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Autore: MedusaNoir    25/03/2013    7 recensioni
Gellert era stato stregato dalla maledizione dei Silente, non poteva fare a meno di entrare in quella casa almeno una volta al giorno, di parlare con Albus dei Doni, di osservare Ariana e il suo timido sorriso, perfino di rivolgere un’occhiata di scherno ad Aberforth. “Per quanto tieni a loro due, preferiranno sempre me. Sempre,” sembravano dire i suoi occhi azzurri.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aberforth Silente, Albus Silente, Ariana Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Il Labirinto

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Era una bella ragazza.

Gellert lo pensava mentre osservava la giovane sorella del suo nuovo amico strappare ciuffi d’erba nel piccolo giardino dietro la casa dei Silente, ignara che quelli che stava cogliendo non fossero soltanto fiori; forse invece ne era conscia, ma non voleva fare distinzioni. Non lei.

A soli quattordici anni Ariana era bellissima, con i lunghi capelli biondi che le ricadevano sulle spalle e gli occhi chiari che vedevano oltre, lontano dal mondo; tuttavia era il suo sorriso a far tremare le gambe di Gellert, a fargli aumentare la salivazione e a spingerlo a sudare più di quello che il pomeriggio estivo richiedeva.

- Ecco a te.

La voce di Albus lo riportò a ciò che stava accadendo nella stanza, mentre fuori, sotto il sole che tramontava, il fratello stupido faceva cenno ad Ariana di rientrare. Senza staccare la schiena dalla parete, Gellert afferrò la scura tazza di tè che il maggiore dei Silente – ormai il capofamiglia – gli stava porgendo.

- Grazie -. Si ricordò di sorridergli gentilmente, di rivolgergli lo sguardo che aveva scoperto destabilizzare quel ragazzo sicuro di sé che era Albus Silente.

Era solo un mese che si conoscevano, ma Gellert lo aveva subito inquadrato: intelligente, ambizioso, in attesa di qualcosa che cambiasse la monotona estate che gli si sarebbe altrimenti prospettata davanti. Albus era la persona giusta per raggiungere lo scopo che Gellert si era prefissato e non gli interessava quante carte false avrebbe dovuto fare per averlo nella missione. Quel giovane diciottenne dai capelli rossi si era forse preso una cotta per lui? Bene, Gellert non avrebbe cercato di dissuaderlo dai suoi sentimenti, non lo avrebbe scacciato, bensì avrebbe sorriso ammiccante tutte le volte che Albus lo avesse guardato negli occhi, avrebbe cercato le sue mani mentre soli seduti sul letto organizzavano la ricerca dei Doni della Morte e, chissà, avrebbe perfino potuto concedergli un bacio. O qualcosa di più.

Voleva solo che Albus lo aiutasse.

- Ah -. Una voce diversa da quella dell’amico interruppe i suoi pensieri. Gellert spostò lo sguardo verso la porta sul retro, da cui era appena entrato Aberforth, che portava sul volto un’espressione truce. – Non sapevo fossi ancora qui.

- Non voglio essere di troppo, - si finse cordialmente dispiaciuto Gellert in inglese perfetto nonostante il forte accento tedesco, - vorrà dire che andrò, ci vedremo dom...

- No, - sentenziò Albus, - sei mio ospite, rimani.

Aberforth non replicò sotto lo sguardo deciso del fratello – non doveva proprio andargli a genio quel mago tedesco. Si mosse verso la cucina mentre Ariana faceva la sua apparizione dal giardino.

Gellert represse un sospiro, osservando la ragazza di appena quattordici anni scivolare nella stanza, aggraziata, con quegli occhi azzurri che lo guardavano e non lo vedevano. – Ciao, Ariana, - si ritrovò a mormorare gentile.

Ariana gli rispose con un sorriso, si avvicinò e aspettò che Gellert piegasse le ginocchia per potergli accarezzare una guancia in segno di saluto; Aberforth, dalla soglia della cucina, sbuffò infastidito.

