentre guidavo per le strade di Londra, che, nonostante l’ora, erano comunque abbastanza movimentate, pensai a lei. Non avevo mai provato a dimenticarla davvero, in questi sette anni passati nella più completa apatia per il genere femminile. Mi mancava da morire, ma questo era scontato. Lei invece, era prossima a dimenticarmi completamente, o almeno lo era a farlo per la legge: si sarebbe sposata fra sei mesi, con un attore famoso.
Era andata avanti.
Io invece ero ancora al punto di partenza.
Sospirai, prima di parcheggiare davanti a casa. Mentre mi richiudevo il portone dietro di me e accendevo la luce della stanza, la tristezza mi pervase: il salotto era vuoto, spartano, apatico, privo di quella nota di colore e amore che Cass aveva portato con se.
Liam si era accollato il compito spiacevole a entrambi di disfarsi della sua roba.
Presi una birra dal frigo e mi sdraiai sul divano, prima di accendere la tv e iniziare a fare zapping per canali. Cercai qualcosa di interessante, ma non c’era nulla. così mi alzai e stancamente presi quel CD consunto e logoro per tute le volte che l’avevo visto.  Era il film che aveva girato in India, quello per cui c’eravamo lasciati. All’inizio lo avevo odiato, ma, lentamente, avevo cominciato ad amarlo.
Era come se fosse un ricordo, il ricordo più amaro, il più dolce, il più bello, il più doloroso. La vedevo nei panni di una vedova, costretta a badare ai suoi figli da sola. E c’era una scena, la mia preferita, in cui andava a trovare il marito alla tomba. E piangeva.
Ma non piangeva per finta.
Piangeva sul serio. Sapevo riconoscere quando fingeva e quando era sincera ormai, nonostante fosse così brava, così convincente, sapevo sempre quando mentiva. Il mio era puro egoismo e egocentrismo, ma vederla piangere, vederla soffrire, vedere che stava male era un’agonia e al tempo stesso un balsamo. Perché così sapevo di non essere stato l’unico a piangere per mesi la nostra rottura.
Sapevo che lo aveva fatto anche lei.
Ricominciai a fare zapping, senza una meta precisa.
E poi la vidi.
Una voce femminile gracchiava dal televisore, mentre sue immagini e video popolavano lo schermo. Il cuore perse un battito.
“Questa sera Leonilda Salvatore ci rivelerà i segreti del suo successo, la sua lotta per emergere, ma anche per sopravvivere. Ci sarà inoltre uno speciale sulla storia della ormai pluripremiata attrice di fama internazionale e il cantante degli One Direction, Harry Styles. A stasera, su questo canale, alle 9 in punto. Non mancate!”
Non me lo sarei fatto scappare per nulla al mondo.

I heard 
That your dreams came true 
I guess he gave you things 
I didn't give to you 



