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Autore: TooLateForU    23/03/2013    6 recensioni
Da quando sono a questo mondo la vita si è divertita a giocare a Mazzate Chiodate Sugli Stinchi di Melanie™, e io zitta ad incassare colpi. Ma adesso basta, voglio la mia lunga giornata di sole, e giuro sugli ultimi quattro dollari e cinquanta che mi sono rimasti per campare che l'avrò.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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holla.
come va la vita? a me ‘na merda, ma proprio uno schifo forte eh, but everything’s gonna be aaaaaaaaaaaaaalright *sorriso cannato*
ebbboh, aggiorno sunny day ma sto scrivendo il nuovo capitolo di jump then fall
lettrici: cosa?
amministratrice: cosa?
mio nonno: cosa?
nuvole: cosa?
obama: cosa?
unicorni: cosa?
ebbene sì. terrestri tremate!
eniuei, in questo capitolo si evince la trama della storia. spero non vi faccia cagare, ma non ne sono troppo sicura. è molto tragico, jaa.
sapete che vado al concerto di conor maynard? per accompagnare un'amica. la scena si è svolta così.
amica: 'chi viene con me al concerto di conor maynard?'
sottoscritta 'io!'
amica 'aah!'
sottoscritta 'un attimo di chi?'
mi devo informare su conor maynard.
detto ciò, viva i piselli gialli #ilovemendel
 
 

 
 