- Le sei simpatico, - osservò Albus, non immaginando neppure lontanamente i pensieri che affollavano la testa del suo amato.

Non devo, non devo, si ripeteva Gellert mentre l’immagine delle proprie labbra che baciavano quelle screpolate di Ariana spiccava nella sua mente. Non sono qui per lei, devo dimenticarla.

Ma incontrarla ogni mattina nei corridoi di casa Silente non lo aiutava affatto.

 

~

 

- Cos’è successo a tua sorella?

Albus distolse lo sguardo da Le Fiabe di Beda il Bardo e scrutò Gellert attraverso le spesse lenti degli occhiali a mezzaluna; sembrò combattere interiormente tra il desiderio di rispondere a qualunque domanda gli fosse posta dall’amico e la promessa, fatta forse a se stesso, di non raccontare mai ciò che accadde nove anni prima.

- Preferisco non parlarne, - decise infine.

- Con me il segreto è al sicuro, - lo rassicurò Gellert, passando le punta delle dita sulla guancia destra dell’amico: sperava che quel gesto avrebbe avuto su Albus lo stesso effetto che la carezza di Ariana aveva avuto su di lui. Come si era aspettato, il suo interlocutore deglutì, chiaramente confuso dalle incomprensibili emozioni che da un po’ di tempo avevano cominciato a impossessarsi del suo corpo, ma non scostò la mano di Gellert.

- Nove anni fa, - esordì, serrando le palpebre nel tentativo di non rivedere di fronte a sé le immagini di quella tragica sera, - Ariana scomparve. Stava giocando con Abe, ma fu attratta da qualcosa, una farfalla o un gatto, non ne ho idea… La udimmo urlare mentre la cercavamo. Mio padre la raggiunse per primo e quando si rese conto di… Beh, come vedi ora lui non è qui.

- Mia zia mi ha detto che è morto ad Azkaban, - sussurrò Gellert, evitando ad Albus di pronunciare quella frase.

Il suo amico annuì. – Arrivai qualche secondo dopo, quando ormai mio padre era chino sul corpo di Ariana: lei non riuscì a dirci molto, se non che stava solo giocando con un fiore, che lo aveva fatto volare… E che i figli dei nostri vicini di casa l’avevano vista.

- In che condizioni era?

- Le avevano lanciato dei sassi -. Albus si tolse gli occhiali e si sfregò gli occhi chiusi. – Aveva ferite dappertutto, l’avevano perfino colpita alla tempia. Oggi forse comprendo la paura di quei ragazzi, ma al tempo né io né mio padre fummo in grado di ragionare senza farci influenzare dal sangue che sgorgava dalla pelle di Ariana; fui sorpreso quando lo vennero a prendere, mi sembrava che lui avesse solo fatto la cosa giusta.

La rabbia montava nel petto di Gellert: com’era possibile lapidare una bambina di cinque anni? Cosa poteva esserci di pericoloso nel far volare un fiore? E oltretutto quella povera innocente era Ariana… Come avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e torturare quei ragazzini fino alla loro morte!

- Ariana rimase incosciente per alcuni giorni, - continuò Albus, senza accorgersi del furore che si era impadronito di Gellert. – Quando infine si risvegliò, non era più la stessa: non parlava, fissava il muro spenta, come se non le importasse più di niente. Era una bambina… Abe si sentiva in colpa per averla persa di vista quel fatidico pomeriggio e così ha iniziato a passare con lei ogni momento, cercando di farla ridere e parlare ancora; ci riuscì, ma Ariana non tornò mai più la stessa. Ogni tanto ancora adesso ha delle crisi, comincia a strillare e fa anche degli incantesimi senza utilizzare la bacchetta, come se la magia che ha dentro debba essere sfogata in qualche modo. L’ultima volta che ha avuto uno di questi attacchi… è stato qualche settimana fa.

Gellert sapeva cosa voleva dire: durante l’ultima crisi Ariana aveva accidentalmente ucciso sua madre Kendra. Era così bella, così apparentemente indifesa, eppure un solo attacco di rabbia era capace di renderla un’altra persona. Pericolosa.