Mi sistemai a disagio sul divanetto, davanti alla telecamera. Questa sarebbe stata la mia intervista, l’intervista dove avrei svelato tutto, dove mi sarei completamente messa a nudo. Non  sapevo bene perché avevo accettato. Semplicemente, una mattina, mi ero svegliata con la voglia di farlo. Probabilmente l’idea era maturata lentamente dentro di me, nelle notti silenziose con Alex al mio fianco, mentre dormiva profondamente girato di spalle.
Harry non l’aveva mai fatto. Quando dormivamo insieme, lui mi stringeva la suo petto, fasciandomi con le sue forti braccia la vita e riscaldandomi col suo petto contro la mia schiena.
“Siamo pronti fra cinque minuti.”.
Urlò la regista e io fui sbalzata nel presente, strappata ai momenti di dolcezza con Harry. Cercavo di pensare il meno possibile, ma alcune volte la mia debolezza prendeva il sopravvento e mi lasciavo trascinare dai sentimenti. Mi mancava da morire.
Ma evidentemente, io non mancavo a lui: ogni settimana saltava fuori una nuova fiamma, o una nuova scappatella, e ogni dannatissima volta io mi sentivo morire. Era stata la disperazione a buttarmi fra le braccia fredde e composte di Alex. Non parlavamo spesso, e se lo facevamo era solo ed esclusivamente riguardo film o sceneggiature. Era questo l’uomo che da qui a qualche mese avrei sposato. L’uomo con cui avrei probabilmente costruito una famiglia.
Ma in fondo, anche se ne avessi trovato uno più dolce e apprensivo, non sarebbe cambiato molto. Nessuno avrebbe potuto rimpiazzare Harry, quindi tanto valeva sceglierne uno a caso.
“Due minuti!”. Un pennello fastidioso mi distrasse dal mio soliloquio mentale e mi distrassi da quei pensieri fissando la scaletta che mi ero fatta e che avevo portato sul set. Era scarna, con pochi punti sopra la carta bianca, ma sapevo che per ognuno ci sarebbero voluta come minimo un’ora di spiegazione.
“Un minuto!”
L’addetta la make-up scomparve e tutti si misero nelle proprie posizioni intorno a me. Il cameramen si posizionò dietro al telecamera e un piccolo spioncino al lato dell’obbiettivo si accese di rosso. Quando avrebbe iniziato a lampeggiare la registrazione sarebbe partita.
“Cinque, quattro…”. Mimò gli ultimi tre numeri con le dita e la ripresa iniziò.
Era il mio momento.
“Sono nata in un paesino nei pressi di Firenze, in Italia. Mia madre era di nascita benestante e mio padre l’aveva sposata più per i soldi che per amore. Avevo un fratello più grande, Vincenzo, e una gemella, Caterina. A dieci anni capii come girava veramente il mondo, quando mio padre mi diede la prima sberla per non avergli lasciato il telecomando. Si era rivelato ben presto per l’alcolista e il violento che era: mia madre non aveva la forza di lasciarlo e noi eravamo troppo piccoli per ribellarci. Furono anni difficili, anni bui, di cui l’unica cosa chiara era la paura di andare in salotto, dove lui mangiava e dormiva. Che io ricordi, si alzava solo per andare in bagno. Ci picchiava senza remora, anche per la minima cavolata, anche solo perché eri passato un attimo lì davanti. Prendeva la cintura e frustava. A scuola le maestre smisero presto di chiedere il perché dei miei lividi e dei miei ematomi, e io fui emarginata. - Sorrisi -  Ero il suo antistress preferito, se così si può dire.
Poi Vincenzo divenne più forte, iniziò a pensare con la sua testa, iniziò a portare i soldi a casa e a regalarci un po’ di normalità. Nascondeva i suoi guadagni a nostro padre, perché sapeva bene che li avrebbe usati per l’alcool, e a nostra madre, perché non avrebbe saputo raccontare una bugia al marito. Quando Vincenzo compì diciott’anni (io e mia sorella ne avevamo quattordici), andò dai miei nonni, i genitori di mia madre, a denunciare tutto. Scoppiò il putiferio. Ricordo solo la polizia e i servizi sociali che ci portavano lontano da nostra madre.
Grazie agli agganci di mio nonno, fummo restituite a mia madre e mio padre andò in galera. Furono i due anni migliori della mia vita, da che io ricordi: iniziai a prendere bei voti a scuola, mamma trovò un lavoro come infermiera, Vincenzo lavorava per una ditta di viaggi e perfino mia sorella, con cui non ho mai legato davvero, iniziò a interessarsi a qualcun altro oltre che a se stessa.
Poi tutto finì, bruscamente, senza preavviso.
In un incidente, mio fratello perse la vita, e con lui tutti i sogni di un futuro più roseo, più normale, più bello svanirono. Mia madre si buttò sul lavoro e mia sorella scomparve di casa. Rimasi di nuovo sola.”
Sospirai, cercando di trattenere le lacrime. Piangevo molto poco dalla notte in cui io e Harry c’eravamo lasciati, ma ogni volta che pensavo a questa parte della mia vita, a quanto fossi stata sul punto di finire dentro un baratro senza fine, mi salivano i brividi di paura.
“Fu allora che mi buttai sulle droghe. Cominciai con poco: marijuana, nganja, hashish. Poi con droghe sempre più pesanti: LSD, allucinogeni, pasticche, cocaina. Era un tunnel senza uscita: più provavo sostanze nuove, più volevo provare e più mi spingevo al limite. Mia madre era sorda e ceca al mio lento decadimento: per lei c’era solo il lavoro, e se non era a lavoro prendeva la macchina e se ne andava chissà dove.
Adesso la capisco, come capisco mia sorella: ognuna di noi cercava un mezzo per scappare, per non dover affrontare tutto il dolore, per anestetizzare l’anima. Mia madre il lavoro, mia sorella gli uomini e io la droga.
Scappavamo.
Alla vigilia della morte di Vincenzo andai in overdose. Quando mi risvegliai, i medici dissero che erano riusciti a salvarmi per un pelo. Riuscii a convincerli di non chiamare la polizia e di non mandarmi in un centro di riabilitazione. Devo ammettere che li pagai con i pochi soldi che avevo da parte e con la droga che mi era rimasta.
Fu allora che decisi di abbandonare quel buco in cui piano piano stavo sprofondando. Inseguii il mio songo, a Londra: fare l’attrice. Non mi interessava come, ma sarei riuscita a sfondare. Io sono la prova vivente che con il duro lavoro, l’impegno, ma soprattutto con la convinzione di potercela fare si può raggiungere tutto ciò che si vuole.
Ma la verità è che non ce l’avrei mai fatta senza di Harry: lui mi ha salvata, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata. Mi ha riportata alla vita. Harry è stato il mio primo vero amore. Ci conoscemmo ad un bar, e – Risi, incapace di controllare le emozioni – mi ricordo che pensai ‘Questo è un montato imbecille.’. Si avvicinò tutto spavaldo e arrogante e mi offrì da bere. Lo rifiutai. Fu per puro caso che ci rincontrammo e iniziammo a uscire.
La cosa strana è che io, un po’ per il mio passato e un po’ per la mia natura, non mi sono mai fidata troppo delle persone. Ma con Harry, tutte le mie barriere si infransero immediatamente. Gli raccontai tutto di me e lui mi rese partecipe di una vita normale, un po’ movimentata forse, ma tranquilla nella sua naturalezza. Piano piano, con amorevole dolcezza, curò ogni mia ferita, ogni tassello della mia anima a pezzi fu delicatamente rincollato al suo posto, lasciandomi una sensazione d’ amore che solo mio fratello era riuscito a infondermi. Mi innamorai senza nemmeno rendermene conto.
I miei tre anni con Harry furono semplicemente perfetti. Litigavamo, come ogni coppia, ma non in un modo distruttivo: litigavamo come solo due persone che si amano alla follia litigano, con convinzione, con rabbia, ma sempre mantenendo quel limite, quel limiti che si ha paura di varcare perché l’altra persona potrebbe ferirsi per davvero. E se lei sta male, stai male anche tu.
La mia decisione di lasciarlo fu meditata a lungo e non lasciò poche ferite. Ma era la cosa giusta da fare. Ancora oggi sono convinta che sia stata la cosa migliore per entrambi.”
Bugia. Una terribile bugia.
Rimpiangevo il giorno in cui lo avevo allontanato da me per sempre, lo rimpiangevo dal profondo del cuore, ogni sera, ogni momento, ogni attimo della mia vita. Spesso mi scoprivo a immaginare altre mani sul mio corpo, invece di quelle fredde e composte di Alex, mani calde e amorevoli che mi sfioravano l’anima.
“Mi ci volle un po’ per riprendermi, ben cinque anni, ma quando incontrai Alex seppi di aver trovato la mia anima gemella. Con lui mi sento completa, mi sento viva, mi sento me stessa. Alex è il mio porto sicuro.”
Un porto freddo e disinteressato, ma era l’unico porto dove la mia barca piena di buchi potesse attraccare.
“Forse stiamo correndo troppo, ma sento che è quello giusto e non vedo l’ora di sposarlo.”.
Finito.
La luce rossa si spense e lo studio si riempì di applausi. Vidi qualcuno che si asciugava una lacrima, qualcun altro che sorrideva raggiante, altri ancora che mi guardavano con ammirazione, rispetto. era una sensazione strana, quella di essere apprezzati. Credo che in fondo non mi ci abituerò mai, sarò sempre lì, imbarazzata e sorridente, con la mia maschera di cinica disillusione che non mi permetterà mai di lasciarmi sfiorare dalle persone introno a me. Non ci potevo fare niente, era nella mia natura.
Solo Harry era riuscito a penetrare quella barriera.
Ma adesso Harry apparteneva al passato, e nulla me lo riporterà indietro.
Per quanto io disperatamente lo desideri.
 
