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Autore: Ari_92    24/03/2013    10 recensioni
L’ultimo anno di liceo è passato, e per molti è arrivato il momento di pensare al futuro.
Tutto è andato esattamente come sappiamo, se non per il fatto che Kurt non ha mai spiato i Warblers, e non ha mai conosciuto Blaine.
Rachel parte per New York e Kurt la segue: dopotutto non ha niente a trattenerlo a Lima.
Tra nuovi incontri e tentativi di lasciarsi il passato alle spalle, Kurt dovrà fare i conti con qualcuno che ha smesso di credere nell’amore, con chi ce l’ha sotto al naso ma non riesce a vederlo e con chi - forse - l’ha appena trovato.
Intanto, se Rachel prova a dimenticare Finn, di certo non dimentica il suo biglietto ferroviario per New Haven.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt, Quinn/Rachel
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 13
 

“Sono poche le ragioni per dire la verità, mentre quelle per mentire sono infinite.”
_Carlos R. Zafon

 
 
 
 
 
Blaine cercava di trattenere il fiato.
 
Ci provò più a lungo possibile, nella speranza di non sentirsi invadere le narici dall’odore di lenzuola vecchie e colonia da due soldi che in qualche modo si fondevano perfettamente, in una completa cornice di squallore. Tenne chiusi gli occhi. Ermeticamente chiusi.
 
Voleva coinvolgere meno sensi possibile in ciò che stava facendo. Voleva tenere se stesso lontano da quel letto, quelle coperte e quel ragazzo che – inevitabilmente – continuava a toccare come se volesse davvero farlo. Strinse più forte le palpebre, abbastanza da riuscire a vedere nel buio una lunga serie di pallini bianchi.
Si concentrò sulle mani sconosciute che scorrevano sul suo corpo, sulle labbra che cercavano inutilmente le sue e – rassegnate – finivano per cambiare destinazione.
 
E poi – proprio mentre Blaine iniziava a pensare che sarebbe finita senza intoppi – accadde.
 
Di nuovo.
 
«Kurt...»
Sperò che fosse solo nella sua testa. Di solito era sempre nella sua testa. Eppure, quella volta era quasi sicuro di aver sentito la sua stessa  voce risuonare nella stanza. Al di sopra dei gemiti nauseanti del ragazzo al suo fianco, e del suo starsene zitto e far finta che andasse tutto bene. Perché Kurt era al di sopra di tutto.
 
«Kurt?» Il tizio smise di fare quello che stava facendo. Blaine fu costretto ad aprire gli occhi.
«Chi è Kurt? Il tuo ragazzo?» Blaine scosse la testa.
«Perché è abbastanza deprimente fare sesso con qualcuno che ti chiama con il nome di un altro.»
«No, io non- »
«Credo che dovresti andartene.»
 
Blaine non voleva piangere. Quando le cose si facevano troppo dure non piangeva.
Si ripiegava su se stesso e sperimentava com’era morire mentre il cuore continua a batterti.
 
 

***

 
 
Erano le quattro passate quando Blaine si richiuse la porta di casa alle spalle.
La sua testa cercava disperatamente di tenere il passo con la confusa mole di pensieri di cui era piena fino all’orlo, senza particolare successo. Si sfilò la giacca e la lanciò da qualche parte vicino al divano, lasciando che le sue macchinazioni senza capo né coda continuassero a loro piacimento.
Pensò al giorno in cui aveva rischiato di perdere il lavoro: era la terza volta che pensava a Kurt mentre era con uno dei suoi ragazzi-fantasmi. Le prime due erano state classificate come coincidenze, la terza era stata affogata dalla peggiore ubriacatura della sua vita. Purtroppo, dopo più di una giornata di estraneazione dalla realtà, se ne ricordava ancora alla perfezione.
 
Pensò al ragazzo-fantasma di quella sera, e si sforzò di riportare alla mente il colore dei suoi capelli. Pensò che aveva sonno. Pensò a Kurt. Pensò agli occhi di Kurt, al sorriso di Kurt e ad ogni altra cosa che riguardava Kurt. Pensò che quello che provava per lui era la cosa più vicina all’amore che potesse esistere.
Poi pensò che doveva essere davvero stanco per pensare qualcosa del genere.
 
