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Autore: Mad dy ness Zalk909192    22/03/2013    0 recensioni
"...erano due, contro ogni previsione ragionevole."
!Warning!
-Alto tasso di mortalità, alto tasso di OC per esigenze di trama, ANGST A PALATE, senenizzazione in corso.-
Sarò schietta e diretta: E' una fic su una nuova generazione della Famiglia Vongola, un genere di fic che francamente non amo.
E' come è:
Un What if immenso, che si basa su questa domanda:
Supponendo che Tsunayoshi Sawada diventati Decimo... E se la Decima Famiglia non riuscisse a mantenere il proprio potere?
Genere: Angst, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Caro diario,
In qualità di nuovo diario (il tuo predecessore è finito in una delle scatole da scarpe che giacciono sotto la mia scrivania) scriverò una breve presentazione e un rapido riassunto di “me”.
Ho quattordici anni, capelli rossi lunghi e fini, occhi azzurri e qualche lentiggine…
 
Claire mordicchiò la penna che aveva in mano, poi ricominciò a scrivere;
 
…e un fratello scemo che si chiama Lawrence.
Io mi chiamo Claire Cooper ed entrambi siamo stati rapiti da casa nostra, in Inghilterra, circa sette anni fa. Sono sette anni che siamo qui, nella nostra nuova casa, Villa Vidal.
 
“Sette anni qui…” Si guardò attorno. Sembrava passato molto meno tempo.
 
Da allora non ho visto che questa immensa tenuta ed i suoi abitanti. Conosco il mondo tramite i ricordi di quando ero più piccola, pochi e confusi, i libri, il televisore, internet e le lezioni di attualità del Prof Fernand. Sono stata educata, istruita ed addestrata dai migliori, a detta di tutti. Sarà. Non mi sento molto diversa dal resto dei miei coetanei. Anche se non ne conosco molti.
 
Addestrata… non era del tutto esatto, si trovò a pensare. I suoi tonfa erano infatti nascosti in mezzo ai suoi asciugamani in bagno e mai avrebbe ammesso a Hibari di aver imparato a usarli a un buon livello guardandolo allenarsi in terrazza dalla finestra di camera sua. Di nascosto. Da autodidatta. Lei lo odiava, Hibari. Forse.
 
In ogni caso, l’inizio della nostra vita qui fu a dir poco burrascoso, Law ed io non abbiamo fatto altro che piangere per giorni, mentre eravamo sballottati per il cottage per le ristrutturazioni della casa. Ancora oggi credo che il nome “Cottage della Nuvola”, però, sia estremamente romantico.
 
“Non fosse per la presenza di Hibari.” Sbuffò e riprese a scrivere di nuovo.
 
Dicevo? Oh, sì. All’inizio vivere qui fu un inferno.
Hibari, il nostro rapitore e mentore (e mia nemesi da quando ho avuto il coraggio di parlargli guardandolo in faccia), quasi non apriva bocca, non ci ha mai detto nulla se non ordini secchi che noi eseguivamo per paura. Hibari FA paura.
Beh, è stato tutto così per circa uno o due mesi, poi nella nostra vita è arrivata Carlotta, santa donna, che ha avuto la forza di tirare qualche schiaffo morale a quell’arrogante e che ci ha creato attorno un po’ di stabilità. In più Hibari è partito e per tre anni non si è fatto vivo, le cose non potevano che migliorare esponenzialmente.
Anche se non ricordo il perché fosse partito… e soprattutto non ricordo come Carlotta si sia imposta, so solo che è una donna da stimare per avercela fatta.
Carlotta è un po’ come una madre, per tutti noi, ha una forza straordinaria.
 
I perse a ricordare la prima volta che l’aveva vista, in divisa da cameriera, gonna lunga e blu notte, maniche a sbuffo, grembiule bianco. Era smontata dal quad sicura di sé, aveva salito le scale di pietra, aveva attraversato la terrazza e aveva bussato con decisione alla porta d’ingresso.
L’aveva vista dalla finestra di camera sua e aveva sentito quasi fin da subito i suoi strepiti, e quasi di sicuro improperi, per Hibari. 
Peccato solo che all’epoca non conoscesse l’italiano, o avrebbe saputo cosa si erano detti.
Dopo pochi attimi, comunque, Hibari se n’era andato sbattendo la porta sul retro e lei aveva fatto capolino dalla porta della loro stanza appena arredata e aveva sorriso.
 