- Come puoi immaginare, non abbiamo mai voluto portarla al San Mungo, temevamo che l’avrebbero trattenuta lì, che sarebbe stata ricoverata a vita.

Gellert gli prese le mani. – È per questo che stiamo cercando i Doni, - gli ricordò, - perché i maghi non debbano temere che lasciando soli i propri figli loro rischino la vita; siamo dei reietti agli occhi dei Babbani, Albus.

- La ricerca dei Doni… Come faremo quando Abe tornerà a Hogwarts? Ariana non può restare sola…

- La prima cosa che troveremo sarà il Mantello dell’Invisibilità: potremo portarla sempre con noi, nessuno la vedrà e lei potrà finalmente uscire di qui e viaggiare -. Spostò di nuovo il palmo della mano sul volto di Albus. – Per il Bene Superiore, ricordi?

- Per il Bene Superiore, - ripeté Albus, prima che le labbra di Gellert bagnassero le sue. Dopo qualche istante di sorpresa, lasciò che la lingua lo cercasse, che esplorasse la sua bocca e lo facesse fremere, senza neanche immaginare che non era lui quello che Gellert in quel momento stava baciando.

E per la prima volta Gellert pensò che non era solo il potere il motivo per cui avrebbe trovato i Doni della Morte a tutti i costi.

 

~

 

Gellert stava leggendo comodamente sdraiato sul letto di Albus quando sopraggiunse l’onda che lo travolse completamente.

Lui e Albus si erano Smaterializzati per riapparire fuori dalla casa dei fratelli Silente, lontano dal carcere che stavano diventando quelle mura; erano riapparsi centinaia di chilometri più in là, seguendo le tracce dell’ultimo possessore conosciuto del Mantello dell’Invisibilità. Era facile sbagliarsi, non esisteva una sola copia di quel Dono, tuttavia loro due non si sarebbero accontentati di un mantello che avrebbe perso i proprio poteri dopo diversi anni: desideravano l’originale e lo avrebbero avuto.

Al ritorno Gellert era passato a casa per farsi una doccia, in modo da togliersi di dosso il fango e lo sporco che avevano trovato nel luogo sperduto in cui erano finiti – dove un tempo esisteva una casa, al momento disabitata, avevano scoperto con grande disappunto – mentre Albus si era fatto vedere dai suoi fratelli per non essere accusato da Aberforth di non avere alcun interesse verso di loro; nonostante Gellert lo disprezzasse, non poteva negare che Aberforth ci vedesse piuttosto bene: probabilmente quell’idiota non si era ancora accorto del legame che si era instaurato tra i due vicini di casa, non più d’amicizia, ma di certo aveva notato le continue sparizioni della coppia e questo non gli andava proprio a genio.

Quando Gellert si era arrampicato fino alla finestra di Albus – avrebbe potuto Smaterializzarsi, ma adorava lo sguardo che Albus gli rivolgeva quando appariva dai rami di fronte alla sua camera – era stato il suo turno di fare la doccia, così il visitatore aveva preso possesso del letto di Albus e aveva deciso di aspettarlo leggendo il primo libro che gli era capitato sottomano. Mentre era immerso nella lettura, però, il cigolio della porta attirò la sua attenzione.

Ariana.

Il suo cuore batté violentemente nel petto, cercando di sovrastare la ragione; Gellert osservò la ragazza avvicinarsi timidamente a lui, il consueto sorriso innocente stampato sul volto pallido, e sedersi sul letto.

- Ciao, Ariana, - la salutò con gentilezza. Ariana sorrise di rimando e indicò il libro con un cenno del capo. – È un libro di pozioni, niente di interessante…

Ariana puntò un dito verso il volume, poi lo spostò a Le Fiabe di Beda il Bardo e infine lo riportò su di sé.

- Vuoi che ti legga una fiaba?

Scosse la testa, indicandosi di nuovo.

- Sai leggere?

Annuì, evidentemente lieta di essere stata capita.