 
“Ehi! Miller, lo so che sei là dentro, apri!”
Spalancai gli occhi, ed ebbi una terribile sensazione di vuoto nello stomaco, come se stessi per cadere.
E infatti caddi dal divano, rotolando sul pavimento.
“Che cazz..” borbottai, prima che i colpi sulla porta si facessero più forti.
“Ti ho sentita, stronza! Giuro su dio che se non apri faccio portare il tuo culo ossuto in centrale, sissignore, e vedi che ti levano pure la ragazzina una volta per tutte!”
Guardai ansiosamente per la casa, sperando che Cheryl spuntasse da qualche angolo, ma non venne nessuno.
E ora? Porca troia, quello là fuori sembrava King Kong..
BUM. BUM. BUM.
..ma se non avessi aperto magari si sarebbe stancato e..
BUM. BUM. BUM. BUM.
..potevo uscire dal retro, e andare da Suze, e chiamare Cheryl da..
“Ti avverto che sta arrivando il maresciallo!”
Mi alzai di scatto, e corsi alla porta. Quando aprii l’uomo tarchiato davanti a me aveva già il pugno alzato per colpire la porta di nuovo, ma quando mi vide si paralizzò.
“Oh, eehm..” tossicchiò, prima di abbassare il braccio ed accarezzarsi nervosamente i baffoni “Bella mossa Cheryl, mandare avanti tua figlia! Ma non mi fotti a me, hai capito? Nossignore non mi fotti!” riprese ad urlare, guardando astiosamente all’interno della casa.
“Cheryl non c’è. Qual è il problema?”
L’uomo mi squadrò, e nonostante il mio metro e sessanta ci impiegò parecchio. Poi sbuffò, e i baffi partirono all’impazzata “Senti, è indietro di due mesi con il pagamento del motore dell’auto, ora io non voglio dare l’orco cattivo ma..”
“Motore? Che..quale motore?” chiesi, confusa. Da quando aveva cambiato il motore?
“Quello della vostra macchina, la cinquecento. Ha detto che le serviva un motore più potente, io l’ho messo e lei mi ha detto che mi avrebbe pagato a fine mese. Poi è arrivato fine mese, e dei soldi neanche l’ombra, nossignore neanche l’ombra di un centesimo e io ancora paziente, perché sotto sotto sono un agnellino...”
Continuò a blaterare, ma già non lo ascoltavo più. Che cazzo ci doveva fare con un motore più potente? Dio, che stronza. “Quanto ti deve?” tagliai corto
L’uomo sembrò imbarazzato, e si mise le mani tozze nei jeans sdruciti “Bhè, facendo due calcoli veloci veloci..volendo pure fare uno sconto da bravo cristiano..duecentocinquanta verdoni.”
Non so se fu il terreno ad avvicinarsi o io a cadere, sentendo quella cifra.
“S-si okay, tanto lei sta..sta ritirando lo stipendio ora proprio ora, appena torna le dirò che è passato e..e arrivederci.” gli sbattei la porta in faccia, e lentamente feci qualche passo indietro.
Duecentocinquanta. Duecentocinquanta dollari, cristo santo. E scommetto che non era l’unico tipo a cui doveva dei soldi.
Duecentocinquanta verdoni.
Mi mossi per cercare il telefono di casa, ma non era al suo posto. Lanciai un’occhiata all’orologio, e mi accorsi che segnava le undici di mattina.
“Fanculo fanculo fanculo..” borbottai, entrando in cucina. Afferrai il telefono, quando notai che c’era un messaggio nella segreteria telefonica.
Chi cavolo lasciava messaggi ora? Sbuffai, e premetti il tasto per ascoltarlo.
‘Ehi dolcezza, se stai ascoltando sono già morta…naaah, burla! AHAHAH’ la risata isterica di mia madre invase la stanza, e in sottofondo si sentiva anche un’altra risata più profonda
‘Insomma ho deciso di prendermi una pausa, sai, lì era tutto così..soffocante, vero Gary? Vero che era soffocante quella cittadina del cazzo?’
‘Cristo Cheryl, li ho appena fatti pulire i sedili! Ora lo pulisci con la lingua il martini!’
Più il messaggio continuava, più sentivo le gambe cedermi. Di chi era la voce di quell’uomo? Dov’era mia madre?
“Mamma..” la chiamai, come se potesse rispondermi.
‘Shh, zitto, sto parlando! Dicevo Melanie..che dicevo? AHAH! Ah, cazzo, sì, dicevo che me ne vado un po’. Io e Gary gireremo un po’così..ma tanto tu sei grande, hai diciotto anni..’
‘Non ne aveva quindici tua figlia?’
‘Eh? Cazzo no, è del ’96, credi che non sappia quando sia nata mia figlia?’
‘Allora sono sedici, Cher.’
‘Oh..oh bhè, lei sa badare a sé stessa. Ci sentiamo dolcezza, ciao! Ah, la macchina ce l’abbiamo noi..e fai la spesa eh? Okay ciao!’
Un lungo e prolungato ‘bip’ mi avvertì che il messaggio era finito, ma non riuscivo neanche a sbattere le palpebre.