Carlotta ci ha insegnato a leggere e a scrivere, ci ha insegnato l’italiano e un po’ di tedesco, facendo sì che io potessi mettere le mani sui libri disseminati per casa. 
 
Carlotta era la sua migliore amica.
 
Ma non è il momento di sperticarsi il lodi per lei!
 
Tese l’orecchio lasciando in sospensione la penna, sperando di avere ancora un po’ di pace prima dell’arrivo di Lawrence e dei suoi amici, perennemente in cerca di adrenalina e di guai.
Ma il pomeriggio di lettura e scrittura era destinato a finire entro pochi minuti e se ne rese conto quando un colpo di fucile e qualche risata non la raggiunsero dalla finestra.
Sospirò, chiuse a chiave il diario in un cassetto, prese un libro dal comodino e con un piccolo sorriso uscì e si appostò sul ballatoio che circondava il piano e che metteva in comunicazione, al contempo, la terrazza e il porticato sul retro.
-Claire! Claire!- 
“Ecco lo scemo”; il suo sorriso si allargò, per poi afflosciarsi quando le carcasse di due fagiani strette fra le sue mani.
Odiava la caccia.
Beh, pensò che almeno il giorno dopo avrebbero mangiato un buono stufato.
-Due in un colpo solo! Law è stato grande!-
Claire spostò lo sguardo sulla ragazza alla destra del fratello e, come sempre, si trovò a pensare di quanto fosse una discendente diretta di un’amazzone, donna guerriera fin nel midollo.
Jessica, si chiamava, due anni più di loro, capelli mossi e neri come la pece. Ed era selvatica, selvaggia, violenta, sboccata, irriverente, perennemente fuoriposto in ogni ambiente e dalla femminilità prorompente nonostante tutto.
In definitiva, era una bestia.
Ed era illogica.
Si era mai vista una cacciatrice di fagiani con addosso un tubino vertiginosamente corto in pelle nera?! 
-Grande!- Rispose comunque con entusiasmo, per loro era importante.
Sentì Jessica ridere sguaiatamente, evidentemente era di ottimo umore, ma  il primo che raggiunse la terrazza su cui si era spostata per andar loro incontro fu Viktor.
Il sorriso le scomparì del tutto dal viso.
Viktor era strano. Anche troppo, riusciva sempre a metterla a disagio.
Quel giorno aveva cacciato due conigli e non c’era traccia di alcun proiettile. No, Viktor Vidal usava solo e soltanto i suoi due pugnali, ed era così perfetto e preciso da non aver sporcato di sangue nemmeno il pelo degli animaletti, che sarebbero potuti sembrare ancora vivi, non fosse per i loro movimenti innaturali dovuti al loro essere trascinati di malagrazia appesi a una spalla.
Odiava i cadaveri degli animali. E delle persone. Ne aveva visti alcuni e… e non le piacevano. Le urtavano il sistema nervoso.
Viktor la stava guardando con la solita espressione seria. Tredici anni e nessuno scatto emotivo da neoadolescente, nessuna reazione esagerata… tutto questo da quando aveva intrapreso la carriera del killer, tre anni prima.
Viktor sicuramente, pensava con un misto di terrore e ammirazione macabra Claire, aveva le caratteristiche che nel passato gli avrebbero fatto guadagnare un titolo che il tempo aveva cancellato.
Era indubbio: Viktor possedeva il Varia Quality e non c’era cosa che potesse inquietarla più di quella consapevolezza.
Nemmeno Jessica, figlia di Xanxus, Ex Boss dei Varia, aveva il Varia Quality, a suo avviso. E per quanto la giudicasse rozza e anche un po’ antipatica, non la riteneva affatto negativa. Era vivace e allegra, mentre Viktor…
Viktor no. Non ai suoi occhi. Non poteva essere positivo.
 
-Buongiorno Claire…- anche i suoi toni sempre tranquilli le mettevano i brividi.
-Ciao, Viktor.- gli rispose stringendosi al petto la sua versione integrale del Paradise Lost di Milton in lingua.
Se solo fossero stati entrambi in grado di comunicare apertamente, avrebbero probabilmente scoperto di condividere alcuni interessi e che entrambi avrebbero potuto chiaccherare piacevolmente, l’uno potendo così distanziarsi dal casino degli altri due e l’altra sentendosi meno sola. 
Viktor, a ragione, si sentiva però costantemente giudicato dalla ragazza e lei non riusciva ad andare oltre la prima sensazione che provava guardandolo.
Non potevano comunicare, almeno finché uno dei due non avrebbe deciso di rompere il loro tacito accordo di quieto vivere.
 