 
Una lacrima solcò silenziosa la mia guancia, mentre il filmato finiva, i titoli di coda che piano piano si srotolavano su uno sfondo di foto della vita di Cass.
Perché non me l’aveva mai detto? Perché non mi aveva mai parlato del mostro dentro di lei che piano piano l’aveva divorata, fino a tentare il suicidio?
L’istinto prepotente di salvarla, quello stesso istinto che mi spingeva fino al limite, che ancora aveva radici così profonde dentro di me, graffiò avido la mia anima, mentre mi sollecitava a trovarla e a difenderla da tutto ciò che poteva farle del male, inclusa se stessa.
Un’altra cosa mi aveva profondamente colpito nel vedere la sua intervista: aveva mentito, quando aveva parlato di Alex. E adesso, più che mai in quei sette anni, la voglia di rivederla bruciava dentro di me come il sole a mezzogiorno.

Si ama davvero solo una volta nella vita,
anche se non ce ne rendiamo conto
-Calro Ruiz Zafòn

 
 
Il leggero chiacchiericcio in quella sala era diventato, con la forza dell’abitudine, solo un fastidio facilmente trascurabile. Non mi sarei mai veramente abituata alle persone negli abiti eleganti e raffinati che ridono composti e finti, mentre sorseggiano champagne francese e assaggiano del caviale, tutti attentissimi alla linea. Ovviamente non c’erano solo quel tipo di personalità: poche e rare, alcune volte incontravo delle persone deliziose, che come me condividevano l’odio profondo per quel genere di affettate riunioni.
Alex era da qualche parte, a farsi buono qualche produttore o qualche regista: ecco, Alex era esattamente quel tipo di persona che si trova perfettamente a suo agio nelle serate mondane.
Un chiacchiericcio più forte presagì l’arrivo di altri ospiti. Distratta, mi voltai verso la porta principale, ma quello che vidi mi gelò sul posto: cinque uomini, vestiti elegantemente, come solo gli inglesi sanno fare, varcarono la soglia. Per un attimo l’immagine di cinque ragazzi, non più che ventenni, si sovrappose a quella dei trentenni davanti a me, ormai adulti, ma sempre con quell’aria giovanile che faceva ancora cadere ai loro piedi migliaia di ragazze.
Liam mi vide subito, fra la folla, e fra i saluti e le strette di mano si avvicinò, regalandomi un caloroso abbraccio che sapeva di altri tempi.
“Mi sei mancata.”
“Anche tu”
Sorrise, mesto, e io gli risposi con un sorriso forzato, pieno di tutta la tristezza dell’anima che non riuscivo a contenere in sua presenza. Liam capì, con un solo sguardo, e strinse con più forza il mio braccio, cercando di infondermi un po’ di coraggio.
Qualcosa richiamò la mia attenzione e due smeraldi incontrarono il mio sguardo, due smeraldi che mi scoprii ancora ad amare. Ogni volta che lo vedevo mi innamoravo di nuovo e ogni volta mi torturavo un po’. Ma lì, davanti a tutta quella gente che non aspettava altro che un pettegolezzo, non potevo lasciarmi andare.
Avevo bisogno di aria, lontano da tutte quelle risate finte e tintinnii delicati. Senza dire una parola, mi diressi verso l’ala della casa del riccone di turno fuorimano. Aprii distratta la portafinestra di una delle tante sale in ombra e l’aria fresca di metà primavera sfiorò leggera la mia pelle, mentre inspiravo a pieni polmoni il profumo della campagna londinese.
Mi appoggiai alla balaustra, mentre il dolore mi afferrava con un’ondata più forte rispetto alle altre. Chi sa se anche a lui facevo lo stesso effetto. Chi sa se, ogni volta che mi vedeva al cinema, ogni volta che leggeva qualcosa su di me sul giornale, ogni volta che vedeva una mia foto, sentiva quella tristezza sommergerlo, irrimediabilmente, mentre tutti i ricordi felici lo pugnalavano, ogni volta, al cuore. Chi sa se anche lui piangeva, a volte, mentre mi vedeva con Alex, e se si chiedeva come stavo senza di lui. Io lo facevo. A dirla tutta, lo facevo molto spesso, soprattutto adesso che Alex non c’era molto a casa e io non dovevo fingere davanti a nessuno. Lo pensavo spesso. Mi scoprivo a pensarlo nei momenti in cui abbassavo la guardia.
Lo sognavo.
Erano sogni semplici, ricordi di normalità, di routine, di vita quotidiana. Ma ogni mattina, mi svegliavo con un’ attanagliante tristezza, quella tristezza troppo profonda per farti piangere, quella tristezza che non riesci a scaricare con un sano pianto, quella tristezza che ti rimane incollata, addosso, che non riesci a scrollarti tanto facilmente, quella tristezza che ogni volta che passa lascia sempre più residui, nella tua anima.
Delle scarpe scricchiolarono dietro di me e io ebbi appena il tempo di asciugare una lacrima solitaria dalla mia guancia, prima di voltarmi. Lui se ne stava lì, come se il tempo non fosse mai passato e noi fossimo ancora appena ventenni, alle prese col mondo, mentre il primo amore ci avvolgeva irruento e incontrollato. Abbozzò un sorriso, che non coinvolse quelle adorabili fossette che tanto amavo.
“Ciao”
“Ciao”
Sussurrai, la gola secca e gli occhi umidi. Harry fece un passo verso di me, arrivando alla balaustra e lasciando vagare lo sguardo sulla campagna avvolta nella notte.
“Non credevo di trovarti qui.”
E non seppi a cosa si riferisse: alla festa? Alla terrazza? O forse non si aspettava che fossi ancora qui, al punto di partenza, quando ci eravamo lasciati?
Io lo guardai, la schiena rivolta alla campagna. Ne solcai i lineamenti con lo sguardo, un po’ più duri e marcati dall’ultima volta che lo avevo visto di persona. Era stato qualche anno fa, ad una premiazione, ma allora le telecamere e gli impegni ci avevano fatti dividere.
Era bello come sempre.
“Nemmeno io.”. Risposi, mentre distoglievo lo sguardo da lui e mi concentro sulle piante ben curate che affollano la terrazza.
“Come stai?”. Mi chiese, così, a tradimento. Senza pensarci incontrai i suoi occhi verdi, di quel verde così particolare, quasi vivo, cangiante, che nessuna foto, nessun quadro, nessun video riuscirà mai a riportare con fedele definizione.
Male, senza di te. Sto da cani. A volete mi sembra di morire, di soffocare, di non potercela fare. È allora che la tua assenza si fa sentire di più, è allora che vorrei semplicemente sparire. Non ho nemmeno la forza di finirmi io stessa, non ce la faccio. E allora aspetto, aspetto che qualcuno mi dia il colpo di grazia, mi uccida, mi faccia fuori, metta finalmente la parola fine alla mia patetica vita. Perché se da una parte la mia carriera non  potrebbe andare meglio, dall’altra la mia vita sentimentale mi trascina sempre più a fondo. Annego. Sto annegando lentamente, e solo tu puoi salvarmi.
