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Autore: pinzy81    23/03/2013    6 recensioni
Un missing moment che ci svela i motivi per cui Katniss ha corso il rischio di partecipare al banchetto alla Cornucopia.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- L’ALBA E’ FIN TROPPO VICINA -
 

 
 
- Allora, Peeta, chi è che non sa mentire?
Ed ora resto sola. Sola con il resto di Panem ad ascoltarmi. Ma non darò loro anche questo: non gli parlerò della paura che mi agita le viscere, né delle lacrime che vorrebbero uscire per la rabbia. Rabbia perché penso che non riuscirò ad arrivare alla Cornucopia, non salverò Peeta e, molto probabilmente, domani a quest’ora saremo morti entrambi.
Allora scuoto la testa e sorrido verso la luce che filtra dall’ingresso della grotta, a favore dellatelecamera. Loro penseranno che sono in ansia per il mio amato, io so che tutta la mia forza d’animo mi sta abbandonando all’idea del massacro che sarà il festino.
Non mi permetto di dormire, le ore corrono veloci, potrei non svegliarmi in tempo.
Mi intrufolo nel sacco a pelo e poi sotto il braccio di Peeta, pensando che tutta questa intimità farà impazzire gli spettatori di Capitol City. Mi prendo un minuto per guardare il ragazzo grazie al quale probabilmente sono ancora viva. Mi perdo nei suoi lineamenti e mi scopro a pensare a quelli di Gale.
Cosa ne dirà, Gale, di questa strana tattica di gioco? Mi direbbe che tutto è permesso, che è un piccolo prezzo da pagare per tornare a casa. E io devo tornare, l’ho promesso a Prim. Si sente in colpa, ne sono sicura. So che nel freddo del nostro letto allunga una mano verso il mio lato vuoto. A Ranuncolo lascio il compitodi consolarla. Sono sempre più contenta di non averlo affogato, quel gatto.
Caldo, fortunatamente il calore dentro al sacco a pelo mi tiene in forze. Domani dovrò lottare parecchio per prendere lo zaino con il numero 12. Mi sento quasi in colpa a beneficiare  del calore febbrile di Peeta, ma immagino che a lui non dispiacerà se per questa notte non patirò il freddo. Anche se la situazione tra di noi si sta complicando.
Non capisco molte cose: quanto profondi sono i sentimenti di Peeta per me e quanto io sono disposta a dare per lui? Tutti questi baci, tutte queste carezze, dove ci porteranno? Forse nell’arena abbiamo tutti bisogno, in qualche modo, di allearci, di sentirci protetti da qualcun altro.
Eppure non riesco a sentirmi al sicuro. Solo con una persona ho provato questa sensazione: mio padre. È pensando a lui che mi appisolo. È un dormiveglia in cui alterno momenti di incoscienza totale a bruschi risvegli che mi fanno temere di avere qualche problema alla vista, oltre che all’udito. Maledetti occhiali notturni!
È durante l’ultima volta che mi assopisco che lo vedo.
Mio padre, l’arco in mano e la freccia incoccata. Punta davanti a sé, come se si aspettasse di vedere da un momento all’altro un nemico spuntare fuori dal fitto della foresta. Mi parla, eppure non muove le labbra. Mi dice che non tutto è perduto, che devo essere forte per le donne che ho lasciato a casa perché probabilmente non mi sopravvivrebbero. Che devo essere scaltra e precisa, come quando tiro con l’arco. Mi dice che devo sapere quello che voglio per ottenerlo ed ora ho bisogno di quello zaino e del suo contenuto.
Eppure c’è qualcos’altro di cui avrei bisogno ora che la fine sta per arrivare. Ora che la sento avvicinarsi minacciosa.
- Ho bisogno di te, papà.
È vero. Sono stata forte per tutti questi anni, sono diventata l’uomo di casa, ma mi sento così piccola e insignificante. Così inutile mentre vedo Prim mandare giù saliva davanti alla vetrina del forno o quando d’inverno io e Gale non troviamo niente nelle trappole e le erbe sono bruciate dalla neve. Sento che non sono abbastanza forte per tutti, non lo sono mai stata.
- Papà…
