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Autore: Valerie Clark    25/03/2013    2 recensioni
"Te lo ricordi come ti brillavano gli occhi quando agitavi quella bacchetta nella mano?
Te lo ricordi com’era essere coraggiosa?
Non te lo ricordi, Hermione, non te lo ricordi.
Ti guardi allo specchio e inizi piano a muovere le labbra, inizi a parlare, a parlare con te stessa, a parlare da sola. Hai gli occhi lucidi, le gambe che tremano, il cuore che batte veloce.
No, proprio non te lo ricordi com’era."
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hermione Granger
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Hermione, te lo ricordi com’era combattere, aver paura, vivere insieme?
Te lo ricordi com’era essere una leggenda?
Te lo ricordi come ti brillavano gli occhi quando agitavi quella bacchetta nella mano?
Te lo ricordi com’era essere coraggiosa?
Non te lo ricordi, Hermione, non te lo ricordi.
Ti guardi allo specchio e inizi piano a muovere le labbra, inizi a parlare, a parlare con te stessa, a parlare da sola. Hai gli occhi lucidi, le gambe che tremano, il cuore che batte veloce.
No, proprio non te lo ricordi com’era.
 
 
‘Non dirò cosa è successo.
Non dirò quella parola.
Non dirò che in principio ho sbagliato, perché non è colpa mia.
Non dirò che non sapevo potesse capitare, perché i segnali erano arrivati da un pezzo.
Non dirò che quando sei una persona buona non ti viene mai in mente che possa succedere a te.
Bene,è successo a te. E ora che ne facciamo? Non è uno schizzo venuto male di cui ti puoi liberare, sei te venuta male e di te non potrai mai liberarti.
Qualsiasi cosa io faccia, per quanto mi allontani e per quanto mi ci sforzi finisco sempre coll’inciampare in me.
Ma questa non sono io; non sono io che lascio perdere, non sono io che mi abbandono. Ho la mia faccia e la mia voce ma le mani che mi graffiano la pelle e mi mettono in bocca i calmanti non sono più le mie.
Sono diventata un mostro; un mostro nasce con noi quando veniamo al mondo,solo che non lo sappiamo.
Io per esempio ho cominciato un po’ di tempo fa a creare il mostro di me stessa; perché non mi piacevo,non mi andavo più bene o forse volevo semplicemente qualcosa di più.
Viene fuori con rapidità, rumorosamente, agisce senza pensare e non distingue il giusto dallo sbagliato. E poi si sostituisce a me, piano piano, senza che me ne accorga.
Questo mostro è qualcosa che non vede nessuno e che si gonfia della cattiveria che ci cresce intorno fino a portarla dentro di noi. Una volta diventato enorme da togliermi il respiro il mio mostro mi ha portato a non credere quasi più a niente.
Dopo aver perso persone, cose e fiducia nel genere umano ho iniziato infatti a disprezzare qualsiasi cosa mi si ponesse davanti, a non stupirmi più di niente, a non restare a bocca aperta davanti al più bel spettacolo del mondo così come di fronte alla scene più brutta, triste e ripugnante.
Mi ha portata a nuove persone e nuove esperienze, ma non sono cresciuta nemmeno un po’. Mentre invece lui cresceva.
O forse invece questo mostro non sta tirando fuori nulla che non mi appartenga veramente. Magari non ho creato un mostro di me stessa, ma semplicemente me stessa.
E’ tipo un’ossessione. E la cosa più brutta è che crea dipendenza. 
E allora mi tengo le mie cose per me. Sempre.
Alcune volte neanche le lascio uscire dalla mia bocca; me le tengo come un nodo in gola perché non voglio sentirle. Perché senza sentirle sembrano meno vere. Sembrano un errore.
Sono quelle cose che ti salgono non dal cuore ma dallo stomaco e ti lacerano tutto il corpo finché non escono e le orecchie le percepiscono e allora fanno male anche queste.
Una parola che fa male è ‘me’. Dovrebbe essere un suono conosciuto, una sillaba, invece sono solo due lettere praticamente estranee.
Perché mi fai questo?
Perché mi allontani da tutto quello che sono?
Perché mi porti prima su e poi giù come una giostra?