Era questo che avevo disperatamente voglia di dirgli. Ma non lo feci.
“Bene”.
E sapevo che con quelle parole avevo firmato la mia condanna a morte.
Lui mi guardò, con quella sua espressione che mi faceva tremare tutta, che mi faceva smuovere fin dentro l’anima, che sgretolava ogni mia barriera, che mi annientava e mi ricostruiva, tutto con un semplice sguardo.
“Sei un’ottima bugiarda, ma con me non attacca. Lo sai.”
Avrei voluto dirgli tutto, avrei voluto vuotare il sacco al primo affondo, ma non ce la feci. Ero talmente in simbiosi con la mia maschera che ormai non mi ricordavo più come si faceva a toglierla. E allora sorrisi, conciliante, in quel modo odioso con cui rispondevo alla verità.
“Non sto mentendo. Sto per sposarmi, non potrei essere più felice.”
Distolsi lo sguardo, cercando di rifuggire quegli occhi smeraldo che sapevano leggermi l’anima. Quello che fece dopo mi spiazzò. In un gesto fluido e veloce fu davanti a me, il suo corpo che mi premeva contro la balaustra, il suo fiato sulla mia gota, una mano a sollevarmi delicatamente il mento e l’altra a stringermi dietro la schiena. Senza via di scampo, affogai in quel verde vivo, che mi inghiottiva, risucchiandomi in un gorgo senza fine.
“Non è vero. Non può essere vero. Non è possibile che mentre io stia così male, senza di te, tu sia felice con quell’Alex. Non può essere.
Mi manchi, Cass.
Mi mancano le tue carezze tremanti, mi mancano i tuoi ‘Ti amo’ arricciati nella tua bocca, come solo tu sai pronunciare. Mi manca sentire i tuoi piedi freddi nel letto, mi mancano le tue labbra che sfiorano le mie, mi mancano i tuoi boccoli che mi pizzicano la guancia, mi mancano quei biscotti che sapevi fare così bene. Mi mancano le tue paranoie, mi mancano i tuoi scatti d’ira, mi manca il tuo nervosismo, i tuoi cambiamenti d’umore improvvisi, mi manca litigare con te. Mi mancano le tue labbra sulle mie, il tuo sapore in bocca, il tuo profumo nelle narici, i tuoi occhi in cerca dei miei. Mi manca fare l’amore con te. E non posso credere, no, non voglio credere, che per te non sia lo stesso, che tu non provi la stessa cosa, che te ne stai bene con quel damerino da quattro soldi, che è in tv solo perché è bello. Non posso crederlo. Perché se è così, allora io non ho capito nulla di noi, di te, e allora dovrei farmene una ragione, ma so già che è impossibile. Perché io ti amo, ti amo e non posso farci niente.”
Lo guardai, senza riuscire a spiccicare parola, mentre la sua voce affondava dentro di me, lentamente, a ondate, ogni volta sempre più in profondità. Sentii gli occhi inumidirsi e una lacrima calda scivolò sulla mia guancia, solitaria. Lui la prese e la spazzò via col suo pollice, lentamente. E allora seppi che lui mi amava, mi amava ancora, come io amavo lui.
“Lo sai che non mi ricordo il nostro ultimo bacio?”
Rise, una risata amara, e nella luce della luna vidi i suoi occhi inumidirsi di lacrime.
“Lo vorrei ricordare, ma proprio non ci riesco, non ce la faccio, non mi viene in mente.”
“E’ stato la sera prima di quando ti ho lasciato.”. Sussurrai, la voce che si spezzò per lo sforzo di trattenere le lacrime.
“Eravamo a letto e tu eri stanchissimo. Avevi fatto una giornata intera alle prove per il tour: mi ricordo che mi raccontasti di come avevate cantato tutta la mattina e di come, nel pomeriggio, vi foste impegnati in qualche coreografia complicata che tanto non avreste mai fatto. Ti ho baciato, mentre tu biascicavi qualcosa, mezzo addormentato. È stato un bacio semplice, veloce, uno di quelli che si danno senza pensarci. Un bacio che sa di tanti altri baci come quello, veloci, spontanei, senza preoccupazioni. Uno di quelli che si danno quando si sa di avere una vita da passare insieme. Quello è stato il nostro ultimo bacio.”
Harry chiuse gli occhi, mentre adesso era la sua gota ad essere solcata da una lacrima.
“Grazie.”. Disse, la voce che gli tremava.
Allungai il collo e raccolsi quella lacrima salta con le labbra dischiuse, baciandogli delicatamente la guancia. Senza nemmeno pensarci, scivolai più a sinistra, incontrando la sua bocca.
Lo baciai con foga, avventandomi su quelle labbra che mi mancavano così tanto, che per tante notti avevo desiderato di baciare. Sapevano di sale, di pianto, di dolore, ed ero certa che le mie avevessero lo stesso esatto sapore. Mi strinse a se, con ardore, e in quel momento l’unica cosa che desideravo era che mi togliesse i vestiti, lì e subito, e mi facesse sentire di nuovo parte di lui, fisicamente e non solo sentimentalmente.  Lo volevo, lo desideravo come non  avevo mai desiderato nessuno in tutta la mia vita. Beh, forse Johnny Depp gli faceva concorrenza.
Le sue mani corsero veloci al mio sedere e con una leggera flessione dei muscoli mi fece sedere sulla balaustra, mentre io intrecciavo le mie gambe introno al suo bacino. Mi sentivo un’adolescente, alle prese con i primi contatti fisici con un ragazzo, guidata solo dall’istinto e dalla voglia di colmare quel desiderio.
Ma non ero un’adolescente.
“Harry…”
Riuscii a biascicare, ma Harry non mi lasciava respiro.
“Harry, non possiamo, io-“
Si fermò, immobile, i nostri nasi che si sfioravano, i suoi occhi fermi e decisi nei miei. Quella sua sicurezza, qual suo tacito ordine a stare ferma e ad ascoltarlo mi provocarono un brivido irruento su per la schiena.
“Mi ami?”
Rimasi un attimo in silenzio, mentre mi perdevo in quel verde che come un buco nero mi stava risucchiando.
“Ti amerò per sempre, non importa cosa succederà o con chi dovrò stare. Non potrei amare nessun altro. Tu sei stato il mio prio vero amore, e il primo vero ammore non si scorda mai. Si è sempre un po’ innamorati del primo amore, sempre nella vita. E a volte ho paura che tu provi meno trasporto per me, perché io non sono il tuo primo vero amore. Ma alla fine, non ha importanza. Perché io ti amo. Perché tu sei e sarai per sempre il mio unico vero amore.”
Vidi una scintilla di gioia in quel mare verde e per un attimo un sorriso ambiguo gli increspò le labbra.
“Allora sposami.”
 