Blaine raggiunse la camera da letto che condivideva con Nick nel giro di pochi minuti, camminando nel buio in punta di piedi in modo da non svegliare il suo amico.
Tutto quello che gli serviva era una manciata di ore di sonno per schiarirsi le idee. È universalmente noto che le realizzazioni da cui si è colpiti di notte alla luce del giorno finiscono per mostrarsi per quello che sono: fantasie senza capo né coda.
Si sedette a colpo sicuro sulla sua parte di letto. Se non fosse stato per il fatto che quello sotto al suo sedere non era un lenzuolo appallottolato.
 
«AAH!!» Blaine scattò in piedi un decimo di secondo più tardi, evitando per un pelo di mettersi ad urlare a sua volta.
«Ma sei deficiente?! Ti sei seduto su una mia gamba!» Protestò animatamente una voce che – quello era poco ma sicuro – non apparteneva a Nick.
«...Jeff? Cosa cavolo ci fai al mio posto?- »
«Fidati: non vuoi saperlo.»
Però, Blaine voleva saperlo. Lo voleva davvero dato che essere sfrattato sul divano di un appartamento che era stato lui a volere in primo luogo non era esattamente il massimo della sua aspirazione, per quanto fosse contento che i suoi amici si fossero riavvicinati. Così accese la luce. E se ne pentì amaramente.
 
«No.»
«Sì.» Rispose prontamente un Jeff senza maglietta, grazie a Dio sotto le coperte dalla vita in giù, che lo fissava con un sorriso vittorioso e vagamente ebete sulla faccia. Di fianco a lui, c’era Nick. Sdraiato a pancia in giù e con la faccia schiacciata nel cuscino. Russava come un trattore ed era completamente nudo a parte un ridicolo bordo di lenzuolo piazzato sopra al suo fondoschiena come un centrino su un tavolo. Blaine si chiese perché diavolo stava pensando ai centrini mentre aveva appena beccato Jeff e Nick nel suo cavolo di letto.
 
«Voi... no.»
«Oh, noi .» Nick smise di russare, evidentemente infastidito dall’improvvisa luminosità della stanza. Aprì un occhio.
«Blaine, vai via.»
«Ma- Ma voi- »
«Già. Due volte.» Si vantò, ricevendo uno schiaffo sulla spalla da Jeff. Blaine impiegò qualche istante a formulare la sua successiva affermazione.
 
«Voi... Nel mio letto?! Che schifo!!»
«Ehi, sono le quattro di mattina- »
«Sì, sono le quattro di mattina e voi avete fatto sesso nel mio cavolo di letto!»
«Ne parliamo domani. Adesso tu vai sul divano.»
«Ma- »
«Divano. Oppure puoi metterti qui con noi. Su questo letto. Questo letto che non verrà cambiato fino a domani mattina.» Precisò allegramente Jeff, senza togliersi quel sorrisetto idiota dalla faccia.
 
Blaine accettò la sua sconfitta come totale e definitiva. Il giorno in cui aveva deciso di provare ad appianare le cose fra loro, aveva implicitamente firmato la sua condanna a morte. Di sicuro quella della sua schiena, condannata a soffrire sul divano letto da lì all’eternità.
Nick voltò pigramente il collo verso di lui.
«Sei ancora qui?» Blaine sbuffò rumorosamente e spense la luce, muovendosi a passo di marcia verso la porta. Non era un fan delle parolacce o delle imprecazioni in generale, ma a volte erano seriamente indispensabili.
 
«Andate a farvi fottere.»
«Già fatto.»
 
Oh, già.
 
 

***

 
 
Rachel si accoccolò sul divano, la testa appoggiata al bracciolo, una cioccolata calda in mano e gli occhi fissi sullo schermo del televisore, sul quale scorrevano le immagini delle ultime repliche di America’s Next Top Model.
Avrebbe passato il suo pomeriggio esattamente in quel modo, per quanto improduttivo potesse sembrare. Kurt era fuori con Blaine, i corsi della NYADA si avviavano velocemente verso la pausa Natalizia e lei, francamente, voleva solo concedersi una pausa.
 