Gellert afferrò il libro e glielo porse, rendendo il sorriso della ragazza ancora più radioso; Ariana cercò Lo Stregone dal Cuore Peloso e cominciò a scorrere lo sguardo sulle prime righe. Gellert la osservò, rapito dal suo viso così bello, così perfetto, e si chiese per l’ennesima volta come quei ragazzini avessero potuto farle del male. Senza nemmeno rendersene conto, la sua mano aveva trovato quella di Ariana che non era intenta a reggere il libro; lei si voltò e lo guardò, arrossendo lievemente.

- Io ti piaccio, Ariana?

Ma cosa sto dicendo?

Ariana annuì di nuovo.

- Ma ti piaccio come Al e Abe?
Dischiuse leggermente le labbra. – No, - rispose con un fil di voce.

Gellert si stupì di quella reazione: non l’aveva mai sentita parlare, era certo che lo facesse esclusivamente quando era sola con Aberforth. Quella voce… Si innamorò ancora più profondamente di lei senza comprenderne il motivo, come non capì perché la sua testa si chinò verso il volto di Ariana, perché le labbra sfiorarono la sua fronte e perché scesero sugli occhi, lungo il naso, fino alla bocca; Ariana rimase lì, immobile, le labbra dischiuse e le palpebre abbassate. Quel bacio rese Gellert ancora più folle, voleva stringerla, voleva accarezzare la pelle celata dai vestiti, voleva baciarle i seni come aveva fatto più volte con il petto di Albus, la voleva sua.

Si riscosse appena in tempo da ricordarsi che Albus era vicino, che sarebbe potuto entrare nella stanza in qualsiasi momento; non voleva che li trovasse insieme, li avrebbe divisi, avrebbe impedito a Gellert di avvicinarsi ancora alla sorella. Deglutì e si scostò da Ariana, che lo stava fissando con l’espressione più felice che Gellert le avesse mai visto sul volto.

- Non dirlo a nessuno, d’accordo? Sarà il nostro segreto -. Non riuscì a trattenersi dall’aggiungere: - Tutte le volte che vorrai.

Ariana sorrise radiosa e corse fuori dalla stanza, il vestito azzurro ondeggiante e un leggero profumo di fiori rimasto nell’aria.

 

~

 

Chi era l’amante tra i due?

Ariana, a cui rubava rapidi baci e carezze sempre più intense nei rari momenti in cui restavano soli?

O Albus, che gli cingeva la vita e le cui labbra cercavano Gellert con passione, ormai dimentico dell’imbarazzo iniziale?

Nessuno sapeva dell’altro e Gellert ringraziava il cielo che fosse così: se solo Albus avesse scoperto che stava insidiando la sua sorellina pazza… Aberforth aveva evidentemente intuito in che modo si era evoluto il legame tra lui e Albus, ma Gellert dubitava che ne fosse andato a parlare con Ariana. Perché avrebbe dovuto farlo?

Ariana… Il tempo che passava con lei era breve, sempre troppo breve per il dolce tormento che stava lacerando il petto di Gellert: doveva limitarsi ad osservarla da lontano per tutta la giornata, mentre avrebbe voluto insinuare le mani sotto la sua veste, solleticarle i piccoli seni, sentire la pelle tra le gambe bagnarsi.

Quante volte l’aveva immaginata così? Tutte le notti prima di andare a dormire, quando sotto le coperte cercava di soddisfare i desideri che teneva celati durante il giorno, gemendo al pensiero di Ariana finalmente nuda sotto il suo corpo, splendida, disarmante.

Sua zia Bathilda, una sera a cena, tra portate di arrosto e patate, gli aveva confessato che, per quanto lei avesse a cuore i Silente, sembrava quasi che fossero una calamita per le disgrazie, per se stessi e per i pochi che entravano nella loro orbita; forse glielo aveva detto nel tentativo di metterlo in guardia, ma era ormai troppo tardi: Gellert era stato stregato dalla maledizione dei Silente, non poteva fare a meno di entrare in quella casa almeno una volta al giorno, di parlare con Albus dei Doni, di osservare Ariana e il suo timido sorriso, perfino di rivolgere un’occhiata di scherno ad Aberforth. “Per quanto tenga a loro due, preferiranno sempre me. Sempre” sembravano dire i suoi occhi azzurri.