 
Ritornare in quella stanza piena di gente finta e ipocrita senza una risposta da Cass mi faceva stare male, ma Louis era apparso sul più bello e non le aveva lasciato il tempo di rispondermi. Forse non mi avrebbe risposto. Forse non lo avrebbe mai fatto. Forse non voleva, forse era troppo presto, forse aveva bisogno di rifletterci, forse non poteva darmi una risposta così, su due piedi. Mentre rimuginavo su tutto questo, seguii i ragazzi sul mini palco adibito per noi dal proprietario, un produttore o qualcosa del genere.
“Ecco a voi gli One Direction, signori e signore.”
Un applauso contenuto, falso, e delle risatine seguite da dei commenti sussurrati ci fecero capire chiaro e tondo che non eravamo certo i ben venuti. Non che mi importasse molto di stare simpatico a quell’élite spocchiosa e egocentrica. Mentre stavamo per attaccare con il nostro nuovo singolo, la vidi, lì, da sola, nel mezzo della folla, mentre i nostri sguardi si incontravano. Fermai immediatamente gli altri.
“Scusate, ma stasera vorrei cantare un pezzo speciale per una persona speciale. È una delle nostre prime canzoni.”.
Chiamai i ragazzi a raccolta e sottovoce spiegai la mie idea, mentre un mormorio sconcertato si diffondeva fra il pubblico.
Ci posizionammo sul palco e io puntai gli occhi dritto dritto su Cass, fregandomene altamente se qualcuno lo notava, se la gente avesse sparlato di noi, se avessero insinuato voci maligne. Vidi quell’Alex dall’altra parte della sala, accanto a un noto regista, e mi salì una rabbia indescrivibile: lui, che poteva starle accanto, che poteva godere della sua compagina, della compagnia di quella meravigliosa, forte, complessa, fragile, semplice, spontanea, dolce, acida, irriverente, timida, arrogante, sublime, indescrivibile donna  preferiva starsene a parlare con un regista, per un suo film.
Lei si meritava di meglio.
Liam partì con la canzone e la sua voce rimbombò nella mia cassa toracica. Gli avevo chiesto di cambiare solo una parola: una parola che avrebbe modificato tutto il senso di quella canzone, e per lei avrebbe significato qualcosa.
Quando toccò a me, il pezzo che avevo chiesto a Liam di cedermi, le parole uscirono spontanee dalla mia bocca, anche se erano passati anni dall’ultima volta che le avevo cantate.
“When he opens his arms and holds you close tonight it just won’t feel right, cause I can love you more than this”
Can. Non Can’t. Era questa la differenza dall’originale. E lo vidi, vidi che lei aveva capito, che aveva sentito la variazione, il cambiamento della strofa, così piccolo eppure così decisivo. Dopotutto questa era una delle sue preferite, no?
Quando finimmo la canzone e scendemmo dal palco, fra gli applausi sostenuti di quegli odiosi snob, Liam andò a stringerla fra le sue braccia e in quel momento volli essere lui. Fui invece distratto da un uomo più sui quaranta che sui trenta, le spalle larghe, gli occhi di un glaciale grigio, la chioma bionda un po’ spettinata e sbarazzina, alto poco più di me. Alex
Mi porse una mano dalle vene molto pronunciate, che io strinsi con forza e notai che era grande quanto la mia. Lui contraccambiò la stretta con altrettanta forza.
“Siete stati davvero bravi, complimenti.”
“Grazie.”. Quasi ringhiai. Alex prese un lungo sorso dal calice e buttò giù tutto in una volta il liquido, sorridendo senza felicità.
“Tu sei…”
“Harry.”
“Ah, Harry.”. Ripeté, mentre afferrava un altro calice e ne prendeva una lunga sorsata. “L’ex della mia Leonilda.”
“Proprio quello.”. Lo punzecchiai, afferrando anche io un calice e trangugiando lo champagne dentro con una sola sorsata. Ma, mi accorsi in quel momento, lui sapeva già chi ero. Era stato solo una finta, quella domanda, un fingersi un allocco.
“Devo ammettere che in foto sembri più piccolo.”
“Lo prendo come un complimento.”
“Non lo era.”. Sogghignò, divertito. Prese un crostino con del caviale sopra e lo addentò, i denti bianchissimi che quasi brillavano sotto la luce artificiale.
“Vediamo di essere chiari. Non ti voglio vedere ronzare in alcun modo intorno a lei, è chiaro?”
Sogghignai, mentre finivo lo champagne.
“Se fossi certo della sua fedeltà non avresti bisogno di rimarcare il territorio.”
“Ovviamente non sono certo della sua fedeltà, ma per un semplice motivo: lei ti ama ancora, Harry, e questo non potrà cambiarlo nessuno, né io, né tu, né tanto meno lei. Ma il fatto è che lei ha bisogno di me: quando la incontrai, era distrutta dalla tua relazione, dalla vostra storia. Io l’ho ricostruita. Certo, non si può dire che mi ami, né che sarà completamente felice, ma con me almeno non soffre. E io ho bisogno di una moglie di successo al mio fianco. Tutti ne beneficiamo.”. Sorrise, ancora, in quel modo che mi faceva accapponare la pelle.
Si passò una mano fra i capelli assurdamente biondi, mentre mi squadrava con quei suoi occhi glaciali, freddi e calcolatori. Quell’uomo mi metteva i brividi.
“E’ meglio se la lasci perdere, per il suo bene, è meglio se la smetti di tormentare lei e te con quest’amore senza via di fuga. Lascia che dimentichi, che guarisca, che cada in una dolce monotonia, senza dolore, senza ferite. Lascia che sopravviva. Con me potrà avere tutto questo. Lo sai anche tu, nel profondo, che io sono la scelta migliore.”
“No.”
Lo avevo appena sussurrato, ma il sorriso scomparve immediatamente dal volto assurdamente bello di Alex.
“No.”. Ripetei. “Non lascerò che affoghi nell’apatia di un matrimonio senza amore. È vero, forse con me soffrirà, forse ci saranno dei giorni in cui ci urleremo l’un l’altra, in cui non ci parleremo, in cui piangeremo in un altra stanza per il male che ci faremo. Ma sarebbe cento volte meglio che lasciarla annegare lentamente nell’apatia a cui tu vuoi condannarla. All’assenza di emozioni, all’assenza di vita, all’assenza di amore. No, non lascerò che tu la riduca ad un manichino senz’anima, incapace persino di sorridere come una volta. Di’, l’hai mai vista sorridere? Sorridere veramente, con quel sorriso spontaneo, gioviale, semplice, genuino, sincero, un po’ timido, impaurito, quel sorriso che con una semplice occhiata storta, con una semplice noncuranza, muore come un fiore senza un raggio di sole? E l’hai mai vista piangere? Piangere quei lacrimoni grossi, quelli che se ne casca una tira giù tutti quelli dietro? No, scommetto di no. Scommetto che le poche volte che siete a casa insieme ti sdrai sul divano, accendi la tv sullo sport e ti eclissi totalmente, magari chiedendole distrattamente com’è andata la giornata, con quel tono disinteressato che la fa morire ogni sera un po’ di più.
Sappi che non l’abbandonerò, io lotterò, lotterò con le unghie e con i denti per lei. fosse l’ultima cosa che faccio.”
Alex lo fissò con uno sguardo omicida nascosto nelle venature più blu dei suoi occhi, mentre si avvicinava leggermente.
“Ascoltami, bamboccio, io e Cass ci sposeremo, che ti piaccia oppure no.”
“Questo lo vedremo…”
La mano di Lou mi distolse dalla sfida di sguardi che avevo ingaggiato con quel coglione.
“Hazza, dobbiamo andare.”
Il sorriso finto riapparve sul volto di Alex , mentre posava gli occhi su Louis, prima di spostarli di nuovo su di me.
“E’ stato un vero piacere, signor Styles.”
Poi si voltò e andò verso Cass, da sola mentre chiacchierava con un’attrice con evidenti problemi di anoressia.
“Ma che voleva quello?”. Borbottò Louis.
“Niente.”. Mi avviai verso la porta, mentre sentivo quel posto che come una gabbia si richiudeva su di me. Avevo bisogno di bere.