Viktor, in quel momento, avrebbe voluto chiedere a Claire che edizione del Paradiso Perduto avesse tra le mani e l’avrebbe volentieri portata a vedere la sua collezione di manoscritti. Ma non sentiva il bisogno di farlo, e soprattutto mai l’avrebbe costretta a passare del tempo in sua compagnia.
L’atmosfera, in quei brevi attimi, si fece tesa e gelida, ma i due restanti bisonti, Law e Jess, non ci fecero caso, arrivando sulla terrazza in una profusione di risate e sghignazzamenti.
Claire spostò il suo sguardo e sorrise a trentadue denti, incapace di nascondere la propria gioia nel non essere più in quella casa da sola. 
Amava la solitudine… Ma quando era troppa, era troppa.  Un intero pomeriggio era sufficiente!
Law si avvicinò correndo e le mise in mano i due fagiani continuando a correre e varcando la porta di casa.
Claire lo guardò male, si aspettava più considerazione, e in contemporanea, di scatto, allontanò i fagiani dal libro con la mano sinistra. Il sangue! Il sangue aveva rischiato di sporcare la copertina!
Viktor le prese il libro di mano e le sorrise placido; -Libro salvo.-
Claire arrossì dalla vergona e gli ristrappò il libro di mano fuggendo a braccia spalancate per evitare che cadaveri e libro entrassero in collisione.
Maledetto Viktor, la prendeva anche in giro!
Fuori, Jessica aveva assistito alla scena e stava ridendo con rinnovato vigore, quasi ululando. 
-Ti va sempre buca con quella, eh?- Viktor la guardò assottigliando lo sguardo. 
-Non ho nessuna mira nei suoi confronti, Jess, e lo sai bene.-
-Ahahahaha. Lo so, lo so, ma è sempre così divertente vedere come si trova a disagio con un assassino che…-
Si interruppe. Aveva parlato troppo.
Viktor la guardò malamente e non aggiunse altro, glaciandola sul posto per poi dirigersi ad ampie falcate oltre la porta del cottage. 
Lui un assassino? Sì, era vero. Ma non quando era a casa. A casa, lì a Villa Vidal, si era impegnato tempo prima a non uccidere nessuno. E odiava che la gente, anzi i suoi unici amici, gli ricordassero cosa fosse al di fuori della tenuta. 
Entrò in casa subito seguito da Jessica, all’improvviso ombrosa, e si diresse a passo svelto verso il soggiorno, in cui Lawrence si era già messo a trafficare con le sue consolle.
Con un filo di disgusto notò che non si era lavato le mani dal terriccio di cui si erano sporcate, ma si gettò comunque noncurante sul grande divano lì accanto, gettando poco elegantemente le scarpe in giro per la stanza. 
In fondo quella non era casa sua e poco gli importava di seguire le norme del galateo.
-Che vuoi fare?- si interessò appena.
-Non ti pare ovvio? Tattica!-
Viktor roteò gli occhi, ma dentro di sé sorrise. La tattica, l’unica cosa in cui quello scemo di Lawrence aveva, ogni tanto, speranza di batterlo.
Scrocchiò il collo e si preparò a giocare. Sarebbe stata una serata lunga, se Lawrence aveva intenzione di fare sul serio.
 