Sono una marionetta nel patetico teatrino della mia vita;
obbedisco.
Obbedisco ad un padrone di cui non posso liberarmi.
Obbedisco e quasi fingo di non fare caso al dolore che tutto questo mi provoca.
Obbedisco e reprimo i miei sogni, i miei incubi.
Obbedisco e impazzisco.
È assurdo. So di volere una cosa più di tutto anche se è una cosa che ho sempre detestato. In qualche modo capisco di non poterla più avere. Capisco che ho in qualche modo sbagliato e ora non posso averla. Mi fa impazzire.
Grido, singhiozzo e all’improvviso i miei urli si mischiano ad altri e ci sono milioni di persone che strillano e non capisco più niente.
Non ho fiato nei polmoni e nessun pensiero nella testa se non il ricordo di questi urli strazianti.
Allora li vomito fuori e aspetto.
Aspetto di calmarmi, di riconoscermi.
Aspetto che tutto torni al suo posto, che ogni cellula del mio corpo ricominci a svolgere la sua funzione.
E invece ci sono solo gli occhi cerchiati di nero, sporchi di lacrime e incubo.
Non incatenata, paralizzata.
Non da sola in mezzo al silenzio, sola tra la folla rumorosa, nuda con gente vestita di sorrisi, al freddo con persone calde d’amore.
Sono uomo, donna e bambino.
Sono la noia, sono la tristezza, il pianto, il dolore.
Sono la vecchiaia, la solitudine.
Sono la delusione.
Sono un amore che ha dato senza riserve, sempre aspettandosi qualcosa indietro, sempre senza ricevere indietro nulla.
Cosa importa quanto ho sacrificato? Nulla.
Sì perché ho sacrificato, e non era forse questo il significato di amare?
Ho sacrificato la mia giovinezza per salvare quella di altri, la mia libertà per farli volare, la mia gioia per farli correre.
Hanno preso tutto.
E io invece? Io cosa ho preso?
Ho scelto di escludermi da quello che sta fuori di me per il ribrezzo che mi faceva guardarlo, ma non avrei mai scelto questa vita se avessi saputo che non mi sarei sopportata.
Niente ho avuto io; non un grazie, non un abbraccio, niente.
Ho vinto la delusione, il pensiero d’essere delusa dagli altri e da me stessa; soprattutto da me stessa.
Ogni tanto da me arriva qualcuno ma io non lascio entrare mai nessuno davvero.
Posso vedere benissimo nei suoi occhi il riflesso dei miei, chiusi ed impenetrabili, e sentire tutte le rotelle del suo cervello aggrovigliarsi tra loro per cercare di comprendere qualcosa che nemmeno io comprendo, per cercare di comprendere perché ‘la strega più brillante’ della sua età si sta facendo questo.
Ieri sono venuti in dieci, oggi in tre, domani non verrà più nessuno.
Forse all’inizio potevo pensare che anche stavolta avevo vinto. Una vittoria secca e pulita, da far rivoltare nella tomba tutti coloro che hanno vinto prima di me, da far sembrare le loro vittorie niente.
E invece coloro che hanno vinto si ammazzano dalle risate nella tomba al pensiero di una donna che si è innamorata degli altri, di tutti gli altri, e che ha fallito miseramente.
Si dice ‘cadere in amore’; io me lo ricordo bene quando sono caduta perché non mi sono più rialzata.
Sarò qui per sempre, anche dopo quella che chiamano morte, col mio amore tramutato in superbia. Qualcuno verrà, ma si stancherà di me come ho fatto io e allora se ne andrà. Sono comunque da sola.
E tutti moriranno e rinasceranno e cambieranno usi e costumi, ma io no.
Sempre qui, sempre reincarnazione delle più grandi delusioni.
Ma poi non mi sembra nemmeno tanto giusto parlare sempre di amore.
Amore? Non c’era amore.
Non c’era niente.
Solo non aver avuto la prontezza per correre più veloce.
Solo non aver avuto la forza di graffiare più forte.
Solo non aver avuto il coraggio di guardare il tuo migliore amico morire.
Non c’era amore.
Non credo in quello che tutti chiamano ‘amore’. Quella cosa bellissima che ti fa venire le farfalle nello stomaco e ti fa piangere perché non ricambiato. Quell’amore a prima vista di cui tutti parlano. Quello che ti fa stare con una persona anche a chilometri di distanza.