“Che stavi facendo con Harry?”
Chiesi, mentre fissavo l’uomo che mi stavo apprestando a sposare sorridermi, con quel suo tono distaccato.
“Nulla, quattro chiacchere.”
“Su cosa?”
“Su di te, è ovvio.”. Rimasi stupita, a fissarlo.
Lui mi sorrise ancora e per un attimo quel sorriso mi fece salire un brivido di paura su per la schiena. Mi prese per un braccio, sempre mantenendo quel sorriso sul volto. Pensai che qualcuno ci avrebbe fermati, che gli avrebbe impedito di portarmi in un luogo appartato, ma capii immediatamente che non sarebbe mai successo. Eravamo ufficialmente fidanzati, era ovvio che ci volessimo appartare. Mi guidò in una stanza buia, dove l’unica luce proveniva da una lama d’argento che fuoriusciva dalla finestra.
Per la prima volta la presenza di Alex mi mise paura.
“Non fare l’ingenua con me. Credi che non lo sappia? Credi che non sappia che stai già meditando sul tornare da lui?”. Rise, una risata fredda, crudele, tagliente.
“Mia povera ingenua, davvero credi che non mi sia accorto di come lo guardavi? O di come entrambi siate spariti improvvisamente? O del cambio di parole della sua canzone?”
In un attimo colmò le distanze tra noi, stringendomi il braccio con forza. Il sorriso che ancora era dipinto sul suo volto, in netto contrasto con la sua posizione aggressiva, non faceva che far montare ancora di più la paura in me.
“Ti sei forse scordata di come stavi dopo che v’eravate lasciati? Non ti ricordi quanto stavi male, quando ti ho raccattata come un uccellino con l’ala ferita? Non è forse grazie a me se ti sei salvata?”
Ringhiò e in un attimo vidi come sarebbe stata la mia vita con Alex. Sarebbe stata un lento naufragio nella depressione, una strada senza via d’uscita, un gorgo dal quale non sarei riemersa. Mi vidi fra vent’anni, con magari un figlio viziato e distaccato, gli occhi glaciali del padre e una dizione perfetta a cinque anni. Mi vidi fra quarant’anni, un nodo intorno al collo che l’ultima bottiglia di brandy mi aveva dato la forza di stringermi.
“No”. Mi divincolai dalla sua stretta, ritrovando una forza che non credevo di avere. Lui, sorpreso dalla mia reazione, indietreggiò di qualche passo.
“No, tu non mi hai salvata. Tu mi stai uccidendo. Tu sei un antidolorifico, Alex, e per un po’ hai funzionato. Ma l’apatia nella quale mi stai trascinando mi porterà solo alla morte. Si, se tornerò con Harry probabilmente soffrirò ancora: piangerò, mi dispererò, urlerò, sbatterò porte, mi chiuderò in camera. Ma con lui riuscirò anche a ridere, a scherzare, a divertirmi, a vivere. Ad amare. Con te sarebbe solo una lenta morte indolore. Come i farmaci. Io non voglio questo.”
Lo fissai, ritrovando dopo sette anni una forza di spirito che credevo di aver perso per sempre quella sera che piansi tutte le mie lacrime sui ricordi. Senza voltarmi imboccai le scale che davano al piano dove si teneva la festa, presi il cappotto e senza salutare nessuno uscii all’aria che si faceva via via più fredda.
 