Claire preparò loro da mangiare, in assenza di Carlotta che aveva il divieto del Principe di andare al Cottage quando lui e i suoi amici erano lì, e poi ritirò nella sua camera. 
Riprese il suo diario in mano, lesse quanto aveva scritto quel pomeriggio… e poi lo richiuse a chiave nel cassetto. Non ne aveva più voglia, di scrivere.
Dal soggiorno arrivava il tipico caos dei tre e lei… lei non era fatta per tutto quel caos, per quel rumore assordante e per i videogiochi sparatutto. Tattica la chiamavano… Ma per favore.
Avrebbe voluto qualcuno con cui parlare di… di arte, di libri, di musica, di cose normali, non del modo migliore per sparare con un fucile ad alta precisione contro uno stormo di fagiani o le modalità per uccidere rapidamente un orso.
Quando Viktor, l’anno prima, era tornato al corpo principale della tenuta ricoperto di sangue di orso si era spaventata così tanto… e lui a lamentarsi perché si era sporcato.
No, non ero possibile che quella fosse una vita normale, quella villa non era un luogo normale, niente era normale, nella sua vita, da quando era lì!
Si raggomitolò nel letto e pregò che fosse un sogno durato anche troppo, pregò, l’indomani, di trovarsi nel letto di un ospedale con sua madre che le diceva che era entrata in come dopo un incidente d’auto.
Ma non era così. Non era la prima volta che pregava in un risveglio del genere, ormai sapeva anche fin troppo bene quale fosse la realtà.
L’unica cosa che le importava, era che Lawrence fosse felice. E lui lo ero, lui si era adattato meglio. Forse perché era un maschio, i maschi avevano meno scrupoli morali. Almeno quelli che conosceva lei.
Il giorno dopo era sabato.
Si coprì la faccia col cuscino e soffocò un singhiozzo.
Sabato voleva dire allenamento con Hibari. Sarebbe arrivato per l’ora di pranzo e li avrebbe fatti combattere l’uno contro l’altro.
Oppure li avrebbe costretti ad attivare le fiamme e a simulare uno scontro contro di lui.
Sperò fosse quell’ultima opzione, avrebbe almeno potuto sfogarsi contro di lui.
Rotolò nel letto altre due o tre volte, pensando che era davvero troppo sola. Aveva bisogno di qualcuno con cui condividere tutto quel disastro e Carlotta aveva già le sue mille cose da fare.
Avrebbe fatto meglio ad andare a dormire e non pensare. Era davvero una pessima serata per rimanere sveglia.
Si alzò, si infilò meccanicamente il pigiama e si tirò poi le coperte fin sugli occhi, costringendosi a rimanere ferma e a non pensare.
No, non era serata per pensare, quella.
 
 
 
 
 
Viktor montò sul suo quad, il metodo più facile per girovagare per i terreni della tenuta sui suoi sentieri spesso mal tracciati, e tornò a casa abbastanza presto, quella notte. Non aveva intenzione di tardare troppo, suo padre sarebbe tornato la mattina dopo e lui doveva anche prepararsi per un viaggio di qualche giorno verso Monaco. Aveva ricevuto un incarico pochi giorni prima ed era già tutto pronto. Anche quella volta si sarebbe finto il figlio di un imprenditore arricchito con lo spaccio di droga, una delle sue coperture più usate. La sua marionetta era già sul posto, lui avrebbe solo dovuto raggiungerlo e svolgere il lavoro indisturbato.
Sospirò buttando sul letto la giacca bianca e scompigliandosi i capelli biondo cenere mentre apriva la finestra. Si sedette sul davanzale e, in barba agli ammonimenti di Carlotta, fumò una sigaretta.
Non si sentiva affatto un bambino, di sicuro non si sentiva un tredicenne. 
Vivere con il costante terrore di poter essere ucciso dal suo stesso padre, per sbaglio o meno faceva poca differenza, l’aveva fatto crescere in fretta.
Ricordava ancora il momento in cui aveva ucciso il suo primo obiettivo.
L’obiettivo gliel’aveva affidato lo stesso Bel che, ridente nel suo modo sardonico, gli aveva promesso due pugnali se fosse riuscito a uccidere Gabriel, l’ultimo servo arrivato.
L’aveva fatto. Aveva aspettato la notte, era entrato negli appartamenti della servitù e con un filo da pesca l’aveva strangolato.
A malapena i suoi compagni di camerata si erano accorti del fatto che qualcuno fosse entrato nella stanza.
L’aveva fatto per dimostrare a suo padre che lui era qualcuno e che poteva possedere quei pugnali. Erano sempre stati in una teca nella sala di rappresentanza e da quel momento… furono suoi.
Dopo l’adrenalina e l’euforia iniziale, si era reso però conto di ciò che aveva fatto ed era scappato.
Per giorni l’avevano cercato, i servi, e per giorni lui era sopravvissuto senza farsi trovare. Ettari ed ettari di bosco per nascondersi. Sarebbe potuto sparire e nessuno l’avrebbe più trovato.
Poi si era lasciato trovare. I suoi piedi l’avevano portato vicinissimo al Cottage della Nuvola e Lawrence era quasi letteralmente inciampato su di lui.
Law aveva un anno in più e si conoscevano da quattro anni… Ma fu quello il momento in cui diventarono amici davvero.
Ricordava ancora le sue parole, pronunciate dopo esserlo stato a sentire silenzioso e avergli fatto vedere il frutto del suo assassinio. 
“E’ stato per lavoro, no? Questo è lavoro, non è essere una cattiva persona, no?”
Scosse il capo, buttò il mozzicone nel buio con uno scatto rapidissimo e chiuse la finestra altrettanto in fretta.
Era cresciuto, sapeva che quelle parole avevano una logica che faceva acqua da tutte le parti, ma in quel momento gli erano sembrate le parole perfette per esprimere quello che sentiva e per… giustificarsi.
Avrebbe continuato a pensare che tra l’essere un omicida, un killer e un assassino ci fosse differenza.
Lui era un killer. Era un sicario pagato per uccidere, non per avere scrupoli morali.
Inoltre… una parte di sé, una grande parte di sé, amava uccidere. Anzi, lui stesso era consapevole di quanto l’omicidio potesse essere arte pura. Non amava molto l’atto di uccidere in sé, non gli importava di togliere la vita a qualcuno. La cosa che amava del suo lavoro era il renderlo perfetto.
Era questo ad oscurare i suoi sensi di colpa la maggior parte del tempo, la consapevolezza di essere il migliore, anche più di suo padre, troppo appariscente.
Si gettò nel letto vestito e si addormentò sereno e col sorriso sulle labbra.
Lui era semplicemente qualcuno che amava il proprio lavoro, in definitiva.
 