Allungò tranquillamente le gambe sui cuscini; non fece nemmeno in tempo a considerare l’idea di andarsi a mettere qualcosa di più comodo che il campanello di casa stava già suonando.
Rachel sbuffò, ormai rassegnata all’idea che stare in pace tra quelle mura per più di venti minuti era evidentemente una richiesta troppo pretenziosa.
 
Aprì la porta con una certa svogliatezza e – non appena si rese conto di chi aveva di fronte – per poco non lasciò cadere a terra la tazza di cioccolata che ancora teneva in mano.
 
«Q-Quinn?»
Era bellissima. Qualunque altro aggettivo a cui avesse potuto ricorrere per descriverla sarebbe sembrato inadeguato di fronte ad una verità semplice e lampante come quella. Portava un vestito bianco, un paio di stivali pesanti e una spessa giacca marrone. Rachel la fissava con la bocca socchiusa, mentre la mente le si annebbiava al ritmo sconclusionato dei battiti del  suo cuore. Quinn abbozzò un sorriso.
 
«Ciao, Rachel.» Nessuna risposta.
«Posso entrare?» Rachel  annuì in fretta, facendosi velocemente da parte per lasciarla passare. Quinn entrò in casa senza guardarla negli occhi, fingendo di trovare estremamente interessanti i bottoni della sua giacca.
Rachel richiuse la porta dell’appartamento, e per un attimo le domande che avrebbe voluto farle superarono abbondantemente le capacità limitate del suo cervello, irrimediabilmente compromesso dalla sola presenza  dell’altra ragazza.
 
«Vuoi- Vuoi qualcosa da bere? Ho appena fatto della cioccolata.»
«Oh... Certo.»
Quinn non voleva sembrare a disagio. In realtà, aveva impiegato una vita ad imparare come fingere di essere sempre e comunque padrona della situazione, anche e soprattutto quando non sapeva dove sbattere la testa. Ed era proprio la capacità di non farsi mai cogliere in contropiede a separare nettamente i perdenti dai vincenti: aveva perso il conto delle volte in cui se l’era ripetuto in quegli anni.
Eppure in quel momento – nonostante tutta la sua buona volontà – Quinn non era in grado di comportarsi come era abituata a fare. Guardò Rachel avviarsi in cucina e si sedette cautamente sul divano, sistemandosi i capelli dietro le orecchie.
La ragazza riapparve pochi minuti più tardi con una tazza fumante, e Quinn sperò di sprofondare nel divano. Come aveva potuto essere così stupida da baciarla? Come, dopo tutti quegli anni passati a concentrare tutte le sue energie da un ragazzo all’altro, nel tentativo di essere sempre troppo occupata per fermarsi e provare sul serio a capire cosa le stesse succedendo, e perché diavolo non potesse fare altro che incentrare ogni cosa che faceva su Rachel Berry.
 
Così Quinn non la guardò negli occhi quando le porse la sua tazza di cioccolata. Continuò a fissarsi le punte delle scarpe, perché non riusciva a credere di aver davvero mollato tutto, aver preso il primo treno disponibile ed essersi catapultata a New York. Per Rachel. Era sempre stato tutto per Rachel. Lei si sedette cautamente al suo fianco – Quinn finse di non notare l’attenzione che impiegò nel non mettersi né troppo vicina né troppo lontana da lei.
«Allora... Tutto bene a Yale?» Annuì lentamente, prendendo una breve sorsata di cioccolata.
«Sì. Insomma, è impegnativo. Ma non è una novità.» Rachel inspirò a fondo e appoggiò la sua tazza ai piedi del divano.
 
«...Non hai intenzione di fingere che non sia successo, vero? Perché non hai idea di quante notti ho passato sveglia a scrivere delle liste di pro e contro su cosa avrei dovuto fare- »
«Rachel.»
«Ho praticamente rischiato di far morire di infarto Kurt- »
«L’hai detto a Kurt?!»
«Certo che gliel’ho detto! Non... Non è qualcosa che potevo affrontare da sola.»
Balbettò, evitando accuratamente il suo sguardo. Dirlo ad alta voce lo faceva sembrare estremamente stupido: Quinn aveva dovuto sentirsi confusa almeno quanto lei, eppure non aveva avuto bisogno del supporto morale di nessuno per trovare il coraggio di alzarsi e andare da lei per mettere in chiaro quella situazione.
 