Sentivo le parole vorticarmi in testa, senza un senso logico. Pausa..giro..Gary..
No.
No.
NO.
Non poteva averlo fatto davvero, non poteva avermi lasciato da sola.
Da sola, e senza soldi.
Da sola.
“No, no, no, no..” mi alzai, e corsi di sopra. Entrai in camera di Cheryl, rovesciai il materasso, frugai tra le coperte, ma niente.
“Andiamo andiamo, ci deve essere qualcosa!” gridai strozzata, al vuoto. Ma non c’era nulla, neanche un centesimo, solo cianfrusaglie vecchie e polverose.
Aprii l’armadio, e tirai giù tutto ciò che era rimasto. Si infransero sul pavimento vecchie bottiglie vuote di alcolici che nascondeva lì, e delle scarpe. Ci infilai le mani, sperando che ci avesse lasciato qualche soldo, ma erano vuote.
Continuai a correre come una pazza per casa, rovesciando tutto ciò che mi capitava. Il bagno, le pillole antidepressive, gli smalti incrostati, le collane false, qualche straccio di vestito che si era dimenticata, ancora bottiglie, quel disegno che le avevo fatto alle elementari appallottolato in un paio di jeans..
“Vaffanculo, VAFFANCULO CHERYL!”
“Ti odio, io ti odio, sei un mostro, la peggior madre del mondo, IO TI ODIO!”
E scoppiai a piangere, scivolando sullo stipite della porta del bagno, stringendo ancora quei suoi vecchi jeans tra le mani. Mi bruciava la gola per come avevo urlato, mi bruciava il viso, mi bruciavano le lacrime, mi bruciava tutto.
Ero sola, senza un soldo, senza una madre, senza un padre, senza uno straccio di persona che si preoccupasse per me, piena di debiti, con gli strozzini che venivano alla porta. Dio, sentivo la testa pulsare, come se ci fossero cento pneumatici.
Senza un soldo, senza una madre, senza un padr..
Sentii qualcosa sotto le dita, sotto il tessuto dei jeans che stringevo. Stropicciai gli occhi, con le ciglia appiccicate per le lacrime, e frugai all’interno delle tasche.
Forse era qualcosa, magari cinque dollari, magari un biglietto che mi dicesse che era tutto uno scherzo, magari l’indirizzo di una casa famiglia..
Aggrottai le sopracciglia, quando tirai fuori una fotografia piccola, di quelle che si facevano con le macchinette non digitali. C’erano un ragazzo e una ragazza che sorridevano e stringevano due bicchieri di coca-cola, e la ragazza dava un bacio sulla guancia di lui.
Ma quella..quella era Cheryl, era mia madre. Con i capelli biondi a caschetto, e giovanissima.
Il ragazzo aveva qualcosa di familiare, tipo gli occhi..Avvicinai la foto al viso, per osservarlo meglio, ma non mi venne in mente niente.
Girai la fotografia, e dietro la calligrafia di mia madre diceva ‘Io e Jack, ottobre 1995’ e poi un cuore.
Il novantacinque. L’anno prima che nascessi.
Cominciai a contare, aiutandomi con le mani dato che come diceva quel frustrato di Mr Smith io stavo alla matematica come la cioccolata sta all’acido muriatico.
Io ero nata il quindici aprile del novantasei, la gravidanza durava nove mesi..
Voleva dire che Cheryl era rimasta incinta ad agosto del novantacinque, e la foto era stata scattata due mesi dopo. Era impossibile che lei non sapesse di essere incinta, no? E quello allora..
Girai di nuovo la foto, osservando il viso del ragazzo sorridente.
“Tu sei mio padre, pezzo di merda.” dissi a denti stretti, come se ce l’avessi avuto davvero davanti.
Da piccola Cheryl mi aveva sempre detto che papà semplicemente non c’era. Per questo quando a sette anni la maestra assegnò come traccia del tema ‘Parla del tuo papà’ io scrissi che Cheryl Miller era insieme sia mia madre che mio padre, ma senza barba.
Il giorno dopo la maestra convocò Cheryl, e quando lei tornò a casa mi mise su una sedia, si accese una sigaretta e prese a guardare fuori verso il niente.
Dopo cinque minuti finì di fumare, lanciò la sigaretta nel lavabo e si girò a guardarmi con sguardo assente.
“Tuo padre ci ha mollate quando sei nata e si è trasferito a Pittsburgh. Non voleva né me né te, voleva solo continuare a fare il cazzone. Scrivi questo la prossima volta, e ora va a letto.”
Quella notte me la ricordo bene, perché la passai sveglia a piangere. Ma dopo un po’ smisi di interessarmi a mio padre, come lui non si interessava a me. Anni dopo scoprii grazie ad un vecchio annuario impolverato che il suo cognome era Hoover.
Jack Hoover, di Pittsburgh. Il ragazzo con gli occhi azzurri della foto.
Era la mia ultima speranza.
 