 
 
 
 
Mattino, ore 9.30, sveglia generale al Cottage della Nuvola.
Una donna entrò in casa e posò il suo soprabito all’attaccapanni nel corridoio, andò in cucina e si armò di mestolo e coperchio d’alluminio.
Silenziosa, riattraversò il corridoio di volata e senza esitare spalancò la porta vicina all’ingresso e si mise a fare del casino sbattendo le sue armi.
-Svegliarsi al mattino, gente!-
La prima cosa che vide Claire aprendo gli occhi per il trambusto fu il sorriso di Carlotta che si divertiva a spadellare a meno di un metro dalle orecchie di Lawrence e Jessica, addormentati come al solito nel letto del fratello. 
Jessica si alzò, senza espressione, si diresse verso il bagno adiacente alla camera scansando la cameriera e sparì. Lawrence cercò di resistere ancora qualche minuti tra le lenzuola prima di mettersi seduto con lo sguardo perso nel vuoto.
A quel punto il casino infernale venne arrestato e Carlotta uscì soddisfatta dalla stanza.
Anche quel giorno era fatta.
Raggiunse nuovamente la cucina, mise via il mestolo ed avviò la colazione.
Non c’erano bisogno di altre parole, era una routine consolidata, la loro.
I due fratelli Cooper rimasero con le orecchie tese. 
Sentirono lo sciacquone, il filo d’acqua del lavandino, la porta che si apriva e…
-Bagno mio!-
Claire, più vicina alla porta, non riuscì comunque ad ottenere la precedenza su quel maledetto gabinetto!
Non era possibile, tutte le sacrosante mattine! Eppure non era meno veloce di quello scemo!
Oramai in corridoio, con la porta del bagno chiusa a un centimetro da suo naso, borbottò qualcosa e si incamminò verso la cucina strascicando le pantofole.
Pantofole. Lei si metteva le pantofole prima di correre, ecco cosa la rallentava!
Si sedette al tavolo della cucina con un grugnito scomposto.
-Ah, Claire! Siamo sempre tutti simpatici al mattino, eh?-
Sollevò gli occhi su Carlotta. Il suo sorriso e la sua ironia erano sempre contagiosi.
-Sì, quanto lo può essere un…-
-Un tronco in culo.-
-Io avrei preferito concludere con “cactus su per il naso“, Jess.-
Si voltò verso il divano, su cui Jessica era stravaccata scomposta a guardare a bocca aperta un documentario sui mostri degli abissi, primo programma disponibile all’accensione della tv.
-Come vuoi. Ma tronco su per il culo rende meglio l’idea.-
-Hai già provato?- Claire la guardò malissimo. Quanto la odiava al mattino.
Jessica non raccolse la provocazione, troppo concentrata su uno strano pesce dall’aria inquietante.
O forse non l’aveva proprio sentita.
Claire tornò a sbuffare contro il suo piatto ancora vuoto.
Aveva bisogno di una doccia.
Poi ricordò che era sabato. Sabato. Ritorno di Hibari imminente. Obbligo di attrezzarsi con voglia di vivere e di pestarlo a sangue.
Sulla voglia di vivere ci avrebbe lavorato quando il bacon e le uova sarebbero state nel piatto, la voglia di pestarlo era un istinto che non avrebbe comunque né potuto né voluto sopprimere.
Jessica e Lawrence la raggiunsero al tavolo e mangiarono in fretta. Se nel weekend il resto del mondo riposava, per loro era solo l’inizio delle fatiche forzate.
-Bene! Lawrence, Smocchia, ci si becca sul campo, magari! Ah! Carlotta! Sempre in allerta, non si sa mai quando un frusta attorno alla caviglia possa farti inciampare!-
Eccola. L’amazzone aveva ucciso e mangiato la sua bacon-preda ed era tornata di buon umore. E di nuovo un po’ più simpatica. 
La sedicenne prese dal tavolino vicino alla porta sul retro le sue fruste e si incamminò senza aggiungere altro verso la scalinata posteriore, inforcò la moto da cross e sparì nella foresta in massimo un minuto di tempo.
Il cervello rallentato dal risveglio di Lawrence a stento si accorse della cosa, troppo concentrato a cercare di mangiare senza addormentarsi sul piatto. In fondo avevano tutti la consapevolezza di essere lì dov’erano e che da lì, per quanto la tenuta fosse immensa, non si sarebbero mossi. Un saluto in più o in meno non faceva differenza.
 