«...Comunque non avrei dovuto baciarti senza il tuo permesso. Mi dispiace.»
«No. Non- non devi scusarti.» Quinn rise nervosamente.
«Rachel, non farlo.»
«Fare che cosa?»
«Fingere che vada bene così.» Rachel prese un respiro profondo, voltandosi alla fine a fronteggiare la ragazza al suo  fianco.
«D’accordo. Se è questo che vuoi te lo chiederò: perché mi hai baciata?»
 
«Perché non c’era più niente che me lo impedisse.»
Rispose prontamente Quinn, con la sicurezza di chi ha già avuto modo di farsi quella domanda parecchio tempo prima. Rachel socchiuse la bocca, sorpresa.
 
«...Che cosa significa?»
«Esattamente quello che ho detto, Rachel. Non sono più la capo cheerleader alla caccia del fidanzato più popolare per tenersi a galla, non ho più bisogno di dare significato alla mia vita sulla base di cosa pensano gli altri di me. Non sono più in cima a una piramide. Sono me stessa e basta- »
Rachel si alzò in piedi in una mossa fulminea, piazzandosi di fronte a lei con l’indice e il medio di entrambe le mani ben premuti sulle tempie e il suo immancabile atteggiamento teatrale che, arrivati a quel punto, difficilmente l’avrebbe mai abbandonata.
 
«Quinn, tu... avevi detto di avere trovato la vera te stessa anche quando ti sei unita alle Skanks, o quando hai ritrovato la fede dopo essere rimasta in sedia a rotelle per- Dio, per colpa mia. Però ti prego, mettiti nei miei panni. Come faccio a crederti?» Tentò disperatamente di nascondere l’incrinarsi inesorabile della sua voce. Perché se voleva davvero lasciarsi andare a quell’enorme punto di domanda che era il suo rapporto con Quinn Fabray, aveva bisogno di una certezza. Gliene bastava una sola, una sicura a cui potersi aggrappare in modo da non essere travolta da tutto il resto.
 
«Ehi...»
«Dimmi solo come faccio a crederti. Per favore.» Quinn strinse le labbra, ripulendosi dalle ultime tracce di cioccolato. Lasciò la tazza mezza vuota sul pavimento vicino a quella di Rachel e si mise in piedi, con entrambe le mani strette sulle spalle della ragazza che aveva di fronte.
 
«Rachel, so di aver passato buona parte del tempo a comportarmi come una bambina, okay? Lo capisco, e capisco anche che questo adesso ti spinga a non credermi. Però... Non hai mai- non hai mai sentito il bisogno di respingere le cose che ti spaventano?» Rachel annuì, confusa.
«Sì. Credo di sì, insomma, sono un’artista, non ci sono molte cose che mi fanno paura- »
«Io ho provato a respingere te. L’ho fatto per parecchio tempo, fin dal primo anno in realtà, quando lasciavo quei commenti poco carini ai tuoi video su My Space o facevo certi disegni nei bagni...»
«Già. Come dimenticare quei disegni.»
«Mi dispiace. È che avevo troppo da perdere a fare... quello che ho fatto l’altro giorno in stazione. E poi avevo già troppi problemi per conto mio.» Rachel annuì brevemente, tenendo lo sguardo basso.
 
«...Ma stiamo crescendo, il liceo è finito. So di non avere nessun diritto di chiederti una possibilità- »
«Stai dicendo che vuoi stare con me?»
«Sì.»
«Oh mio Dio- »
«Rachel, non ti sto promettendo che sarà tutto perfetto, okay? Ti sto promettendo che ho tutte le intenzioni di provarci. ...E se continuo a parlarti è perché credo che anche tu provi qualcosa per me.»
 
Ne seguì un lungo momento di silenzio.
Tra le manciate di secondi più disperatamente infinite che Quinn avesse mai sperimentato. Scandì mentalmente gli istanti che la separavano dalla risposta di Rachel, decisa a andarsene da quella casa allo scadere del suo personale countdown per non rendersi ulteriormente ridicola.
Stava già lasciando la presa sulle sue spalle quando Rachel la fermò.
 