 
Le tre di notte. Erano le fottute tre di notte e io mi ero appena addormentato. Il trillo del mio citofono mi portò via da un sogno bellissimo: c’era Cass, e c’ero io, e lei diceva di amarmi ancora e che mi avrebbe sposato. Mi alzai, imprecando, mentre mi dirigevo stremato verso la porta. Guardai dallo spioncino, ma non vidi granché.
Spalancai la porta, pronto a riempire chicchessia di ingiurie e accidenti, ma quello che vidi mi fece morire le parole in bocca: davanti a me c’era Cass, il vestito sgualcito, a piedi nudi, le scarpe in mano, i capelli arruffati e l’aria di chi a corso per un bel po’ di chilometri.
“Lo voglio.”
Mi ci volle un po’ per incamerare quelle parole.
“C-cosa?”
Stavo ancora sognando, forse?
“Lo voglio. Voglio sposarti, Harry. Sempre che non sia troppo tardi…”
Non le lasciai finire la frase. La trassi a me e la intrappolai in un bacio che sapeva di tempo atteso a pensarci, di promesse non mantenute, di desideri assopiti, di sogni chiusi in un cassetto, di speranze dimenticate.
Ma in quel momento non importava quanto tempo ci fossimo fatti attendere. In quel momento l’unica cosa che davvero contava era le sue braccia attorno al mio collo, le mie mani attorno alla sua vita e quel ‘Lo voglio’ che mi rimbombava nelle orecchie.
 