 
 
Carlotta li lasciò in balia di loro stessi presto, quella mattina, col ritorno di Hibari doveva rassettare il Cottage e organizzare un’accoglienza da manuale per il Principe Belphegor, anche lui sulla via di casa.
Inoltre doveva anche organizzare le cose per la partenza del Principino Viktor per la sua nuova missione, e a malincuore salutò i ragazzi.
Claire si sentì di nuovo sola al mondo. 
Poi guardò Lawrence. No, non era affatto sola. 
Lei voleva bene a Lawrence esattamente come lui ne voleva a lei, lo sapeva. Era solo che… che Law, con i suoi amici, non sentiva il bisogno di trattarla troppo bene.
Anche se questo la feriva, non dubita affatto dell’affetto che suo fratello nutriva per lei. Non avrebbe mai potuto, lo sentiva. Il loro era un legame estremamente forte e affermato col tempo. 
Appena uscita Carlotta, infatti, la sua espressione si fece più viva e guardandola di sottecchi si preparò a caricarla per buttarla sul letto e farle il solletico.
Lui sapeva sempre quando lei si sentiva male, sapeva quando era il momento di fare lo scemo e quale quello in cui abbracciarla in silenzio. Farle il solletico per farla ridere era solo uno dei modi che aveva per risollevarle il morale.
Ruzzolarono per il pavimento della loro stanza ridendo come matti e facendo cadere la metà dell’ammasso di vestiti che abbandonavano sempre sulla scrivania, perennemente inutilizzata, del ragazzo.
Tra di loro, soli, non c’era mai bisogno di inutili parole, non c’era bisogno di dimostrare qualcosa. Erano… erano sempre gli stessi, le avevano passate tutte, e avrebbero continuato a farlo. 
Loro erano i gemelli Cooper, se insieme niente e nessuno avrebbe mai potuto distruggerli.
Si spintonarono ancora ridendo per la scalinata e andarono a prendere i loro quad.
Misero in moto e si diressero a gran velocità verso il Campo d’addestramento, dove sapevano che Hibari sarebbe arrivato in capo a un’ora.
Sapevano anche che da quel giorno avrebbero iniziato ad allenarsi separati ed erano un po’ preoccupati. Non avevano mai combattuto da soli, non… non avevano mai fatto nulla ognuno per gli affari propri, insomma.
Si guardarono in faccia mentre il vento scompigliava i loro capelli lunghi e rossi, sferzando i loro visi così simili.
Annuirono l’uno rivolto verso l’altro.
A che serviva parlare, quando ci si poteva capire con uno sguardo?
Sarebbe andato tutto bene.
Doveva andare tutto bene.
 
Quello che non sapevano era che qualcosa sarebbe cambiato davvero e che niente sarebbe andato tutto per il verso giusto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Gah!
Ringrazio nuovamente Lushia [ <3 ] e ringrazio anche le anime che, me l’ha detto il contatore di efp, hanno letto la storia!
A parte questo…
ALLELUJA, ci siamo!
Spero che tutta questa fic non sia troppo confusionaria da seguire! >_<
Nel prossimo capitolo… Dirò solo questo; Fiamme, Pioggia e cannuccia blu! 
A presto!
[Sempre si spera…]
   
 
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