«Va bene.» Quinn trasalì.
«Cos...»
«Io- Io ci ho pensato. A quello che hai significato per me in questi anni, e poi in questi ultimi mesi. Alle cose che abbiamo passato e al fatto che avrei- avrei davvero voluto fare in tempo a ricambiare quel bacio- »
«Avresti- »
«Lasciami finire.» Quinn sorrise. Già. Mai interrompere un monologo di Rachel Berry. Il fatto che da quel momento in avanti avrebbe dovuto ricordarsene più spesso non poteva fare a meno di farla sorridere.
«Mi sono chiesta se questo può significare che sono- insomma, che mi piacciono le ragazze. E non lo so, insomma, non credo. Poi ho smesso di pensarci e mi sono chiesta se provare a stare con te era quello che volevo e che in quel momento mi avrebbe resa felice. E la risposta è sì. ...Perché ridi?»
«Perché parli sempre troppo.» Rachel abbassò lo sguardo, e Quinn era abbastanza sicura che fosse arrossita. Si avvicinò a lei di un altro passo.
 
«E perché sono felice.»
Ammise con un piccolo sorriso, timidamente ricambiato dalla ragazza che aveva di fronte. Quinn le sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, facendosi abbastanza vicino da rendere ovvia la sua intenzione di baciarla, lasciandole tuttavia l’alternativa di voltarsi ed evitarlo.
 
Rachel si sporse quel poco che bastava a far sfiorare le loro labbra, appoggiandole timidamente le mani sui fianchi. Quinn lasciò che fosse lei a muoversi, a fare quello che si sentiva: ora che l’aveva davvero tra le sue braccia non aveva la minima intenzione di fare niente che potesse farla andare via. Era troppo importante; era troppo tempo che si impediva anche solo di immaginare uno scenario del genere per permettersi di mandare tutto all’aria.
La titubanza iniziale di Rachel perse a poco a poco consistenza, e Quinn non riusciva a credere che stesse succedendo sul serio. Non quando la sentì respirarle contro la bocca e stringere forte la stoffa del suo vestito.
 
«Oh. OH! Woah
 
Rachel si separò bruscamente da lei, ed entrambe si girarono in direzione della porta, verso uno sgomento Kurt, che le fissava letteralmente a bocca aperta.
«Kurt! Ciao- ehm,»
«Quinn, Rachel. Vi chiederei come si sono evolute le cose, ma a quanto mi sembra di capire- »
«Sì. Noi... sì.» Kurt annuì, celando a stento un sorrisetto.
 
«Okay. Buon per voi.» Quinn prese dolcemente la mano di Rachel, che gliela strinse a sua volta. Kurt appese la giacca su una delle sedie del tavolo da pranzo, per poi rivolgersi di nuovo alle ragazze.
 
«...Penso sia il caso di liberare il nostro sgabuzzino e comprare le lenzuola per l’altro letto.»
 
 

***

 
 
Mancavano poco più di due settimane all’inizio delle vacanze di Natale. Non che questo avesse cambiato minimamente l’intensità dei turni lavorativi al Pickle, né tantomeno le noiose sessioni domenicali di inventario, dove Kurt rimaneva bloccato con Blaine fin ben oltre l’orario di chiusura.
 
«Mi passi quelle bottiglie?»
Blaine annuì senza particolare entusiasmo, raggiungendo con passo lento il lato opposto del magazzino in penombra in cui erano rinchiusi. Kurt si trattenne a stento dall’alzare gli occhi al cielo. Rimanere segregati lì dentro la domenica sera non era già una gran bella prospettiva di per sé senza che ci si mettesse anche Blaine con il suo umore altalenante.
A dire il vero, erano già parecchi giorni che si comportava in quel modo, e Kurt iniziava seriamente ad irritarsi – oltre che essere preoccupato per lui, cosa che comunque non aveva la minima intenzione di ammettere. Blaine tornò con una confezione da sei di una bevanda energetica non meglio identificata, che Kurt infilò nel suo scomparto con le rimanenti.
 