Gellert era in trappola, non poteva – né voleva – fuggire. Come avrebbe potuto restare senza la sua Ariana, come? Dannazione, quell’insensato amore lo stava allontanando dal suo obiettivo! Doveva avvicinarsi al famoso Albus Silente, il ragazzo dotato di un’intelligenza straordinaria per la sua età secondo le parole di sua zia, la persona che a soli diciotto anni era già apparsa tre volte sulla Gazzetta del Profeta; come aveva potuto finire per innamorarsi di sua sorella, la stramba, l’omicida della propria madre? Era inutile: pur cercando di vedere Ariana con gli occhi degli altri, di quelli che se solo l’avessero conosciuta l’avrebbero giudicata fuori di testa e un pericolo per chi le era intorno, Gellert non riusciva a staccarsi dal suo volto. Dal suo sorriso. Da quelle splendide mani che l’avevano accarezzato un giorno di giugno.

 

~

 

- Salgo a prendere il libro che ho lasciato in camera.

Gellert mise una mano sulla spalla di Albus, impedendogli di alzarsi. – Lascia stare, vado io, - si offrì, regalandogli il consueto sorriso innamorato: sapeva che, al suo ritorno, avrebbe potuto perfino chiedergli di attaccare il Ministero della Magia con le sue uniche forze, tanto sarebbe stato il desiderio con cui Albus avrebbe guardato quelle labbra in attesa di un bacio.

Certe volte, si disse mentre saliva la scale della casa dei Silente, la sua mente si prendeva ampiamente gioco del grande Albus, sottovalutando il mago ingegnoso ed esperto che si celava dietro quegli spessi occhiali a mezzaluna.

Entrò nella stanza, ravvivandosi i folti capelli biondi con una mano, e sorprese Ariana china sulla scrivania del fratello; sorrise di nuovo, questa volta pregustando già il bacio che avrebbe dato alla ragazza, le dita che forse, finalmente, avrebbero cercato la pelle sotto il vestito, qualche secondo di travolgente amore in più rispetto al solito. Chiudendo attentamente la porta, si avvicinò a lei senza fare rumore, cingendole infine la vita e posando le labbra sul suo collo nudo; Ariana, tuttavia, sussultò e lo allontanò, il respiro affannato.

- Cosa succede? – le chiese Gellert, stupito. Con la coda dell’occhio notò un foglio sulla scrivania di Albus, un foglio macchiato di caffè su un angolo e spaventosamente simile a quello che aveva utilizzato per scrivere la lettera della notte precedente al suo amante

 

Mio caro Albus,

non disperare: sarebbe da sciocchi credere che avremmo trovato qualcosa al primo tentativo. Dobbiamo provare e riprovare, alla fine otterremo ciò che stiamo cercando.

 

Ricordava tutte la parole, ricordava come avesse scrutato il cielo stellato oltre la finestra e la casa dei Silente che si stagliava contro il firmamento; ricordava come spiando la finestra della camera di Ariana e Aberforth avesse sospirato come un ragazzino, lasciando poi scorrere tutti i pensieri per la giovane nella lettera per Albus.

 

Una notte intera senza te è il tormento. Non mi sono mai considerato molto romantico, ma onestamente non credo nemmeno di essermi mai innamorato prima d’ora.
Vorrei passare ogni momento con te, stringerti e ascoltarti respirare, restituirti i baci come ho sempre fatto; se fossi qui, manderei al diavolo tutte le nostre cautele e ti abbraccerei davanti a mia zia, davanti ai tuo fratelli, davanti al mondo intero. Davanti a tutti rinnoverei il mio amore per te, Albus.