Non riesco più a provare niente per nessuno.
Non c’era amore.
Non c’è più amore.
Perché? Perché ho preso e me ne sono andata.
Sono scomparsa così, senza fare in modo che nessuno se ne accorgesse.
Ho preso e me ne sono andata.
Nemmeno io me ne ero accorta.
Vorrei che questo dolore uscisse dal mio stomaco che ne è pieno e mi attraversasse tutte le vene, tutte insieme, tutto d’un colpo,  per l’ultima volta.
Vorrei gridarlo.
Vattene!
Lasciami stare!
Va’ via!
Magari mi mancherai, magari ti rivorrò indietro dopo qualche attimo, magari davvero non posso più vivere senza te che mi riempi.
Ma ora vorrei tanto provarci, vorrei tanto riuscirci.
Me lo ripeto ogni volta che la mia testa mi sembra vuota e pronta ad ascoltare: ti stai perdendo.
Stai attenta, perché stai perdendo tutto quello che eri.
Ti stai lasciando andare.
Stai lasciando che si prenda tutto.
Stai perdendo tutto.
Non ti meravigli più di niente. Non riprendi più fiato. Non ti riconosci più allo specchio. Cosa sei diventata, Hermione?
Sei incostante e monotona allo stesso tempo.
Non ti sopporti più, non sopporti il tuo continuo girovagare in mezzo a queste quattro mura vuote in cerca di qualcosa che ti possa distrarre. Ti sembra che niente più ti distragga. Tutto ti sta solo distruggendo.
E intanto non cambi niente. Non ti dai quella spinta per cambiare. Non riesci ad andare avanti, sei bloccata.
Chi vuole andare avanti sei te e chi ti trattiene sei te?
Non sei normale, sei patetica. Fai schifo.
Non riesci a cacciare te stessa da stessa.
Se una persona diventa il tuo luogo, dove pensi di andartene?
E quindi fingi, e fingi e fingi. Credi di risolvere tutto fingendo.
Come in un teatro; sei sul palco, parli, ridi, reciti?
Non lo sa nessuno in platea.
Non sanno se fingi o se sei così veramente. Puoi gridare che fai schifo e magari fai schifo veramente.
Poi arriva l’ultima scena, cala il sipario e al momento degli applausi sono già tutti convinti che quella che sta sorridendo felice sia di nuovo te.
Ti ricade addosso quella pesantezza.
E come se il sipario si fosse abbassato troppo presto e ti sia caduto in testa.
Stavi ancora parlando e ti hanno fermato.
Ora che lo spettacolo è finito puoi ricominciare a fingere.
Ti sei mai chiesta il perché? Ci sono così tante domande che ti torturano la testa, eppure non riesci a dar voce nemmeno ad una di queste.
La scienza dice che ci sono milioni di particelle minuscole che si muovono dentro di me svolgendo ognuna la sua funzione tutti i giorni, tutti i momenti; le mie sono ferme. Nuotano nel niente che mi è rimasto e non sanno più dove andare a sbattere la testa, non hanno più una loro funzione da svolgere, non sanno più se ci sono altre particelle o se sono da sole.
La scienza questo come lo spiega? Dio, Merlino, Buddha o chi per loro come lo spiegano?
Come si spiega quando una persona non si sente più una persona?
Come accidenti spieghi quando non sei più niente di tutto quello che eri?
Come spieghi quando qualcosa ha un grande impatto sulla tua vita e da quel momento quella smette di essere la tua vita e diventa un qualcosa di lontano, distante da te. Diventa qualcosa che non ti riguarda, qualcosa che ti passa davanti mentre tu stai lì a guardare come si evolve o come si stabilizza.
Come si spiega quando una persona smette di sentirsi tale a tal punto da aver paura delle altre persone?
Quando ti senti diverso da tutto e tutti e ti fa paura.
Quando ti senti usata, maltrattata, violata, lasciata sola, a pezzi, vuota, piena, lontana, chiusa, buia, diversa..
E poi non ti senti più niente.’





Qusta è la ff a cui tengo di più;
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1328428&i=1
   
 
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