«Okay, di queste ne ordinerei venti scatole. Anche se ancora mi sfugge come mai la gente si ostini a comprare questo schifo.» Blaine annuì, limitandosi a segnare le direttive dell’altro sul foglietto che aveva in tasca. Kurt inarcò le sopracciglia, incrociando le braccia al petto.
 
«Non essere troppo simpatico, mi raccomando.»
Non voleva essere così diretto, sul serio. Il problema era che altalenarsi ogni giorno tra le giostre emotive di Rachel e quelle di Blaine cominciava ad essere veramente stancante. Soprattutto per il fatto che – in qualche strano modo – l’umore del suo amico finiva per riflettersi anche sul suo, e non era esattamente piacevole.
 
«Mi dispiace.» Rispose con un filo di voce, continuando a fissare intensamente il foglietto che aveva in mano. Kurt sentì lo stomaco contorcersi dolorosamente per il tono triste che aveva usato.
 
«Blaine. Mi dici che succede?»
E sì, sapeva perfettamente che non gli piaceva parlare di se stesso, ma Kurt aveva bisogno di saperlo. Perché voleva aiutarlo, vederlo così lo faceva stare male e per il piccolo ma significativo dettaglio che – nonostante tutti i suoi sforzi per evitarlo – aveva finito per innamorarsi di lui.
Non era la cosa giusta; ma non aveva avuto scelta.
 
Blaine rimase immobile, in un silenzio che sfiorava l’inquietante. Fino a quando non venne interrotto.
 
«Blaine? Oh mio Dio- P...Perché stai piangendo?»
Oh, no. Non era a questo punto che voleva arrivare, affatto. Kurt non aveva la minima intenzione di farlo piangere- cosa diavolo aveva fatto per farlo piangere? Fece un passo avanti, a disagio. Qualcuno avrebbe dovuto scrivere una specie di manuale con le norme di comportamento da adottare in casi come quello. Gli appoggiò sperimentalmente una mano sulla spalla, allontanandola non appena Blaine fece un passo indietro.
 
«Ehi? Va tutto bene- »
«No- No, Kurt! Non va bene per niente!» Sbottò, a voce abbastanza alta da far risuonare tutto il piccolo magazzino in cui si trovavano. Kurt iniziava seriamente a spaventarsi.
«Parlami, allora. Dimmi cosa c’è che non va.» Blaine scosse la testa, sollevando finalmente lo sguardo verso di lui.
 
Vederlo così gli spezzò il cuore.
 
«Non- Non posso dirtelo.»
«Sì che puoi. Puoi dirmi tutto, ricordi? È a questo che servono gli amici.» Blaine si lasciò andare a una risata triste, sotto lo sguardo confuso dell’altro.
«È questo il punto. Non posso dirtelo perché io- io non so cosa mi sta succedendo.»
 
Kurt cercò il suo sguardo, senza riuscire a catturarlo per più di qualche istante. Non aveva idea di che cosa stesse parlando; in realtà, avrebbe solo voluto abbracciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, perché c’era lui al suo fianco. Però non poteva prometterglielo, e soprattutto lui non era al suo fianco. Non nel modo in cui avrebbe voluto. Così si limitò a parlare.
 
«Se non sai cosa ti sta succedendo non significa che non dovresti provare a dirmelo. Parlarne con qualcun altro di solito aiuta a schiarirsi le idee. Come con Quinn e Rachel- »
«È colpa tua.» Kurt rimase completamente spiazzato.
«...Che cosa?!»
 
«No, non in senso letterale, ma- non capisco. Non capisco cosa diavolo mi hai fatto, perché da quando ti conosco è diventato così difficile... » Continuare con la vita di prima. Andare a letto con qualcuno senza immaginare che sia tu. Non dirti che sei il ragazzo più bello che abbia mai visto nonostante lo pensi continuamente.
 
Tuttavia, Blaine non disse nessuna di quelle cose.
Non poteva farlo, non davanti agli occhi brillanti che lo fissavano nella penombra della stanza con qualcosa di simile all’aspettativa. Kurt era bellissimo, era tutto ciò a cui riusciva a pensare e stava facendo crollare miseramente ogni sua singola certezza. Ed era lì. In uno sgabuzzino minuscolo e poco illuminato, con quel suo corpo perfetto e quelle labbra socchiuse, mentre lo guardava.
 