 

- No… - Gellert era immobile, incredulo di come fosse stato avventato: Ariana poteva entrare in quella stanza quando voleva, quella stanza che era stato il nido del loro amore clandestino, e Albus non avrebbe certamente buttato una lettera simile. Tentò di posare una mano sulla spalla di Ariana, cercò le parole migliori per tranquillizzarla, per spiegare l’equivoco.

Ma quale equivoco?

- Ariana, ti prego, ascoltami

 

Saremo liberi di essere ciò che siamo, finalmente.

A domani,

tuo Gellert

 

Ariana scacciò la sua mano, la mascella serrata e le lacrime che le rigavano le guance. Gellert si ritrovò a desiderare che il suo volto fosse contratto dalla furia, pur di non vederla in quello stato: Ariana sbatteva le palpebre e lo osservava improvvisamente confusa, come se non ricordasse il motivo per cui lo stava detestando tanto. Gli occhi erano lontani, ancora una volta.

Uscì dalla stanza segna degnarlo di un ultimo sguardo, distante.

 

~

 

Gellert Grindelwald aspettava, il busto teso e le mani intrecciate dietro la schiena; i capelli biondi di un tempo erano ormai grigi, ma i suoi occhi azzurri continuavano a brillare. Davanti a lui un’ampia finestra gli mostrava la processione cupa dei prigionieri che attraversavano il cortile di Nurmengard, intorno a lui il pavimento nero e l’arredo austero e minaccioso della stanza gli ricordavano la sua fama di potere.

Un ghigno gli attraversò il volto al pensiero di quello che era diventato il suo regno di terrore: in Germania c’era un uomo che lo aveva eguagliato – perfino superato – fino a qualche mese prima, senza nemmeno dover ricorrere alla magia, ma ora era lui l’unico a detenere un regime dittatoriale. Aveva sacrificato molto per arrivare fino a quel punto, per scalare la vetta fino in cima. Ne era valsa la pena.

- Mein Herr, – richiamò la sua attenzione il soldato giunto alle sue spalle, battendo forte, uno e poi l’altro, i piedi sul pavimento di pietra nera. – È arrivato, - gli comunicò in tedesco.

Gellert sollevò il capo, osservando la pioggia cadere sulle teste rasate dei prigionieri.

È giunto il momento, dopo tanti anni.

- Proseguite con gli ordini: lasciatelo passare.

- È certo di non volere la nostra presenza, mein Herr?

Gellert estrasse dal mantello color porpora una lunga bacchetta e se la rigirò attentamente fra le dita. – No, me ne occuperò da solo. Ho atteso questo momento per anni.

- Come vuole, mein Herr -. Il soldato sbatté di nuovo i piedi, fece un rigido inchino e si congedò.

Gellert rimase solo, riflettendo qualche secondo prima di seguirlo fuori dalla stanza in penombra. Da quanto tempo non lo vedeva? Mezzo secolo? Un ghigno beffardo gli attraversò il volto: cinquantuno anni, era inutile fingere di non ricordare; Gellert aveva tenuto il conto giorno per giorno, inizialmente sollevato dal tempo che passava, in seguito ansioso di rivedere quello che per un’estate era stato il suo amante. Albus Silente aveva esitato per cinquantuno anni, si era tirato indietro perfino quando Gellert aveva preso il potere con la forza e aveva minacciato la sicurezza di entrambi i mondi, magico e babbano: preferiva rimandare lo scontro almeno quando Gellert lo desiderava. Qualcuno avrebbe potuto accusarlo di essere un pavido, perché non aveva osato allontanarsi da Nurmengard per sconfiggere Albus Silente prima che lui lo attaccasse di sorpresa, ma il Mago Oscuro Gellert Grindelwald sapeva che quello non era lo stile del suo nemico; inoltre desiderava essere lui, per una volta, ad accoglierlo nella sua dimora.

Quella fortezza, quel carcere che ancora trasudava il delicato profumo di Ariana Silente.

Forse si trattava dell’arrivo del fratello, però a Gellert sembrava che l’odore si fosse fatto più intenso nonostante il sangue e la putrefazione che lo circondavano. Non ebbe bisogno di gettare un rapido sguardo al calendario per sapere che giorno fosse: ventisette agosto 1945, il cinquantunesimo anniversario della morte di Ariana.