Si erano dovuti perdere di vista per un po'
per capire che si sarebbero mancati
per tutta la vita 


*sei anni dopo*

La calda giornata estiva era mitigata da un dolce venticello, placido, che rinfrescava l’erba verde e rigogliosa. Harry continuava a giocare con i miei capelli, in grembo a lui, una mano a sfiorare distratta la mia pancia. Da quando ero rimasta incinta non la smetteva mai di coccolarla, in qualsiasi momento, appena ne aveva l’occasione. A volte a letto si abbassava e andava a sussurrargli parole d’amore, come aveva fatto con i nostri altri figli. Era adorabile. Nonostante fossi all’ottavo mese, non sapevamo se era maschio o femmina: volevamo che fosse una sorpresa.
“Ness, Will, non andate troppo lontani!”. Lo sentii gridare verso i due batuffoli pieni di energie che si rincorrevano nel prato poco distante da noi.
La bambina si fiondò su di noi, cercando riparo fra le braccia del padre. Il bambino dietro di lei cercò di farle il pizzicorino, anche se lei continuava a ripararsi sotto la protezione di Harry.
“Bambini basta, vostra madre ha bisogno di riposa!”
“Lasciali giocare, non mi danno fastidio.”. Sorrisi verso la sua faccia a cavallo fra la preoccupazione e il divertimento.
Si abbassò e mi lasciò un lungo, dolce bacio a fior di labbra che sapeva di routine, di una vita insieme, di per sempre. Come risposta i due bambini fecero dei versetti di disgusto, prima di accoccolarsi fra le mie braccia. Io e Harry eravamo così simili che anche i nostri geni si erano un po’ confusi. Ciò nonostante William aveva i capelli più scuri e Vanessa aveva gli occhi di un verde più intenso. A volte quei due potevano essere facilmente scambiati per gemelli: erano così simili, sia caratterialmente che fisicamente.
I miei bambini.
“I nostri  bambini”
Mi corresse Harry, come sempre leggendomi nel pensiero come solo lui sapeva fare. A volte metteva quasi paura. Io sorrisi, allungando un po’ il collo per richiedergli un altro bacio.
Sarei potuta rimanere così per sempre, con la mano di Harry sul nostro futuro bambino, i nostri primi due figli fra le braccia, e le labbra di Harry sulle mie. Era perfetto. Sapevo che non tutto va sempre così, che ci sono anche i momenti brutti, che la vita matrimoniale non è tutta rose e fiori, ma adesso, in quel momento, era semplicemente perfetta. Io e lui eravamo perfetti. I nostri figli erano perfetti. Il posto era perfetto.
E in quel momento sentii che tutto questo non sarebbe mai finito. Che, anche se ci sarebbero stati dei momenti brutti oltre che dei momenti belli insieme, questo non sarebbe mai finito.
Io e lui non saremo mai finiti.
Eravamo per sempre.



Finta
la mia prima storia è finita
mi sento un  po' triste, sapete?
ma alla fine, è finita bene
vi ringrazio, ringrazio tutte quelle che l'hanno recensita
che l'hanno seguita, che si sono appassionate
e ringrazio anche tutte quelle che l'hanno letta in silenzio
anche senza recensirla
è stato un beliissimo viaggio insieme
cavolo, quanto sono smielata...
beh, che dire, è tutta qui
spero che l'ultimo capitolo vi sia piaciuto e che anche voi,
come me, vi siate sentite un po' malinconiche
nel leggere l'ultimo capitolo di maybe it's just the wrong moment
un bacione a tutte:'3
se vi piace come scrivo e volete leggere un'altra stroia scritta da me,
vi posto il link della storia su Zayn e Margaux

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1563119&i=1
è rossa, ma non è sconcia;)
bene, allora, ciao:')
un abbraccio pieno d'amore paffuto
xx

LovelyFrog

  
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