“Me ne vado.”
Suze indossava il suo pigiama rosa con scritto ‘Go girls!’, era scalza e appoggiata allo stipite con aria assonnata, e non reagì. All’inizio pensai che stesse dormendo in piedi, come i cavalli, ma quando posò lo sguardo sul borsone accanto a me sullo zerbino strabuzzò gli occhi.
“Cazzo dici Mel? Te ne..ma dove vuoi andare?”
“Cheryl se ne è andata Suze, mi ha lasciato un messaggio nella segreteria telefonica per dirmi che è a troieggiare in giro per l’america e io non ho intenzione di rimanere qui a farmi portare via casa dalla banca o dagli strozzini.” spiegai, cercando di non guardarla nei suoi occhioni da cerbiatto.
Cerbiatto un po’ coatto, ma è uguale.
“E’ piena di debiti, ed io non ho praticamente nien..”
“SUZANNE, CHE STAI FACENDO?” la voce di Mrs Truman risuonò violenta dal piano di sopra.
“NON ROMPERE I COGLIONI MA’!” rispose lei, sempre urlando.
“Suzanne adesso vengo giù e vedi!”
“Sì sì, rotola pure qui se vuoi!” Suze ruotò gli occhi al cielo, poi tornò a me “Puoi venire a stare da me Mel, lo sai! Cioè staremo un po’ strette in due nel letto, e lo scaldabagno è rotto da un pezzo, però non c’è nessun probl..”
“Chi è che deve stare da noi?” Mr Truman spuntò dalla cucina, con ancora dei residui di bacon sopra le labbra e lo sguardo sospettoso.
“Melanie pa’, sei sordo?”
“Scordatelo. Melanie sei tanto cara, ma a meno che io non trovo ‘na miniera d’oro dietro lo scaffale dei pomodori pelati al lavoro non se ne parla.” borbottò, agrammaticalmente, prima di superarmi ed uscire.
Suze sbuffò “Stronzate! Melanie non lo ascoltare, dai retta a me..”
“No sul serio Suze, lascia perdere. Ho ancora sessanta dollari da parte, mi compro un biglietto del treno e vado..”
“Vai..?”
Presi un respiro “A Pittsburgh, da mio padre.”
Mi guardò a lungo, poi scoppiò a ridere. E continuò a ridere per un pezzo. Continuò così forte che apparve suo fratello minore per prenderla a cucchiaiate sulla schiena.
Seguirono due schiaffi e uno sputo, poi si accorse che ero seria.
“Mi prendi per il culo, Melanie? Ti prego!”
“Senti, è l’unico parente che abbia okay? I miei nonni sono crepati da un pezzo, mia madre è chissà dove con uno spacciatore ninfomane nel migliore dei casi e io sono senza una lira. Non voglio fare tipo Patty in bici per l’Argentina, ma lui è obbligato a occuparsi di me.”
“E chi è, la caritas? Come pensi di fare a dimostrarlo? E soprattutto, come fai a sapere chi è tuo padre?”
Le allungai precipitosamente la foto che tenevo in tasca, e Suze aggrottò le sopracciglia.
“Uhm..bel fighetto.”
“Mi somiglia?”
Mise la foto vicino al mio viso, e osservò con gli occhi semi-chiusi “Mmm..non saprei. Forse gli occhi. Ma considerata la qualità di questa foto potrebbe essere chiunque, anche mia zia Trudy.”
Ripresi la fotografia bruscamente “Bhe ormai ho deciso, ti sto salutando. Prendo il primo treno.” tagliai corto.
Restammo in silenzio, a guardarci di sottecchi. Avrei voluto davvero portarla con me, o meglio avrei voluto restare ad abitare con lei, anche dormendo nella loro vasca da bagno. Ma Suze era già abbastanza povera senza di me.
Mi sarebbe mancata. Mi sarebbero mancati i suoi ricci ribelli, la sua pelle cioccolata, le sue braccia muscolose che avrebbero steso uno gnu in corsa..
“Mi mancherai Melanie!” esclamò, abbracciandomi stretta. La strinsi anche io più forte che potei, tentando di imprimermi quella memoria a fuoco nella mente e di continuare a sentire il suo profumo sempre.
“Anche tu Suze, sei la negra più importante della mia vita.”
“E tu sei la puttana più importante della mia vita. E stai attenta okay? Non voglio sentire alla TV che la mia amica è stata ritrovata morta nel vicolo dei tossicodipendenti chissà dove.”
Sospirai, e sciolsi l’abbraccio per afferrare il borsone con tutte le mie cose. Il fatto che fosse incredibilmente leggero era piuttosto imbarazzante.
Cominciai a camminare indietro per il vialetto, a testa bassa
“Scrivimi spesso, mi raccomando!” mi urlò e mi girai, continuando però a camminare all’indietro come un gambero.
“Suze, siamo nel 2013, esistono i cellulari!”
“Bhè ma nei libri pallosi quando qualcuno se ne va urlano sempre ‘scrivimi!’ e allora..oh fanculo, chiamami tutti i giorni okay?”
“Tutti i giorni, prometto.” 
“E poi ti organizzo un appuntamento con Chad eh, quando torni!”
“Sì..sì con Chad.” risposi, sentendo un nodo formarsi in gola, e le diedi le spalle.
“Sì, quando torni..Perchè torni vero? Eh Melanie, torni vero?”
Non le risposi, asciugando frettolosamente una lacrima calda sulla guancia.
 

 
 
 
   
 
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