Cosa sarebbe accaduto se, quel fatidico pomeriggio, una Maledizione Senza Perdono non avesse colpito la ragazzina? Ora avrebbe avuto sessantacinque anni e avrebbe regnato al suo fianco, splendida e raggiante come una regina che non doveva celare la propria esistenza? Oppure le mire di un disperato Gellert si sarebbero spostate dalla Bacchetta di Sambuco al Mantello dell’Invisibilità e, mentre nella Germania cessava di dilagare il nazismo, i due non più giovani sposi avrebbero vissuto in un’isolata casetta di montagna, uscendo ogni giorno per fare una passeggiata protetti dal mantello?

Gellert attraversava i possenti corridoi della sua fortezza e nel frattempo si rispondeva che la vita o la morte di Ariana non avrebbero cambiato il corso degli eventi: a farlo sarebbe stata quella lettera. Ariana non lo avrebbe mai seguito, non per rancore, ma perché non ricordava nemmeno chi fosse Gellert prima di quel giorno: quando un amore è perduto se ne perde perfin la memoria, lui lo aveva imparato a spesa di entrambi.

Albus non capiva cosa fosse successo di tanto drastico perché sua sorella avesse dimenticato l’esistenza di Gellert, non comprendeva nemmeno perché dopo averglielo presentato di nuovo Ariana non lo avesse più trovato simpatico; fuggiva in sua presenza, lo osservava spaventata.

Forse, però, in fondo avrebbe potuto farla innamorare ancora, donandole la libertà e infine il mondo intero. Forse, se solo non fosse morta.

Mentre oltrepassava il portone spalancato che dava sull’entrata di Nurmengard, laddove lo attendeva Albus, Gellert era consapevole del motivo per cui lui non fosse venuto a cercarlo prima. Non era paura di non essere abbastanza forte, non era nemmeno nostalgia di un amore perduto – e probabilmente dimenticato, come aveva fatto Ariana con lui.

Albus aveva esitato cinquantuno anni perché non sapeva chi avesse ucciso la piccola Ariana: erano stati in due quel pomeriggio a scagliare una Maledizione Senza Perdono, uno per attaccare Aberforth e l’altro, preso alla sprovvista, per difendere il fratello.

Gellert scostava il mantello ondeggiante dietro le spalle, pronto a rivelargli la verità.


“Quando un amore è perduto se ne perde perfin la memoria” è una citazione di Pedro Calderón de la Barca.

Secondo la cronologia presente su Wikipedia, Ariana è morta poco prima di settembre, per cui ho scelto una data a caso tra gli ultimi giorni di agosto.

Il titolo è un riferimento al mito di Arianna, decisamente “rivisitato”: la casa dei Silente è la gabbia di Ariana (in questo caso non Arianna, ma il Minotauro) dalla quale non può uscire, ma diviene anche un labirinto per chi, come Gellert, vi entra, un luogo di “perdizione mentale”; in un certo senso, è un po’ come se Ariana e la magia che non riusciva a contenere avessero legato a sé Gellert, come se in fondo tutta la passione per lei fosse stata indotta da Ariana stessa. Molto avventato come pensiero, eh. Ad ogni modo, alla fine è Gellert a lasciare che sia Albus ad andare da lui e, anche se non lo ammetterebbe neanche a se stesso (essendo il suo POV, pur essendo la storia in terza persona i pensieri sono i suoi, anche il modo in cui apostrofa Aberforth), il motivo è anche che lì, a Nurmengard, Gellert si sente al sicuro: non è la casa dei Silente.

“Mein Herr” in tedesco è “mio Signore”.

Il finale anticipa che Gellert vuole rivelare ad Albus (perché lui lo sa) chi è stato a uccidere Ariana, ma non significa che glielo dirà, anche perché alla sua morte Albus è ancora colmo di sensi di colpa.

Spero che la storia vi sia piaciuta!

Medusa

   
 
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