Così, nonostante ogni briciola rimanente del suo buon senso gli urlasse contro le più improbabili ingiurie, si ritrovò a fare l’ultima cosa che avrebbe dovuto al mondo.
Ma di tutto questo – qualche istante più tardi, quando stava già baciando Kurt – non gli importava più niente.
 
Non paragonato a quelle labbra morbide e calde premute sulle sue – esattamente come le aveva sempre immaginate, solo mille volte meglio – o alle sue braccia, che si erano avvolte all’istante dietro al suo collo. Kurt lo strinse forte contro di sé, e Blaine non poté fare niente per impedirsi di chiudere le dita a pugno intorno alla stoffa spessa della sua giacca, avvicinandoselo abbastanza da sentire tutto il proprio corpo premere contro il suo.
Ed era troppo. Troppo vicino, troppo bollente e troppo perfetto per essere sopportato.
 
Blaine fece scorrere una mano lungo la sua schiena fino a raggiungerne la base e applicare la pressione necessaria a far scontare i loro fianchi. Kurt barcollò appena, respirando rumorosamente contro la sua bocca e insinuando istintivamente una gamba tra le sue, in una mossa avventata che fece perdere l’equilibrio ad entrambi.
Si schiantarono senza particolare delicatezza su qualche confezione di bottiglie di plastica, che Kurt cacciò via a suon di gomitate, senza smettere di tenerlo stretto e mordicchiargli le labbra.
 
Blaine non era ben certo di come fossero arrivati a quel punto, con lui a cavalcioni di Kurt, aggrappati disperatamente l’uno all’altro sul pavimento di un magazzino.
Eppure, i sospiri tranquilli del ragazzo sotto di lui erano reali, così come le sue unghie conficcate nella schiena e le ginocchia strette attorno ai suoi fianchi.
 
Ed era perfetto, era tutto completamente e totalmente perfetto-
«Oh- Blaine...» Fino a quando smise di esserlo.
 
E fu più o meno nel momento in cui la voce di Kurt raggiunse per la prima volta le sue orecchie che si accorse davvero di quello che stava facendo. E di quanto fosse sbagliato, e folle, e di che persona orribile lui fosse. Come- Come poteva averlo fatto sul serio? Come poteva fare questo a lui?
 
Blaine spalancò gli occhi e si liberò dalla presa di Kurt, scattando in piedi tanto in fretta da farsi girare la testa.
Lo sguardo confuso e spaventato che ricevette fu una delle cose più insopportabili di tutta la sua vita.
 
«C-Cosa c’è? Ho fatto qualcosa di sbagliato- »
«Mi dispiace. Scusami, mi- mi dispiace tanto.»
 
E con quelle parole, semplicemente, gli voltò le spalle e uscì dal magazzino.
Quando Kurt si sollevò sui gomiti per provare ad urlargli di non andarsene, la porta si era già chiusa.
 
E lui stava già piangendo.
 
 

***

 
 
 
 
 
 

 
 
Eccoci qua ^_^
Well... Che dire? Un capitolo piuttosto intenso u.u *schiva allegramente i pomodori che le stanno lanciando*.
Sì, lo so: non è un gran bel finale per quanto riguarda i Klaine... Ma quando mai ho mai scritto bei finali :’)? Non vi anticipo niente per quanto riguarda il prossimo capitolo, mi limito a lasciare i Klainers nella sofferenza e nel dolore (non è vero, dai, non ho un cappello giallo, di me potete fidarmi) e mandare tanto love agli shipper Niff & Faberry u.u
Detto questo, al solito ringrazio chi ha aggiunto questa storia a seguite/preferite/ricordate, e soprattutto a chi recensisce: siete l’amore :’) <3 <3
Ne approfitto anche per dirvi che secondo i miei calcoli questa storia dovrebbe avere un totale di 20 capitoli ;)
Una menzione speciale per la mia beta nonché lover nonché wife nonché preziosa compagna di scleri e idee per fanfiction, senza la quale sarei sperduta come un Blaine in un negozio di papillon.
A presto guys, ve amo <3 <3
 
Pagina facebook, per scleri e nosensate varie: https://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
Ask: http://ask.fm/Nonzy9

  
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