Mi guardo dentro e so che se ci fosse stato mio padre tutto sarebbe stato migliore perché pur patendo la fame saremmo stati insieme. Che avrei ascoltato la sua voce mentre cantava invece delle lacrime soffocate di mia madre. Quello che lei non sa, o che non ha voluto sapere in tutti questi anni, è che le sue lacrime per tante notti sono state anche le mie. Che non riuscivo ad assopirmi e guardavo Prim dormire, domandandomi fino a quando sarei riuscita a tenerla in vita.
Ad un tratto si volta verso di me, abbassa l’arco e, dopo essersi guardato intorno, mi fissa per un’ultima volta. Appena un attimo, il tempo di un sorriso, o per meglio dire una smorfia da parte mia e mio padre chiude gli occhi. Prende un respiro e comincia a intonare una manciata di note e non posso fare a meno di sentire una stretta allo stomaco.
Chiudo gli occhi anche io per godermi meglio lasua voce. Quella voce inconfondibile che non risentirò mai più se non nei miei sogni. È la consapevolezza che la memoria di lui sta pian piano svanendo in me che mi uccide. Ogni volta che lo ricordo c’è un particolare in meno. È una foto che ingiallisce: i tratti diventano uniformi e i particolari si perdono.
Lo sto dimenticando ogni giorno un po’ di più.
Quando le parole finiscono mio padre rimane lì fermo. Immobile. Mi aspetto che il suo corpo venga sbalzato dallo scoppio che di solito mi fa svegliare in una pozza di sudore e invece si tramuta in un cervo. Bello e fiero.
Sono spaventata ed attratta da lui allo stesso tempo. Nei suoi occhi profondi come pozzi di petrolio leggo la mia anima. Ho paura. Paura di morire, paura di vivere.
- Katniss, non aver paura. - dice mio padre mentre il cervo non mi stacca gli occhi di dosso - Andrà tutto bene. Tornerai a casa.
Come posso credergli? Non andrà mai più bene. Troppi fantasmi albergano i miei sogni, troppi orrori mi fanno accapponare la pelle di notte. E poi io non tornerò a casa, forse non lo farà neanche Peeta.
- Un morto non racconta bugie - gli sento dire.
Mi scruta, muove le orecchie avanti e indietro velocemente. Poi si volta di nuovo attratto da rumori che io non posso sentire. Non riesco neanche ad avvicinarmi che il fumo prende il suo posto e, in breve, mio padre, il cervo e il senso di protezione si disperdono nell’aria.
Il freddo che mi viene da dentro mi fa aprire gli occhi. Nemmeno la febbre di Peeta mi può scaldare. Ma non è quello che mi riporta alla dura realtà. Peeta si agita, è sudato. L’infezione corre veloce nelle sue vene.
- Kat… Kat… - So che sta provando a chiamarmi e la cosa mi distrugge. Lui mi vorrebbe qui, ha paura che mi faccia uccidere. Ma io ce la devo fare, Peeta deve vivere e senza quella medicina morirà sicuramente. Peeta deve vivere. Io devo vivere.
- Shh, shh, andrà tutto bene. Torneremo a casa. - Ma Peeta biascica qualche parola che non capisco. Il suo sonno è agitato dalla febbre e dalla consapevolezza inconscia di essere stato tradito. Da me.
È per questo che inizio a cantare. Non per lo spettacolo, non per i miei sponsor, tanto domani potrei non beneficiare più dei loro regali.
 

 

Just close your eyes
The sun is going down
You’ll be alright
No-one can hurt you now
Come morning light
You and I will be safe and sound

 
Canto con gli occhi chiusi e l’immagine di quel cervo che si dissolve sotto le palpebre. Cantoper Peeta, per Prim e Gale a casa, per Rue che mi è stata amica.
Canto e so che l’alba è fin troppo vicina.
 
 
 
Ciao a tutti!
Era un po’ che non pubblicavo niente e mi sono detta “Perché non condividere questa one shot scritta per il sito The Hunger Games – official italian fan club?”. Ho amato scrivere questo missing moment, dentro ci sono tutti i miei sentimenti più forti e anche buona parte del mio rapporto con mio padre. La mia beta, Jakefan, mi ha consigliato di scavare a fondo nelle mie emozioni per lui per entrare in empatia con il personaggio di Katniss e questo è il risultato.
“L’alba è fin troppo vicina” non è incentrata sul rapporto tra Katniss e Peeta, c’è molto di più e spero che chi la leggerà verrà investito da tutto questo.
Aspetto di sapere cosa ne pensate, ok?
Baci
 
Pinzy

   
 
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